Il MUOS si espande in Sardegna, l’altra isola americana

Il MUOS non solo procede come se nulla fosse, sebbene siano stati esposti i pericoli e qualcuno nell’area ha già sperimentato il cancro dalle più piccole antenne già presenti, ma viene esteso all’altra grande isola italiana in una specie di triangolazione che vede ancora un volta il nostro territorio usato come terra di nessuno a disposizione di eserciti stranieri. Così infatti leggiamo su La Nuova Sardegna dell’11 maggio: Negli ultimi giorni, infine, alcune notizie che hanno acceso i riflettori dell’attenzione su una base Nato 

(ma nella sostanza statunitense) che finora è sempre rimasta nell’ombra: il centro di comunicazione con i sommergibili nucleari dell’Us Navy di Tavolara. Sembra infatti che la base sarda sia inserita nel progetto Muos (Mobile User Objective System) della Marina militare statunitense. Cioè un moderno sistema di telecomunicazioni satellitari ad altissima frequenza (Uhf) e a banda stretta (da 64 kbit/s), composto da quattro satelliti geostazionari e quattro stazioni di terra, di cui una a Niscemi, in Sicilia. Il sistema Muos integrerà le forze navali, aeree e terrestri statunitensi in movimento in qualsiasi parte del mondo dieci volte più velocemente di oggi. La paura di un inquinamento elettromagnetico ha fatto però insorgere le popolazioni locali e la Regione Sicilia ha revocato l’autorizzazione alla costruzione della base. I timori di effetti dannosi sulla salute da parte dei radar sono stati anticipati dai fisici del Politecnico di Torino Massimo Zucchetti e Massimo Coraddu. Ma il fisico americano John Oetting, della “John Hopkins University”, nelle scorse settimane ha cercato di gettare acqua sul fuoco: «Un forno a micronde è più pericoloso dei radar del Muos». La risposta di Zucchetti è stata tagliente e ironica: «Oetting? Sì, lo conosco.È il Project Manager e Lead Systems Engineer del Muos Project. Non penso sia il caso di tradurre. Mi complimento con lui: certamente essere manager del progetto Muos e ingegnere-capo dello sviluppo del Sistema Muos è una grande responsabilità…». Nasce a questo punto un interrogativo: ma qualcuno ha mai verificato se il campo elettromagnetico sviluppato dalle antenne di Tavolara, che trasmettono in Vls (Very low frequency) a 20.27 kHz, è dannoso per la salute? Riporto inoltre altre informazioni che mostrano come anche la Sardegna sia da tempo colonia americana: Dietro l’incomprensibile rigidità della tecnocrazia militare che non vuole rinunciare neppure a un pezzo di quegli enormi spazi conquistati nella metà del secolo scorso, si sta infatti verificando un cambiamento profondo, addirittura genetico, nella presenza delle stellette nell’isola. Un cambiamento silenzioso, sotterraneo e complesso, che elude le cicliche diatribe politiche, ignora le rivendicazioni di una revisione delle servitù e segue i tempi di una programmazione segreta. Da qualche anno l’orologio militare segna i tempi della guerra del futuro: ipertecnologica, cibernetica, computerizzata. Un’evoluzione che sta cambiando l’identità stessa dei presìdi e dei poligoni sardi perché sta diventando sempre più stretto il rapporto tra esigenze strategiche e affari, tra geopolitica e industria bellica. La pista della discordia. La cosiddetta “striscia tattica funzionale”, al centro delle polemiche di questi giorni tra autorità militari, Comipa e Comune di Teulada, non è infatti una semplice pista di atterraggio per i droni, gli aerei senza pilota. Come il Predator dell’americana General Atomics o lo Sky-X, l’aereo-spia con motore diesel progettato e costruito dall’Alenia. Oppure il Nibbio della Galileo Avionica. O ancora, i tre micro-aereiSelex (sempre del Gruppo Finmeccanica) chiamati Otus, Asio e Strix. La “striscia tattica funzionale” è soprattutto necessaria per il programma Neuron, che ha il suo cuore nel poligono interforze del Salto di Quirra. Si tratta di un’intesa tra paesi europei per la progettazione di un velivolo da combattimento non pilotato (Ucav, Unmanned Combat Air Vehicle). Un gioiello tecnologico con accentuate caratteristiche “stealth”. Cioè capace di essere invisibile ai radar. Il consorzio Neuron è formato dalla francese Dassault Aviation, dalla svedese Saab, dalla spagnola Eads Casa, dalla svizzera Ruaag Aerospace, dalla greca Hai e da Alenia, controllata di Finmeccanica. Il programma prevede una spesa di 400 milioni di euro. La metà è a carico dei francesi della Dassault Aviation, mentre Alenia parteciperà con 90 milioni di euro. Tra le caratteristiche tecniche di questo aereo del futuro, la capacità di sparare due bombe a guida laser da 250 chilogrammi, una lunghissima capacità di volo e la possibilità di spingersi a velocità prossime a quella del suono (Mach 0,7-0,8). Il volo inaugurale di questo sofisticatissimo velivolo pilotato da una stazione remota, è avvenuto il primo dicembre dello scorso anno in Francia nella base militare di Istres. Il prototipo Neuron si sposterà ora a Bruz, vicino a Rennes (Bretagna), nel “Centre d’essais d’electronique della Diréction Générale de l’Armament française”, per essere sottoposto a un primo ciclo di verifiche della sua “furtività”. Poi sarà la volta di una serie di test in volo con i radar della difesa aerea francese e nel poligono svedese di Visel. Nel 2015 approderà infine in Italia, nel poligono del Salto di Quirra, per essere sottoposto a test di tiro reali e a nuove prove di verifica della stealthness, l’invisibilità. Come in un videogioco. Ecco dunque perché le autorità militari italiane premono per la pista di decollo e atterraggio. Perché tutto deve essere pronto entro il 2015. Lo spostamento a Teulada è probabilmente nato perché l’inchiesta della procura di Lanusei sul poligono di Quirra sta creando molte turbative, mettendo in pericolo le scadenze del programma Neuron. Andando a spulciare le caratteristiche di questo aereo futuristico, si trova anche un’espressione criptica: «Integrazione in un ambiente C4i». Un acronimo che rivela molte cose sul concetto futuro di guerra, ma anche un inganno politico-militare scoperto due anni fa per un’incredibile ingenuità. Prima di tutto cosa significa l’acronimo C4i? Le quattro “C” stanno per comando, controllo, comunicazioni e computer e la “i” sta per informazioni. Ma si potrebbe dire anche intelligence, cioè spionaggio. In estrema sintesi, un sistema la cui architettura include centri di rilevamento fissi e mobili che comunicano attraverso reti satellitari, strategiche e tattiche, e attraverso computer. È come se esistessero migliaia di occhi elettronici capaci di vedere e comunicare in tempo reale a una centrale remota scenari in movimento. Insomma, un formidabile sistema spionistico al quale nulla può sfuggire. Ma anche il sistema nervoso di un concetto operativo nuovo in uno scenario di guerra. Si legge in un documento della Difesa: «Per il singolo soldato la comunicazione e la condivisione delle operazioni, sia a livello di squadra che verso i livelli di comando sovraordinati, risultano di fondamentale importanza in quanto permettono di integrare l’unità di manovra in un sistema di comando e controllo network-centrico. In un ambiente network-centrico, tutti gli elementi partecipanti a un’operazione diventano nodi intelligenti e attivi di una rete unificata». Insomma, la guerra diventa come un immenso videogioco dove tutto è virtuale, ma anche maledettamente reale. Sì, perché bombe e proiettili sono sempre veri. Scrive Antonio Camuso, dell’Osservatorio sui Balcani: «In poche parole, grazie alle alte tecnologie impiegate nel sistema C4i, utilizzando reti che viaggiano su satelliti e su reti dedicate (Internet e/o Intranet della forza armata in questione), permette la presenza virtuale in ogni punto operativo del C4i del Comando (che si chiami Pentagono, o comando Nato, ecc…) e nel contempo di “processare” un’infinità di informazioni provenienti dal campo operativo (di battaglia) o dall’acquisizione da opera di spionaggio di qualsiasi genere, politico, economico o personale». Spionaggio e controllo tattico. Il sistema nel nostro Paese è nato nel 2004. Il comando venne affidato all’ammiraglio Bizzarri e al generale Viarengo. Ma interagiscono anche i servizi segreti Aise e Aisi e il cuore tecnologico del network è costituito dalla brigata Rista-Ew (Reconnaissance, intelligence, surveillance, target acquisition – Electronic warfare), che raggruppa le unità di guerra elettronica delle forze armate. L’origine politica di questa rete militare risale al luglio 1997: venne decisa in un vertice di capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’Alleanza atlantica, a Madrid. Un mondo che avrebbe dovuto rimanere segreto o comunque molto riservato. Ma l’esistenza della rete C4i venne a galla quasi per caso nel febbraio 2004. La trovò un giornalista pugliese che frugava nel sito internet del Pentagono. Si apprese così che Taranto era diventato uno dei gangli strategici della rete militare Usa, controllata dal “Navy Center for Tactical System Interoperability” che ha base a San Diego, in California. In Sardegna era prevista una rete radar costiera presentata alla Regione e ai Comuni come un sistema di monitoraggio contro l’arrivo di immigrati clandestini nell’isola. La protesta popolare contro questi grandi radar dell’israeliana Elta System innescò una serie di interrogazioni parlamentari alle quali rispose il ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito commettendo un clamoroso autogol: «La realizzazione della rete radar costiera è destinata a integrare il sistema di comando e controllo C4i del Corpo (la Guardia di finanza ndr), dichiarato segreto». Bastò che un giornalista curioso in Sardegna indagasse sull’acronimo per scoprire l’inganno e rivelare che il contrasto all’immigrazione clandestina era una grottesca bugia che nascondeva una nuova servitù per la Sardegna.

