Analisi realizzata da Coldiretti/Swg.

Il 32 per cento dei giovani pur di lavorare farebbe lo spazzino

 Più di un quarantenne su quattro si mantiene grazie alla `paghetta´ dei genitori che aiutano finanziariamente i figlioli fino ad età avanzata. È quanto emerge dall’ analisi Coldiretti/Swg su «I giovani e la crisi», presentata all’Assemblea di Giovani Impresa Coldiretti in vista della presentazione del piano giovani del Governo, dalla quale si evidenzia che il 28 per cento dei giovani tra i 35 ed i 40 anni sopravvive con i soldi di mamma e papà, così come anche il 43 per cento di quelli tra 25 e 34 anni e l’89 per cento dei giovani tra 18 e 24 anni.

 Da segnalare che – sottolinea Coldiretti – l’aiuto economico dei genitori continua anche per più di un giovane occupato su quattro (27 per cento) che non è comunque in grado di rinunciare al supporto finanziario dai familiari. «La famiglia è diventata una rete di protezione sociale determinante che opera come fornitore di servizi e tutele per i membri che ne hanno bisogno», ha affermato il presidente della Coldiretti Sergio Marini. A conferma di ciò – aggiunge Coldiretti – il 51 per cento dei giovani vive con i propri genitori e, di questo, solo il 13 per cento per scelta, mentre il 38 perché non può permettersi un alloggio proprio. In particolare abita con mamma e papà addirittura il 26 per cento dei giovani tra 35 e 40 anni, il 48 per cento di quelli di quelli tra 25 e 34 anni e l’89 per cento dei giovani con età tra i 18 e i 24 anni. La situazione è profondamente diversa per i giovani agricoltori – precisa Coldiretti – che nel 32 per cento dei casi vivono con i genitori perché non possono permettersi un alloggio alternativo, ma nel 31 per cento dei casi lo fanno per scelta. Un atteggiamento che conferma i forti legami famigliari che caratterizzano l’impresa agricola dove è particolarmente solido il rapporto intergenerazionale. In ogni caso il 61 per cento dei giovani pensa che in futuro la sua situazione economica sarà peggiore di quella dei propri genitori, il 17 per cento uguale e solo il 14 per cento migliore, mentre il 9 per cento non risponde.

 Il 32 per cento dei giovani pur di lavorare farebbe lo spazzino, ma la percentuale sale addirittura al 49 per cento per quelli in cerca di lavoro, mentre scende al 19 per cento per gli studenti. È quanto emerge dall’ analisi. Il 34 per cento dei giovani – aggiunge la ricerca – accetterebbe un posto da pony express e il 31 da operatore di call center. Anche in questo caso per i disoccupati la percentuale sale al 49 per cento per il posto da pony express e al 39 da operatore di call center. Oltre 4 giovani disoccupati su 10 (43 per cento) sarebbero peraltro disposti, pur di lavorare, ad accettare un compenso di 500 euro al mese a parità di orario di lavoro, mentre il 39 per cento sarebbe disposto ad un maggiore orario di lavoro a parità di stipendio. «L’analisi evidenzia un forte spirito di sacrificio delle giovani generazioni che li porta addirittura a rinunciare a diritti del lavoro fondamentali», ha affermato il presidente della Coldiretti Sergio Marini nel sottolineare che «questo non può essere consentito in un Paese civile come l’Italia». Le prospettive negative sul futuro fanno sì che la situazione non cambi di molto tra gli studenti che nel 39 per cento sono disponibili ad accettare uno stipendio ridotto a 500 euro al mese e nel 35 per cento a lavorare più a lungo a parità di compenso. La situazione è profondamente diversa per i giovani occupati che solo nel 7 per cento dei casi sono disponibili ad accettare lo stipendio ribassato, mentre nel 23 per cento dei casi sono pronti a lavorare più a lungo.

 Vista la nera realtà occupazionale – conclude Coldiretti – il 51% dei giovani sotto i 40 anni è pronto ad espatriare per trovare lavoro mentre il 64 per cento è disponibile a cambiare città. Questo perché il 73 per cento dei giovani ritiene che l’Italia non possa offrire un futuro. I risultati si invertono tra i giovani agricoltori che per il 45 per cento pensano invece che l’Italia possa offrire un futuro.

