ANCORA LA FINOCCHIARO, LA SCORTA E LA SPESA

E’ accaduto STAVOLTA, intorno alle sette di giovedì sera, al supermercato Sma di piazza Pio XI, zona Aurelia.
In un supermercato di Roma la senatrice ha usato la scorta per farsi imbustare e pesare la spesa. Gli agenti hanno impedito ai passanti di fare foto.
Bollò come «miserabile» l’attacco di Matteo Renzi che l’aveva definita inadatta a sedere al Quirinale in quanto «la ricordiamo per la splendida spesa all’Ikea con il carrello umano».
Eppure, incredibile a dirsi, Anna Finocchiaro all’abitudine al carrello umano non ha rinunciato.

https://www.facebook.com/pages/Imola-Oggi/220502124688655


Cronistoria dello scandalo slot-machine, 98 miliardi di evasione fiscale

Prima la denuncia dell’evasione delle slot machine partita dal Secolo IXX nel 2007, di 95 miliardi, poi il colpo di spugna con un accordo tra i Monopoli di stato e le concessionarie, riunite in Atlantis, poi l’interrogazione di Lannuti, interventi di Di Pietro: l’allora ministro delle Finanze, Visco, non risponde, fa lo gnorri. Come stupirsene se è lo stesso che oggi è d’accordo con la criminale EBA – autorità bancaria europea – sull’imposizione di una ricapitalizzazione iniqua e CRIMINALE delle banche, che chiude DEFINITIVAMENTE il rubinetto del credito all’economia del paese, con una mossa criticata da varie personalità di cui persino Maria Cannata, la ‘custode del debito pubblico’ (direttore della Direzione del debito pubblico in seno al Dipartimento del Tesoro)?
L’interrogazione di Lannuti sul caso è stata fatta a dicembre scorso: non ho udito ancora alcuna risposta dal destinatario, il ministro dell’economia Mario Monti… 
N. Forcheri

7 settembre 2007 

 

[La notizia essendo sparita dal sito del Secolo IXX, siete pregati di fare copia incolla al massimo]

98 miliardi di evasione e non si fa nulla?

Lo scandalo slot-machine arriva sul tavolo del governo. Dopo l’inchiesta del nostro giornale e dopo i messaggi dei cronisti del Secolo XIX ospitati dal sito di Beppe Grillo, il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro ha scritto una lettera a Romano Prodi, al responsabile dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa e al viceministro alle Finanze Vincenzo Visco (che da mesi si rifiuta di rispondere alle domande dei giornalisti del Secolo XIX perché, dice, «non mi sono simpatici»).

Di Pietro chiede che la questione venga affrontata in Consiglio dei ministri. La notizia del suo intervento arriva dal suo sito personale (www.antoniodipietro.it). Scrive nel suo messaggio l’ex pm padre di Mani pulite: «Ho ricevuto molte lettere sulla notizia riportata dal Secolo XIX dell’evasione fiscale di 98 miliardi di euro da parte delle società concessionarie ai danni dell’Agenzia dei Monopoli di Stato, struttura preposta al controllo. Ho inviato ai diretti interessati, Romano Prodi, Tommaso Padoa-Schioppa e Vincenzo Visco, e per conoscenza a tutti i ministri, una lettera per discuterne in Consiglio dei ministri. Riporterò sul blog le loro risposte. Ricordo che, come scritto dal Secolo XIX, la Corte dei conti ha chiesto alle società concessionarie alcune decine di miliardi di euro per il risarcimento del danno patito dallo Stato e il direttore dei Monopoli ha un procedimento in corso per 1,2 miliardi di euro di danni».

Ma ecco l’affondo di Di Pietro: «Non si può chiedere ai cittadini di pagare le tasse e, allo stesso tempo, non dare risposte su 98 miliardi di euro di evasione fiscale». Ormai, insomma, la questione dei 98 miliardi “regalati” alle concessionarie (private) di slot-machine diventa ineludibile per Romano Prodi e il suo governo.

Incredibilmente, dopo mesi di assordante silenzio, proprio nelle ore in cui Di Pietro mandava il suo messaggio, sul sito della presidenza del Consiglio dei ministri (www.governo.it) compariva una nota: «Macchine da gioco: le verifiche delle Finanze». Un testo che, paradossalmente, sembrerebbe più preoccupato di difendere le società concessionarie quotate in borsa che non le tasche dei cittadini: «Quanto alle penali previste nelle concessioni, calcolate dalla Corte dei conti per un ammontare complessivo equivalente a circa sei volte il valore dell’intera raccolta annuale delle giocate tramite apparecchi da intrattenimento, va ricordato che attualmente sono oggetto di contenzioso tra i Monopoli e le società concessionarie. Tra queste ultime, inoltre, vi sono alcune società quotate in Borsa; fatto che impone rigore, ma anche prudenza nelle dichiarazioni». Di prudenza, in questa vicenda, il governo senza dubbio ne ha avuta molta.

