Operazione Hunter – La giustizia a senso unico della Procura di Torino

editoriale27 marzo 2012 at 15Operazione Hunter – Proviamo a dire la verità

Conferenza stampa del Movimento Notav quest’oggi al centro Studi Sereno Regis di Torino, dove sono stati presentati un video e un dossier in merito alla brutalità delle forze dell’ordine nella giornata del 3 luglio.

Il Movimento ha voluto rendere pubblcio quello che già la Procura della Repubblica sa ed ha in mano, cioè le foto e il video del pestaggio di uno dei manifestanti arrestati in quella giornata, soggetto a violenze  di gruppo.

Il movimento denuncia la visione della Procura, a senso unico, ovvero solo tesa a criminalizzare i notav, arrestati e reclusi da oltre due mesi, e chiude un occhio verso le sue truppe.

Alcune considerazioni:

Tutta la documentazione che è stata presentata in conferenza stampa oggi è da mesi, cioè dal 3.7.2011, nella piena disponibilità della Procura della Repubblica di Torino e non solo, risulta che essa sia stata addirittura utilizzata dalla Procura medesima come prove a carico dei manifestanti nell’ambito dell’indagine che ha condotto agli arresti (con detenzione in carcere e/o domiciliare, nonché ad altre restrizioni della libertà personale) del 26.1.2012.

Le querele di alcune delle vittime dei brutali reati qui descritti sono vecchie di mesi. Le denuncie di gravi violenze, abusi, percosse, lesioni sono divenute pubbliche già nei primi giorni del mese di luglio 2011 dopo che alcune delle vittime vennero intervistate da mezzi di informazione.

Il video dimostra che i crimini di cui sono responsabili i numerosi agenti delle FF.OO. sono più gravi di quelli ascritti ai manifestanti.

Eppure, a mesi di distanza, mentre decine di persone fra i manifestanti sono state attinte da misure restrittive della libertà personale, di cui 8 ancora in carcere, nessuna indagine risulta aperta ai danni delle FF.OO. per questi fatti della medesima giornata.

Non esiste alcuna giustificazione.

Il Procuratore Capo di Torino ha dichiarato preoccupato alla RAI il 17.3.2011 che “fine della legge uguale per tutti…fine della giustizia”. Se la legge è uguale per tutti la Procura di Torino avrebbe dovuto agire contro i colpevoli dei reati, e lo ripetiamo, ben più gravi di quelli dei manifestanti secondo quanto prevede il codice penale –da lungo tempo.

Neppure si può addurre a scusante che quegli appartenenti alle FF.OO. non siano identificabili o che le vittime non si siano presentate in Procura a seguito delle querele: a parte le estese capacità di indagine delle Procure,alcuni dei colpevoli sono identificabili per avere il volto scoperto, altri da aspetti somatici, reparto di appartenenza, qualifica professionale, armamento in dotazione, e da tatuaggi.

Ma c’è un’altra riflessione, forse ancora più importante.

Nasce infatti legittimo chiedersi se – visto questo clamoroso doppiopesismo nell’azione di repressione dei reati che coinvolgono l’aspetto di ordine pubblico della questione TAV – la Procura della Repubblica di Torino sia idonea o non sia idonea a garantire la legalità della questione TAV su aspetti di rilevanza molto maggiore. E così la domanda è: la Procura di Torino sta facendo, o no, tutto quanto è in suo dovere per la prevenzione di reati sulla concezione dell’opera stessa, sulle modalità di propaganda, sugli appalti che la riguardanoSe in 9 mesi la Procura non ha ancora agito contro gli autori del pestaggioviene da chiedersi se stia indagando a 360° sui legami tra ‘ndrangheta e società che lavorano alla realizzazione della recinzione dell’area di cantiere. Sta o non sta indagando sulle modalità di assegnazione di quegli appalti, che avvengono in Francia? Sta o non sta indagando sul fallimento in pochi mesi di tre delle società che lavorano alla realizzazione della recinzione dell’area di cantiere? Sta o non sta indagando sulla rassegnazione alla ditta CMC dei lavori del tunnel di Chiomonte in assenza di appalto (in violazione di precise norme e dichiarazioni rese in sede europea?).