Da: http://www.lastampa.it/2013/05/21/economia/un-quarantenne-su-quattro-vive-con-la-paghetta-dei-genitori-6iGzw498IU2NaerCtzKAoO/pagina.html

Pensioni, presto i fondi potranno investire in derivati

Milano, 21 maggio 2013 –

 Il 22 luglio diventerà effettiva la nuova Direttiva sui gestori di fondi alternativi, la numero 61 del 2011, che consentirà ai fondi pensione, di investire in ogni tipo di prodotto finanziario.

 Se da un lato ciò potrebbe portare a uno sviluppo della previdenza integrativa, dall’altro apre scenari per nulla rassicuranti. Difatti i soldi in gestione, ovvero le pensioni future di milioni di italiani tra cui giornalisti e avvocati ad esempio, potrebbero essere investiti su hedge funds e prodotti derivati, su cui è virtualmente impossibile avere garanzie ed effettuare controlli, essendo facile farli transitare per paradisi fiscali dove la segretezza è assoluta: non solo le Cayman, ma anche la City di Londra o la Svizzera, il Lussemburgo o le isole inglesi nel canale della Manica.

 Ad oggi tutta la materia è regolata in modo molto stringente dal decreto ministeriale 703 del 1996, che non contempla tali artifizi e paradisi fiscali perché all’epoca non esistevano, e quindi impedisce ai nostri fondi di utilizzare i capitali gestiti in modo poco trasparente.

 Addirittura c’è un limite del 5% per investire al di fuori dei Paesi membri dell’Ocse. Un bene pensando ai paradisi fiscali, un male se si pensa che nell’Ocse non ci sono i cosiddetti ‘Bric’, ovvero Brasile Russia India e Cina, dove ci sono oggi ottime possibilità, essendo oramai quelle le economie più floride del pianeta.

 Apertura ai fondi esteri: ma si può affidare la pensione di milioni di italiani a chi ha speculato nei mesi scorsi sull’aumento dello spread tra Italia e Germania?

 http://qn.quotidiano.net/economia/2013/05/21/892235-pensioni-presto-fondi-pensione-investire-in-derivati.shtml

COME CANCELLARE NOVE MILIONI DI VOTI

Data: Venerdì, 24 maggio

DI MASSIMO FINI
ilfattoquotidiano.it

La proposta di legge del Pd (Zanda-Finocchiaro) di impedire la candidatura alle elezioni e l’accesso ai rimborsi elettorali ai movimenti e a tutte le associazioni senza personalità giuridica e senza uno statuto democratico pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, prima che demenziale è incostituzionale.

Ferisce a morte un fondamentale diritto di libertà del cittadino, il diritto cioè di presentarsi alle elezioni (elettorato passivo) senz’altra condizione che quella di averne l’età richiesta. Per fare un esempio limite, io, Massimo Fini, potrei candidarmi alle elezioni senza avere alle spalle né partiti, né movimenti, né associazioni, ma nient’altro che me stesso.

I rappresentatntii del Pd affermano di aver avanzato la proposta “per dare piena attuazione all’articolo 49 della Costituzione”. È vero il contrario . L’art. 49 recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi libe-ramente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Il costituirsi in partito è una possibilità, un diritto, non un obbligo. Io posso “concorrere a determinare la politica nazionale” in mille altri modi. 

Potrebbe anzi essere messo in dubbio che i partiti siano autorizzati, in quanto tali, a candi- darsi alle elezioni e non invece i singoli individui. Su questo punto l’articolo 49, che è l’unico in cui la Costituzione si occupa dei partiti, non dice assolutamente nulla. Anzi l’articolo 67 farebbe pensare il contrario quando dice: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Il cittadino-parlamentare esercita le sue funzioni in quanto singolo e non dipende, nelle sue decisioni, da nessun partito o qualsivoglia altra organizzazione. 

