CON UN BLITZ IL CIPE HA SOTTRATTO RISORSE COMPENSATIVE PER LA TORINO-LIONE DESTINANDOLE ALL’AUDITORIUM DI FIRENZE

http://www.stefanoesposito.net/

maggio 6th, 2013

Il Cipe, con delibera pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 16 aprile, ha rimodulato le risorse del Fondo per le infrastrutture ferroviarie e stradali relativo a opere di interesse strategico, stabilendo che i 10 milioni di euro previsti per le misure compensative della TAV tra il 2013 e il 2015, vengano ripartiti in due tranches: 2 milioni di euro sul 2013 e i restanti 8 milioni sul 2016!

Una decisione assunta nel più assoluto silenzio, senza informare il Governo, il Commissario Virano, gli enti locali interessati e neppure il Parlamento. Un blitz all’insegna della più bieca ignoranza burocratica che, di fatto, sottrae le già scarse risorse destinate ai territori interessati dalla realizzazione della Torino-Lione.

E quale è la ragione che sta alla base della rimodulazione? La necessità di destinare risorse al completamento del ‘Nuovo Auditorium – Teatro dell’opera’ di Firenze.

Senza nulla togliere all’importanza rivestita dall’Auditorium fiorentino, è evidente che siamo in presenza di una scelta priva di qualunque razionalità politica e che conferma, ancora una volta, il fatto che a Roma non tutti hanno compreso la rilevanza di un’infrastruttura come la Tav.

Onestamente mi sono stufato dal dover contrastare i No Tav qui in Piemonte, quando nella Capitale gli alti burocrati tolgono risorse necessarie, offrendo così ossigeno alle argomentazioni di chi è contrario a quest’opera.

Per questo mi rivolgerò immediatamente al neo Ministro Maurizio Lupi, affinché intervenga presso il Cipe e si impegni non solo ad evitare che in futuro si ripetano analoghi fatti, ma soprattutto a definire quanto prima il piano degli interventi compensativi e delle risorse necessarie che non possono certo essere poche briciole elargite ai territori. È in gioco la credibilità del nostro Paese sia nei confronti delle comunità locali interessate dalla Tav sia nei confronti dell’Unione europea.

Siccome questa è una battaglia condotta nei fatti da pochi (per questo esposti anche a situazioni poco piacevoli), spero di ottenere rapidamente dal Ministro adeguate risposte ai problemi qui denunciati, altrimenti prenderò in seria considerazione l’ipotesi di dimettermi da Sì Tav.

I trattamenti radioterapici creano cellule tumorali 30 volte più potenti

 Nuovo studio: i trattamenti radioterapici creano cellule tumorali 30 volte più potenti rispetto alle normali cellule tumorali . In una ricerca rivoluzionaria appena pubblicata su Stem Cells, una rivista del settore riservata agli specialisti, i ricercatori del Jonsson Comprehensive Cancer Center Department of Oncology della UCLA, hanno scoperto che, benchè uccidano mediamente una metà delle cellule tumorali ad ogni trattamento, le cure con le radiazioni per il tumore al seno trasformano le cellule tumorali superstiti in cellule tumorali staminali che sono molto più resistenti al trattamento delle normali cellule tumorali. Questa nuova ricerca assesta un altro colpo al fallimentare protocollo di cura ufficiale appoggiato dai media ufficiali allineati; protocollo che cerca di tagliar via, avvelenare o bruciare i tumori, cioè i sintomi del cancro, invece di curare le cause dei tumori, cioè il cancro. 

Il dottor Frank Pajonk, il qualificato autore, che è associate professor of radiation oncology presso il Jonsson Center, riferiva in uno studio precedente che «utilizzando le stesse procedure che nella medicina rigenerativa sono adottate per trasformare cellule normali in cellule staminali pluripotenziali (iPSdella terminologia anglosassone), tramite unattivazione indotta per radiazione», sono state prodotte delle cellule staminali tumorali (iBCSC, della terminologia anglosassone), del tumore al seno.

 Pajonk, che è uno scienziato che opera anche all’Eli and Edythe Broad Center of Regenerative Medicine sempre dell’Università della California di Los Angeles (UCLA), ha aggiunto: «È degno di nota il fatto che le cellule di questi tumori utilizzino, per opporsi al trattamento con le radiazioni, gli stessi percorsi usati per la riprogrammazione cellulare». In questo nuovo lavoro, Pajonk ed il suo team hanno irradiato normali cellule tumorali non-staminali e le hanno inserite nelle cavie. Attraverso un sistema di imaging unico al mondo hanno potuto assistere (direttamente) alla trasformazione delle cellule normali in iBCSC per reazione al trattamento con le radiazioni. Pajonk riferisce che la nuova produzione di cellule così ottenuta è incredibilmente simile a cellule staminali del tumore al seno, non irradiate. La squadra di ricercatori ha anche potuto calcolare che queste cellule tumorali staminali indotte hanno una capacità di produrre tumori che è di 30 volte superiore a quella delle normali cellule tumorali (del tumore al seno) non irradiate.