E’ arrivato il momento che altre magistrature, non piemontesi, inizino a mettere il naso in queste faccende tutte torinesi, il movimento agevolerà questa azione, inviando a tutte le procure italiane la documentazione.

NB:La documentazione ch eabbiamo rpesentato ci è stata fornita in forma anonima e pertanto ringraziamo pubblicamente l’anonimo notav che ci ha inviato il materiale.:41


Tav e legalità: chi controlla le infiltrazioni mafiose nelle società appaltatrici?

 L’attenzione dell’opinione pubblica è concentrata sul sabotaggio di alcune macchine del cantiere da parte di attivisti No Tav. Intanto, però, una delle società appaltatrici è a rischio di infiltrazioni mafiose.

 
 
 
 
 
 
 
Tav e legalità: chi controlla le infiltrazioni mafiose nelle società appaltatrici?
 

Quando si parla di illegalità, gli occhi della grande informazione italiana finiscono inevitabilmente e costantemente in Val di Susa: tra le montagne piemontesi, secondo la stragrande maggioranza di politici e opinionisti, si anniderebbero sacche di cittadini dediti alla violenza, addestrati alla guerriglia, nostalgici del terrorismo e pronti praticamente a tutto pur di non far procedere un’opera “strategica” (per chi?) come la linea ad Alta Velocità Torino-Lione. In tema di legalità, non più di due giorni fa il ministro degli Interni Angelino Alfano ha invocato – a nome del Governo – provvedimenti speciali per impedire che  i No Tav  compiano altre azioni di sabotaggio al cantiere de La Maddalena: in un territorio già ampiamente militarizzato, si vorrebbe rinforzare ulteriormente la presenza di forze di polizia e ampliare la zona rossa, come se le misure repressive possano servire a piegare un movimento che da più di 20 anni pratica – anche attraverso azioni illegali, rivendicate e concordate in assemblee pubbliche – la resistenza verso un’opera considerata inutile e dannosa.

Ma chi controlla la regolarità delle ditte che partecipano ai lavori dell’alta velocità? E chi si assicura che i tentacoli delle organizzazioni criminali non arrivino anche in Val di Susa, a succhiare “sangue” in un progetto i cui costi sono incalcolabili con precisione (per via delle numerose proroghe), ma sicuramente di decine di miliardi di euro? Ad esempio, è di questi giorni la notizia che la Pato Perforazioni Srl di Rovigo parteciperà ai lavori (lo hanno confermato telefonicamente a Fanpage): si tratta di una ditta specializzata nella realizzazione di pozzi artesiani, quindi di perforazioni per costruzione di infrastrutture. Facendo una breve ricerca, però, si scopre che alla ditta non è stato rinnovato il certificato antimafia. A raccontarlo è lo stesso titolare della società, Gaetano Rosini, alla Cisl Veneto: “Un paio di mesi fa, dopo aver vinto a Palermo un appalto per le perforazioni relativi alle fognature, un lavoro da 1,4 milioni di euro, siamo stati messi fuori perché non c’era stato concesso il certificato antimafia dalla Prefettura di Rovigo per possibili infiltrazioni mafiose – racconta Gaetano Rosini -. Abbiamo chiesto spiegazioni e ci sono sempre state negate”. Al momento la Pato non è ancora in possesso del certificato antimafia, per via di alcuni approfondimenti che le autorità stanno svolgendo e che, secondo i titolari dell’impresa e la Cisl, dovrebbero comunque dare esito positivo. A mettere un po’ di chiarezza nella vicenda sarà il Tar di Salerno che nei prossimi giorni si dovrebbe pronunciare in merito alla certificazione.

