L’irrealtà degli Stati Uniti d’Europa

Lo scorso 30 maggio, scrissi qui che quello che il neo governo di Enrico Letta si sarebbe apprestato a fare al popolo italiano in nome dell’ideale degli Stati Uniti d’Europa sarebbe stato ancora più rigore (tagli alla spesa e maggiori imposte) e ulteriore indebolimento dei lavoratori; naturalmente non era un’idea mia ma riprendeva solamente le parole dello stesso Letta: della serie “Ci fottono e ce lo dicono pure”.

 Il punto su cui vorrei soffermarmi è questo: spesso, in molti sono concordi nel dire che i sacrifici che ci vengono richiesti oggi siano necessari e in fin dei conti accettabili perché finalizzati al raggiungimento di una meta finale più alta, più nobile, ossia la creazione degli Stati Uniti d’Europa, una federazione di Paesi strutturata in modo simile agli Stati Uniti d’America. Gli stessi architetti dell’Euro hanno ammesso a più riprese che la condivisione della moneta unica era solo il primo passo, cui sarebbe dovuta seguire l’unione fiscale fra gli Stati (ad oggi, infatti, non esiste un Ministero del Tesoro Europeo).

 Fonte: AGI.

 In merito, Enrico Letta ha candidamente ammesso nel suobvlibroL’Europa è finita (scritto con Lucio Caracciolo nel 2010): ”l’euro è l’anticamera dell’unione politica. Ed è l’unica anticamera possibile. Perché all’unione politica non si potrà mai arrivare, e non si arriverà mai, per semplice volontarismo dei governi, che su questi temi si muovono soltanto sull’impeto dell’urgenza e della necessità. Così come l’Europa è nata dopo la guerra, e per via della guerra; così come l’euro è nato dopo la riunificazione tedesca e la fine del muro di Berlino; allo stesso modo, l’unione politica non può che nascere dalla crisi, dalla grande crisi finanziaria a causa della quale l’Europa rischia di implodere…[…] L’euro è l’anticamera della futura unione politica perché, rispetto alla crisi, rende evidenti quali sono i termini della questione: o si abbandona la moneta unica o si torna alle monete nazionali, e quindi ai singoli Stati membri, facendo dell’Unione europea un’area di libero scambio – dunque andando indietro su molte conquiste di questi anni  – oppure si va avanti. Ma andare avanti vuol dire che siamo di fronte a questa alternativa solo perché c’è l’euro. Se l’euro non ci fosse stato non ci troveremmo di fronte a questa scelta” (pag. 35 e 39).

 Recentemente, lo stesso Romani Prodi ha ammesso pubblicamente che: ”La colpa non è dell’euro in sé ma del fatto che non si possono fare le cose a metà. [..] Erano tutti d’accordo che l’Euro doveva essere rafforzato. Ma poi è arrivata l’Europa della paura ed ora ne paghiamo le conseguenze (fonte).

 Il che significa, da una parte, riconoscere che oggi ci sono problemi oggettivi derivanti dalla moneta unica e dalla struttura di governo dell’Eurozona e, dall’altra, legittimare la prosecuzione su questa strada (accettando quindi i sacrifici che ne derivano in termini di disoccupazione, aziende che chiudono, condizioni di lavoro sempre più precarie e infime, disagi sociali crescenti, suicidi per motivi economici) in nome di una meta da raggiungere, di un sogno da perseguire: gli Stati uniti d’Europa appunto.

 Ecco, detto ciò, cosa dicono invece due della figure più importanti a livello di istituzioni europee: gli Stati Uniti d’Europa sono irrealizzabili. Sì, avete capito bene, e non si tratta di due di poco conto.

 Uno è il presidente della Banca Centrale Europea,Mario Draghi, il quale, il 27 settembre 2013, ha dichiarato: “Una politica di bilancio comune all’interno dell’Unione Europea appare oggi poco credibile perché essa viene vista come un modo per trasferire su altri Paesi il peso degli sprechi del passato (fonte).

 L’altro è Herman Van Rompuy, Presidente del Consiglio Europeo (che riunisce i capi di Stato e di governo dell’Unione Europea), che il 9 maggio 2012 ha ammesso: “L’Unione europea non diventerà mai gli Stati Uniti d’Europa. Siamo 27 o 28 con la Croazia, ciascuno ha la sua storia, per alcuni lunga 200 anni, come per Belgio e per altri è una storia di migliaia di anni. Non siamo come uno Stato americano. Abbiamo le nostre lingue, 23 in Europa. Abbiamo un’identità particolare in ogni nostro stato membro e situazioni molto specifiche dovute alla nostra storia” (fonte).

