Divorzio all’Italiana

di Stefano Sanna

Quando sento parlare di divorzio le immagini che mi vengono in testa sono quelle del film di Pietro Germi, divorzio all’italiana, dove i personaggi arrivano ad una separazione drammatica e cruenta (splendidamente e ironicamente raccontata da P. Germi) senza nessuna possibilità di accordo. Ed è così che ho immaginato anche il cosiddetto divorzio tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro: un crescendo di situazioni non più conciliabili che hanno portarono “al divorzio”. Ma così non è andata.

Questa è la storia.

 Nel 1980 Beniamino Andreatta è ministro del Tesoro, e dall’alto della sua “sapienza economica” individua subito i due problemi più urgenti da risolvere per risollevare l’Italia dalla morsa dell’inflazione:

a) Liberare la Banca d’Italia dall’obbligo di garantire il finanziamento del Tesoro

b) Ed eliminare “Il demenziale rafforzamento della scala mobile prodotto dell’accordo tra Confindustria e sindacati confederali del 1975”

Inoltre ritiene che questa situazione possa mettere in pericolo la presenza nello SME dell’Italia. (articolo del 1991 sul sole 24 ore di Andreatta).

 Ed allora con il parere favorevole dei suoi consulenti scrive una lettera come Ministro del Tesoro alla Banca d’Italia per ridefinire gli accordi tra Tesoro e Banca d’Italia.

La lettera parte il 12 febbraio del 1981 e la risposta dalla Banca d’Italia arriva il 6 marzo del 1981.

La risposta di “sostanziale accordo” è del Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi.

L’accordo è fatto e diventa operativo dal luglio dello stesso anno.

Non si è trattato di un divorzio ma di un matrimonio di interesse.

 Con questo accordo il Ministero del Tesoro rinunciava alla sua sovranità nel definire il livello dei tassi di emissione dei titoli lasciando al mercato la sua definizione.

 “…Lo strumento delle aste competitive, deciso in questo accordo, consentiva al mercato ( in realtà le solite grandi banche da privatizzare) di ottenere tassi altissimi su tutta l’emissione… Bastava che gli operatori si mettessero d’accordo per non comperare una piccola parte dell’emissione stessa, ed il gioco era fatto”

 (N.Galloni, chi ha tradito l’economia italiana?)

 “Dopo il divorzio i tassi di interesse reali tornarono stabilmente su livelli positivi, compatibilmente con il progressivo rientro dell’inflazione e con la permanenza nello Sme; il fabbisogno pubblico viene finanziato pressochè per intero sul mercato senza creazione di base monetaria, inizia da parte della Banca d’Italia la pratica di annunciare obiettivi di espansione monetaria.”

 (Mario Draghi, dagli atti del convegno Arel ABI febbraio 2011).

 E’ stata quindi un accordo all’italiana, e non un divorzio, a dare inizio alla demolizione della nostra sovranità. Un matrimonio di pura ispirazione neoliberista, un matrimonio d’interesse dove l’interesse non era quello del 99% della popolazione italiana ma del solo1% che vuole vivere del nostro sangue. Un accordo raggiunto tra due rappresentanti della classe dei Rentiers fuori da ogni regola di democrazia e contro la democrazia; un passaggio economico irreversibile come Monnet aveva insegnato verso il nuovo ordine tecnocratico.