Sono mesi che Il Secolo XIX pubblica un’inchiesta sulla presunta evasione fiscale che riguarda le slot-machine. I fatti denunciati negli articoli sono interamente contenuti in atti ufficiali: prima di tutto nel rapporto di una commissione d’inchiesta (presieduta dal vice di Visco, il sottosegretario Alfiero Grandi, tra i massimi esperti del settore), poi negli atti della Corte dei cnti e nei rapporti della Guardia di finanza che da più di un anno sta occupandosi di questo caso.

In sostanza si dice: tra imposte non pagate e multe non riscosse, le società concessionarie delle slot-machine dovrebbero allo Stato 98 miliardi di euro. Di più: secondo gli investigatori, «tra i beneficiari di questo regalo miliardario, ci sarebbero alcune società guidate da uomini appartenenti a famiglie legate a Cosa Nostra e altre amministrate da esponenti di partiti politici (soprattutto An)».

La commissione d’indagine lo dice a chiare lettere: ci sono macroscopiche “anomalie” nella gestione delle concessioni per le slot-machine. E non è roba da poco, perché qui si maneggiano decine di miliardi di euro ogni anno. Il meccanismo è semplicissimo: lo Stato trattiene una piccola somma su ogni giocata alle slot-machine. Per questo le macchine dovrebbero essere tutte collegate in rete e monitorate. Ma ecco che, come scoprono la commissione e i magistrati della Corte dei conti, la maggioranza delle slot non è collegata. Questo permetterebbe l’evasione da record. Soldi regalati alle società concessionarie. Non basta. La commissione d’inchiesta punta il dito contro i Monopoli di Stato che (come ricorda la Corte dei conti) non hanno chiesto alle concessionarie il pagamento di nemmeno un euro di multa.

Il direttore generale dei Monopoli è Giorgio Tino, parente di Antonio Maccanico. Sì, proprio quel Tino che venne nominato dal centrodestra e confermato dal governo Prodi nonostante appena un mese prima avesse ricevuto un avviso di garanzia dalla Procura di Potenza. Quel Giorgio Tino che mentre guidava i Monopoli sedeva nel consiglio di amministrazione di una delle principali multinazionali di distribuzione dei tabacchi.

Accanto a lui, al posto chiave di direttrice delle strategie dei Monopoli, siede Gabriella Alemanno, sorella dell’ex ministro Gianni (An).

Questo ha scritto Il Secolo XIX, ma non ha ottenuto una parola di risposta. «Non vi rispondo perché non mi siete simpatici», ha tagliato corto Visco allontanando in malo modo i cronisti.

L’unica volta che Visco si è degnato di parlare del mondo dei giochi è stato quando il deputato Gianfranco Conte, di Forza Italia, gli ha presentato un’interrogazione. La risposta del vice-ministro Visco – consultabile a pagina 81 del resoconto della seduta della VI Commissione parlamentare Bilancio del 25 luglio 2007 – è lapidaria. Per parlare della questione Visco spreca dieci righe.

Ma l’esordio è significativo: «Onorevole Conte, il ramo dei giochi è un disastro», ammette Visco, che però punta il dito contro la passata gestione di centrodestra: «Alcuni anni fa volevamo avviare un’iniziativa avveniristica, ma non è stato possibile. Volevamo mettere in rete 200mila macchinette. A Las Vegas in rete ce ne sono 60mila. L’altro Paese che ne ha in rete un certo numero è la Svezia che ha 20mila, nonostante gli svedesi siano meno degli italiani e giochino meno.

Noi, invece, ripeto, abbiamo preteso di mettere in rete, in soli due anni, 200mila macchinette. Non poteva che verificarsi un disastro! E adesso lo gestiamo. Già abbiamo dato disposizioni per la sostituzione delle macchinette. Abbiamo ben due interventi della magistratura ordinaria e contabile. Ci dobbiamo muovere senza interferire direttamente sui giudizi sapendo che, se le norme predisposte e le convenzioni stipulate comportano stime per 100 miliardi di euro, probabilmente qualcosa non funziona».

Poco più di un minuto di discorso per liquidare una questione che vale tre manovre finanziarie e almeno dieci tesoretti.