Ma a cosa serve il certificato antimafia? Sostanzialmente ad assicurare l’esistenza di tutta una serie di requisiti previsti dalla legge 575/1965 in tema di “infiltrazioni” mafiose all’interno di un’impresa. L’assenza di questo certificato, ovviamente, non sta a significare che la Pato Srl abbia avuto a che fare con la criminalità organizzata.  Ma Alberto Perino (leader del Movimento No Tav), interpellato telefonicamente da Fanpage, spiega: “Il certificato antimafia è obbligatorio per le imprese appaltatrici, come specificato dalla delibera  del Cipe, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 6 aprile 2011″. Che, infatti, recita testualmente che: “Tutti gli affidamenti a valle dell’aggiudicazione principale siano subordinati all’espletamento delle informazioni antimafia e sottoposti a clausola risolutiva espressa, in maniera da procedere alla revoca dell’autorizzazione del sub-contratto e alla automatica risoluzione del vincolo, con conseguente estromissione dell’impresa, in caso di informazioni positive”.

Ma di episodi di infiltrazioni negli appalti delle linee dell’alta velocità se ne contano a decine, dunque non sono un’eventualità remota ed improbabile. Solo per citarne alcuni: nel 2007, la Direzione Nazionale Antimafia  in una relazione dedicate alle infiltrazioni delle mafie nel Nord Ovest, e soprattutto in Piemonte, scriveva che erano fortemente rischio gli appalti dell’Alta Velocità Torino-Milano; e ancora “sotto analisi” alcune grandi opere già realizzate, anche per le Olimpiadi del 2006. In una relazione alla Dna dei Ros dei carabinieri, le indicazioni erano chiarissime: “In Piemonte, come in Liguria e Lombardia, si registra una pervasiva presenza di compagini della ‘Ndrangheta, operanti soprattutto nel settore del narcotraffico, che hanno investito sul territorio parte dei proventi accumulati con le attività illecite, realizzando una progressiva infiltrazione del tessuto politico-economico locale”.

Ma ancora: il giornalista Giovanni Tizian lo scorso 21 marzo 2011 scriveva: “Una della aziende incaricata di costruire il tunnel esplorativo sotto la Val di Susa – la romagnola Bentini Spa – nel 2005 ha vinto l’appalto per il nuovo palazzo di giustizia di Reggio Calabria. Il subappalto della sede giudiziaria, su richiesta della Bentini, fu concesso alla Corf srl. E così la Corf srl con sede a Polistena e Bologna conquista una commessa da oltre un milione di euro. Ma  secondo gli investigatori dietro la società calabro-emiliana si muovono però interessi che portano il marchio del clan Longo di Polistena, potente famiglia di ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, alleata con cosche storiche come i Pesce”.

Insomma, alla luce delle informazioni circa la penetrazione delle organizzazioni criminali negli appalti della Tav, per quale motivo ne è stato concesso uno alla Pato Srl, società non munita neppure del certificato antimafia?

Raccolta degli ultimi TG sul TAV e Sulla valle di Susa

Fare “click” sulla scritta per visualizzare il filmato

Risposta al comandante manzi su lunanuova

vi giro le dovute precisazioni scritte a seguito della lettera del signor manzi (senatore p.d. e presidente a.n.p.i. di collegno) apparsa su lunanuova del 7 maggio, in cui vengono criticate mie posizioni espresse nel mio pezzo “il puntino sulla i dell’a.n.p.i.”
vediamo se lunanuova pubblicherà…
Luigi

  CARO COMANDANTE MANZI

Il mio breve testo “il puntino sulla i dell’anpi” del 26 aprile voleva essere spunto di riflessione e dibattito alla luce della gravissima emergenza sociale che viviamo tutti e sul ruolo che “dovrebbe” avere l’ANPI.

Ora, pur sentendomi lusingato dall’aver attirato l’attenzione del signor Manzi, sono tuttavia dispiaciuto che, tra i tanti punti di criticità indicati dal mio pezzo, Manzi si sia soffermato volutamente solo sul mio non riconoscere il termine “patriota” e sulla necessità di attualizzare il concetto di antifascismo.

Mi vedo quindi costretto, ma con piacere, a specificare meglio i termini della questione.