http://www.dionidream.com/il-muos-si-espande-in-sardegna-laltra-isola-americana/#more-4610 

http://terrarealtime.blogspot.it/2013/05/il-muos-si-espande-in-sardegna-laltra.html#more

 

Iran: giustiziate due spie di Cia e Mossad

lunedì 20 maggio 2013

 TEHERAN – Due cittadini iraniani condannati per aver compiuto attivita’ di spionaggio in favore dei servizi segreti di Usa e Israele sono stati impiccati a Teheran.

Lo riferisce l’agenzia Isna. Il primo, Mohammad Heidari, era condannato per aver raccolto informazioni segrete e di intelligence sull’Iran passandole al Mossad in cambio di denaro. L’altro, Koroush Ahmadi, era legato alla Cia e forniva informazioni segrete all’agenzia di intelligence americana. I due erano stati condannati dalla Corte della rivoluzione islamica di Teheran dopo un dibattimento in cui hanno partecipato il procuratore generale dell’Iran e legali degli imputati. La sentenza e’ stata poi avallata dalla Corte suprema, come precisa l’agenzia degli studenti iraniani ISNA.

 Fonte: http://italian.irib.ir/notizie/iran-news/item/125857

 

Corporatocrazia Made in Usa – L’Altra Faccia del Nuovo Ordine Mondiale

Corporatocrazia e Imperialismo Usa – High Frequency Trading ed Economic Hitman

Giovedì, Maggio 23rd/2013

 Utilizzo dell’High Frequency Trading e degli EHMs quali strumenti di accelerazione della strategia egemonico imperialista degli USA

Imperialismo USA e NWO: High Frequency Trading ed Economic Hit Man. Cosa sono?

Ecco come gli Usa influiscono sulla Geopolitica Mondiale

 di Ulisse Scintu

 High Frequency Trading  e EHM – Nuove Armi coloniali Made in USA

 

Bruxelles, Washington – La doverosa riflessione odierna riguarda una questione davvero cruciale quanto censurata dai media, ed attinente agli equilibri economico-sociali e finanziari dell’intero Vecchio Continente (e non solo) ed alla relativa supremazia Usa, o neo-colonialismo che dir si volgia: la questione della “Corporatocrazia” ed inerente e connessa accelerazione egemonica impressa dagli USA nello scacchiere Medio Orientale, attraverso l’utilizzo di strumenti quali l’H.F.T. (High Frequency Trading) e di organismi come l’EHM, tendenti a cambiare radicalmente la geopolitica mondiale a favore delle corporazioni USA, tramite: speculazioni finanziarie selvagge; intrighi; corruzioni internazionali ed azioni in contrasto con l’etica ed i programmi di sostenibilità ambientale, che stanno trasformando la repubblica americana in un impero globale, detestato da una crescente quantità di persone affamate e schiavizzate su tutto il pianeta.

 Il Vero Potere – Cos’è la Corporatocrazia?

 La “Corporatocrazia” si potrebbe definire l’equivalente moderno dell’imperatore, ossia: un leader che non è eletto, non ha un mandato a tempo determinato, e fondamentalmente non rende conto a nessuno delle proprie azioni. Un mostro totalmente arbitrario ed autoreferenziale. Oggi, a capo del moderno imperialismo USA, non vi è una singola persona, il “bastone del comando” è gestito da un gruppo èlitario, composto da persone che dirigono le più grandi e potenti corporazioni del mondo; questo si chiama “Corporatocrazia”. Costoro, essendo i più grandi finanziatori della maggior parte delle campagne politiche dei governi mondiali (in modo diretto, o attraverso i singoli azionisti) si servono anche di potenti gruppi di lobby, che controllano gli stessi governi.  Peraltro, controllano anche i principali organi di stampa: sia perché ne sono azionisti; altrimenti attraverso le pubblicità, che formano gran parte del budget.  E per via della famosa “porta girevole” in politica, fanno costantemente la spola tra i posti più prestigiosi nell’industria privata e tra quelli nel governo, controllando la maggior parte delle risorse e delle istituzioni del mondo.

 L’Economic Hit Man, il Sicario del’Economia

 Un altro concetto fondamentale da comprendere è quello di EHM, acronimo di Economic Hit Man (sicario dell’economia), definizione usata negli anni ’60 e ’70 per indicare gli appartenenti al nuovo ruolo di punta nell’economia globale.  I “ sicari dell’economia” o EHM, vennero creati negli USA, appositamente per coniugare gli interessi delle grandi multinazionali americane con l’estensione del predominio geopolitico degli USA, e svolgevano un ruolo chiave nella costruzione dell’economia e del dominio globale delle multinazionali.

  EHM – Il Miglior alleato della Globalizzazione, verso il Dominio USA

 Ciò avveniva nel momento in cui la globalizzazione nascente si rivelò migliore e più efficace di qualunque strategia militare per trionfare nella guerra a distanza con l’URSS (poi in effetti annacquatasi con gli accordi iper-liberisti posti in essere sotto-banco tra Reagan e Gorbachev) e consolidare il primato mondiale della superpotenza.  L’approccio più comune per gli EHMs consisteva/consiste nell’individuare paesi del Terzo Mondo con risorse a cui sono interessate le corporazioni statunitensi, come ad esempio il petrolio.  Successivamente l’impegno degli EHMs è consistito nel creare le condizioni perché – con il collaborazionismo delle organizzazioni internazionali e mondialiste – venisse effettuato un immenso prestito a quel paese, dalla Banca Mondiale o da un’organizzazione affiliata.

 La Strategia dei Prestiti Fittizi  – Cavalli di Troia

 Il denaro, di fatto, non viene veramente consegnato a quel particolare paese. In realtà serve solo per assumere corporazioni americane perché costruiscano centrali elettriche, zone industriali, e altri progetti e infrastrutture nel paese. Questi progetti vanno solo a vantaggio di quelle poche, potenti famiglie locali e delle corporazioni americane, ma non aiutano la maggioranza della popolazione, troppo povera per usare l’elettricità o non abbastanza qualificata per lavorare in quelle zone industriali, e che in pratica vive al di fuori del sistema economico. Come da piano prestabilito, il paese finisce con un immenso debito che non è in grado di ripagare. A quel punto l’insolvibilità della Nazione presa di mira, pone l’EHM nella condizione di dettare alternative alla solvibilità, che la nazione debitrice non può rifiutare. Una sorta di enorme trappola incentrata su una diabolica forma d’usura. Fortemente schiavizzante. Lo stesso indimenticato e grande Norberto Bobbio – come detto in più occasioni da Qui Europa – ne denunciò la portata distruttiva in opere come l’Età dei Diritti. Ciò lanciando precise accuse anche verso l’FMI.