SELVAGGIO OMICIDIO A CASTAGNETO CARDUCCI:APPELLO DI TOSCANA GRANDUCALE AL MINISTRO DELL’ INTERNO

Dopo l’ arresto di un clandestino africano, ritenuto il responsabile dell’ efferato omicidio della giovane cameriera di 19 anni di Castagneto Carducci, il Segretario Regionale di Toscana Granducale, rivolge un forte  e deciso appello al ministro dell’ Interno, affinchè la situazione dell’ ordine pubblico in Toscana sia riportata pienamente sotto controllo. E a tal scopo si appella al ministro Alfano, perche’ venga realizzato immediatamente un CENTRO IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE  a Pisa presso l’ aereoporto militare, una struttura non tanto grande, capace di accogliere almeno 50 clandestini, per effetturare coattivamente i rimpatri di clandestini presenti sul territorio toscano. Questo perche’ a causa della Mancanza di un Centro Espulsione in regione, spesso i clandestini fermati non possono essere inviati in altri Cie nazionali causa il loro sovraffollamento e mancanza di risorse finanziarie per i trasporti. Il Segretario Regionale di Toscana Gran ducale Luigi Cartei si appella al ministro dell’ interno affinche’ situazioni di estrema gravita’ per l’ ordine pubblico, dovute alla presenza di numerosi clandestini, siano sanate e risolte, specie nelle citta’ di Firenze, Prato, in centro come CAMPI BISENZIO, Pisa, Viareggio, Livorno, Quercianella e Donoratico dove la presenza di clandestini africani ormai non e’ piu’ gestibile e tollerabile per l’ ordine e la sicurezza pubblica. Infatti con la crisi economica molti venditori abusivi stanno ripiegando su attivita’ criminose come furti  e lo spaccio droga: dalle auto con i finestrini rotti per rubare, come fanno questi africani alla stazione di Livorno, si passa poi ad attivita’ come lo spaccio di droga evidentemente piu’ redditizia che vendere paccottaglie. E’ il momento di dire basta, e’ il momento di riportare alla sicurezza la Toscana e ridare pace e serenita’ ai Toscani. Per questo il Segretario Regionale di Toscana Granducale Luigi Car tei, sprona il ministro Alfano , il governo, il premier Enrico Letta, ad intervenire duramente in Toscana, perche’ e’ ora di ESPELLERE senza indugi che si reca nel nostro Paese con la chiara intenzione di delinquere e UCCIDERE!! TOSCANA GRANDUCALE DICE NO ALL’ ACCOGLIENZA SENZA LIMITI, TOSCANA GRANDUCALE DICE NO A CLANDESTINI, SPACCIATORI, ABUSIVI. TOSCANA GRANDUCALE AL FIANCO DEI TOSCANI IN DIFESA DELLA LORO SICUREZZA E DELLA LORO LIBERTA’!!!

LUIGI CARTEI

SEGRETARIO REGIONALE TOSCANA GRANDUCALE

Fonte: Il Monitore Toscano


http://voxnews.info/2013/05/03/selvaggio-omicidio-a-castagneto-carducciappello-di-toscana-granducale-al-ministro-dell-interno/

 

PERCHÉ DARE SOLDI A CHI È PIÙ RICCO DI NOI? LONDRA TAGLIA GLI AIUTI VERSO INDIA E SUDAFRICA, L’ITALIA NO

Che senso ha continuare ad dare l’elemosina ai paesi “Brics” che ci stanno sorpassando nella graduatoria delle nazioni più ricche? – La Gran Bretagna sospenderà gli aiuti, noi continuiamo ad aiutare Paesi, come l’India, che arrestano i nostri militari e “sequestrano” gli ambasciatori…

 Maurizio Stefanini per “Libero”

 È almeno dal 2010 che si ripete come dovranno essere i Brics a mettere i soldi per salvare le economie di Europa e Nord America; la Cina è ormai la seconda economia del mondo, ha già superato gli Usa come prima potenza commerciale ed ha in mano la gran massa dei loro debiti; il Brasile è arrivato al sesto posto sorpassando Italia e Regno Unito; anche Russia e India ci hanno sorpassato, lasciandoci decimi; in particolare la Cina sta approfittando della crisi per fare shopping in lungo e il largo nel mondo, seconda solo al Qatar; e all’ultimo loro vertice di Durban del 26 e 27 marzo i Brics non solo si sono accordati per costruire una loro banca in grado di fare concorrenza a Banca Mondiale e Fmi, ma stando a quanto ha riferito Monti in Parlamento avrebbero addirittura minacciato l’Italia di sanzioni se i due marò non venivano riportati in India.

 Va bene che come reddito pro capite resta ancora un abisso: ma ha ancora senso che i Paesi ormai ex-ricchi continuino a mandare soldi per lo sviluppo proprio di questi Paesi che ormai agiscono e ragionano come se fossero loro i nuovi padroni del mondo? No, ha deciso il governo britannico.

 A un convegno sulla cooperazione in corso a Londra con ministri africani e uomini d’affari Justine Greening, Segretario (conservatore) allo Sviluppo Internazionale del governo Cameron ha annunciato che i programmi rivolti al Sudafrica, ormai ridotti rispetto al picco di 40 milioni di sterline del 2003 ma tuttora del valore di 19 milioni di sterline all’anno, cesseranno dal 2015.

 Erano somme che servivano sia a ridurre la mortalità tra le partorienti che a promuovere imprenditoria locale ma a questo punto la Greening ha spiegato che «la relazione del Regno Unito col Sudafrica va basata sul commercio, non più sullo sviluppo».

 Londra è «orgogliosa» del lavoro fatto per la sua ex-colonia, ma «ormai noi e le nostre controparti sudafricane siamo d’accordo che il Sudafrica è in condizioni di finanziare il proprio sviluppo da solo». D’altra parte, sempre la Greening lo scorso novembre aveva annunciato un’analoga evoluzione rispetto a un’altra ex-colonia. «L’India si sta sviluppando con notevole successo economico», aveva detto.