  Nonostante la mole sempre crescente di prove, la medicina ufficiale continua a basarsi sulla chirurgia, la chemio, le irradiazioni ed ignora qualsiasi soluzione naturale Alla faccia dei miliardi di dollari spesi per la cura del cancro, questa quarantennale guerra al cancro ad essere onesti, è stata persa. 100 anni fa, in qualunque parte del mondo, la previsione era che forse avrebbe sviluppato il cancro da 1 persona su 50 ad 1 su 100. Ora la stima è che nell’arco della propria vita verrà diagnosticato un cancro ad 1 uomo su 2 e a 1 donna su 3. Nonostante sempre più persone al mondo ogni anno si ammalino di cancro e ne muoiano, la medicina ufficiale continua a basarsi su trattamenti fallimentari che, il più delle volte, non solo non curano ma aiutano il cancro a diffondersi ed a ripresentarsi ancora più aggressivo di prima. Va sottolineato che due su tre dei più diffusi trattamenti ufficiali contro il cancro, e cioè le radiazioni e la chemio, sono essi stessi altamente cancerogeni. Si potrebbe ritenere che questa nuova ricerca fornisca una solida ragione per ripensare al l’uso delle radiazioni. Invece, gli autori prendono in considerazione i risultati quale stimolo per continuare ad aumentare l’uso delle radiazioni trovando modi che controllino la differenziazione cellulare. Quello che gli scienziati sembrano rifiutarsi di vedere è che sono già state trovate delle alternative naturali che impediscono lo sviluppo di cellule cancerogene staminali

Solo come esempio, Natural News ha riferito nel maggio del 2010 come una ricerca dell’Università del Michigan avesse trovato un composto nei cavoli e nei germogli di cavolo che ha la capacità di avere come bersaglio le cellule cancerogene staminali. (Breast cancer breakthrough: broccoli component zaps cells that fuel tumor growth) I ricercatori si rifiutano di prender atto che le cellule del cancro combattono contro i trattamenti innaturali. Si rifiutano anche di tener conto del crescente numero di prove che indicano come il miglior modo per battere il cancro – così come per evitarlo – consista nel costruire e potenziare le nostra prima linea di difesa: il sistema immunitario. E la via più sicura ed efficace per potenziare il nostro sistema immunitario e combattere in generale il cancro è quella di operare secondo natura. È anche la via di gran lunga meno costosa, ed è probabilmente qui che si cela l’arcano. Non si può brevettare la natura e trarne guad agno così come invece puoi fare dai trattamenti e dai farmaci ufficiali

da Natura News

Traduzione per EFFEDIEFFE.com a cura di Massimo Frulla 

By Ivano Antar Raja

http://frontelibero.blogspot.it/2013/05/i-trattamenti-radioterapici-creano.html

 

Firenze: la UE celebra se stessa, nuovo archivio storico della memoria europea

memoria di che? Di come la Ue creatura delle banche condanna a morte interi popoli?

 4 magg – Un archivio all’avanguardia con sofisticati sistemi di conservazione e controllo dell’umidita’, in un villa del ’400 sulle colline di Firenze. Qui, a Villa Salviati, c’e’ la memoria e la storia dell’Unione europea in 5 chilometri di documenti. La nuova sede degli Archivi Storici dell’Unione Europea, che esistono da quasi 30 anni e che fino a pochi mesi fa erano ospitati presso Villa Poggiolo, sara’ aperta al pubblico e inaugurata ufficialmente il 10 maggio, in concomitanza con il Festival d’Europa e la conferenza ‘State of the Union’ (9 maggio), organizzata dall’European University Institute, a cui prenderanno parte, tra gli altri, i presidenti della Commissione europea Jose’ Manuel Barroso e del Parlamento Martin Schu lz, e il ministro degli Esteri italiano Emma Bonino.

In quest’occasione, saranno allestite due mostre, una nel Cortile di Michelozzo in Palazzo Vecchio, che illustrera’ l’esperienza politica e culturale dei tre padri dell’Europa, Robert Schuman, Konrad Adenauer Alcide de Gasperi, e una seconda, a Villa Salviati, dal titolo ‘Le fonti della storia dell’Europa’. Saranno esposti documenti che testimoniano il percorso dell’integrazione europea a partire dalla Seconda Guerra Mondiale e foto inedite come quella che ritrae Adenauer in un roseto .