Anche se poi sappiamo benissimo che, di fatto, i partiti si sono appropriati del Parlamento (oltre che di tutte le altre Istituzioni, delle Regioni, delle Province, dei Comuni e anche dell’industria pubblica, del para- stato, della Rai Tv, delle Asl, degli ospedali, delle Spa comunali, dei porti, degli enti culturali, delle Mostre, delle Terme, dei Teatri, delle Aziende di soggiorno, dei conservatori, degli acquedotti) realizzando negli anni un “golpe bianco” che va contro i principi fondanti della democrazia liberale.

Non è un caso che i grandi teorici di questo sistema, da Locke a Mill, non parlino mai dei partiti, che fino al 1920 nessuna Costituzione liberal-democratica li prendesse in considerazione e che, come s’è detto, la nostra stessa Carta, pur nascendo dal Cln, cioè da una spartizione, ne faccia cenno in un solo articolo. Perché il pensiero liberale voleva valorizzare capacità, meriti, potenzialità del singolo e non metterlo alla mercé di gruppi organizzati, inevitabilmente clientelari e spesso mafiosi. In questo senso è decisivo quanto ha detto la cosiddetta ‘scuola elitista italiana’ dei primi del Novecento (Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto, Roberto Mi- chels). Scrive Mosca ne La classe politica: “Cento che agiscano sempre di concerto e di intesa gli uni con gli altri trionferanno sempre su mille presi uno a uno che non avranno alcun accordo fra loro”.

Non è nemmeno vero vero che, come sostengono Zanda e Finocchiaro, i partiti debbano darsi uno statuto democratico. Sono delle associazioni private, non diverse, in questo, da una bocciofila o da un circolo di gioca- tori di bridge, che al proprio in- terno si danno l’organizzazione che preferiscono, che può essere anche autoritaria o carismatica o di qualsiasi altro genere non necessariamente democratico. È all’“esterno” che devono agire “con metodo democratico” cioè rispettando le leggi e le procedure della democrazia. 

Grottesca è poi la motivazione che Anna Finocchiaro dà alla sua proposta: servirebbe a rego- lamentare il finanziamento pubblico ai partiti. I partiti, in quanto associazioni private, non hanno diritto ad alcun fi- nanziamento pubblico, si auto-finanzino da soli. Ma pur di non vedersi privare di questo indebito e cospicuo, flusso di denaro: Finocchiaro and company sono disposti a varare una legge che metterebbe fuori gioco nove milioni di elettori (ma il discorso varrebbe anche se fosse privato del suo diritto all’elettorato passivo anche un solo cittadino).

Questo sarebbe si un vero colpo di Stato. A cui avremmo diritto di reagire con ogni mezzo. Chi ha orecchie per intendere intenda.

Massimo Fini
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
23.05.2013 

 

Chi coltiverà in Europa un orto potrà andare in galera

By Edoardo Capuano – Posted on 23 maggio 2013

Una nuova norma dell’UE mette seriamente a rischio i piccoli agricoltori, che si trovano già in enorme difficoltà a causa della crisi che ha colpito l’intero continente per via degli alti costi di produzione e dalla forte concorrenza.

La nuova normativa di fatto creerebbe una sorta di diritto delle multinazionali sui semi; alcuni semi potranno essere usati, altri messi al bando.

Chi utilizzerà quelli vietati, sarà considerato un vero e proprio criminale, e dunque passibile di denuncia.

Ovviamente, le associazioni degli imprenditori agricoli si stanno fortemente opponendo a questa norma, in particolare perché essa andrebbe a colpire anche chi possiede anche solo un piccolo orto in città.

“Questa legge intende interrompere immediatamente la coltivazione professionale di varietà di vegetali ad uso di piccoli coltivatori, di coltivatori biologici e di agricoltori che operano su piccola scala”. Questo è ciò che Ben Gabel (coltivatore di verdure e direttore di una rivista riguardante appunto la coltivazione di vegetali) ha detto in proposito alla nuova norma voluta dall’Unione Europea. “I piccoli coltivatori hanno esigenze molto diverse dalle multinazionali – per esempio, coltivano senza utilizzare macchine professionali adatte e non ricorrono all’uso di sostanza chimiche.”

Ai sensi della legge di cui stiamo parlando, quasi tutte le tradizionali varietà di semi utilizzate per coltivare i vegetali saranno considerate illegali in quanto fuori legge.

Una vera e propria follia, non pensate?