 Anche lì, dunque, i 200 milioni di sterline stanziati tra oggi e il 2015 saranno gli ultimi. Ong come Oxfam hanno manifestato dubbi, ma il ministro degli esteri Salman Kurshid, lo stesso che i giornali italiani hanno ormai iniziato a conoscere per via della storia dei marò, aveva a sua volta convenuto: «l’aiuto è il passato, il commercio è il futuro». E non solo il commercio, visto che l’India è il terzo investitore straniero nel Regno Unito. 

Prima ancora, nel febbraio del 2011 il governo aveva resa nota una nuova lista di 16 Paesi che pure sarebbero stati depennati dall’elenco di quelli da aiutare, in modo da poter concentrare le risorse sui 27 altri Paesi da cui proviene il 75% delle morti per parto e malaria. Tra i Paesi da togliere l’Angola, nuova potenza petrolifera che sta investendo massicciamente nell’ex-madrepatria Portogallo; la Cina; la Russia. Ricordiamo che Londra è più ricca dell’Italia e avrebbe anche più obblighi morali, visto che ai suoi tempi colonizzò un quarto del pianeta.

 A parte che noi di responsabilità per il passato ne abbiamo molte di meno, si dà il caso che con due dei Brics abbiamo avuto recenti dissapori: con il Brasile per il caso Cesare Battisti e con l’India per il caso marò. Inoltre, come abbiamo visto, i Brics ci hanno minacciato come insieme. Ovviamente non si parla di fare guerre, e neanche di sospendere relazioni commerciali che sono fondamentali. Ma sarebbe interessante, per lo meno aprire un dibattito sul modo in cui a questi Paesi che ci sequestrano perfino l’ambasciatore continuiamo a dare aiuti?

 All’India, ad esempio, nel 2010 abbiamo inviato 12 milioni di euro, e col Brasile c’è un programma triennale di aiuti all’agricoltura familiare da più di un milione e mezzo di euro, più una serie di aiuti per 800.000 euro proprio ai poveri che invece il governo locale ha sloggiato in vista della costruzione delle infrastrutture per Mondiali e Olimpidi.

 Peraltro la Direzione generale della Cooperazione allo Sviluppo (Dcgs) segnala progetti anche in Sudafrica (55 milioni di euro tra 1985 e 2010) e perfino in Cina, anche se aggiunge che «è stata tuttavia avviata una riflessione sulla metodologia della nostra cooperazione in considerazione dell’andamento economico positivo che ha fatto registrare elevati indici di sviluppo nel Paese».

Attenzione all’Appennino: sta franando

Tizzano Val Parma è un Comune dell’Emilia interessato da gravissime frane: ma nessuno fa niente. Già 30 gli sfollati, mentre l’intero versante è in pericolo. [Cinzia Gubbini]

Redazione

giovedì 2 maggio 2013 

 Le persone evacuate sono già 30, ma la frana fa paura: corre lungo due chiloemtri e mezzo sull’Appennino tosco-emiliano. Eppure quel che sta accadendo nel Comune di Tizzano Val Parma, in Emilia Romagna, per ora solleva pochissimo interesse e scarsa indignazione. Proprio stamattina, però, i sindaci della zona si sono dati appuntamento insieme all’Associazione nazionale bonifiche (Anbi) per ragionare sul dissesto idrogeologico della zona. Titolo esemplificativo: “Appenino, ultima chiamata”. “O il governo decide di intervenire, non solo sulla scoprta delle emergenze, ma comprendendo che la messa in sicurezza del territorio è una priorità, o continueremo a spendere soldi e perdere attività produttive. Perché ricordiamolo: ai costi dell’emergenze delle frane vanno poi aggiunti quelli delle aziende che chiudono i battenti, delle famiglie che perdono casa”, dice il presidente dell’Anbi, Massimo Gargano.