Il 10 maggio, nel corso dell’open day, il pubblico potra’ visitare la sede dell’archivio, che e’ parte integrante del campus dell’Istituto Universitario Europeo, e il grande parco di 14 ettari che circonda la villa. Nell’archivio sono raccolti documenti delle istituzioni europee – Parlamento, Commissione, Consiglio dei ministri, Agenzia Spaziale Europea (Ase), Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (Ocse) – e 150 fondi privati che testimoniano 60 anni di storia per complessivi 170.000 dossier. Tutta la documentazione dell’archivio, che e’ in buona parte anche digitalizzata, viene conservata con tecnologie sofisticate, in un deposito ipogeo all’avanguardia dotato di sistemi di eliminazione delle muffe, di controllo dell’umidita’ e di spegnimento del fuoco in caso di incendio. ”Il sito per la consultazione dei file conta un milione di accessi all’anno – spiega il direttore dell’Archivio Die ter Schlenker -, mentre circa 800 ricercatori frequentano le nostre sale con un incremento annuale di circa 120 nuovi studiosi. La ricerca pero’ oggi si fa particolarmente on line”.

A Firenze, arrivano ricercatori da tutta Europa, ma anche da Australia e Stati Uniti. ”Prima si studiavano molto i padri fondatori dell’Europa – spiega Schlenker – e infatti ci sono molte biografie su De Gasperi, Adenauer, Schuman. Negli anni Settanta e Ottanta si e’ affermato un nuovo punto di vista, di ricerca nella direzione degli stati membri e sul loro interesse nell’Unione. Quindi, un filone non piu’ dedicato ai grandi uomini ma alle istituzioni, agli stati membri. Oggi si studiano molto le relazioni tra l’Europa e il resto del mondo, la politica estera e internazionale e l’Europa nella globalizzazione”.

 

Udienza opposizione archiviazione querela Alessandro L. contro NUMA 9

 
Il 24 Luglio Alessandro L. fu colpito al volto da un lacrimogeno che gli causò 17 fratture. Era vicino al cancello della centrale, stava filmando.
Qualche giorno dopo un fantomatico “Alessio” che si spacciava per NO TAV rispose ad Alessandro, ad una sua email su assemblea permanente (mailing list no tav) sostenendo di averlo visto cadere di faccia. Un botta e risposta che ad un certo punto sfugge al controllo del presunto vero Alessio, Massimo Numa, che risponde direttamente dalla sua email de LA STAMPA. Nota di colore è che anche le email dello sconosciuto “Alessio” provengono dallo stesso indirizzo IP de LA STAMPA.
La querela, sporta pochi mesi dopo la vicenda, rischia di essere ARCHIVIATA.
Come sempre, quando tocca a noi ottenere giustizia, questa scarseggia.

Giovedi’ 9 maggio alle 10:30 al Tribunale di Torino ci sarà l’udienza per l’OPPOSIZIONE all’ARCHIVIAZIONE, INGRESSO 13 AULA 38.

NISCEMI: Turi continua

Questa mattina a Niscemi al blocco contro la base USA per il Muos i manifestanti sono stati attaccati duramente dalla polizia perché togliessero il blocco. Turi si è buttato sotto un’auto della polizia e hanno faticato molto per poterlo spostare:
guarda il video
Grande Turi.

Via tutte le tasse, ecco perchè si può

di Alessandro De Angelis

 Da sempre, la cultura è stata monopolio esclusivo dei detentori del potere e quest’ultimo è stato spesso utilizzato dalla classe dominante per discriminare i popoli, assoggettandoli tramite manipolazioni strumentali che passeranno sempre e comunque attraverso inganni che riescono a estrinsecarsi grazie all’ignoranza dei popoli.

 Così l’economia, da sempre vista con osticità dalle masse per la sua incomprensibilità, è da secoli stata lo strumento più efficace al fine di coercizzare i popoli. Ben vengano, quindi, econom isti e scrittori che cercano di svelare i meccanismi ingannevoli con cui gli economisti e le banche centrali hanno schiavizzato gran parte della popolazione mondiale, togliendo la dignità della vita e fomentando guerre tra poveri, al fine di trarne vantaggi personali.

 In realtà l’economia, al di fuori dell’osticità delle parole, è molto semplice, così come i meccanismi di truffa – e quindi l’inesigibilità del debito pubblico, creato attraverso queste frodi – che le possono essere intrinsecamente annessi. Se si provasse a chiedere, a persone di medio livello culturale, il motivo per cui si debbono pagare le tasse, la maggior parte di esse darebbe una risposta perlomeno scontata: «le tasse servono per pagare gli impiegati statali e tutti coloro che lavorano per lo stato, per costruire infrastrutture, per la scuola, la sanità, per finanziare la ricerca e per gli ammortizzatori sociali». Se avete mai sentito una risposta del genere, sappiate che ciò non corr isponde a verità. Partiamo da un presupposto semplice: i produttori di beni e servizi siamo noi. Per scambiare ciò che produciamo, nell’antichità veniva usato il sistema del baratto; successivamente, venne introdotta la moneta, al fine di attuare la semplificazione degli scambi.