In primo luogo sono le mie convinzioni libertarie a non farmi riconoscere il senso dell’appellativo “patriota”, termine che inevitabilmente evoca il concetto di patria con confini, limiti, campanilismi, rivalità, discriminazioni, razze, ecc. ecc. Tutte cose che se non ci fossero o non ci fossero state avrebbero senza dubbio contribuito alle relazioni e quindi alla pace e non certo alle guerre tra una “patria” e l’altra. Non può nemmeno essere dimenticato il contributo nelle formazioni partigiane, e ancora prima in Spagna, in quelle antifranchiste, della folta presenza di combattenti libertari che combatterono e morirono per la libertà e un mondo migliore, e sicuramente non certo per la “patria”. patria, che mai come adesso evoca di tutto, fuorchè orgoglio di appartenenza, e che farebbe rivoltare nella tomba molti dei combattenti partigiani che morirono soprattutto per un mondo migliore. In più trovo sia un ulteriore sfregio che tale termine sia stato dato quasi come onorificenza proprio da quell’esercito che ancora oggi fa ciò che vuole dei cittadini italiani che non vogliono ne strutture militari (come il MUOS in sicilia o il Dal Molin a Vicenza), ne armi di distruzione di massa (come le 90 testate atomiche americane in territorio italiano), e che dal dopo guerra fino a oggi ha costantemente usato l’italia e gli italiani come burattini da manovrare e far saltare in aria con bombe, depistaggi, sequestri, abbattimenti di aerei, teleferiche tranciate nella più totale impunità per i propri interessi.

Per quanto riguarda la questione “antifascismo”, premessa l’implicita validità dell’”antico” concetto, evidentemente il signor Manzi volutamente ha ignorato il senso di tutto il mio ragionamento, che specifico ulteriormente: una volta venivano indicati come “fascisti” solo i seguaci di estrema destra, e come “stalinisti” i comunisti, ma per ciò che ne so, non mi risulta che gli imprigionati torturati da una parte urlassero in modo diverso da coloro che subivano e subiscono uguali trattamenti dall’altra parte. Oggi atteggiamenti prepotenti, discriminatori, escludenti, emarginanti,  vengono posti in essere perfino più da esponenti del partito che eufemisticamente si dichiara democratico che dalla destra tradizionale, avendo ormai solo più mantenuto del vecchio p.c.i. la pratica del cosidetto “centralismo democratico”, che tradotto in italiano vuol dire “o si fa come ha deciso il partito o sennò sei fuori”. E visto che l’oggi è l’inevitabile prodotto dello ieri, e nell’ANPI molto è stato “colonizzato” negli ultimi anni secondo l’unico “programma politico” dell’occupare il maggior numero possibile di posizioni di potere, ecco di fronte a episodi gravissimi per le libertà degli individui come il g8 di genova, venaus del 2005, gli inseguimenti nell’abitato del vernetto a chianocco, le libertà individuali violate, le misure restrittive ingiustificate, le notizie, le voci e le posizioni quotidianamente e sistematicamente censurate o manipolate da giornali e televisioni, l’ANPI che posizioni prende? Le cariche di reparti di polizia dentro la biblioteca di un’università di qualche giorno fa non sono uguali alle azioni operate nel ventennio? Qual è la differenza? Che le divise sono blu invece che nere? questo basta per stare a guardare e dichiararsi orgogliosamente “solo” antifascisti? Per questo essere antifascisti deve essere per me attualizzato col termine antiautoritario comprendendo qualsiasi atto prepotente con o senza colori. Moltissimi membri delle sezioni ANPI  in tutta italia la pensano come me, stufi di commemorare (giustamente) il passato mentre vedono l’oggi disfacersi intorno anche per le colpe della pseudosinistra. L’ANPI oggi non può limitarsi a “vigilare” alle commemorazioni, ma deve saper essere presente nelle piazze e nelle lotte per presidiare, rivendicare, praticare TUTTI  i giorni la Costituzione esigendone la realizzazione, e denunciando pubblicamente le mancanze, omissioni e imposizioni proprio quando sono opera delle istituzioni (senza esserne succube perché riceve qualche finanziamento), perché sennò rischiamo di trovarci autoritarismi che distruggeranno le nostre vite, ma basta che non si dicano “fasciste” e allora andranno bene.