 Una emergenza nella “vacanza” di governo. A Tizzano per ora non è stata dichiarata alcuna emergenza. Motivo? Il disastro è avvenuto dopo le elezioni, con il governo Monti che non ha voluto – evidentemente – dare il via libera a spese “straordinarie” e quello nuovo che tardava a formarsi. Appena insediato l’esecutivo Letta, il sindaco di Tizzano ha inviato una lettera al nuovo presidente del Consiglio: qualcuno lo ascolterà? Per capire cosa sta succedendo a Tizzano, e nei Comuni limitrofi, basta visitare la pagina Facebook “Tizzano Emergenza Frane”: le immagini fanno paura. Bisogna scorrere indietro, risalire al 15-20 aprile, quando si sono verificati i danni peggiori, e quando i giovani assessori hanno cominciato a fotografare, archiviare. Un modo per denunciare tutto quel che sta accadendo, perché non si faccia finta di non sapere. E’ un miracolo che non sia morto nessuno. Le fotografie fanno paura: in pratica la montagna sta camminando. “I movimenti franosi hanno interessato per ora due strade regionali e cinque comunali e hanno compromesso diverse abitazioni e qualche attività produttiva – racconta il sindaco di Tizzano, Amilcare Bodria – per noi è un disastro: intanto perché il Comune, che conta 2 mila abitanti, in estate arriva a ‘gonfiarsi’ di turisti e raggiungiamo gli 8 mila abitanti: chiaramente tutto ciò è compromesso.

Ma non solo: l’interruzione della viabilità ha significato un colpo gravissimo al sistema produttivo: qui produciamo il 10% del prosciutto di Parma e abbiamo due grossi caseifici, che hanno subito grossi danni”.

 La causa dell’emergenza. Le grandi piogge, intanto: “In due mesi e mezzo – dice Bodria – è piovuta mille millilitri di pioggia e ci sono state pesanti nevicate. Una situazione che non si verificava dal ’61, e anche allora le frane ci furono, e furono gravi”. Ma non solo, come spiega Gargano dell’Anbi: “Se da un lato il cambiamento climatico si sta strutturando, abituando il nostro paese a concentrazioni molte severe di pioggia – spiega – bisogna aggiungere due fattori: la scarsa cura del territorio con una fortissima impermeabilizzazione del territorio, dovuta alla cementificazione: dal 2005 abbiamo cementificato 244 mila ettari di terra. Infine – continua Gargano – non bisogna sottovalutare l’enorme danno causato dall’abbandono dei campi nelle zone più impervie, come l’Appennino: e non si fa nulla per tenere lì i contadini”.

 La prevenzione che non c’è: Risultato: piove e la terra frana, travolgendo case, strade, aziende. A volte, purtroppo, anche persone. Succede sempre più spesso. E sarebbe evitabile: “Come Anbi abbiamo 1.051 progetti cantierabili anche domani per arginare il dissesto idrogeologico del paese: interventi che oltre a salvare pezzi di territorio creerebbero anche posti di lavoro”, dice ancora Gargano. Perché non si fa? Soldi: “Ma è una scusa che non regge – insiste il presidente dell’Associazione nazionale bonifiche – perché per avviare questi progetti servirebbero 836 milioni di euro, meno di un miliardo. Intervenendo sull’emergenza si spende molto di più, e lì i soldi in un modo o in un altro si trovano sempre”. A Tizzano si stima che ci vorranno tra i 7 e gli 8 milioni di euro per rimettere a posto le cose. “E’ risaputo – conclude Gargano – se la prevenzione costa 1 euro, l’ intervento in emergenza ne costa 5”. E poi si parla di spesa pubblica.

Inutilità della riduzione del tasso di sconto sul credito a fami glie ed imprese.

4 maggio 2013 Di Giuseppe Sandro Mela

Giuseppe Sandro Mela.

   Valutare problemi complessi, quale quello del credito bancario a famiglie ed imprese, richiederebbe di passare al vaglio tutti i fattori che influenzano direttamente od indirettamente il fenomeno, non uno escluso. Non tenere in considerazione un qualche aspetto porta inevitabilmente a formulare giudizi incorretti e, peggio ancora, a richiedere o mettere in atto azioni inutili e spesso dannose.

  Di questi giorni la Bce ha ulteriormente abbassato il tasso di sconto, ma sono molte le persone fortemente perplesse sulla reale utilità di questa manovra nei confronti del tema in oggetto.

  Infatti, il ragionamento predominate argomenta che la riduzione del costo del denaro e la relativa facilità di accesso al credito Bce dovrebbero mettere le banche in grado di avere la liquidità necessaria per finanziare maggiormente famiglie ed imprese.

  Questo ragionamento é corretto in sé e per sé, ma fuorviante se decontestualizzato, perché non tiene conto del rapporto reale intercorrente tra banche da una parte e famiglie ed imprese dall’altra. Ciò non stupisce più di tanto in questo clima di demonizzazione delle banche, alle quali sono addossate tutte le colpe dei problemi attuali. Ma quando si valuta il problema dal loro punto di vista, emergono molti e consistenti aspetti che rendono ragione del loro comportamento. Ne menzioneremo solo alcuni per non tediare il Lettore.