 I beni e i servizi che vengono prodotti da uno stato vengono valutati in PIL (Prodotto Interno Lordo, in inglese gross domestic product o GDP): se la quantità di denaro che si stampa è superiore al PIL si genera inflazione, con conseguente abbassamento del potere d’acquisto delle persone, se esso è inferiore si genera una rarefazione monetaria (fenomeno cui siamo oggi soggetti) con conseguente recessione, perdita di posti di lavoro, aumento degli ammortizzatori sociali e via dicendo. Pertanto è essenziale che, da parte degli stati, si emetta una quantità di moneta pari al PIL prodotto. È ovvio che la moneta, essendo lo strumento utilizzato per scambiare ciò che viene da noi prodotto e realizzato, dovrebbe essere prodotta esclusivamente dallo stato attraverso la propria zecca tipografica, di diritto pubblico.

 Se essa viene stampata da qualsiasi ente che non sia puramente statale, e che per giunta addebita la moneta agli stati – anziché accreditarla –, comportandosi come una semplice tipografia, si corre il rischio di cadere sotto un regime dittatoriale in cui i titolari della moneta si appropriano di tutti i beni e servizi prodotti dal popolo e dunque dallo stato. Questo è quanto succede sotto l’egida della BCE (Banca Centrale Europea) in Europa e sotto la FED (Federal Reserve System) in America. Difatti, il debito pubblico è addirittura maggiore di tutta la moneta circolante e ciò trova spiegazione nel fatto che, oltre ad addebitare la moneta agli stati, vengono applicati anche interessi sui titoli di debito pubblico che gli stati stampano come contropartita del denaro che ci viene prestato. È quindi chiaro che uno stato che non abbia la propria sovranità monetaria perda la propria autonomia, relegandosi di fatto sotto la dittatura dell’oligarchia bancaria, dove la banche centrali, invece di essere enti di proprietà pubblica, sono invece proprie delle S.p.A. private.

Proviamo per un momento a immaginare che, dopo aver lavorato per un intero mese, qualcuno venga a sottrarvi il vostro stipendio, ponendovi peraltro degli interessi su di esso. Dopo un certo periodo di tempo, essi si approprieranno anche della vostra casa o di altri vostri possedimenti, così come allo stesso modo le banche centrali si appropriano dei beni dello stato – e quindi dei nostri –, come autostrade, fonti energetiche, poste, telecomunicazioni ecc. Se questo succedesse a voi direttamente, vi ribellereste immediatamente, denunciando e mandando in galera il ladro che vi ha depauperato. L’amara morale della vicenda è che, trasportata su piano nazionale, essa risulta drasticamente appropriata per descrivere l’attuale stato di cose nonché la presente situazione politica americana ed europea. Tornando dunque alla domanda iniziale, a cosa servono le tasse, se uno stato avesse una propria sovranità monetaria?

 Se lo stato è in grado di stampare moneta pari al valore sommario del PIL, che senso avrebbe far tornare indietro nelle sue casse parte dei soldi che ha stampato, quando potrebbe stamparne altri senza generare inflazione? Sin dall’antichità, l’unico scopo della tassazione da parte degli stati, o degli imperi, era unicamente quello di far sì che la ricca classe aristocratica o senatoria non riuscisse ad accumulare grandi quantità di denaro – e quindi di potere – con un presunto fine di arrivare a compiere un golpe di stato. Basterebbe, quindi, una patrimoniale che venga applicata sopra un certo reddito per evitare questa infausta situazione. La principale questione, essenziale da espletare per il risanamento del debito, è la perdita della nostra sovranità monetaria, che esercitiamo unicamente sulle monete metalliche, e l’iniquo addebito del denaro stampato – o creato elettronicamente dal nulla – dalle banche centrali, anziché un più corretto accredito, compiendo un usura del il 200%, nonostante il denaro non abbia più una convertibilità in oro.

 Tutto questo sta facendo in modo che gli stati e i popoli siano stati resi schiavi di una élite di banchieri, grazie anche alla compiacenza del tradimento dei politici, precludendo il nostro presente e il futuro dei nostri figli, nonché la dignità di noi tutti. Personalmente, auspico che se un giorno riusciremo ad abbattere questa dittatura si faccia di tutto affinché, corrotti e corruttori, subiscano le giuste conseguenze delle loro azioni e vengano espropriati di tutti i beni illecitamente – e a nostre spese! – accumulati.

 Alessandro De Angelis

scrittore e ricercatore antropologo

http://www.altrogiornale.org/news.php?item.8528.8

 

IL GOVERNICCHIO NATO-FMI SANTIFICATO DA UN ATTENTATINO

Di comidad del 02/05/2013

 Nelle cosiddette società civili, moderne o post-moderne, lo spargimento di sangue sembra proprio possedere gli stessi effetti di consacrazione che ha nelle società primitive e tribali. L’attentatino di domenica scorsa, è quindi servito a conferire un po’ di legittimità emergenziale ad un “governissimo” che presentava il bassissimo profilo di un governicchio, al quale la spruzzata di “politically correct” della massiccia presenza femminile – fra cui una donna di origine congolese -, non era riuscita ad attribuire alcuna credibilità in più.