Marco Menduni e Ferruccio Sansa per il “Secolo XIX”

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13 maggio 2011

[L’articolo è scomparso dal sito originale del Secolo IXX, ed è stato estratto dalla Casa della Legalità e della Cultura onlus, 14 maggio 2008]

 

Slot, colpo di spugna sui novanta miliardi

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Scritto da Il Secolo XIX 
martedì 13 maggio 2008
SILENZIO generale. L’accordo è stato siglato, ma nessuno se n’è accorto. I Monopoli e le società concessionarie delle slot machine hanno firmato la nuova convenzione. Il punto chiave? Non è prevista alcuna penale in caso di tardato pagamento del Preu (Prelievo Erariale Unico), la tassa del 12 per cento sulle cifre incassate. In parole povere: se le società non pagheranno per tempo l’imposta prevista per ogni giocata… non succederà niente. È stata di fatto abolita la sanzione che aveva portato la Corte dei Conti a chiedere alle società concessionarie (ma anche ad alcuni funzionari dei Monopoli, tra cui il numero uno, Giorgio Tino) il pagamento di oltre 90 miliardi di euro di cui ha parlato ilSecolo XIX in una lunga inchiesta…
Per il futuro non sarà prevista alcuna sanzione, quindi. Proprio quello che desideravano le concessionarie. Ma questo, forse, è il meno. La nuova convenzione potrebbe privare lo Stato degli oltre novanta miliardi richiesti dalla Corte dei Conti. Una fonte delSecolo XIX lo aveva previsto chiaramente: «Se fosse abolita la sanzione per il futuro, probabilmente anche le somme richieste per il passato sarebbero cancellate o almeno rimodulate».

Che cosa significa? Quasi certamente decine di miliardi di incasso in meno per i Monopoli. Ma non basta. Le società segnano un altro punto a loro favore: Amedeo Laboccetta, figura di spicco di Alleanza Nazionale in Campania, è stato eletto alla Camera. Bene, Laboccetta è il legale rappresentante della Atlantis, la società concessionaria di slot-machine che più di ogni altra sarebbe debitrice allo Stato: 31 miliardi e mezzo di euro, l’equivalente, per intendersi, di sei volte il Pil di una nazione come lo Zimbabwe.

Ma partiamo dalla convenzione. Scrive l’agenzia di stampa Jamma, specializzata nelle notizie riguardanti il mondo del gioco: «Sono dieci le società convenzionate con l’Amministrazione dei Monopoli di Stato per la conduzione in rete delle newslot. Dieci sono quindi i contratti di convenzione tra queste imprese e l’ente di regolamentazione italiano per il gioco firmati a seguito della revisione delle concessioni disposta già nel luglio scorso e che prevede per l’ applicazione delle penali per eventuali disservizi principi di ragionevolezza e proporzionalità».

Il nuovo testo della convenzioneè il risultato dell’intesa raggiunta tra Aams e i Concessionari ed è il frutto di un confronto tra le parti, sottoscritto nelle settimane scorse. Un accordo importante, importantissimo per il mondo del gioco, ma anche per le casse dei contribuenti. Eppure nessuno, o quasi, ne ha saputo nulla.

Le modifiche introdotte riguardano in particolare la circostanza che le penali debbano essere applicate secondo i richiamati principi di ragionevolezza e proporzionalità. Che debbano essere “commisurate” al danno effettivamente arrecato all’Erario. Come? Prevedendo una graduazione delle penali stesse in caso di inadempimento del Concessionario agli obblighi relativi alla conduzione della rete.

Proprio i punti nodali dell’inchiesta della Corte dei Conti, del rapporto della Commissione guidata dal sottosegretario Alfiero Grandi. E dell’inchiesta delSecolo XIX. Tutta la differenza tra 90 miliardi di euro e zero (o quasi) passa attraverso quelle due parole: «ragionevolezza» e «proporzionalità». Si ritiene,insomma, che le sanzioni previste dalla precedente convenzione (firmata, è bene ricordarlo, dai Monopoli e dalle stesse società interessate) erano eccessive.

Ma non basta: con l’atto aggiuntivo della nuova convenzione è stata eliminata l’applicazione della penale nell’ipotesi di ritardato pagamento del Preu, la tassa. Un particolare questo sicuramente gradito alle società che solo un anno fa si erano viste recapitare provvedimenti sanzionatori per diversi milioni di euro annullati nelle settimane scorse dai giudici del Tribunale Amministrativo del Lazio.

Ecco la lista delle sanzioni, di cui IlSecolo XIXaveva a lungo parlato: il record, appunto, era stato toccato da Atlantis con 31 miliardi. Seguono: Cogetech (9,4 miliardi), Snai (8,1 miliardi), Lottomatica (7,7 miliardi), Cirsa (7 miliardi di euro), Hbg (7 miliardi), Codere (6,8 miliardi), Sisal (4,5 miliardi), Gmatica (3,1 miliardi) e Gamenet (2,9 miliardi). Tutte sanzioni che verranno discusse l’8 dicembre davanti alla corte dei conti del Lazio. Con quale destino è ora difficile capirlo.

Il totale fa circa novanta miliardidi euro, considerando che le cifre sono arrotondate per difetto. E senza contare un’altra voce: le sanzioni sul mancato prelevamento del Preu, il prelievo che i Monopoli dovevano esigere su ogni giocata delle slot machine. E senza tenere conto delle sanzioni che erano state richieste nei confronti dei vertici dell’amministrazione dei Monopoli e che potrebbero essere confermate. Cifre a nove zeri, basti pensare che al direttore Giorgio Tino è stato contestato un danno per 1,2 miliardi di euro.