  1. La quasi totalità dei Governi dell’eurozona obbliga le banche a detenere titoli di stato quali riserve, che sono principalmente costituite utilizzando il denaro loro imprestato dalla Bce. É in altre parole in corso un’operazione per la quale il debito sovrano sia relegato al’interno dello stato emittente. Solo per esempio ricordiamo che le banche italiane detengono adesso oltre 351 miliardi di titoli sovrani italiani.

  Due fattori da rimarcare. In primo luogo, questa operazione è in perdita per il sistema bancario, che impiega denaro ad un tasso di interesse molto minore di quello ottenibile dai prestiti a famiglie ed imprese. In secondo luogo, così facendo sono stati sottratti all’economia reale centinaia di miliardi di euro che avrebbe potuto essere iniettati nel sistema.

  2. Il prestito bancario a famiglie ed aziende è subordinato alle garanzie che esse possono addurre: garanzie che in questo clima di depressione incipiente stanno subendo una progressiva e severa svalutazione nel tempo. Due esempi.

  Nel primo esempio si consideri il classico mutuo per l’acquisto di un immobile ad uso abitativo. Negli ultimi cinque anni il valore reale degli immobili si é deprezzato di un fattore variabile dal 25% al 40% a seconda di tipologia ed ubicazione, e nulla lascia presumere in una ripresa del mercato, complice anche la costante diminuzione delle nascite.

  Ne consegue cha la banca può erogare solo finanziamenti a parziale copertura del costo totale dell’immobile, tenendo conto di quello che potrebbe essere nel tempo il valore di realizzo in caso di insolvenza. Si finanzia quindi solo un 30%-40% dell’importo totale.

  A ciò si aggiunga la grande difficoltà di stimare quanto sia solido il rapporto lavorativo del richiedente, in un periodo in cui si riscontra un aumento sempre crescente di licenziamenti, anche da parte di aziende ritenute essere solide. La perdita del lavoro da parte del richiedente comporterebbe immediatamente l’insolvenza del mutuo.

  Si valutino infine anche la severa farraginosità, lunghezza e costo delle procedure necessarie alla banca per entrate in pieno possesso di un immobile il cui acquirente sia divenuto insolvente.

  Nel secondo esempio si consideri il credito alle imprese. Nel solo anno 2012 tra fallimenti (12mila), liquidazioni (90mila) e procedure non fallimentari (2mila) sono state 104mila le aziende italiane perse. Una quota non indifferente di tali perdite é adducibile alle concrete difficoltà a rimanere sul mercato in un momento depressivo, ove si assiste ad una contrazione dei consumi e, quindi, dei fatturati. Ma una quota per nulla trascurabile é dovuta al fatto che aziende di per sé stesse sane é portata alla chiusura dal ritardo nei pagamenti dei manufatti e/o servizi erogati.

  Questa situazione é di severa entità e risulta anche essere particolarmente difficoltosa da essere quantizzata. La banca può studiare con la massima attenzione bilanci e business plan di una realtà produttiva, ma le previsione degli andamenti dei mercati sono quanto mai incerte e risulta del tutto impossibile analizzare anche i bilanci dei clienti del richiedente, per valutare anche la loro solvibilità.

  La conseguenza é coerente ai presupposti: le banche tendono a finanziare solo realtà di grandi dimensioni oppure con dei bilanci più che solidi e con ampie garanzie in titoli, immobili o macchinari, per cercare di evitarsi crediti in repentina sofferenza.

  Così facendo però rimangono tagliate fuori dal circuito del credito tutte quelle realtà aziendali che con un finanziamento avrebbero potuto superare un momento di crisi transitoria. Nessuno è disposto a finanziare realtà in crisi.

  3. Queste semplici e banali considerazioni dovrebbero far riflettere come il vero nodo del problema non risieda tanto nella disponibilità di liquidità a basso costo, quanto piuttosto nel risanamento strutturale delle imprese, sgravandole di ogni possibile ostacolo alla produzione.

  Tre i punti da stressare, tra i tanti che sarebbero da prendere in consdierazione.

  In primo luogo, in un sistema che non consenta a cittadini ed imprese di lavorare e di guadagnare sarà sempre impossibile che essi possano accedere al credito per migliorare le loro condizioni e produttività.

  In secondo luogo, sarebbe ipocrita parlare di sviluppo e crescita, di contenimento della disoccupazione, senza focalizzare come siano proprio le imprese a generare posti di lavoro. La Collettività può, ed in alcuni casi dovrebbe, sopperire alle esigenze elementari delle persone meno fortunate ed abili, ma ciò è e rimane un palliativo. Senza una ripresa economica non possono sussistere né sviluppo né crescita, che in fondo in fondo sono solo sinonimi di arricchimento. Arricchimento che non dovrebbe più  lungo essere demonizzato e penalizzato con tassazione eccessiva.