Particolare sconcerto ha suscitato la nomina della guerrafondaia Emma Bonino a ministro degli Esteri; una scelta all’insegna del fanatismo americo-sionista, che si configura come un’esplicita rinuncia ad una propria politica estera, che viene ufficialmente delegata alla NATO. Dagli anni ’90 la Bonino svolge questo ruolo di portavoce della NATO, ed ora potrà scorazzare per le televisioni addirittura in veste di ministro degli Esteri. Evidentemente c’è in vista qualche altra guerra della NATO: Siria, Iran, Sudan, Zimbabwe, Corea del Nord. Si tratta solo di scegliere. C’è da essere certi che, quando si tratterà di votare per finanziare le missioni militari, la già pletorica maggioranza attuale si dilaterà ulteriormente.

L’impressione è che l’attuale soluzione governativa sia stata preparata nello stesso periodo in cui si fingeva di inviare il povero Bersani a compiere le sue “esplorazioni”. Prospettare la candidatura di Emma Bonino alla Presidenza della Repubblica, ha costituito un espediente propagandistico per ripescare la sua immagine dal dimenticatoio, riverniciandola anche di quell’alone di prestigio che le mancava. Si è trattato di una manovra propagandistica analoga a quella di paventare la nomina di Giuliano Amato a Presidente del Consiglio, in modo da attribuire immediatamente ad Enrico Letta l’etichetta consolatoria del “meno peggio” di fronte alla pubblica opinione.

Ma la totale rinuncia dell’attuale governo a fare politica in proprio, è stata ufficializzata anche dalla nomina di Fabrizio Saccomanni al ministero dell’Economia. Che anche un governo che si pretende “politico”, abbia accettato di affidare ancora una volta la guida dell’economia ad un sedicente “tecnico”, costituisce un’automatica smentita di tale pretesa. Inoltre, il fatto che Saccomanni abbia ricevuto la sua formazione nel Fondo Monetario Internazionale, autorizza allo scetticismo circa la sua autonomia da questo organismo sovranazionale. Non che lo stesso Saccomanni faccia molto per celare questo suo legame sentimentale col FMI, poiché nel 2009 elaborò un documento di analisi del sistema monetario internazionale, in cui affermava che la causa della crisi finanziaria consisteva nel non aver concesso abbastanza potere al FMI. L’ideale di Saccomanni era quindi rappresentato da un governo mondiale dell’economia sempre più affidato al FMI.

Per consentire queste repentine conquiste di maggior potere, occorre una grave emergenza in grado di giustificare tutto. Lo scoppio della crisi finanziaria greca nel 2010 – l’anno successivo al profetico documento di Saccomanni -, avrebbe in effetti consentito una crescente ingerenza del FMI in Europa; ed all’epoca anche illustri commentatori dell’area “progressista” celebrarono questa “rivincita” del FMI e del suo principale azionista, cioè gli Stati Uniti.

 

Chiaramente la storiella propinata da Federico Rampini, secondo cui un FMI emarginato ed incompreso sarebbe ritornato alla ribalta per la sua capacità di affrontare le crisi, è la solita propaganda vittimistica dei potenti, dato che il FMI ha tratto dalla crisi greca solo pretesti per ampliare il suo storico strapotere. Qualche malpensante potrebbe persino sospettare che Saccomanni sia stato messo lì per preparare anche in Italia qualche emergenza finanziaria che consenta al FMI di farla ancora di più da padrone, ma si tratterebbe di sospetti meschini e ingenerosi. Perché mai un uomo del FMI dovrebbe comportarsi da uomo del FMI?

Nel campo della cosiddetta opposizione, c’è da registrare il fatto che il M5S, una volta perso il centro della scena, sta diventando un bersaglio fisso per ogni genere di provocazione, dalle accuse pretestuose di favorire la violenza, al gioco di pretese rivelazioni fondato su banalità. Si sta quindi prospettando una riedizione, un po’ più colorita, della “opposizione”-punching ball alla Bertinotti.

Il M5S ha perso la sua occasione quando non è andato a scoprire il bluff che Napolitano aveva allestito con il suo pseudo-incarico a Bersani. A Grillo sarebbe bastato accettare di discutere il programma di un eventuale governo con Bersani, e non appena si fosse parlato di TAV o MUOS, sia Napolitano che i doppiogiochisti interni al PD sarebbero stati costretti a smascherarsi pur di affossare la prospettiva di un governo di coalizione col M5S.

Invece Grillo ha scelto (o è stato costretto a scegliere) di addossarsi per intero la responsabilità del fallimento di Bersani davanti alla pubblica opinione, ed ora si ritrova a non poter più smentire l’etichetta mediatica di quello che protesta, ma non sa proporre nulla. Gli atteggiamenti da purista e bigotto possono benissimo servire a coprire un sostanziale conformismo nei confronti dell’ideologia dominante. Ora, anche grazie a Grillo, persino uno come Enrico Letta potrà, per un po’, spacciarsi come la strada obbligata, l’unica salvezza contro il disastro dell’ingovernabilità.