 Obiettivi della strategia debitoria dell’EHM

 L’EHM, infatti, propone a pagamento del debito alternative quali: 1) vendita delle grandi aziende industriali, acquisite dalle corporazioni americane a prezzi irrisori rispetto al valore di mercato; 2) vendita di risorse naturali, quali ad esempio petrolio: che viene ceduto dal paese debitore a prezzi stracciati alle compagnie di petrolio americane; 3) oppure votare come indicato dagli USA nelle successive elezioni alle Nazioni Unite; 4) o ancora, mandando truppe militari del paese debitore nelle zone calde e di interesse strategico, in aiuto all’esercito statunitense dispiegato nello scacchiere medio orientale, come ad esempio l’Iraq, l’Afganistan ecc..

 L’Intervento dei Professionisti dell’Imperialismo USA – Gli Sciacalli

 In quelle rare occasioni in cui fallisce la missione degli EHM, ebbene in quel caso, subentrano altri professionisti del “terrorismo finanziario e geopolitico”, chiamati “Sciacalli”, che vengono mandati nel paese preso di mira, con l’obiettivo di rovesciare il governo o assassinare quei governanti che gli EHM non erano riusciti a corrompere (come ad esempio: a Panama con Omar Torrijos; in Ecuador con Jaime Roldos; in Iraq con Saddam Hussein (vedi interessantissimo video in allegato); in Libia con M. Gheddafi; in Egitto con Moubarack; Libano con Hariri, Tunisia con Ben Alì, ecc., ecc… Per tacere sulla Siria e su Bashar Al-Assad).

 La Carta Finale – La Forza Militare: Dividi et Impera

 In ultima analisi, laddove anche gli sciacalli falliscono, allora interviene l’esercito americano,  come avvenuto ad esempio in Iraq in Libia, Afghanistan.  In sintesi gli Usa in linea con la strategia egemonica ed imperialista che li contraddistingue, tramite gli EHM stanno creando un impero globale; il primo nella storia che si sta espandendo con un ricorso minimo delle proprie forze armate, ma mettendo in contrasto attraverso guerre civili fittizio ed indotte – utilizzando spesso e volentieri organizzazioni dedite al rovesciamento dei regimi come Otpor e rientranti a pieno titolo nella strategia per la costituzione di questo diabolico Nuovo Ordine Mondiale – vedi articoli in allegato – la popolazione della stessa Nazione, in linea con l’antica strategia romana “ Dividi et Impera”.

 Capire la Corporatocrazia per comprendere Crisi Attuali e Guerre

 Spero che quanto esposto in questo scritto, sia di supporto agli interessati e permetta loro (comparando alcuni passi citati ed approfondendo con i relativi allegati e filmati propostidalla redazione) una maggiore ed approfondita riflessione su: crisi economica del nostro paese (e connesse strategie legate alle azioni destabilizzanti delle agenzie di rating filo-statunitensi); avvenimenti politici attuali; sugli avvenimenti Nazionali, Internazionali e Mondiali che stiamo vivendo sulla nostra pelle.  E’ necessario che le popolazioni mondiali, escano dallo stato catatonico attuale, e lottino per invertire la strategia della Corporatocrazia, consistente nel massimizzare i profitti schiavizzando le popolazioni, indipendentemente dal costo ambientale e sociale”.

 Proposte – Cosa Fare nel Concreto

 Bisogna costringere la corporatocrazia e desistere dai proponimenti che sono sotto gli occhi di tutti, ossia: 1) smantellamento dei diritti e delle tutele sociali, globalizzando la schiavizzazione delle popolazioni in nome – come detto – di un “Nuovo Ordine Mondiale” che non promette niente di buono; e che, peraltro, tramite la disinformazione imperante dei mass-media assoggettati, vuole impedire che i cittadini siano resi consapevoli ed intuiscano quale logica stia dietro i terribili avvenimenti di cui siamo tutti diretti testimoni oggi e che peggioreranno nel prossimo futuro. 2) Informare ed accrescere la consapevolezza sulla reale e devastante portata di tali disumani eventi, svegliandoci dal come e facendo di tali argomentazioni il centro delle nostre analisi quotidiane. La nostra ignoranza è la loro forza!

http://www.quieuropa.it/corporatocrazia-e-imperialismo-usa-high-frequency-trading-ed-economic-hitman/

 

L’OPPOSIZIONE “PATRIOTTICA” CRITICA INGERENZE E INFORMAZIONE UNILATERALE (7)

Marinella Correggia, Damasco

 Ali Haydar è il ministro della Riconciliazione in Siria. Fa parte del  Partito della volontà popolare che è all’opposizione in parlamento,dopo le elezioni legislative del 2012. Forse la sua nomina è anche dovuta al fatto che ha perdonato chi gli ha ucciso il figlio, quasi due anni fa, agli inizi della “rivolta”. Era uno studente di medicina e, dichiarò suo padre, era con chi voleva il cambiamento, ma invitava a evitare la violenza, così fu considerato un agente del regime. Quel ragazzo non è stata l’unica vittima della riconciliazione. Fra gli altri il dr. Lahham, presidente del parlamento (e suo padre era stato ucciso ad Hama negli anni 1980 perché lavorava per il dialogo, dopo i fatti sanguinosissimi di allora– repressione governativa del fratelli musulmani che si erano sollevati in armi). Stesso destino per il figlio, anch’egli studente, del gran muftì Hassoun; quest’ultimo è considerato un traditore perché pur essendo sunnita non appoggia la rivolta armata. Abbiamo incontrato il muftì e ha detto che lui e sua moglie hanno perdonato.

 

Anche l’ultraottantenne imam Al-Bouti, sunnita, è stato ucciso perché chiedeva di deporre le armi e avviare il dialogo.

 I tre “no” dell’opposizione costruttiva che rifiuta la “Coalizione di Doha”

 Ali Haydar fa parte di quella che si definisce “opposizione costruttiva”. A Damasco, la delegazione internazionale in appoggio alla Mussalaha, guidata dal premio Nobel Mairead Maguire ne ha incontrato vari esponenti. I quali si dicono indignati perché occidente e petro-monarchie riconoscono come unici interlocutori e rappresentanti del popolo siriano la “distruttiva” opposizione, esterna, anche nel senso che è foraggiata da fuori ed eterodiretta: la pomposamente autonominatasi “Coalizione della rivoluzione siriana e delle forze dell’opposizione”, meglio nota come “Coalizione di Doha” –  visto che è nata sotto le ali del Qatar. “Quella Coalizione parla molto di democrazia ma la dimentica definendosi unica rappresentante del popolo siriano. Abbiamo lottato per decenni per eliminare il monopartitismo del Baath e adesso vogliono fare lo stesso. In Siria ormai il pluralismo è una realtà. E fin dall’inizio della crisi, diciamo anche che il dialogo è una possibilità, l’unica costruttiva”  dice Kadri Jamil, curdo, deputato del Partito della volontà popolare che ha partecipato per la prima volta alle elezioni nel maggio 2012. Adesso è vice-primo ministro, di una specie di governo di unità nazionale, una “scelta temporanea, non vuol dire che non continuiamo a essere all’opposizione”. Pare che sia stato indicato fra i politici che dovrebbero negoziare con l’opposizione,  in vista della conferenza di Ginevra proposta da Russia e Usa.

 Prosegue Jamil: “Il paradosso è che i vostri paesi riconoscono questo corpo estraneo di espatriati che è la Coalizione e non riconoscono noi come rappresentanti del popolo siriano. Forse perché la crisi siriana è uno specchio dei problemi dell’Occidente”.

 Chiede Qadri Jamil: Chi è il pazzo? Quello che vuole il dialogo o quello che vuole perdere la Siria nella guerra? Ci sono persone che sono state in carcere per anni eppure adesso dicono ‘vogliamo cambiare la Siria, non distruggerla’. Rifiutiamo di scegliere fra l’intervento esterno – Iraq, Libia sono lì a servire da monito – e il lasciare le cose come prima. C’è una terza via. Speriamo nell’accordo fra il russo Lavrov e lo statunitense Kerry, per una soluzione pacifica”.

 E poi “La Siria deve trovare una sua via, diversa dai rubbish governments (governi spazzatura, ndr) dei paesi arabi dominanti. E’ un mosaico naturale e ha un retaggio antichissimo. Le forze che perseguono solo il potere e usano la violenza si stanno isolando; c’è un riallineamento di forze sui due lati, fra chi usa la ragione. Ci sono in Siria due tipi di militanti dell’opposizione armata: quelli della linea dura e i ragionevoli. Con loro, se depongono le armi, siamo pronti a dialogare”.