Fonte: salutebenessere.net

http://www.ecplanet.com/node/3873

Il corriere scrive

«Rinascita», vendite gonfiate per ottenere i contributi per l’editoria: truffa da 2,3 milioni

Non dubitiamo della correttezza dei fondi presi dal corriere e repubblica e tutti gli altri come emerso dal libro inchiesta di Beppe Lopez La casta dei giornali

 Un curioso precedente

Inchiesta sul nulla, contributi editoria: era tutto regolare

Erminio “Nino” Spallanzani e il direttore di E’-tv erano stati indagati

REGGIO EMILIA (28 settembre 2012) – Due anni di indagini basate su un’accusa che, alla fine, non ha retto. Un imprenditore-editore e il direttore responsabile di un’emittente televisiva esposti alla gogna mediatica, ancor prima non solo di una sentenza, ma persino di un processo. Soldi che vengono a mancare, giornali chiusi e trentasei cronisti rimasti a spasso. E ora l’esito: non vi fu alcuna truffa allo Stato per fondi all’editoria non dovuti.

E’ questo il responso del tribunale sulla tormentata vicenda giudiziaria che, dal 2010 CONTINUA QUI

 

Vorrebbero distruggere Rinascita

 

di: Ugo Gaudenzi
direttore@rinascita.eu

Su alcuni ‘autorevoli’ giornali è stata pubblicata ieri un’informativa giudiziaria su “Rinascita”, questo quotidiano.
Si è data notizia di un sequestro preventivo di beni mobili e immobili, conti correnti etc. e di un’indagine in corso per truffa aggravata ai danni dello Stato. In pratica di un’indagine contro una società – alla quale, si badi bene, fino ad oggi non è stata comunque data alcuna possibilità di difesa o testimonianza e che editava il giornale nel 2009 e che non è l’attuale editrice del giornale – accusata di “incamerare le provvidenze pubbliche per l’editoria” a fronte di una “falsa” diffusione di 934.632 copie su circa 3,7 milioni stampate.
Noi conosciamo un’altra storia.
Quella società è stata progressivamente strangolata per un triennio da tagli e sospensioni sine die dei contributi dovuti per legge; quella società operava con contratti di distribuzione con 64 distributori locali (città o zone) in edicola su tutto il territorio nazionale e con una minima diffusione extra (3 o 4 % di strillonaggio e vendite in blocco: parliamo al massimo di “anomalie” sul 10% del distribuito, insomma); quella società, nonostante lo strangolamento operato progressivamente ad hoc dal 2010 – quello era, sì, “anomalo”… visto che altre testate indagate o in stato fallimentare, o comunque non più esistenti, hanno ricevuto lo stesso regolarmente i contributi – nel 2012 era riuscita a quintuplicare le vendite in edicola. E parliamo di migliaia di vendite: assestando Rinascita, grosso modo, tra il Foglio e il Manifesto: un fatto incontrovertibile.
Ma ai Moralizzatori (magari quelli finiti agli arresti domiciliari per corruzione) questo non andava bene. E quella società è stata colpita. Riuscirà, forse, ma fra un quinquennio o più, a bordate di carte bollate e iter giudiziari, a dimostrare la persecuzione della quale è stata fatta oggetto.
Noi intanto vogliamo andare avanti.
Pur oggetti di un blocco più che assoluto delle anticipazioni bancarie, finanziarie e simili, pur immersi nell’avvenuta desertificazione anticostituzionale di tutto il pluralismo delle voci stampa nazionali, pur censurati e colpiti, andiamo avanti.
Grazie al sostegno dei lettori, senza il ricatto dei contributi pubblici, contro tutti gli altri.

23 Maggio 2013

 http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=21105

Fed: tanti soldi, poche regole

GIOVEDÌ 23 MAGGIO 2013 

di Carlo Musilli

 L’altro ieri il numero uno della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha assicurato che la Banca centrale americana non ridurrà gli stimoli all’economia, perché “una prematura stretta della politica monetaria metterebbe a rischio la ripresa”. Le parole del governatore hanno immediatamente rassicurato gli investitori, portando le Borse di mezzo mondo ad accelerare al rialzo. Nell’euforia generale, però, è bene ricordare che pochi giorni prima lo stesso Bernanke aveva suonato un campanello d’allarme da non sottovalutare, come invece hanno puntualmente fatto i regolatori americani. Nel mirino, ancora una volta, c’è la speculazione finanziaria.