Anche le dichiarazioni del M5S durante il voto di fiducia al governo non hanno tentato nulla per scalfire questa aureola dello stato di necessità; in particolare, tutta la polemica si è rivolta su questioni strettamente interne, senza mettere in evidenza il fatto che il governo Letta manifesta i segni di un’ulteriore esasperazione della dipendenza dagli organismi sovranazionali. Ma, d’altra parte, prendersela con i “politici” è molto meno pericoloso che mettere al centro dell’attenzione le magagne della NATO e del FMI.

http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=544

 

Horror Italia. Enrico Letta e le zombie bank, il Sole 24 ore ed il governo Frankenstein

Il concetto di zombie bank non appartiene solo ad una qualche ibridazione tra letteratura, finanza e giornalismo. Indica piuttosto un preciso tipo di banca: quella di fatto morta, quindi fallita, ma tenuta in un qualche stato di vita dal trasferimento di fondi pubblici a copertura di irrimediabili voragini di debito dell’istituto bancario privato. Dovrebbe suscitare un qualche interesse il fatto che il Financial Times, il giorno della fiducia alla camera al governo Letta, ha parlato delle zombie bank (testuale) italiane come uno dei due principali problemi del paese. Assieme all’immancabile assenza di crescita che oramai appartiene al novero della categorie che ognuno interpreta veramente come preferisce.

 La zombie bank italiana per eccellenza sembra essere il Monte dei Paschi che è, oramai è luogo comune, di fondi pubblici è costata nel 2012 quanto il gettito dell’Imu. Monte che ha visto le proprie azioni in ascesa nei giorni della fiducia del governo Letta per un preciso motivo: si è scommesso che la zombie bank starebbe stata tenuta il vita dal nuovo esecutivo per evitare un crack del sistema bancario italiano. Ma è solo il Monte dei Paschi a rischiare il crack, magari trascinando con sé il resto del sistema? La situazione appare più complessa se si guarda all’ultimo rapporto Moody’s sull’Italia. Rapporto che è stato citato, senza critiche, dal Sole 24 ore nonostante suonasse a morto non solo nei confronti del Monte dei Paschi ma dell’intero sistema bancario italiano. Moody’s infatti sostiene che le banche italiane si occupano più di detenere ingenti stock di credito che di sostenere l’economia, perdendo contatto con l’economia reale, allo stesso tempo di avere una sottocapitalizzazione tale da renderle vulnerabili ad ulteriori schock finanziari. Entrambi i fenomeni si chiamano sottocapitalizzazione, appunto, e più prosaicamente eccesso di titoli di stato in pancia che impedisce un rapporto con l’economia reale (essendo più redditizia l’operazione di acquisto e collocamento di titoli di stato). La combinazione di questi fenomeni produce, secondo gli analisti, i non performing loans ovvero crediti di banche che non riescono a ripagare capitali ed interessi dovuti ai creditori. Mettendo in crisi sia il sistema del credito che quello dell’economia.

 Il primo grosso elemento di crisi sistemica del capitalismo italiano resta quindi stabilmente radicato nella rete bancaria nazionale. Una crisi del prestito e della circolazione economica di moneta spesso e volentieri sottovalutata rispetto ad analisi che ritengono, a torto, questo mondo del credito subordinato rispetto a quello della decisione politica Una crisi del prestito e della circolazione della moneta che avviene aspirando liquidità pubblica, da ogni dove, senza ripagare e riprodurre capitali. Se ne sono accorti Moody’s, il Financial Times ma anche Enrico Letta che è andato a Berlino, da Angela Merkel, prima di tutto a parlare del problema delle banche italiane e del loro salvataggio. E prima di Letta se ne è accorto Giorgio Napolitano che, non a caso, ha messo Saccomanni, direttore della Banca d’Italia, al ministero chiave dell’Economia. Ministero che così assume un accento prevalentemente bancario servendo cosi’, all’istante, tutti coloro che hanno parlato di governo “delle larghe intese” per affrontare i problemi economici ed occupazionali del paese.

 La verità è un’altra: a cinque anni dall’esplosione di Lehman Brothers il sistema bancario europeo, con in testa Deutsche Bank che pare detenere il 10% dei titoli tossici del pianeta, e quello italiano producono voragini di debiti che sembrano non avere fine. E proprio per questo il viaggio di Letta a Berlino è andato male.