 D’accordo con lui un ex detenuto politico – ho dimenticato poi di chiedere conferma sul nome! – che entrato giovane in prigionie, adesso pensa che “tutto soffre in Siria perfino le piante e Vogliamo costruire, ma senza armi, una Suriya jadida, una nuova Siria. Tutto il resto si può discutere, compresa la presidenza. Chiediamo ai media di usare i due occhi di cui siamo naturalmente dotati e non uno solo”.

 L’architetto Rami Kabbani e Mazen Mughrabya, , esponenti del Third Current, ci fanno uno schemino delle “scatole” dei vari partiti e delle coalizioni che li contengono. Ma prima ci dicono quali sono i punti d’unione: “Rifiuto dell’islamizzazione del paese; rifiuto della violenza; rifiuto dell’ingerenza esterna e delle sanzioni”. Insomma: le opposizioni patriottiche  – rappresentate in Parlamento oppure non ancora – sono riunite nella Alleanza per il cambiamento pacifico, che contiene vari partiti, fra cui Third Current, e il Fronte nazionale per la liberazione e il cambiamento, all’interno del quale sta poi il Partito della volontà popolare di Qadri Jamil per l’appunto.

 I vostri governi occidentali, come le monarchie del Golfo, hanno riconosciuto come unico rappresentante del popolo siriano la Coalizione nata a Doha da gente che vive all’estero, e aiutano in tutti i modi dei gruppi violenti telecomandati da fuori che stanno distruggendo la Siria. Questa posizione è un insulto agli abitanti di questo paese, a quelli che stanno con il governo, a quelli che si riconoscono nella nostra opposizione patriottica e pacifica, e a quella maggioranza silenziosa che spera soprattutto che finisca questa guerra per procura ” dice deciso Rami Kabbani.

 Un membro della delegazione nonché esperto di giornalismo di pace (il contrario insomma di quel che praticano gli inviati di guerra) chiede a Qadri Jamil che cosa farebbe, una volta al potere, delle fonti del conflitto: “Dal 2005 noi continuiamo a ripetere che la nuova politica socioeconomica, all’insegna di aperture neoliberiste, era sbagliata. Questi problemi interni però sono stati sfruttati da forze esterne e va detto che la Siria è da sempre nel mirino (anche di Israele, e si pensi all’occupazione delle alture del Golan). Come mai paesi che non hanno nemmeno una costituzione (mentre la Siria ce l’ha dal 1920, prima costituzione e primo parlamento nel mondo arabo) contribuiscono a fomentare questa tragedia siriana? Non è certo per la democrazia!”.

 Anche Firas Nadim, esponente del Partito siriano democratico, accogliendo la delegazione a nome dell’”assemblea generale” del suo neonato partito (quanti saranno…?) spiega che la crisi ha le sue origini anche nella marginalizzazione di una parte del popolo, ma l’intervento esterno sfrutta la situazione e ha depistato tutto: “Temiamo una trasformazione della crisi siriana da politica a sociale, con un crescente gap all’interno della popolazione e con la deriva verso una vera e propria guerra civile, pretesto per un intervento esterno ancora più ampio magari con la scusa del terrorismo, per servire interessi esterni. Chiediamo a tutte le parti di controllarsi e ricordiamo che l’unica soluzione è nel dialogo fra tutti gli elementi della crisi”.

 Tutti sono d’accordo che la grande maggioranza silenziosa del popolo siriano non ne può più e vuole la salvezza nazionale. La violenza porta solo alla morte.

 Incontro con Salam, del Partito comunista unificato

 Ai partiti dell’opposizione abbiamo chiesto quali sono i rapporti con gruppi presenti nell’Alleanza delle forze dell’opposizione. Da un lato, il Coordinamento democratico di Haytham Mennaa, l’opposizione non armata più conosciuta all’estero, e dall’altro con i due partiti comunisti che sono nel Fronte governativo, anche se criticano la politica neoliberista degli ultimi anni.

 Rispondono altri esponenti dell’Alleanza per il cambiamento pacifico: “Haytham Mennaa e il suo coordinamento è molto vicino alla nostra alleanza, e l’abbiamo contattato per una conferenza dell’opposizione interna. Ma siamo aperti perfino a chi depone le armi, non tutti sono Al Qaeda fra i gruppi armati! Anche il governo deve sapere che il linguaggio militare non è quello giusto. Dobbiamo preservare quel che rimane della Siria”. E quali sono i rapporti con i partiti comunisti dentro la compagine di governo, visto che Qadri Jamil ha un passato comunista? Risposta del comrade (così tuttora si chiamano fra loro) Fadeh Jammus del Partito comunista dei lavoratori che è nell’Alleanza per il cambiamento pacifico: “Loro sono nel governo noi all’opposizione. Abbiamo comunque un buon rapporto con uno dei due”.

 Si riferiscono al Partito comunista unificato (autore nel febbraio 2012 di un ottimo documento che chiamava alla riconciliazione nella sovranità, quando Mussalaha non era ancora nata o nota). Ho incontrato di nuovo un giovane esponente di questo partito: Salam Abdallah, madre russa, cronista (e raccoglitore di olive stagionale per autofinanziare le attività politiche).

 Salam è senza dubbio per l‘unità dei comunisti, spezzettati in Siria come altrove. E’ molto critico rispetto al governo, ma non perché creda alle “atrocità e all’esercito che uccide il popolo”. A questo, anche nell’opposizione non si crede (vedi oltre). E’ critico rispetto alla politica economica, oltre che agli errori iniziali di fronte alle proteste scoppiate nel marzo 2011. Ed è anche convinto che nella tragedia ci sia una componente di “guerra di classe”. “Ci sono ragioni economiche nella protesta, ma non c’è prospettiva strategica. E comunque subito c’è stato un dirottamento da fuori, nessuno può pensare che paesi come il Qatar o l’Arabia Saudita sostengano una rivoluzione di classe! E’ evidente il ruolo delle risorse energetiche e della posizione strategica della Siria. Quanto agli Usa temo che il riconoscere che ci sono terroristi operanti in Siria, possa essere una scusa per un intervento militare”.

 Il governo ha molti torti ma il suo partito continua a stare nel Fronte, “perché non possiamo rinunciare all’antimperialismo, alla lotta contro Israele e al socialismo, anche se al mondo si è finora attuato solo a Cuba. Ma deve cambiare tutto, e occorre, una volta usciti dalla guerra – ma non so quando succederà – una ricostruzione nella giustizia”Salam pensa in primo luogo alle campagne, colpite per anni dalla siccità e poi dalle politiche neoliberiste.

 Cosa ci chiedono tutti

 Cosa ci chiedono? Qadri Jamil: “Alle forze di pace non siriane chiediamo di aiutarci a evitare che i musallahin (gruppi armati, ndr) entrino in forze in Siria da decine di paesi. Ne abbiamo ormai circa 40mila”. (Anche alcuni narcotrafficanti wahabiti bosniaci ora combattono in Siria– ma non c’è contraddizione fra il rivendicare la purezza dell’islam e lo spacciare droga?).

 Se di questi soggetti ci liberiamo e se certi paesi smettono di finanziarli, saremo capaci di risolvere la crisi da soli. Non c’è possibilità di dialogo con questi stranieri che non combattono per la Siria. O se ne vanno, o si arrendono, o l’esercito non può che eliminarli, è questione di difesa della sovranità nazionale”Quindi chiedete la non ingerenza; niente invio di armi, e frontiere bloccate al passaggio di jihadisti. Quanto alle sanzioni? “Le sanzioni economiche devono essere tolte perché fanno soffrire la popolazione, prolungano la crisi e aiutano le fazioni della linea dura su entrambi i fronti”.

 I diritti umani e le violenze

  I partiti dell’opposizione “patriottica” denunciano anche la demonizzazione dell’esercito e delle forze di sicurezza, a opera di media di parte e anche di Ong internazionali che ascoltano senza prove una sola campana. Dice Rami Kabbani: “Sono moltissimi i casi di manipolazione. Non dico che dei soldati non si siano resi responsabili di crimini, magari per vendicare commilitoni sgozzati. Ma non è una politica decisa dall’alto. E che mirino espressamente ai civili, agli ospedali, alle case, alle code per il pane, questo no. Ci sono così tante denunce non confermate che è impossibile contarle. Rifiutiamo di accusare l’Esercito siriano nel suo insieme. C’è un tentativo evidente da due anni di spacciare per ‘prevenzione dei massacri’ e ‘protezione dei civili’ le richieste di intervento militare esterno e il passaggio di armi all’opposizione armata. Falsità, ipocrisie. Questo può solo aumentare la violenza e la distruzione”. 