Con la nuova convenzione le somme che potrebbero essere invece richieste alle concessionarie sono vicine allo zero. Adesso, visto che gli stessi Monopoli hanno rinegoziato le penali, le nuove convenzioni potrebbero spalancare le porte a un clamoroso colpo di spugna. Del resto l’ipotesi era emersa chiaramente quando molti protagonisti dello scandalo slot-machine erano sfilati davanti alle commissioni parlamentari. Maggioranza (allora centrosinistra) e opposizione (centrodestra) avevano sostenuto le ragioni delle concessionarie. L’ex vice-ministro dell’Economia, Vincenzo Visco, si era rifiutato di fornire una qualsivoglia spiegazione dell’accaduto ai cronisti delSecolo XIX: «Con voi non parlo perché non mi siete simpatici», aveva liquidato la questione. O, almeno, si era illuso di farlo, perché poi centinaia di lettori scrissero a Prodi chiedendo una risposta. Poi intervennero anche Beppe Grillo eStriscia la Notizia. Alla fine il governo fu costretto a rispondere: «Non ci sarà alcun condono», aveva promesso Romano Prodi.

Dopo pochi mesi, ecco le audizioniin Parlamento. E la sensazione, chiara, che la storia dei 90 miliardi “dimenticati” dai Monopoli non appassionasse granché nessuno. Del resto, come dimostra chiaramente l’elezione di Amedeo Laboccetta, le società concessionarie hanno molti amici nel mondo politico. In entrambi gli schieramenti.

Ma qualcuno, nel mondo politico, ha anche messo nero su bianco l’intenzione di “perdonare” le concessionarie. Chi? Angelo Piazza e Giovanni Crema, due deputati della Rosa nel pugno, prima della discussione in commissione, avevano inserito questa frase: «Appare necessario adottare iniziative legislative volte a rivedere, anche retroattivamente, le condizioni convenzionali e il termine del 31 ottobre 2004».

Che cosa vuol dire, tradotto dalpoliticheseall’italiano? Che la convenzione, quella che prevedeva pesanti sanzioni, andava rivista anche per il passato. E che la data ultima sulla quale doveva essere operativo tutto il sistema telematico di controllo delle slot poteva essere “spostata” in avanti. Effetto finale? La sparizione dei 90 miliardi. Come adesso rischia davvero di succedere.

Marco Menduni


21 dicembre 2011: interrogazione dell’on. Lannuti

Concessionarie slot machine devono 98 miliardi di euro allo Stato

Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-06477 
Atto n. 4-06477
Pubblicato il 21 dicembre 2011
Seduta n. 649