Saluti Sempre Resistenti,

Luigi Robaldo, A.N.P.I. Sezione Bussoleno-Chianocco-Foresto        

Un bel giro di puttane anche per D’Alema ma la Boccassini li’ dormiva…

d-alema

16 magg –  Le escort, o prostitute, o puttane, che dir si voglia, hanno sempre frequentato i palazzi del Governo e del potere in generale ma, evidentemente, è scandaloso solo se a mignotte ci va Berlusconi, se ci vanno D’Alema e compagni, è tutto regolare, tutto lecito. Quando sono i “rossi” a concedersi i piaceri della carne a pagamento la zelante pm Ilda Boccassini evidentemente si distrae… Non possiamo tollerare questo continuo doppiopesismo di chi vive d’invidia e tenta di demonizzare e abbattere il nemico con ogni mezzo. Pubblichiamo qui di seguito un’interessantissima inchiesta de Il Giornale che dimostra come la prostituzione fosse diffusa a Palazzo Chigi e a Montecitorio anche quando il presidente del Consiglio era Massimo D’Alema e ciò non provocava la solerte reazione della magistratura.

Un giro di squillo esercitava pressioni su uomini vicini all’allora premier per ottenere favori e appalti pubblici. Persino con incontri hard alla Camera: “Offerti favori sessuali in cambio di forti benefici economici”.

 Appalti, squillo e festini a Palazzo. Sì, proprio dentro la Camera dei deputati. Nell’ufficio di un «personaggio importante», per dirla con l’ispettore della Squadra mobile che s’era subito mosso dopo la soffiata di una prostituta, una sua fonte. Lo sbirro della Buoncostume aveva scoperto che ben due squillo entravano a Montecitorio senza lasciare documenti all’ingresso e che dopo esser stata accolta da un «segretario», una di loro successivamente veniva fatta accomodare in una stanza dove di lì a poco si sarebbe «congiunta carnalmente» con un personaggio, all’epoca, definito «importante». Se sia lo stesso che ha anche convinto i commessi a non registrare il passaggio della escort, non lo sapremo mai visto che l’inchiesta nata sul finire del 1999 è abortita pochi mesi dopo con la condanna a un anno (previo patteggiamento) della sola maîtresse che organizzava gli incontri coi politici.

E proprio dalle carte di quell’inchiesta dimenticata escono ora le intercettazioni e i verbali delle escort che tirano in ballo i fedelissimi dell’ex premier Massimo D’Alema. Più informative della Squadra mobile di Roma che ribadiscono come la maîtresse R.F. contattasse «noti personaggi del mondo politico e di enti pubblici» al fine «di ottenere appalti o erogazioni in denaro» organizza per loro «incontri a sfondo sessuale». A mo’ d’esempio l’ex capo della Mobile, Nicolò D’Angelo, allega una lunga serie di conversazioni nella sua nota alla procura. A cominciare da quella del 29 settembre nella quale Vincenzo Morichini, fedelissimo del leader Ds, ex ad di Ina-Assitalia, parla con la maîtresse di una festa a casa di Franco Mariani (già dirigente pci, presidente dell’ente porto di Bari, dalemiano di ferro)».

«IO HO FATTO LA BRAVA MA… GLI AMICI SONO STATI CATTIVI»

La donna dice di averlo saputo direttamente la sera prima «dal suo amico Roberto» (De Santis, eminenza grigia dell’ex premier, azionista delle sale bingo, l’imprenditore che vendette la barca Ikarus a Baffino, ndr) intervenuto a una cena a casa di Franco dove erano presenti la maîtresse e due squillo. «Io ho fatto la brava bambina – ride la donna al cellulare – mentre Franco e Roberto con le mie amiche hanno fatto i cattivi… ». Solo il giorno prima la maîtresse aveva cercato di portare a casa un affare pubblicitario in corso con l’Ina-Assitalia, affare osteggiato a suo dire da Checchino Proietti (parlamentare Pdl, all’epoca segretario di Gianfranco Fini). Così chiama direttamente Morichini in ufficio: «Senti, quella lista sarà pronta per giovedì». A quel punto Morichini – scrive la polizia – «le comunica che vorrebbe scopare. Lui le dice che le ha risolto i problemi con la Banca di Roma e con l’Alitalia. R.F. gli rappresenta che se gli risolve i problemi, lei si metterà a “tappetino” con lui». In realtà i problemi con Alitalia persistono. Così la maîtresse pensa di sbloccare la questione dell’appalto del calendario Alitalia ricorrendo agli amici che contano.