 “Alla luce dell’attuale ambiente macro, caratterizzato da tassi d’interesse ultrabassi – aveva avvertito due settimane fa il numero uno della Fed -, guardiamo con estrema attenzione a ogni esempio di corsa ai rendimenti e di altre forme di eccessiva assunzione del rischio, che potrebbero avere ripercussioni sui prezzi degli asset e sulla loro relazione con i fondamentali”.

 Non solo: secondo Bernanke, il sistema bancario “ombra”, fatto di fondi speculativi, “pone ancora dei seri rischi per il sistema finanziario. Questi fondi potrebbero non essere ancora capaci di far fronte a un default”, e anche se oggi il settore “ha dimensioni inferiori rispetto a prima della crisi, è necessario affrontare le restanti vulnerabilità” rafforzando le regole.

 Parole sagge, peccato che a distanza di pochissimo tempo sia accaduto l’esatto contrario. Le regole sono state ammorbidite, a tutto vantaggio delle lobby bancarie. Ed è successo proprio nell’ambito della riforma Dodd-Frank, il provvedimento varato nel 2010 dall’amministrazione Obama per rafforzare le regola della finanza Usa, responsabile della crisi mondiale scoppiata due anni prima.

 A metà maggio le authority statunitensi hanno modificato una normativa cruciale, alleggerendo gli standard per la verifica dei prezzi dei contratti derivati (ovvero i titoli speculativi per eccellenza, che consentono di massimizzare i guadagni, ma espongono gli investitori a rischi altissimi).

 In principio i regolatori americani avevano stabilito che i grandi gestori di asset dovessero rivolgersi ad almeno cinque banche per determinare i prezzi di questi strumenti (e si trattava già di un compromesso). D’ora in poi, invece, ne basteranno due, che saliranno a tre fra 15 mesi. Non esattamente un passo avanti in termini di trasparenza.

 La questione è tutt’altro che marginale, visto che proprio l’oscurità dei mercati su cui si scambiano i derivati è stata alla base dell’esplosione speculativa di cui ancora oggi patiamo le conseguenze. L’allentamento di quella norma, dunque, preserva scientemente una di quelle “vulnerabilità” contro cui si dovrebbe combattere.

 A beneficiarne sono naturalmente i colossi di Wall Street, che potranno continuare più facilmente a gonfiare commissioni e prezzi sui derivati. Si tutela così l’oligopolio delle cinque maggiori banche americane (JP Morgan, Citigroup, Bank of America, Morgan Stanley e Goldman Sachs), capaci di controllare da sole il 90% di questi contratti, in un mercato che vale la cifra oceanica di 700 mila miliardi di dollari. Un manipolo di giganti in grado di esercitare pressioni indicibili sul potere politico, come sempre molto sensibile alle ragioni di chi finanzia le campagne elettorali (e non solo).

 La recente modifica non azzera certamente l’efficacia della riforma, considerando che in futuro il commercio dei titoli derivati si dovrà svolgere su piattaforme regolamentate, non più nel buio pesto che ha regnato finora. E’ tuttavia preoccupante che il ripensamento sia arrivato dalla Commodity Futures Trading Commission (Cftc), l’authority di controllo su futures e derivati. “Quello dei derivati non sarà più un mercato chiuso e opaco – ha detto il presidente della Cftc, Gary Gensler -, ma resta comunque il più oscuro del pianeta. Bisognerà quindi applicare regole simili a quelle che disciplinano il mercato azionario e quello dei futures”.

 Nel frattempo, però, le authority americane (comprese la Sec, ovvero la Consob americana, e la stessa Federal Reserve) tardano anche a completare molte altre norme della Dodd-Frank, come la cosiddetta la Volcker Rule, che vorrebbe impedire il trading proprietario delle banche e ridurre la propensione al rischio degli istituti. Se ne discute da tanto, ma ancora niente. Con buona pace di Bernanke e dei suoi discorsi.