La richiesta di allentamento del rigore nei conti pubblici, per promuovere il mondo delle banche italiane come asse privilegiato della “ripartenza”, si è pubblicamente infranta contro il muro dei “no” tedeschi.  Ma non solo. Se si considerano le analisi del Wall Street Journal Deutschland, i tedeschi sono rimasti sorpresi. Dai toni morbidi che Letta ha usato sulla questione dell’ allentamento del “rigore”, ben diversi da quelli usati in parlamento a Roma ad uso delle telecamere. Insomma, se si seguono gli analisti tedeschi siamo a Letta che usa i toni duri a Roma e Parigi e quelli morbidi a Berlino. Segno che c’è la possibilità che Letta voglia tenersi il “rigore”, alla faccia di chi l’ha votato per “senso di responsabilità”, come moneta di scambio per magari ottenere un salvataggio reale di tutte le zombie bank italiane entro il nuovo sistema europeo di vigilanza bancaria. Ma, sfortuna di Letta, questi non sono tempi in cui la Germania fa sconti od è in grado di aiutare, dal punto di vista capitalistico, l’Italia. Proprio Yalman Onaran e  Sheila Bair in Zombie Banks (Bloomerg Books, 2011) dedicano infatti il quarto capitolo alla Germania. Parlando di “untouchable Zombie” delle banche tedesche, anche quelle locali, gonfie di titoli tossici, attualmente fuori dall’accordo europeo sulla vigilanza bancaria. Il “no” all’Italia anche e soprattutto su questo piano bancario, per adesso ben esplicito da Berlino, fa capire che, mentre tiene alta la retorica sulla crescita e tace sulle banche, il governo Letta al momento non trova vie d’uscita favorite dai rapporti continentali.

 Già ma che governo è l’esecutivo Letta? Il Sole 24 ore ha parlato di governo Frankenstein, giudizio non proprio lusinghiero da parte del quotidiano di Confindustria. In questo governo c’è di tutto: c’è Saccomanni, direttamente “in touch” con Napolitano e Monti sul rigore dei conti; c’è l’ipoteca anti-rigore di Berlusconi, c’è l’atlantismo della Bonino, ci sono una serie di ministri ufficialmente più attenti al sociale e meno rigoristi e persino due ciellini. Oltre che Alfano a garanzia degli interessi di Berlusconi con l’ex integerrimo antiberlusconiano Franceschini passato nelle fila dei garanti dell’accordo con il cavaliere. Le differenti esigenze di politica economica possono paralizzare questo governo. Se le banche italiane restano zombie e se la “crescita” rimane slogan da recitare davanti ai corazzieri del Quirinale è evidente che l’esplosione politica, al governo Pd-Pdl, è assicurata. La crisi delle banche europee, la contrazione del Pil dell’eurozona, la recessione prevista anche per il 2014 dovrebbero macinare seriamente i piani di Letta e di Napolitano. Piano che altro non è che composto da dei classici, salvare i capitali prodotti con i capitali e rilanciare quelli da lavoro, in un tempo in cui l’efficacia di questa classicità è tutta in discussione.

 Quanto alla razionalità politica delle masse, stretta tra indifferenza, livore contro il lusso in cui vivono le istituzioni e  miriadi di pratiche non riducibili a sintesi nè rappresentabili come linee di fuga dal capitalismo, non sembra per adesso la sua stagione. Inutile negare il problema se si vuol fare politica di massa davvero.

 Fonte: www.senzasoste.it

2.04.2013

 

Ministero delle Finanze gli deve 350mila euro, imprenditore minaccia suicidio

SASSARI, 6 MAG – E’ salito su una gru nella zona industriale di Predda Niedda a Sassari minacciando di buttarsi nel vuoto. Daniele Delogu, 60 anni, ex carabiniere, è titolare di un’azienda di soccorso stradale, la Digiemme di Ottava.

Vanta un credito col Ministero delle Finanze di 350mila euro, ma l’importo nel corso del tempo è lievitato, per aver custodito le auto sequestrate da magistratura e prefettura. Lo scorso anno, stanco di attendere, aveva già minacciato di buttarsi da un costone fra Sassari e Ossi.

http://www.imolaoggi.it/?p=49255

 