 Per l’opposizione che abbiamo incontrato, l’esercito arabo siriano ha tuttora un grande ruolo, malgrado i suoi errori, perché “c’è da mantenere  la sovranità del paese e per questo ci possiamo affidare solo all’esercito nazionale”. Anche se “occorre l’incubatrice del popolo” o l’esercito da solo potrà poco. In ogni caso c’è la convinzione che la Siria potrebbe collassare se l’esercito non fosse più in grado di difendere il paese da stati esterni e dai mercenari.

 Sui crimini, Rami propone: “Siamo certi che per fare giustizia rispetto a chi ha commesso crimini, occorrano questi passi: primo stop agli scontri, andare verso il dialogo nazionale e formare un governo di transizione che comprenda tutte le parti – solo quelle siriane ovviamente – e che si dedichi anche a compiere indagini serie e non di parte sui responsabili delle violenze, appunto nel mantenimento della sovranità nazionale”.

 Abbiamo incontrato un altro gruppo dell’opposizione parlamentare, impegnato in una “Commissione informazione” che intende lavorare sulla propaganda mediatica e che è disponibile ad aiutare nella ricerca della verità. Purtroppo ho perso gli appunti che si riferivano all’incontro  (e anche gli indirizzi). Ma è da sottolineare che una dei membri di questa “Commissione” ci ha comunicato: “Ho proposto di protestare davanti al ministero dell’informazione, per la sua incapacità di contrastare efficacemente la manipolazione mediatica internazionale ai danni della Siria”.

http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1511

 

L’Unione africana contro la Cpi

di: Francesca Dessì

Il Consiglio esecutivo dell’Unione africana ha adottato giovedì sera una risoluzione che chiede alla Corte penale internazionale (Cpi) di far cadere le accuse contro il neo presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, e il suo vice William Ruto. La risoluzione è stata approvata all’unanimità. Per anni il Kenya ha cercato di chiudere il procedimento, facendo richiesta nel febbraio del 2011 al Consiglio di Sicurezza dell’Onu e il mese successivo alla Corte penale internazionale.

“Sembra che questo tribunale sia stato creato per i leader africani, per umiliarli. Non lo accetteremo mai” ha affermato il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir (foto), che ieri ha ricevuto a Juba il suo omologo Kenyatta.

Le sue dichiarazioni riprendono quanto più volte affermato dai rappresentanti dell’Unione africana. Il 2 luglio del 2009, l’Unione africana, riunitasi a Sharm El-Sheikh, ha votato all’unanimità una risoluzione che sancisce che i mandati di arresto internazionali emessi contro dirigenti africani non sono esecutivi sul continente. In quell’occasione i capi di Stato africani hanno evidenziato che ci sono stati “degli abusi riguardo al principio di competenza universale”, applicabile ai crimini di guerra e contro l’umanità che possono colpire il diritto internazionale, l’ordine e la sicurezza. Una decisione spiegata dai leader africani chiamando in causa motivazioni “politiche” da parte dei giudici “non africani” nelle azioni avviate contro dirigenti del Continente Nero.

Molti Paesi africani, come del resto Stati Uniti, Russia, Cina, non hanno infatti firmato il Trattato di Roma che istituiva il Tribunale. Un tribunale che stranamente giudica e avvia procedimenti solo contro Stati, africani e non, che avrebbero il diritto di lavare i panni sporchi a casa propria. In genere Paesi poco graditi agli Stati Uniti, certamente più volte colpevoli di crimini contro l’umanità, ma mai portati da nessuno davanti ad una corte internazionale.

È il caso del presidente del Sudan, Omar Hassan al Bashir, sulla cui testa pende un mandato di cattura per presunti crimini di guerra commessi durante la guerra in Darfur, scoppiata nel febbraio del 2003 e costata la vita a 300mila persone. O quello dell’ex capo di Stato ivoriano, Laurent Gbagbo, sotto processo per crimini contro l’umanità. Si tratta di casi in cui la Cpi risponde agli interessi dell’Occidente, nel primo degli Stati Uniti, nel secondo della Francia.

Tornando sulla visita a Juba del presidente keniota, i due capi di Stato hanno ribadito gli impegni relativi alla costruzione di un oleodotto che dovrebbe collegare i giacimenti di Juba al porto keniano di Lamu,.

Si tratta di un oleodotto che permetterebbe al governo di Juba di estrarre e raffinare il greggio senza dover più dipendere dalle infrastrutture del governo di Khartoum. Nel sud del Sudan ci sono infatti i giacimenti petroliferi, ma nel nord ci sono le infrastrutture, gli oleodotti e il terminale di Port Sudan.

24 Maggio 2013

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=21110

 

Draghi scopre la disoccupazione

di: Andrea Angelini

 Parlando ad una platea di finanzieri della City londinese e di politici britannici, Mario Draghi ha lanciato l’allarme sulla disoccupazione giovanile che rappresenta “una minaccia per la stabilità sociale” dell’intera Unione europea. Il presidente della Banca centrale europea ed ex vicepresidente europeo della Goldman Sachs giocava in casa ma curiosamente ha smesso le vesti del finanziere per assumere una impronta più politica e più “sociale”.

Lo preoccupa, ha ammesso, una guerra tra generazioni, tra giovani e vecchi. Sono necessarie riforma che assicurino una maggiore equità e giustizia per evitare che le conseguenze della flessibilità del lavoro ricadano sui giovani. A preoccupare Draghi è l’alto livello di disoccupazione giovanile che in alcuni Paesi dell’Unione è decisamente preoccupante. In Italia ad esempio è vicina al 40%. Per Draghi si tratta di “una piaga” che si deve curare. In alcuni Paesi, la struttura del mercato del lavoro deve essere riformata per riequilibrare il sistema ed evitare che le nuove generazioni ne siano penalizzate. Ma non era stato lo stesso Draghi a sostenere la necessità di una riforma del mercato del lavoro all’insegna della flessibilità? Un termine che significa precariato, straordinari e premi di produzione in base al principio: lavora e produci e stai attento perché se ti ammali ti licenzio. Come negli Usa. Evidentemente anche per Draghi la situazione deve essere fuori controllo e le rivolte di piazza greche potrebbero essere esportate nel resto dell’Unione.

Il banchiere ha comunque difeso i prestiti della Bce alle banche (1.000 miliardi di euro al tasso dell’1%) e la decisione di comprare titoli da 1 a 3 anni dei Paesi in difficoltà con i conti pubblici per calmierare lo spread con i Bund tedeschi. Una misura che si muove in parallelo con quella del Fondo permanente salva Stati che, per gli stessi motivi, si è messo a comprare titoli decennali. Quelle misure, ha rivendicato, hanno dato ossigeno a Paesi che si trovavano sotto la pressione di mercati guidati dal panico e che stavano spingendo l’economia in una posizione dove i tassi d’interesse troppo alti avrebbero dato l’idea di una bancarotta imminente.

L’ex Goldman Sachs resta comunque ottimista perché vede segnali incoraggianti sul miglioramento delle condizioni finanziarie visto che gli spread dei titoli pubblici si sono ridotti notevolmente. Infine, ignorando di non aver imposto alle banche di utilizzare i prestiti per sostenere l’economia reale, le famiglie e le imprese, Draghi ha sostenuto che nonostante il credito bancario a famiglie e imprese resti ancora anemico, si registrano segnali di miglioramento anche sul fronte dei prestiti. Ma quando mai visto che la recessione sta peggiorando ovunque! Ma Draghi non demorde. A suo dire, oggi si può dire che l’unione economica e monetaria è più stabile rispetto ad un anno fa. Sì, più stabile sull’orlo del burrone.

24 Maggio 2013

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=21107

 

L’Europa partorisce il classico topolino

toh ma guarda. Ecco perché attaccano rinascita, mette sotto accusa il capitale anglo sassone, oltre all’europa in sé. Colpevoli di lesa maestà, soprattutto perché il mainstream deve far passare l’idea che sia la Germania l’unica e la sola responsabile del casino europeo. Le banche? solo povere vittime

 Il Consiglio europeo non ha partorito decisioni vincolanti per i Paesi membri ma soltanto delle assunzioni di impegni di carattere generale sulla realizzazione di un mercato unico dell’energia e sulla necessità di intensificare la lotta all’evasione fiscale con lo scambio continuo di informazioni sui conti correnti bancari.