«MA QUESTI SONO PAZZI A DIRE NO A D’ALEMA»

È decisa a far valere le sue amicizie importanti, e lo confessa candidamente al telefono: «Ma questi so’ pazzi, ma che stiamo scherzando? L’Alitalia che dice di no a D’Alema! Ma non esiste, non è possibile… ». Più avanti aggiungerà, sempre al telefono, che adesso «lei andrà con Franco (Mariani) ed Enzo (Morichini) dal direttore generale il quale dovrà dirle di no davanti a loro». Passano quattro giorni e Mariani richiama la donna dicendole che sta andando lui a parlare da Zanichelli (pubbliche relazioni Alitalia). Alcune telefonate dopo, ecco l’ok di Mariani nel sunto della polizia. «Franco chiama R.F. e le comunica che ha parlato con Marco (Zanichelli, ndr) e lo stesso ha garantito che gli darà una mano per il convegno alla presidenza del Consiglio facendogli assegnare la sponsorizzazione richiesta, e che farà rifare nuovamente a R.F. la rivista dell’Alitalia». Le telefonate successive vertono su un festino a cui la maîtresse porterà due ragazze: «Porta anche la tua sorellina… », scherza Mariani. «Ok, ti devo dare il numero di una nuova massaggiatrice, così cambi un po’… », ribatte lei. Ma non c’è solo l’Ina-Assitalia nei desiderata della maîtresse. Per perorare le cause dell’amica, Morichini si spende direttamente col presidente dell’Acea. E intanto R.F. si dà un gran da fare per allietare i suoi amici. A Maria P., il 21 settembre, ricorda che in settimana deve «chiudere la storia con la Banca di Roma» altrimenti si trova «in grossa difficoltà».

«DEVO PORTARE COMPAGNIA? DUE, CHE SIAMO GIÀ TROPPE»

Chiacchierando con un’altra ragazza della sua scuderia, Eliana C., le ricorda di andare a casa di Franco per la festa. «Eliana – annota il poliziotto che ascolta in cuffia – le chiede in modo criptato: “Quante compagnie devo portare?”. R.F. risponde che bastano due, “perché sono già molte”… ». Laconico il commento del capo della Squadra mobile nella sua ennesima corrispondenza con la procura: «La donna che inequivocabilmente procura ragazze a molte persone organizzando incontri sessuali, utilizza però tale “chiave di accesso” per ottenere dai destinatari di queste “attenzioni” che sembrano essere tutti ai vertici di strutture pubbliche e private, favori e indebite pressioni al fine di ottenere benefici economici nella forma di ghiotti appalti o incarichi ben remunerati. Appare infatti chiaro che ci troviamo di fronte a un particolare sfruttamento della prostituzione, in cui il ruolo di R.F. è quello di una maîtresse molto particolare». Sesso in cambio di un aiutino per gli affari.

«ERAVAMO IN 6 A FARE SESSO CON AMICI IMPORTANTI… »