 Ma non finisce qui, perché anche un ammorbidimento delle posizioni del governo tedesco sulle politiche di rigore non sembra affatto alle viste, dal momento che Angela Merkel ha ribadito lo scorso 21 settembre la sua totale contrarietà a qualsiasi forma di mutualizzazione europea del debito pubblico: “non ci saranno eurobond [titoli del debito pubblico a livello europeo, nda]… la condivisione dei debiti è sbagliata (fonte).

 Una posizione peraltro tutt’altro che nuova, visto che il 27 giugno 2012, la stessa Cancelliera dichiarava: “Mai eurobond finche vivo (fonte).

 Dopo tutto voi avete l’impressione che sia anche solo politicamente proponibile all’opinione pubblica tedesca o finlandese (gli stessi che volevano il Partenone come garanzia per gli aiuti alla Grecia) di fare quello che il Tesoro degli Stati Uniti d’America fa su base regolare, ossia operare trasferimenti fiscali dagli Stati più ricchi a quelli più poveri?

 Negli Stati Uniti d’America, infatti, come testimonia questo studio pubblicato dalla rivista Economist il primo giugno 2011, “alcuni Stati federali ricevono più in spesa federale di quello che pagano in imposte federali; altri ricevono meno. Dopo oltre un ventennio, questi trasferimenti fiscali rappresentano una somma considerevole. Dal 1990 al 2009, il governo federale ha speso 1,44 trilioni di dollari e riscosso in tasse meno di 850 miliardi di dollari, una differenza di oltre 590 miliardi di dollari. Ma in relazione alla grandezza della sua economia, la Virginia ha ottenuto minori vantaggi dall’unione fiscale Americana rispetto a Stati come il New Mexico, il Mississipi e la West Virginia, dove i trasferimenti ventennali hanno superato il 200% del loro Prodotto interno lordo annuale. I trasferimenti verso Puerto Rico […] hanno superato il 290%. Da dove provenivano questi trasferimenti? New York ha trasferito oltre 950 miliardi di dollari al resto dell’Unione fiscale dal 1990 al 2009, il Delaware ha fatto la più grossa contribuzione, equivalente a più del doppio del suo Pil del 2009.

 Inoltre, un autorevole studio sul tema, datato 1991 e intitolato Fiscal federalism and optimum currency areas: evidence for Europe from the United States, di Jeffrey Sachs (Harvard University) e Xavier Sala-i-Martin (Yale University) sottolinea come negli stati Uniti “la riduzione di un dollaro nel reddito pro capite regionale fa scattare una diminuzione di circa 34 centesimi di imposte federali e un incremento dei trasferimenti fiscali di circa6 centesimi. Quindi, la riduzione finale del reddito pro capite disponibile è nell’ordine di 60 centesimi. Ossia, da un terzo a circa la metà dello shock iniziale viene assorbito dal governo federale. […] Calcoli grezzi sull’impatto del sistema di tassazione Europeo esistente sul reddito regionale suggeriscono che uno shock di un dollaro sul PIL regionale ridurrebbe i versamenti fiscali al governo della Comunità Economica Europea di mezzo centesimo. Quindi, l’attuale sistema di tassazione Europeo ha una lunga strada da fare prima di raggiungere i 34 centesimi del Governo Federale degli Stati Uniti”.

 Il grafico in basso fotografa esattamente l’andamento dei trasferimenti fiscali negli Stati Uniti d’America dal 1990 al 2009 in percentuale del Pil del singolo Stato. In verde abbiamo gli Stati per così dire “contributori netti” (quelli cioè che versano al governo federale una somma maggiore di quella ricevuta da parte del Tesoro americano), mentre in rosso abbiamo gli Stati che possiamo definire “beneficiari netti” (dal momento che ricevono sotto forma di spesa pubblica e trasferimenti da parte del governo federale più di quanto pagano in tasse).

Fonte: Economist.

 Ecco, qualcuno crede che sia razionale e realistico credere (o sarebbe meglio dire sognare) che sia politicamente possibile che, per esempio, la Baviera trasferisca denaro dei propri contribuenti al Peloponneso o all’Andalusia?

 La mia risposta è no. E l’impressione (personale) è che il fare appello agli Stati uniti d’Europa sia ormai diventato per i nostri governanti un modo, da un lato, per prendere tempo, dal momento che qualsiasi politico sa perfettamente che l’ammissione del fallimento del progetto dell’Unione Monetaria e dell’Euro sancirebbe la propria fine politica; dall’altro, fornisce un alibi perfetto per quando le cose andranno a scatafascio e i politici nostrani potranno dire: “Eh, lo sapevamo che l’Euro da solo era sbagliato e infatti volevamo fare gli Stati Uniti d’Europa,  ma la Merkel brutta e cattiva non ha voluto”.

 Daniele Della Bona

 Fonte: http://memmttoscana.wordpress.com/2013/10/10/lirrealta-degli-stati-uniti-deuropa/

L’irrealtà degli Stati Uniti d’Europaultima modifica: 2013-10-12T14:32:38+02:00da davi-luciano
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