LANNUTTI– Al Ministro dell’economia e delle finanze. –
Premesso che:
le dieci concessionarie che gestiscono leslot machine devono allo Stato 98 miliardi di euro;
è il maggio del 2007 quando, anche il Gruppo Antifrodi tecnologiche della Guardia di finanza, al termine di una lunga inchiesta ed in parallelo ad una intensa indagine parlamentare, comunica i risultati alla Corte dei conti. E sono dati sconcertanti. Le dieci maggiori società concessionarie che gestiscono leslot machine avrebbero contratto un debito col Fisco per gli anni 2004-2007 pari a circa 100 miliardi di euro. La truffa erariale più grande che la storia della Repubblica ricordi;
nel dicembre 2008 il procuratore della Corte dei conti Marco Smiroldo porta sul banco degli imputati le dieci potentissime concessionarie delleslot machine in Italia con una richiesta di danno all’erario di 98 miliardi di euro;
dall’inchiesta pubblicata su “Il Secolo XIX” il 1° settembre 2011 risulta che «Le dieci sorelle, vista la posta in gioco, avevano messo in campo uno squadrone di principi del Foro, pronti a ogni mossa (ovviamente lecita) per allungare i tempi, creare dubbi, intorbidare le acque. È così che il processo per la più grande sanzione mai contestata nella storia italiana non si è ancora concluso. Anzi: sono state celebrate solo due udienze e nell’ultima il pm ha ribadito le sue richieste. E ancora una volta ha ribadito: il danno per le casse dello Stato è di 98 miliardi. Nel frattempo c’è stato un pronunciamento della Cassazione, che i legali avevano sollecitato sollevando un conflitto di competenze, che ha comportato quasi due anni di stop. L’ultimo atto è una nuova perizia ordinata dai giudici, per capire se in questa storia debbano finire alla sbarra anche altri soggetti, oltre le concessionarie. La Sogei, il braccio tecnologico e informatico del ministero dell’Economia. O le compagnie telefoniche, che a loro volta non erano state in grado di garantire il flusso corretto dei dati delle scommesse. Perizia che doveva essere consegnata ad agosto. Ora si parla di un nuovo slittamento a ottobre e questo fa presagire che le cose andranno ancora per le lunghe, dopo quattro anni di schermaglie procedurali, fiumi di parole e nessuna decisione. Anche il governo, sollecitato a più riprese dalle interrogazioni parlamentari a dar spiegazioni sulla vicenda, ha sempre avuto buon gioco nel difendersi: la questione è nelle mani della giustizia. Anche perché le società concessionarie non ci vogliono sentire e, ufficiosamente, hanno già inoltrato la loro offerta al super ribasso: chiudere la partita con 500 milioni tutto compreso. Il procuratore, però, non molla e tutto si giocherà nella sentenza. Tempi previsti? Solo Dio lo sa»;
la vicenda è stata rivelata per la prima volta nel maggio 2007 da “Il Secolo XIX”; l’articolo citato prosegue: «La requisitoria del pm Smiroldo, nell’ultima udienza, ha ricostruito passo passo tutta la storia. Prima del 2002 le slot machine, che allora venivano chiamate videopoker, erano illegali. Anzi, uno dei business più lucrosi per la criminalità organizzata. Poi lo Stato decise di regolare il settore. Con una prescrizione categorica: ogni singola macchinetta doveva essere collegata al sistema telematico di controllo della Sogei. Perché neanche una giocata sfuggisse al controllo e soprattutto alle tasse, il Preu. Così non è avvenuto, per anni. Il sistema ha fatto cilecca. Gli apparecchi, “interrogati” a distanza dal cervellone del ministero, non davano nessuna risposta. Di chi sia stata la colpa di questo flop, è uno degli argomenti del processo. Di certo le società concessionarie si erano impegnate perché tutto funzionasse a puntino ed è per questo che parte cospicua della sanzione, oltre ai sospetti di evasione, è costituita da quelle che vengono definite “inadempienze contrattuali”. Che prevedevano, nero su bianco, penali severissime. “Fare un contratto con lo Stato è una cosa seria o no?”, si chiede il pm. La risposta è ancora appesa nell’aria. Così come la decisione finale sui 98 miliardi»;
a quanto risulta all’interrogante, pesanti responsabilità, se non addirittura connivenze, sembrano ricadere anche sull’Agenzia dei monopoli di Stato (AAMS). Nell’inchiesta si parla di interrogativi su specifici comportamenti tenuti dai Monopoli in particolari occasioni che riguardano sia la fase di avvio delle reti telematiche e in particolare l’esito positivo dei collaudi allora condotti, subito dopo smentiti dall’esperienza applicativa, sia l’accelerato rilascio di nulla-osta di distribuzione per apparecchi nell’imminenza dell’entrata in vigore di una disciplina più stringente, sia infine l’omessa applicazione di sanzioni previste dalla legge e ‘l’invenzione’ di regimi fiscali forfettari. E secondo quanto dichiarato da un membro della Commissione che ha condotto l’inchiesta al Secolo XIX (si veda l’articolo del 31 maggio 2007), “i Monopoli hanno autorizzato persino macchinette apparentemente innocue, giochi di puro intrattenimento, senza scoprire che premendo un pulsante si trasformavano in slot-machine. (…) L’applicazione di forfait ha permesso il dilagare di anomalie, perché la ‘cifra fissa’ è assai più bassa di quella che potrebbe essere rilevata dalle macchine. Così in moltissimi casi sono state dichiarate avarie, guasti, difficoltà di collegamento dei modem solo per poter pagare di meno, con una perdita secca per lo Stato di miliardi di euro”;