Tra festini e appalti, gli agenti della Settima sezione della Mobile tra settembre e ottobre 1999, sono costretti a convocare in questura una quindicina di ragazze protagoniste dei party a luci rosse organizzati dalla maîtresse per gli amici influenti. È Stefania C. a svelare il giro: «Mi venne detto che R.F. aveva bisogno di incontri a sfondo sessuale con suoi amici (…). Il primo incontro avvenne a piazza Colonna» dirimpetto Palazzo Chigi. «Ricordo che eravamo in sei, tre uomini e tre donne, e la serata proseguì negli uffici di via della Colonna Antonina dove avemmo separatamente incontri sessuali (…). Ricevetti da R.F. la somma di 600mila lire, e ricordo che organizzava tali incontri sessuali al fine di chiudere contratti di lavoro che erano in corso (…). Ricordo infine che durante gli incontri sessuali sia io che le altre partecipanti, eravamo sotto lo stretto controllo di R.F. la quale faceva attenzione che nessuna di noi stringesse rapporti con i suoi amici intervenuti, che lei diceva essere personaggi molto importanti». Il 20 ottobre anche Giovanna F., nel suo verbale, fa riferimento alle assidue frequentazioni politiche della maîtresse mirate a mettere le mani su vari appalti, specie in Alitalia: «La prima volta che siamo uscite insieme, R.F. mi chiese se fossi disposta a uscire con lei unitamente a suoi “importanti amici”. In quell’occasione mi rappresentò che dovevo avere dei rapporti sessuali con gli stessi, in cambio avrebbe provveduto lei a sdebitarsi con me facendomi una serie di regali, rappresentandomi che tali amicizie erano fondamentali per lei al fine di procurarsi una serie di appalti presso importanti società sia pubbliche che private (…). Gli incontri sessuali – continua Giovanna F. – sono stati quattro. A questi, a fasi alterne, hanno partecipato Franco Mariani insieme a un certo Roberto (De Santis, ndr) e in una occasione con tale Enzo Morichini, con il citato Roberto» o a casa di Mariani al Colosseo oppure direttamente nell’ufficio della maîtresse in via della Colonna Antonina.

«ANCHE LO STRIPTEASE PER IL PARTITO DI SINISTRA»

«In un appuntamento a sfondo sessuale organizzato da R.F. – prosegue Giovanna F. – oltre alla stessa ho partecipato io e una ragazza che conosco con il nome di Arianna. Questo incontro avvenne a casa di Mariani. Per tale prestazione come da accordi precedenti ho ricevuto in regalo da Rita un anello in metallo bianco e brillanti». Il 22 ottobre sfila negli uffici della polizia in via di San Vitale Patrizia C., altra ragazza gettonatissima dalla maîtresse: «Durante alcune serate conobbi molti amici di R.F. che lei mi diceva appartenessero al mondo politico (…). Ho avuto tre rapporti sessuali con l’uomo di nome Franco mentre R.F e le altre erano rimaste al piano di sotto dove era in corso uno striptease. Alcuni dei presenti si scambiavano effusioni amorose (…). Durante gli incontri cercavo di avere con i suoi amici un atteggiamento positivo e carino, anche perché a dire di R.F. loro appartenendo al partito della sinistra erano in grado di procurarmi facilmente il lavoro (…) e ricordo che R.F. diceva che le persone che incontravamo alle feste erano personaggi influenti che servivano per il suo lavoro». Eliana C. non è da meno: «R.F. in alcune occasioni mi ha invitato in alcune feste private (…) e l’ultima a cui sono andata l’ha organizzata un certo Franco in zona Colosseo». Concludendo: «Sono a conoscenza che R.F. ha contattato per farsi “aiutare” in questa situazione Franco Mariani, non so se lo stesso si sia attivato o meno, R.F. mi ha detto in passato che Franco è un personaggio politico».

TARIFFA FISSA: 800MILA E IN REGALO ANELLI

Sulle presunte protezioni politiche di cui avrebbe goduto R.F. per fronteggiare l’offensiva della polizia e della magistratura finite a curiosare tra gli appalti vinti in Alitalia, parla anche Anna Maria G. interrogata il 15 ottobre 1999 al secondo piano della questura: «A un certo punto R.F. ha concluso il suo sfogo dicendo che aveva importanti amicizie politiche e che non le potevano fare nulla perché lei era pulita». Come contropartita economica alle prestazioni effettuate dalle ragazze nei festini organizzati per gli uomini vicini all’ex premier Massimo D’Alema, R.F. «faceva regali (anelli, telefonini, giacche di pelle, somme di denaro per interventi di chirurgia estetica, ecc. ) oppure pagava di tasca sua».

di Gianluca Vallerossa

Fonte: Il Tibetano

http://www.imolaoggi.it/?p=50411