Il vertice straordinario dei 27 Paesi dell’Unione, ai quali si era aggiunta la Croazia che dal primo luglio sarà a pieno titolo il 28emo Paese membro, non ha comportato quindi decisioni straordinarie ma soltanto espressioni di buona volontà.

Per definire in maniera più dettagliata le cose da fare, saranno necessarie altre riunioni entro la fine dell’anno. Sul fronte fiscale è stato deciso che Austria e Lussemburgo dovranno rivedere le proprie normative in materia bancarie che ne fanno dei veri e propri paradisi fiscali. Ma I due paesi hanno condizionato il loro benestare a un accordo con i cinque Paesi solo formalmente sono al di fuori dell’Unione Europea (Andorra, Liechtenstein, Monaco, San Marino e Svizzera) ma che di fatto funzionano come una stanza di compensazione per operazioni che devono rimanere occultate.

Ma appare chiaro che, al di là delle dichiarazioni di facciata, che chi metterà non pochi ostacoli sull’evasione fiscale e sui controlli bancari sarà la Gran Bretagna. E’ noto infatti come Londra disponga di non pochi paradisi fiscali in Europa (Jersey, Guernsey e Gibilterra) e nei Caraibi (Cayman) attraverso i quali transitano anche operazioni di riciclaggio e di ripulitura di capitali sporchi, spesso legati al narcotraffico. Oltre che quelle degli attacchi contro i titoli di Stato dei Paesi europei in difficoltà con i conti pubblici (come Italia e Spagna) e di riflesso contro l’euro.

Una peculiarità che assicura ai britannici un non indifferente potere da far pesare nei convegni internazionali. Oltretutto, la Gran Bretagna non ha alcun motivo di lasciare l’adorata sterlina per passare all’euro che ai suoi occhi rappresenta il simbolo dello strapotere tedesco, e quindi il peso dell’Europa continentale. A questo si aggiunge poi il rifiuto di Cameron di introdurre anche in Gran Bretagna la Tobin Tax per colpire con un piccolo salasso tutte le transazioni finanziarie. Un colpo non indifferente per l’Unione Europea considerato che per la City londinese si realizza circa il 70% delle operazioni sui titoli espressi in euro. Una situazione allucinante e ridicola perché dimostra che l’euro, nonostante le sue potenzialità, resa una moneta debole, priva come è di un retroterra finanziario che sia autonomo dalle pressioni del dollaro e della sterlina. E’ presumibile quindi che la Gran Bretagna cercherà in tutti i modi di fare posticipare decisioni che, se attuate concretamente, finirebbero per danneggiarla ed inficiare una sua precisa rendita di posizione.

Si evidenzia ancora una volta il ruolo di cavallo di Troia della Gran Bretagna all’interno dell’Unione Europea. Sempre con una gamba dentro e con un’altra fuori, gli inglesi hanno cercato sempre di trarre i maggiori profitti assumendo i minimi rischi e nascondendosi dietro le norme procedurali pur di rallentare l’assunzione di impegni che non avevano alcuna volontà di rispettare. Torna così, ancora una volta attuale, la fondatezza del no di Charles De Gaulle che si oppose strenuamente, all’inizio degli anni sessanta, all’entrata di Londra nella Comunità Europea. Un no derivante sia dalla sua valutazione della Gran Bretagna come quinta colonna anglofona e americana nella Cee. Sia dalla considerazione che con Londra tra i piedi si sarebbe accentuata l’impostazione federalista e tecnocratica propria dei Padri (si fa per dire) “storici” della Cee come Jean Monnet (l’uomo che distribuì i soldi del Piano Marshall in Europa – foto), Altiero Spinelli e Robert Schuman. Alle idee e imposizioni di costoro, il Generale contrappose il principio confederale della “Europa delle Patrie” che venne poi tradita dai suoi epigoni come Pompidou, Giscard, Chirac e ancora di più Sarkozy.

Oggi questa impostazione di De Gaulle mostra tutta la sua attualità in una fase nella quale la costruzione europea mostra tutta la sua inadeguatezza per la pretesa di mettere insieme Paesi così diversi e di imporre a tutti lo stesso modello economico e giuridico. Un modello che si muove nel solco della massima efficienza, infischiandosene se le cure da cavallo imposte a questo o a quel Paese, invece di curare finiranno per ammazzare il paziente. Una cura, anzi una eutanasia, che ha mostrato tutto il suo vero volto in Grecia portando all’esasperazione i cittadini, che senza più niente da perdere, hanno dato l’assalto ai Ministeri e alle sedi delle banche, ritenute, non a torto, le prime responsabili della speculazione finanziaria e dei disastri che ne sono derivati. I milioni di disoccupati senza speranze e senza prospettive in Europa dovrebbero rappresentare un serio campanello d’allarme per i capi di governo europei che, pur prendendo posizione su questa deriva econ omica che ha tutte le potenzialità per risolversi in una vera e propria rivolta sociale diffusa, continuano a baloccarsi con le loro fumosità istituzionali e con la deteriore tendenza a preoccuparsi più che altro della solidità del sistema bancario, finito nelle pesti per la propria voracità. I mille miliardi prestati (ma al tasso dell’1% sono regalati) dalla Bce alle banche europee ne sono la più evidente dimostrazione. Soldi che dovevano essere utilizzati per fare credito alla economia reale, imprese e famiglie, e quindi per favorire la ripresa e sostenere la domanda interna. Soldi utilizzati invece per ricapitalizzarsi e rifarsi dalle perdite su investimenti sbagliati e su speculazioni vere e proprie.

Da qui la stretta creditizia che ha penalizzato le piccole e medie imprese, che in Italia sono quelle che fanno innovazione, e che ha comportato una disoccupazione di massa che ha colpito in particolare i giovani. Questo in Italia è il problema più eclatante ed Enrico Letta è riuscito a fare passare la sua linea. A giugno, al prossimo vertice del Consiglio Europeo se ne parlerà. Resta da vedere se si andrà al di là del solito chiacchiericcio inconcludente.

In campo energetico sono stati riaffermati gli obiettivi di completamento del mercato interno dell’energia entro il 2014 e dello sviluppo delle interconnessioni entro il 2015, come recita un comunicato “in modo da porre fine all’isolamento di Stati membri dalle reti europee di distribuzione del gas e dell’energia elettrica”.

Gli Stati membri dovranno attuare il cosiddetto “terzo pacchetto energia” e rendere la rete accessibile a tutti gli operatori del settore e garantire l’approvvigionamento continuo di energia a prezzi accessibili. Allo stesso modo si dovrà ridurre la dipendenza energetica esterna (da Paesi Russia, Algeria e Libia) della UE e stimolare la crescita economica e proseguire nello sfruttamento delle fonti di energia rinnovabile. Una concessione alla montante ideologia verde ma che, visto lo stato del settore e le sue prospettive, rimarrà a lungo nel libro dei sogni.

 23 Maggio 2013

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=21086

 

Comprendere i processi economici dei tempi finali

Il caos è ordine… nuovo ordine.

E’ rivelatore che si sia soliti distinguere tra economia reale ed economia… finanziaria che sarebbe meglio definire finta, una frode bell’e buona, utile per arricchire speculatori e banchieri, dannosa per tutti gli altri. Dell’economia finanziaria e delle sue spudorate truffe ci siamo già occupati in altri articoli. Dedichiamo allora qualche riga al sistema produttivo vero e proprio. 

Lo Stato-Leviatano, inteso come apparato di controllo (occulto) e strumento di distruzione, usa vari stratagemmi per preservare le sperequazioni economiche e sociali, idonee alla perpetuazione ed al consolidamento del potere. Tra le armi principali dell’establishment per immiserire i sudditi e tenerli in una perenne condizione di subalternità bisogna annoverare il fisco. Con un esoso ed opprimente sistema fiscale si conseguono almeno due scopi: si sottraggono ricchezze a piccoli imprenditori, artigiani, cittadini del ceto medio e della classe inferiore; si genera un’ansia costante nei contribuenti che, a causa delle innumerevoli e ravvicinate scadenze tributarie, si sentono con una pistola puntata alla tempia. Il fisco perciò è anche un dispositivo di dominio psicologico, una tagliola per la mente. 