i Monopoli, in sostanza, avrebbero permesso e facilitato la dilagante evasione delle società concessionarie, rinunciando a qualunque forma di sanzionamento che avrebbe dovuto essere attuata. Oltre ai vertici de Monopoli, gravi accuse di corruzione sono state rivolte dalla Commissione a singoli funzionari che, attraverso “anomale procedure” e “retrodatazione delle autorizzazioni”, avrebbero permesso ad almeno 28 aziende (alcune delle quali oggetto di indagini da parte della magistratura per presunti reati di corruzione nei confronti di dirigenti dei Monopoli) di eludere le disposizioni introdotte successivamente dalla legge;
i governi che si sono succeduti dal 2007 ad oggi non hanno assunto, e continuano a non farlo, decisioni al riguardo;
l’interrogante ha presentato numerosi atti di sindacato ispettivo (4-01151, 4-06166, 4-06206, 3-01738, oltre ad un atto di indirizzo 1-00222) per sollevare lo scandalo delleslot machine e la relativa evasione fiscale nonché le infiltrazioni della criminalità organizzata;
risulta all’interrogante che al primo posto tra le società debitrici nei confronti dello Stato per truffa ed evasione figura l’Atlantis World, multinazionaleleader nel mondo nel settore delleslot machine;
considerato inoltre che:
le iniziative dell’AAMS e del Governo hanno mostrato la loro inadeguatezza e inefficacia nel combattere l’evasione, contrastare la criminalità organizzata e i fenomeni ad essa correlati e tutelare i cittadini più deboli;
indiscrezioni indicano che dietro queste concessionarie si celano nomi e prestanomi di partiti politici, che attraverso queste società facevano affari e incrementavano le casse della partitocrazia, nonché infiltrazioni della criminalità organizzata;
la Procura Nazionale Antimafia denuncia quello che è il nuovo enorme mercato del gioco (tra gioco cosiddetto lecito e quello cosiddetto illecito, la raccolta in Italia è superiore a 200 miliardi di euro all’anno) d’interesse del crimine organizzato;
esisterebbe una proposta di condono elaborata dall’apposita commissione, nominata dal Ministro competente al momento dell’istituzione, che prevede che la concessionarie, condannate a pagare una multa di 98 miliardi, siano chiamate a corrispondere solo 804 milioni di euro, con la presunta motivazione di rendere la multa più “ragionevole”,
si chiede di sapere:
se, trattandosi di vicenda pubblica, il Governo non intenda promuovere tempestivi chiarimenti sulla situazione sopra descritta e quali azioni intenda intraprendere per recuperare le somme evase considerato che non si può chiedere ai cittadini di pagare le tasse e, allo stesso tempo, non pretendere il pagamento dei 98 miliardi di euro comminati per evasione fiscale;
come intenda spiegare ai cittadini che ci sono 98 miliardi di euro che lo Stato potrebbe riscuotere, e che basterebbero a pagare gli interessi sul debito pubblico nazionale per un anno intero, ma a cui non sembra per nulla interessato, mentre vara una manovra lacrime e sangue per i contribuenti, la quale decurta le pensioni e prolunga l’età pensionabile e mentre le accise sulla benzina aumentano e fare un pieno diventa un salasso;
se non ritenga che alle società concessionarie che hanno recato un ingente danno erariale non dovrebbe essere preclusa l’adesione a condoni per evitare il pagamento della somma in questione e, di conseguenza, quali iniziative intenda adottare;
se, oltre ad un auspicato aumento dei controlli, non intenda inasprire e rendere effettive le sanzioni per punire tutti i fenomeni di gioco abusivo e clandestino, al fine di limitare al massimo l’evasione nei confronti dell’erario e l’intensificarsi di fenomeni criminali connessi al gioco d’azzardo e da questo indotti;
se non intenda intervenire nelle opportune sedi al fine di individuare strumenti legislativi che consentano di controllare con precisione la diffusione sul territorio dello Stato degli apparecchi per il gioco lecito;
quali iniziative intenda adottare al fine di intraprendere una efficace battaglia per combattere e contrastare l’annoso e perdurante fenomeno dell’evasione fiscale, assicurando equità e giustizia fiscale in termini di contribuzione e garantendo contestualmente l’indispensabile equilibrio del bilancio pubblico. (Lannuti)
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Il fatto è che Atlantis è una società che riunisce le concessionarie del paese e che ha sede a Sint Marteen, isola della corona olandese, passando dalla Citi di Londra. Il solito modello del mafioso prestanome e tanti nominees, cioé innominabili anglosassoni. Saranno gli stessi sedicenti creditori del nostro debito pubblico che avranno raggiunto un accordo dietro le quinte per cancellare la penale? Un accordo del tipo: ” Io Stato non ti do la penale ma cancello tot importo di debito pubblico..” Solo un’ipotesi. E comunque sia l’accordo, primo, doveva essere dibattuto in Parlamento e reso PUBBLICO, secondo non andava assolutamente cancellata la penale. Ma il fatto è che rendendolo pubblico si sarebbero resi pubblici e i referenti ANONIMI che tali vogliono rimanere, e che hanno intascato il maltolto, e l’artifizio del debito e altri artifizi contabili imposti dal ‘privato’ allo Stato. E poi cos’hanno di così tanto potente questi anonimi referenti per ammutolire così tanto lo Stato???  (omissis) SEGRETO DI STATO.
N.F. 