  In terzo luogo, sarebbe davvero impellente il razionalizzare che per definizione la “depressione” consiste in una severa perdita del potere produttivo e conseguentemente del potere di acquisto. Pensare di poterne uscire senza perdite sarebbe pura utopia, propalare tale idea sarebbe pura e semplice demagogia. E, si badi bene, la perdita della categoria imprenditoriale é forse il danno più severo inferto dalla depressione: per rimpiazzarla non basta soltanto istruzione e competenza specifica, ma anche la volontà di imprendere. Volontà che può manifestarsi esclusivamente in un clima di rinnovata fiducia.

  RischioCalcolato. 2013-04-04. Oltre 15.000 imprese fallite. Colpa dello Stato che non paga!

  Mentre il tira e molla del governo sui pagamenti alle imprese dei crediti che esse vantano va per le lunghe, sono oltre 15.000 le imprese italiane che dall’inizio della crisi alla fine del 2012 sono fallite a causa dei ritardi dei pagamenti: questa è la stima della Cgia secondo cui “tra il 2008 ed il 2012 i fallimenti causati dai ritardi dei pagamenti siano aumentati piu’ del doppio (+114%): nel 2008 erano 1.800, a fine 2012 hanno toccato quota 3.860: 60.000 i posti di lavoro persi”. E a fronte delle 15.000 imprese italiane che dall’inizio della crisi alla fine del 2012 sono fallite a causa per i ritardi dei pagamenti sono stati persi circa 60.000 posti di lavoro.  ”Si tratta di dati molto preoccupanti, che mettono in luce – si legge in una nota – gli effetti negativi sul tessuto produttivo ed occupazionale italiano dei ritardati o mancati pagamenti (siano essi imputabili a committenti privati o a quelli pubblici)” .

  I risultati a cui e’ giunta la Cgia di Mestre hanno origine da alcune osservazioni realizzate da Intrum Justitia. Secondo questo istituto, il 25% delle imprese fallite in Europa chiude a causa dei ritardi dei pagamenti. Tenendo presente che l’Italia e’ maglia nera in Europa per quanto concerne la mancata regolarita’ dei pagamenti tra la Pubblica amministrazione e le imprese nonche’ nelle transazioni commerciali tra le imprese, la Cgia stima che “tra il 2008 ed il 2010 questa incidenza abbia raggiunto la soglia del 30%, per salire al 31% nel biennio 2011-2012″. “Pertanto, a fronte di oltre 52.500 fallimenti registratisi in Italia nel quinquennio preso in esame, la CgiA stima che poco piu’ di 15.100 chiusure aziendali siano addebitabili ai ritardi nei pagamenti”.  Un vero “dramma” che, prosegue la nota “oltre alle chiusure di queste attivita’ ha provocato la perdita di almeno 60.000 posti di lavoro”.

  “Oltre ai ritardi nei pagamenti – osserva il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi – hanno sicuramente concorso alla chiusura di queste attivita’ anche gli effetti nefasti della crisi, come il calo del fatturato dovuto alla contrazione degli ordinativi e il deciso aumento registrato in questi ultimi anni dalle imposte e dai contributi, oltre alla forte contrazione nell’erogazione del credito che ha caratterizzato l’azione degli istituti di credito nei confronti soprattutto delle piccole imprese”. ”Visto che il 95% delle imprese in Italia ha meno di 10 addetti – ricorda la Cgia – l’eventuale sblocco di una parte importante dei 91 miliardi di euro di arretrati che la Pubblica amministrazione conta nei confronti delle imprese, gioverebbe a tutto il sistema economico ed in particolar modo alle piccole realta’ imprenditoriali”. “Affinche’ cio’ avvenga – conclude Bortolussi – questo provvedimento di smobilizzo deve essere accompagnato dall’impegno dei destinatari di questi pagamenti a saldare in tempi rapidissimi gli arretrati accumulati nei confronti dei propri subappaltatori/subfornitori. Solo cosi’ tutto il sistema produttivo potra’ beneficiare di questa nuova ondata di liquidità”.

  Siamo al paradosso, par quasi che  quei soldi non siano dovuti a chi ha lavorato, ma debbano essere considerati una forma di magnanimità dello Stato. ma se le tasse non vengono pagate alla scadenza dovuta, subito si allerta Equitalia. Ormai, il buon senso è morto in Italia.

  Sole24Ore. 2013-02-13. Nel 2012 chiuse 104.000 imprese: + 2,2% rispetto al record dell’anno prima.