Tav, quella colata di cemento a Susa che tutti nascondono

di Massimiliano Borgia  

L'area dell'autoporto di Susa che verrà occupataCome era previsto, il progetto definitivo del Tav si porta dietro anche lo spostamento dell’autoporto di Susa. Un consumo di suolo di centinaia di migliaia di metri quadrati che non viene mai conteggiato tra le conseguenza ambientali del Tav ma che avrà un impatto enorme su una valle già troppo urbanizzata. Chi ha presente la grande spianata di asfalto che accoglie a Susa il viaggiatore diretto in alta valle, ha idea di cosa voglia dire. Se è vero che la parte dedicata ai corsi di Guida sicura andrà ricollocata in altra zona (si parla dell’alta valle), tutto il resto deve comunque trovare nuovi spazi.
La Sitaf, attraverso la controllata Musinet, ha preparato un dossier che contiene due alternative. Una occuperebbe un’area a San Didero, tra l’autostrada e la statale, che negli anni ’90 avrebbe dovuto essere utilizzata proprio per la sosta attrezzata dei Tir; cantiere iniziato (c’è già una spianata livellata e alcuni capannoni) ma abbandonato per problemi economici della società che lo stava realizzando.
L’altra, è allo svincolo di Chianocco sull’A32, in frazione Vernetto; spazi agricoli che i No Tav conoscono bene perché quello svincolo è stato teatro di blocchi e cariche della polizia in tutti i momenti caldi di questa lunga storia.
Il dossier di Musinet seguirà un iter parallelo al progetto definitivo del Tav. Quando inizieranno i lavori per la tratta internazionale della Torino-Lione e per l’area di servizio al tunnel di base, l’autoporto dovrà essere già trasferito. Ma l’approvazione seguirà il suo canale di legge. «Per ora abbiamo solo individuato le due aree idonee – spiega Bernardo Magrì, direttore di Sitaf – quelle sono le uniche che, alla distanza utile dal traforo internazionale del Frejus, sono accanto all’autostrada, sono pianeggianti, hanno un’estensione adeguata». L’autoporto è previsto dalla normativa per servire da area di appoggio per il traffico pesante, in caso di nevicate, blocchi del traforo, incidenti gravi. Le due soluzioni individuate insistono entrambe su comuni guidati da amministrazioni No Tav e che, molto probabilmente, lo saranno anche in futuro.
Il sito di San Didero potrebbe essere anche al servizio delle attività dell’acciaieria Beltrame ed è su terreno già urbanizzato anche se oggi è abbandonato. La zona è già industriale e a servizi.
Il sito di Chianocco sarebbe su terreni agricoli e in una zona residenziale.
Tra i due siti, la durata delle lavorazioni è condizionato essenzialmente dall’estensione
dell’intervento e dall’interferenza con le infrastrutture stradali esistenti. In particolare
l’autoporto a S. Didero produce una maggiore interferenza con la A32 in quanto è
necessario realizzare le rampe in accostamento all’asse autostradale. Per l’autoporto a Chianocco si registrano invece maggiori interferenze sulla viabilità locale a causa delle due rotatorie da realizzare e della riqualificazione di un tratto di bretella che le collega.
Per la durata dei cantieri si parla di due anni e cinque mesi a San Didero e di 21 mesi a Chianocco.
In entrambi i siti si tratta di rimuovere centinaia di metri cubi di terreno; di realizzare fabbricati per gli uffici, il bar-ristorante, le docce e i servizi, la stazione di servizio e poi, naturalmente, l’ampio parcheggio per i Tir. Ma vanno aggiunti anche i sistemi stradali di accesso e di uscita con nuovo svincolo autostradale a San Didero, e, in entrambi i casi, le nuove rotonde sulla statale.
Per l’autoporto di San Didero sono necessari anche due ponti e alcuni attraversamenti di canali.
Per quanto riguarda i costi delle due opere, l’importo totale tra lavori e oneri per la sicurezza a San Didero è di 51 milioni 370mila 500 euro.
Per l’autoporto di Chianocco l’importo totale dei lavori e per sicurezza ammonta a 36 milioni 420mila 500 euro.
Per l’autoporto di San Didero sono anche previsti 15 sondaggi per stabilire la profondità della falda (che in tutto il fondovalle è molto superficiale) e per individuare eventuali discariche nascoste. I fori saranno a profondità dai 3 ai 430 metri (ma la maggior parte dei carotaggi è di 30 metri).
Il costo è coperto interamente dai finanziamenti per la Torino-Lione. Il nuovo autoporto andrà in proprietà all’Anas che lo affiderà in concessione. La decisione sulla scelta di ubicazione è affidata alla concertazione tra Ltf e Sitaf.
«Nessuno mi ha informato – è la reazione di Mauro Russo, sindaco di Chianocco – Quelli sono tutti terreni privati soggetti a vincoli idrogeologici. Aspetto una comunicazione ufficiale”. Sui possibili posti di lavoro che l’autoporto potrebbe portare 8anche se è probabile che si mantengano quelli attuali), il sindaco è scettico. «Non è quello il lavoro che darà un futuro alla valle. Io mi batto per il mantenimento dei posti di lavoro in questo territorio, c’è lavoro e lavoro e non tutto va bene allo stesso modo».
A San Didero c’è una sorta di “tradizione” legata ai routiers, in località Baraccone, accanto alla nuova area, c’è sempre stato un luogo di sosta di camionisti. Ma la sindaca Loredana Bellone, non fai salti di gioia, anzi. «Intanto, nessuno ci ha mai comunicato nulla – sbotta – Abbiamo soltanto una richiesta di informazioni sul Piano regolato da parte di Musinet, che nemmeno sono mai venuti a ritirare. Comunque qui abbiamo già un’acciaieria, ora vogliono fare anche un autoporto? Non siamo la pattumiera della valle di Susa. E poi se una cosa legata al Tav diciamo subito che ci metteremo di traverso in tutti i modi. Questo è poco ma sicuro».

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