 

http://stampa-libera.blogspot.it/2012/01/cronistoria-dello-scandalo-slot-machine.html

FRA LETTA E GRILLO CHI TAGLIA DI PIÙ? GRILLO…

L’accusa del premier al comico non regge. Lo dice il Corriere

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Ricordate la querelle di ieri fra Grillo e Letta, con quest’ultimo che ieri accusava il leader del Movimento 5 Stelle di non saper tagliare niente, mentre lui aveva tagliato gli stipendi dei ministri. Bene, il Corriere della Sera ha fatto chiarezza, mettendo a confronto i tagli del Movimento e quelli di Letta. E alla fine il risultato è chiaro: Letta dice il falso. Il Movimento 5 Stelle taglia decisamente di più i costi della politica. Riportiamo di seguito l’articolocomparso sul Corriere, che addirittura non tiene conto dei 42milioni di euro di rimborsi elettorali che il Movimento 5 Stelle ha rifiutato, mentre il Pd di Letta non ci pensa proprio..

 

Il taglio alla Grillo o il taglio alla Letta? Alla fine, insomma, chi usa di più le forbici nella gara contro i simboli (e i soldi) della casta? Il presidente del Consiglio dice che saranno eliminati gli stipendi aggiuntivi dei ministri che sono anche parlamentari. Il Movimento 5 Stelle dimezza lo stipendio base di deputati e senatori e aggiunge che possono incassare solo una parte di un’altra voce della busta paga, la mitica diaria, e cioè quella coperta da scontrini e ricevute. Alcuni grillini la vorrebbero trattenere tutta a prescindere, perché vivere a Roma costa, perché in fondo sarebbe meglio la libertà di coscienza. E tra sondaggi, critiche e richiami all’ordine, non sappiamo ancora come andrà a finire. Ma anche se nel Movimento 5 Stelle dovesse passare la linea dei ribelli, Grillo taglierebbe più di Letta. Intorno ai mille euro al mese. Calcolatrice e un po’ di pazienza, come si faceva a scuola.

Quanto valgono gli stipendi eliminati dal governo? Per il presidente del consiglio siamo sui 2.500 euro netti al mese, anche se in realtà la somma precisa dipende dal suo reddito totale e quindi dalle tasse che deve pagare. Per un ministro siamo sui 1.700 euro sempre netti, per i sottosegretari a quota 1.500. Gli stipendi soppressi da Letta, meglio ripeterlo ancora una volta, sono soltanto quelli che ministri e sottosegretari aggiungono alla busta paga da parlamentare. Quest’ultima il governo non la può toccare, è la legge a stabilirlo. E, considerando tutte le voci, arriva a 14 mila euro netti al mese. Non sono ridotti nemmeno gli stipendi dei ministri che non sono anche in Parlamento.

E il taglio alla Grillo, invece? Il codice di comportamento firmato da tutti i candidati prevede due cose. Lo stipendio base di deputati e senatori viene di fatto dimezzato: da 5 mila euro netti al mese previsti dalla legge a circa 2.500. Anche qui il «netto a pagare» preciso dipende dal reddito totale della persona e quindi varia da caso a caso, visto che la regola grillina parla di 5 mila euro lordi. Ma su questo punto non c’è discussione nel movimento e anche fermando qui il confronto Grillo taglia più di Letta. C’è poi la diaria, terreno di battaglia di queste ore. Tra diaria pura, rimborso delle spese «per l’esercizio del mandato», viaggi e telefoni la legge parla di circa 9 mila euro netti al mese. 

Un po’ di più al Senato, un po’ di meno alla Camera ma la sostanza non cambia. In realtà il codice di comportamento dei grillini resta sul vago. Dice che i «parlamentari avranno comunque diritto ad ogni altra voce di rimborso». Ma dà per scontato che, trattandosi di un rimborso spese, si possano incassare solo le somme giustificate da una pezza d’appoggio fiscalmente valida. In teoria le furbate restano possibili: dice la legge, ad esempio, che si ha diritto a 250 euro in più al mese se si vive a più di 100 chilometri dal primo aeroporto utile per raggiungere la Capitale. In passato qualche onorevole ha ceduto alla tentazione di un cambio di residenza strategico. Visto lo spirito del movimento, un grillino non dovrebbe farlo. Ma anche se riuscisse a giustificare tutti i 9 mila euro della diaria, nel derby dell’anti casta perderebbe più soldi lui di un ministro delle larghe intese. 

Lorenzo Salvia

http://www.cadoinpiedi.it/2013/05/11/fra_letta_e_grillo_chi_taglia_di_piu_grillo.html

Train Lyon-Turin : 10 raisons d’arrêter

Le chantier d’une nouvelle liaison ferroviaire entre la France et l’Italie doit démarrer en 2014. Mais son utilité apparaît de plus en plus contestable.

Brice Perrier | Publié le 3 mai 2013, 17h25 | Mise à jour : 10 mai 2013, 10h56

En 2005, lors de travaux préparatoires, une extrayeuse a creusé le conduit qui permettra de descendre sur le chantier en Savoie.

 

Vingt ans après son lancement, le projet de liaison ferroviaire 

 

-Turin soulève plus de questions que de montagnes.

 

Les gouvernements français et italien ont décidé, lors d’un sommet en décembre dernier, de lancer un appel d’offres pour une galerie de reconnaissance — la première partie du tunnel de 57 km qui doit relier laà l’Italie à travers les Alpes (voir carte page suivante).

 

Et le chantier, reconnu comme prioritaire par l’Europe, doit débuter en 2014. Mais lamet à mal les ambitions initiales. Baisse du trafic transfrontalier, surcoût, difficultés de financement… les raisons de renoncer s’accumulent.