  I dati Cerved (il gruppo specializzato nell’analisi della situazione finanziaria delle imprese) parlano chiaro, le imprese italiane non vedono ancora la luce in fondo al tunnel. Il 2012 si è confermato come l’anno più duro della crisi per il numero di imprese che hanno chiuso: tra fallimenti (12mila), liquidazioni (90mila), procedure non fallimentari (2mila) sono state 104mila le aziende italiane perse.

  Si ricorre al concordato preventivo

  Un’analisi su informazioni di dettaglio del Registro delle Imprese indica poi un vero e proprio boom dei nuovi concordati preventivi: si stima, prosegue il Cerved, che nel solo quarto trimestre del 2012 siano state presentate più di mille domande, soprattutto nella forma del concordato con riserva (un valore paragonabile alle domande di «vecchio concordato presentate in tutto l’anno).

  Il dato totale sulla chiusura delle aziende l’anno scorso è stato superiore del 2,2% al record toccato nel 2011. «Il picco toccato dai fallimenti – commenta Gianandrea De Bernardis, amministratore delegato del Cerved – supera del 64% il valore registrato nel 2008, l’ultimo anno precrisi: sono stati superati anche i livelli precedenti al 2007, quando i tribunali potevano dichiarare fallimenti anche per aziende di dimensioni microscopiche».

  Nel 2012 la recessione ha avuto un impatto violento nel comparto dei servizi (+3,1%) e nelle costruzioni (+2,7%), mentre la manifattura – pur con un numero di fallimenti che rimane a livelli critici – ha registrato un calo rispetto all’anno precedente (-6,3%).

  Dal punto di vista territoriale, le procedure sono fortemente aumentate nel Nord Ovest (+6,6%) e nel Centro (+4,7%), mentre sono rimaste ai livelli dell’anno precedente nel Sud e nelle Isole (-0,4%). Nel Nord Est i casi sono invece più chiaramente diminuiti (-4,3%), un dato compensato dal forte incremento delle liquidazioni, che ha portato il totale di chiusure in quell’area a superare quota 20mila (+8,6% sul 2011).

http://www.rischiocalcolato.it/2013/05/inutilita-della-riduzione-del-tasso-di-sconto-sul-credito-a-famiglie-ed-imprese.html

 

Viceministri e sottosegretari? Tra indagati, trombati e impresentabili. E spuntano personaggi Aspen

di Viviana Pizzi

Partiamo dagli indagati e impresentabili di primo livello e troviamo Gianfranco Miccichè ex coordinatore siciliano di Forza Italia. Nel nuovo parlamento non siede perché non rieletto come capolista al Senato. Oltre ad essere un trombato per eccellenza è anche impresentabile. Infatti l’11 gennaio 1988 Miccichè, quando lavorava a Publitalia, venne interrogato nell’ambito di un’inchiesta sul traffico di droga a Palermo, in quanto sospettato di essere uno spacciatore. La posizione venne archiviata mentre gli spacciatori vennero arrestati il 14 aprile dello stesso anno.

L’ 8 agosto 2002 venne invece diramata un’informativa dei carabinieri che lo accusava di farsi recapitare periodicamente della cocaina presso gli uffici del ministero delle Finanze, in cui all’epoca ricopriva il ruolo di vice ministro. L’informativa fu emessa in seguito ad indagini testimonianti, anche tramite supporti audiovisivi, le “visite” che il presunto corriere Alessandro Martello faceva indisturbato presso il ministero, pur non essendo un soggetto accreditato ad entrarvi. Anche le intercettazioni confermerebbero la versione degli organi di polizia. Dal canto suo, Miccichè ha smentito categoricamente, avanzando a sua volta l’ipotesi di un servizio d’ordine deviato.

Ora il suo ruolo è di viceministro della pubblica amministrazione e della semplificazione.

GLI IMPRESENTABILI ECCELLENTI: TRA QUESTI ANCHE IL SINDACO DI SALERNO VINCENZO DE LUCA

Viceministro ai trasporti è il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca. Per cosa è conosciuto costui? E’ indagato per abuso d’ufficio in un procedimento per un’inchiesta sull’urbanistica. Stesso ruolo ma all’interno per il saggio nominato da Napolitano ed ex presidente della Regione Basilicata Filippo Bubbico. E se il ruolo nel governo è lo stesso uguale è anche il reato di cui deve rispondere: si tratta di abuso d’ufficio relativo alle sue attività di lavoro nella sua regione.

Il sottosegretario alle politiche agricole alimentari e forestali Giuseppe Castiglione coinvolto e prosciolto da un’accusa di associazione mafiosa. Il suocero Giuseppe Ferrarello è stato condannato in via definitiva a due anni per corruzione e turbativa d’asta.