Sfatiamo un luogo comune: tributi, balzelli, gabelle, spesso assurdi ed anacronistici, servono solo in parte a sostenere le istituzioni ed a mantenere i parassiti al potere. Inoltre una quota esigua del gettito è oggidì destinata allo stato sociale, giacché la maggior parte del denaro estorto al popolo è fagocitato dalle spese militari. In verità, un paese potrebbe sopperire a tutte le esigenze grazie ad un’unica imposta indiretta. Naturalmente dovrebbe essere abolito il signoraggio bancario che risucchia quasi tutto il ricavato delle tasse nel gorgo immenso del debito pubblico. Dovrebbero essere poi cancellati tutti gli escamotages della finanza incentrati sull’usura e sull’equivalenza tra moneta e merce. 

Se allora il fisco attuale non ha uno scopo per così dire “produttivo” e “positivo”, pur nella sua indubbia impopolarità, qual è il suo vero fine? La risposta è semplice. Esso ha per fine la spoliazione, anzi l’annichilimento dei ceti medio-bassi. Il governo (mondiale) mira a depredare le aziende ancora floride, a gettarle sul lastrico: ogni tracollo di un’azienda è un successo per i globalizzatori e per le multinazionali. Le corporations si prefiggono di monopolizzare il mercato, sbarazzandosi della concorrenza dei piccoli produttori le cui merci sono tra l’altro di qualità migliore. E’ in corso quindi un deliberato attacco all’imprenditoria italiana: si pensi all’Emilia Romagna, nerbo dell’economia, regione prima danneggiata con il terremoto artificiale e contro la quale ora si infierisce con la stretta creditizia e con l’I.M.U. sui fabbricati industriali. 

A proposito di credito e di banche, è necessario demolire un altro errato convincimento. Il fallimento delle banche è quasi sempre un pretesto per spillare altri quattrini ai contribuenti, una scusa per inasprire la pressione fiscale, per promulgare misure sempre più coercitive. Anche quando un istituto di credito fallisce (o simula il fallimento), perde solo un capitale di moneta elettronica, fittizia, mentre si è nel frattempo appropriato di beni immobili confiscati ai debitori insolventi. Non è vero dunque che molti decreti draconiani sono varati “per salvare le banche”, non è vero che l’aumento dell’I.V.A. discende dall’impellente necessità di rastrellare nuove risorse. I vari ministri del sottosviluppo e delle finanze sanno benissimo che l’aumento dei gravami conduce, prima o dopo, alla flessione dei consumi, quindi ad un decremento delle entrate tributarie. La loro politica è, da un punto di vista logico, controproducente, ma la “logica” dei farabutti non è la nostra. Il loro obiettivo è la devastazione, non il risanamento né la prosperità. Anzi l’indigenza, la disoccupazione, il malcontento sono ghiotti presupposti per organizzare un assetto socio-politico di stampo orwelliano. 

Non paghi di aver inferto dei colpi micidiali al settore secondario, gli esecutivi italioti, che obbediscono agli ordini impartiti da potentati sovranazionali, stanno ora accanendosi contro l’agricoltura, sia per imporre le sementi transgeniche sia per privare il nostro paese dell’autosufficienza alimentare. Una volta affossato il primario, l’Italia dipenderà in toto dagli arbitrii delle famigerate società agro-alimentari. 

Arma precipua per rovinare l’agricoltura e per conseguire bieche finalità è la Geoingegneria clandestina… tanto per cambiare. 
Comunque non la spunteranno.

Documento collegato: Codex alimentarius 

Fonte tratta dal sito 

http://wwwblogdicristian.blogspot.it/2013/05/comprendere-i-processi-economici-dei.html

 

LA CULTURA DEVE ESSERE COSMOPOLITA; L’ECONOMIA POLITICA DEVE ESSERE NAZIONALE

Stefano D’Andrea

 Perché il sistema finanziario deve essere nazionale, ossia chiuso?

 Perché uno stato sovrano, libero di disciplinare la quantità di moneta immessa nel sistema, da se stesso o dalle banche commerciali, nonché le modalità di immissione, tanto più se molte banche commerciali (o almeno le grandi) sono pubbliche, non ha alcun bisogno di consentire che l’attività economica pubblica o privata sia finanziata da denaro creato all’estero.

 Questa evidenza, lapalissiana, è negata, o meglio rimossa, da quasi tutti i mezzi keynesiani, compresi i neokeynesiani, che da tempo spadroneggiano sulla rete, ricevendo grande successo.

 Molti di essi sono statunitensi e quindi abituati a ragionare su un sistema che non ha le caratteristiche e i problemi degli altri. Se negli Stati Uniti c’è una crisi finanziaria, i capitali accorrono negli Stati Uniti o comunque non scappano; mentre se la crisi finanziaria si verifica in Italia, i capitali scappano. Questa e altri simili constatazioni dovrebbero indurre le persone di buon senso ad applicare la massima: “coloro che, discorrendo di temi economici, recano l’esempio degli Stati Uniti o sono sciocchi, se sono in buona fede, o sono impostori, se sono in mala fede”.

 Tuttavia, molti mezzi-keynesiani o mezzi-neokeynesiani sono italiani o europei. Essi vorrebbero essere eterodossi, senza contestare il principio globalistico. Insomma vorrebbero accogliere tutti i fondamenti dell’economia cosmopolita e poi fare gli eterodossi sui corollari o su quelli che credono (o fingono di considerare) principi e che invece non sono principi, perché al di sotto di essi si trovano le vere fondamenta.

 Capita allora, nel rileggere la “Lettera degli economisti”, dalla quale appresi molto, perché io non sono né un economista né uno studioso di economia, di rinvenire un commento di un umile professore di materie giuridiche, che aveva previsto meglio di tutti gli economisti ciò che sarebbe avvenuto e avverrà: “Condivido molte delle proposte politiche degli economisti. Saranno gli Stati ad attuarle, prima o poi. Oggi giuridicamente non possono perché hanno ceduto sovranità alla UE. Quest’ultima, astrattamente può tutto, come dimostra la decisione di acquistare i titoli degli stati, anche in deroga all’ordine giuridico europeo: è il Sovrano che decide nello “stato di eccezione”. Ma l’Ue non prenderà quelle decisioni e si disintegrerà o si trasformerà in un ordinamento, simile a quello attuale, con minori vincoli per gli Stati e minore ampiezza spaziale”.

 Il problema è che gli economisti critici non capiscono o fingono di non capire o non vogliono capire – per non apparire chiusi e gretti (ma in realtà intelligenti) e per gioire nel dichiararsi globalisti – che un controllo politico sull’economia, necessario per agire sulla redistribuzione della ricchezza, per evitare squilibri o bolle, ovvero per perseguire una linea severamente ambientalista, può aversi soltanto in uno Stato sufficientemente chiuso, anzi direi molto chiuso, nei limiti del possibile, sotto il profilo economico. Per esempio, accettata la concorrenza bancaria con banche di Stati esteri (era la nostra condizione prima dell’euro), lo Stato, anche se formalmente “sovrano”, perde (di fatto) gran parte del potere di discplinare il risparmio ed il credito. Non serve essere economisti per capire questa ovvietà. Però non riesco a capire perché gli economisti critici non pongano questa ovvietà a presupposto delle loro analisi e soprattutto delle loro proposte.

 Eppure Keynes era stato così chiaro: “Sono perciò più d’accordo con quelli che vorrebbero ridurre l’intreccio economico tra le nazioni che non con quelli che lo estenderebbero. Idee, conoscenza, arte, ospitalità, viaggi: queste sono le cose che per loro natura dovrebbero essere internazionali. Ma cerchiamo di far sì che i beni vengano prodotti al proprio interno quanto più ragionevolmente e convenientemente possibile; e soprattutto che la finanza sia essenzialmente nazionale” (Keynes, Autosufficienza nazionale, 1933).

 Insomma la cultura deve essere cosmopolita; l’economia politica deve essere nazionale.

 Anzi, a ben vedere, occorre essere più precisi: quasi tutti gli economisti che oggi stanno avendo successo, non sono mezzi keynesiani; sono falsi keynesiani, perché la parte delle proposte di Keynes che essi trascurano è il presupposto o fondamento della parte che essi accettano. Per essi tutto si riduce a suggerire un po’ di politiche espansive, nei limiti del globalismo e delle possibilità concesse da quel fronte avanzato (il più avanzato) del globalismo che è l’Unione europea. Ecco perché per risolvere i problemi di una nazione propongono ingenuamente politiche economiche ad altre nazioni – esempio tipico: “se la Germania elevasse i salari, l’Italia risolverebbe parte dei propri problemi”. E’ un assurdo logico che deriva dall’accettazione dell’economia politica cosmopolita.

 Fonte: http://www.appelloalpopolo.it/?p=8920

FISCO: GLI AIUTI CHE NON AIUTANO

di Paolo Cardenà – Nel dicembre del 2011, nel decreto Salva Italia, fu introdotto un meccanismo, chiamato ACE (Aiuti alla crescita economica), finalizzato a premiare le imprese che, già dal periodo di imposta 2011,  avrebbero effettuato operazioni di ricapitalizzazione, ossia che si sarebbero dotate di maggiori capitali propri. A quei tempi, la stampa sussidiata, presentò l’innovazione introdotta dal Ministro Passera come un’iniziativa che avrebbe stimolato, e di molto, le operazioni di aumento di capitale da parte delle società, proprio grazie ai benefici fiscali previsti dalla normativa.

Dotare le imprese di maggiori capitali, equivale a  diminuire la dipendenza delle stesse imprese dal mondo bancario, sempre agonizzante e perciò avverso alla concessione di linee di credito alle sistema delle imprese. E’ chiaro che un imprenditore che capitalizza la propria impresa non dovrebbe  certo farlo per un incentivo fiscale, ma per il semplice motivo che, avere un’azienda adeguatamente capitalizzata, oltre a diminuire la dipendenza dal mondo bancario, favorisce la realizzazione di economie in termini di interessi passivi, e costituisce un ottimo biglietto da visita per affacciarsi sul mercato, che chiaramente apprezzerà maggiormente aziende adeguatamene patrimonializzate, ritenendole  più affidabili rispetto ad altre dotate di esegui capitali.

Ad ogni buon conto, lo spirito della normativa è proprio quello di ridurre lo squilibrio tuttora esistente fra un finanziamento con capitale di debito e con capitale proprio, introducendo  un beneficio che si sostanzia in una deduzione dal reddito imponibile del rendimento figurativo degli apporti di capitale.

 

Tant’è che nella relazione illustrativa del decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 14 marzo 2012, di attuazione della nuova disciplina, in cui si legge:

l’obiettivo perseguito con l’ACE, tenendo conto delle esigenze di rafforzamento dell’apparato produttivo del sistema Paese, è quello di incentivare la capitalizzazione delle imprese mediante una riduzione della imposizione sui redditi derivanti dal finanziamento con capitale di rischio. Si tratta di una misura di riequilibrio, nel senso che l’ACE intende migliorare il trattamento di sfavore del capitale di rischio rispetto al capitale di terzi

Quindi è un incentivo, di natura fiscale, riservato ai soli titolari di reddito di impresa, al fine di rilanciare lo sviluppo economico del Paese e fornire un aiuto alla crescita, agevolando le imprese che rafforzano la propria struttura patrimoniale mediante una riduzione della imposizione sui redditi.

Ma tanto per offrirvi l’idea di quanto sia inadeguato  tale incentivo e quanto siano distanti le posizioni dei governi dalle reali esigenze delle imprese e, più in generale, dell’economia, giova scendere nei numeri al fine di comprendere di cosa stiamo parlando.

Al netto dei meccanismi perversi di determinazione di questo incentivo, esemplificando, in estrema sintesi,  ipotizzando che tra  la fine del 2011 e la fine del 2012 il patrimonio di una società si sia incrementato di 100.000 euro per effetto di un conferimento in denaro  effettuato il 01/07/2012, la società, per effetto dell’applicazione di un coefficiente di rendimento nozionale posto dal legislatore al 3%, potrà portare in deduzione del reddito di impresa la somma di euro 1510, con un agevolazione di imposta di appena 415 euro.Una vera banalità, insomma.

Se da un lato può essere condivisa la necessità di stimolare le imprese affinché vengano dotate di maggiori capitali tali da migliorare lo squilibrio esistente tra l’utilizzo di mezzi propri e di terzi, appare del tutto irragionevole pensare come possa costituire un Aiuto alla Crescita Economica, un incentivo fiscale di proporzioni così limitate che non consente affatto di superare neanche lontanamente le difficoltà del sistema  imprese prossimo al collasso. La verità è che di soldi non ce ne sono e, verosimilmente, permanendo le condizioni attuali, continueranno a non essercene per un lungo periodo.  Le imprese dovrebbero capitalizzarsi e quindi svilupparsi, non grazie ad un incentivo ridicolo pensato da un branco di incompetenti, ma solo operando in un contesto “ambientale” più favorevole per fare impresa.

Sarebbe del tutto assurdo pensare che oggi un imprenditore sia disponibile ad investire risorse  nella propria impresa, quando egli conosce benissimo che, a distanza di poco tempo, queste risorse, verosimilmente, potrebbero essere del tutto vaporizzate, sia per effetto della crisi, che per una pretesa tributaria che, presto o tardi, aggredirà anche i nuovi capitali investiti, erodendoli.

 Chi parla di riduzione della tassazione per puro spot da dare in pasto ad un paese ricco di analfabeti economici, oltre ad esprimere una malafede conclamata con l’aggravante della recidività, non immagina minimamente le reali condizioni in cui versa il paese, con il suo sistema di piccole imprese che rischia di essere definitivamente abbattuto, strozzato da un groviglio impressionante di adempimenti burocratici appositamente pensati per occupare un numero impressionante di fannulloni burocrati che campano sulla spalle di chi produce ricchezza e genera lavoro. Le imprese stanno subendo una pretesa tributaria irragionevole, illogica, distruttiva con connotati di profonda  illegittimità. E gli imprenditori conoscono perfettamente i limiti alla sopravvivenza della propria impresa e, sapendo che questa presto potrebbe conoscere il trapasso, perché mai dovrebbero buttare i soldi in un pozzo senza fondo? Tanto vale essere onesti e dire che, le imprese, finché ce la faranno, dovranno cavarsela da sole. Ammesso che ci riescano.

Se andassimo a verificare il tessuto  della normativa fiscale sul quale lo Stato fonda la sua pretesa tributaria, ci accorgeremmo subito che è una normativa degna di uno stato fallito, quale è l’Italia. Oltre al tema del livello della pressione fiscale, che non ha eguali nel contesto mondiale, subito ci accorgeremmo che l’impianto normativo è una raccolta di norme per nulla omogenee, disorganiche, talvolta contraddittorie e per nulla attinenti allo sviluppo del contesto economico e sociale intervenuto nel paese nell’ultimo trentennio. In pratica, sono norme appiccicate l’una alle altre, senza alcuna soluzione di continuità e formulate non in base ad una visione strategica della società, dell’economia e più in generale della nazione, ma dallo stato di necessità delle finanze pubbliche, che negli ultimi decenni, sostanzialmente, hanno sempre espresso crescenti necessità di flussi finanziari (tasse) fino ad arrivare, negli ultimi anni,  a toccare il punto di non ritorno.  In pratica, il (non) senso  osservato dal legislatore  in questo lungo periodo, sostanzialmente, è stato questo: mancano dei soldi? Bene, procediamo inasprendo la pressione fiscale e facciamo cassa con l’introduzione di nuove imposte o, molto più semplicemente, inasprendo quelle già esistenti. Questo, in buona sostanza è stato il criterio ispiratore di tutte le manovre fiscali che si sono varate in quasi un trentennio, trascurando del tutto gli effetti nefasti che questo modus operandi avrebbe prodotto. Ecco quindi che sono state introdotte un numero elevatissimo di imposte, tributi e adempimenti, proprio al fine di colpire nuova materia imponibili e, talune imposte, sono delle vere e proprie stranezze. Un normativa fiscale in perpetuo mutamento, oltre a disorientare il contribuente ed esporlo ad una crescente possibilità di cadere nell’errore, sempre pronto ad essere sanzionato, compromette anche la possibilità da parte degli operatori economici, di  effettuare una pianificazione fiscale delle proprie attività scoraggiando gli investimenti.

http://www.vincitorievinti.com/2013/05/fisco-gli-aiuti-che-non-aiutano_20.html