Poi c’è il piddino Marco Rossi Doria, sottosegretario all’istruzione dal passato dubbio. Infatti prima di diventare maestro elementare era stato sospeso da scuola per aver partecipato a manifestazioni studentesche dell’estrema sinistra. Il diploma lo ha conseguito l’anno successivo e da privatista.

I BERLUSCONES: DAL PROCESSO RUBY ALLE LEGGI AD PERSONAM

Il viceministro degli Esteri Bruno Archi il 5 ottobre 2012 aveva confermato, durante il processo Ruby, che in un pranzo istituzionale con l’allora presidente Mubarak si parlò della donne come sua parente.

Jole Santelli, sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali, altro non è che un ex avvocato dello studio Previti. Fino al 2006 si è occupata di leggi ad personam per il Cavaliere per salvarlo dagli assalti delle cosiddette toghe rosse. Cosimo Ferri, sottosegretario alla giustizia, ex magistrature indipendente durante la sua permanenza all’Agcom, ha lavorato per bloccare i talk show sui processi del Cavaliere.

C’è pure Simona Vicari, sottosegretario allo sviluppo Economico, solo qualche giorno fa ha sottolineato che “Berlusconi è l’uomo più perseguitato dalla giustizia”.

E POI CI SONO I TROMBATI: PERSONAGGI DEI PARTITI CHE ESCONO DALLA PORTA MA RIENTRANO DALLA FINESTRA

Il primo è Giovanni Legnini sottosegretario all’editoria e all’attuazione del programma. Di marca Pd è stato eletto senatore nelle tre precedenti legislature alle diciassettesima. Trombato ora rientra comunque nello scenario politico. Tra i non rieletti spicca anche il nome della pidiellina Sabrina De Camillis la quale ha ricevuto la delega dei rapporti con il parlamento. Era alla Camera nella scorsa legislatura ma ha mancato il bis per un soffio.

Così come Walter Ferrazza nominato sottosegretario agli Affari Regionali e Autonomie che si era candidato con il Mir di Gianpiero Samorì e naturalmente rimasto fuori dall’emiciclo romano. Il suo nome si è fatto sentire nel novero dei ministri, ed è stata rieletta nella diciassettesima legislatura alla Camera dei Deputati: si tratta di Micaela Biancofiore sottosegretario alle pari opportunità che con questa seconda chiama riesce a conquistare quel ruolo a cui tanto aveva ambito.

Poi c’è il sottosegretario agli affari esteri Mario Giro primo dei non eletti nelle liste di Scelta Civica al Senato del Lazio al quale si aggiunge la collega piddina nominata alla Difesa Roberta Pinotti non rieletta dopo due legislature alla Camera e una al Senato.

Un trombato come ministro è rientrato come vice e si chiama Stefano Fassina che è stato rieletto alla Camera e ora è viceministro dell’Economia, il suo collega Luigi Casero pidiellino è invece uscito dall’emiciclo parlamentare rientrando al Governo.

Altro non eletto di Scelta Civica è Carlo Calenda nominato viceministro allo sviluppo economico. Si era candidato nella circoscrizione Lazio I della Camera.

Nella squadra del nuovo Governo di Enrico Letta entra anche Gabriele Toccafondi, ex parlamentare Pdl e rimasto escluso alle ultime politiche per una manciata di voti. Rocco Girlanda sottosegretario alle Infrastrutture era stato anche nominato a gennaio coordinatore regionale del Pdl in Umbria. E’ stato ricompensato con questo incarico dopo non essere stato rieletto alla Camera. Trombata è anche Cecilia Guerra candidata alla camera col il Pd e non eletta al quale è andato il ruolo di viceministro del Lavoro.

Non manca il nome di Gianluca Galletti capogruppo Udc alla Camera dal 2012 fino alla fine della sedicesima legislatura e poi non rieletto. Ora è sottosegretario all’Istruzione. E per concludere c’è il sardo Paolo Fadda sottosegretario alla salute. Candidato quinto nelle liste del Pd della Sardegna è stato il primo dei non eletti.

E INFINE GLI ASPENIANI

Sono due e guarda caso li infilano tutti e due agli esteri. Entrambi, come il presidente del Consiglio, hanno rapporti con l’Aspen Istitute. Si tratta del viceministro Lapo Pistelli che nel suo curriculum vanta esperienze nella rivista Aspenia insieme al sottosegretario Marta Dassù.

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Ora per completare il quadro mancano gli incarichi nelle società partecipate dello Stato. E anche allora ne vedremo delle belle.

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