 

1. Le trajet Paris-Milan reste trop long

 

Le Lyon-Turin est censé permettre au TGV Paris-Milan de devenir assez rapide pour être attractif.

 

« Environ 500 000 voyageurs passeront de l’avion au rail », nous certifiait Patrice Raulin, qui fut président, jusqu’au 29 mars dernier, de Lyon Turin ferroviaire (LTF), la société chargée des travaux préparatifs du tunnel.

 

D’après l’Union internationale des chemins de fer, le marché de la grande vitesse concerne des trajets de moins de quatre heures.

 

Or LTF a annoncé la durée du futur Paris-Milan, quatre heures et deux minutes, sans prendre en compte les arrêts intermédiaires, de cinq à neuf actuellement. Le voyage devrait donc plutôt durer entre quatre heures et demie et cinq heures. De quoi préférer l’avion.

 

2. Les prévisions de trafic sont revues à la baisse

 

La principale justification du Lyon-Turin est le report du transport de marchandises de la route vers le rail, exigence écologique consacrée par la Convention alpine de 1991.

 

A l’époque, le trafic routier augmentait et des études prévoyaient que ça allait continuer. On annonçait même un flux de poids lourds multiplié par 2,5 entre 1987 et 2010 dans les Alpes savoyardes, ce qui justifiait une nouvelle infrastructure.

 

Mais dès 1994, la tendance a commencé à s’inverser, au point qu’en 2012, le trafic était à peu près équivalent à celui de… 1988 ! Au lieu de relativiser l’intérêt du Lyon-Turin, LTF mise à présent sur un tonnage de marchandises multiplié par trois d’ici à 2035.

 

 

3. La ligne existante est sous-utilisée

Selon ses promoteurs, le Lyon-Turin doit contribuer à mettre les camions sur les trains. Pourtant, une ligne ferroviaire (celle qui passe par le tunnel du Mont-Cenis) existe déjà et des centaines de millions d’euros viennent d’être dépensés pour la remettre aux normes.

Aujourd’hui, cette ligne n’est utilisée qu’à environ un quart de ses capacités, estimées entre 15 et 20 millions de tonnes de marchandises par an, soit presque l’équivalent de la totalité du fret qui transite actuellement par les tunnels routiers du Fréjus et du Mont-Blanc. 

En volume, la plupart des camions circulant dans le secteur pourraient d’ores et déjà être mis sur les trains.

4. Les tunnels suisses suffiraient

En 1994, la Suisse a engagé la réalisation de deux tunnels ferroviaires : le Lötschberg, mis en service en 2007, et le Saint-Gothard, qui le sera en 2016. Ces tunnels vont focaliser le trafic nord-sud qui s’est déjà concentré sur cet axe du fait de l’évolution du transport de marchandises.

Ces dernières sont de moins en moins produites en Europe, et arrivent désormais plutôt d’Asie par les grands ports de Gênes et de Rotterdam, ce qui explique la baisse structurelle du trafic dans la zone du Lyon-Turin.

5. Le financement demeure incertain

Vingt ans après le lancement du projet, il reste une grande inconnue : son financement. Après que l’Europe a payé 50 % des travaux préparatoires du tunnel international, la France et l’Italie misent sur une aide européenne à hauteur de 40 % pour sa réalisation.

Mais, comme l’a rappelé Bruxelles au lendemain du sommet franco-italien du 3 décembre 2012, cette aide n’est toujours pas acquise. De plus, la France devra débourser 12 milliards d’euros pour le projet global.

6. Le coût prévisionnel explose

Dans un référé consacré au Lyon-Turin et publié en novembre 2012, la Cour des comptes évoque des « coûts prévisionnels en forte augmentation », avec des travaux préliminaires qui devaient initialement coûter 320 millions d’euros, alors que les estimations présentées à la conférence intergouvernementale du 2 décembre 2010 atteignaient 901 millions d’euros.

Concernant le budget global incluant les accès au tunnel, la Cour des comptes relève qu’il est passé, depuis 2002, de 12 à 24, voire 26 milliards d’euros.

7. Le pilotage du projet laisse à désirer

Déplorant le manque de visibilité sur l’évolution des coûts, la Cour des comptes estime dans son référé que « le pilotage de cette opération ne répond pas aux exigences de rigueur nécessaires » à la conduite d’un tel projet.

Dans la déclaration commune des ministres des Transports français et italien du 3 décembre dernier, il est d’ailleurs dit que l’on s’apprête seulement à « lancer les discussions sur le montage juridique, économique et financier » d’un tunnel dont on annonce en même temps le début du creusement.

8. Des élus changent d’avis

Si une unanimité favorable au Lyon-Turin a longtemps été de mise chez les politiques, ce n’est plus le cas. Les écologistes français, suisses et italiens sont désormais opposés à la réalisation du tunnel international. 

Une position confirmée par le groupe écologiste de la région Rhône-Alpes, composante importante de la majorité de cette collectivité particulièrement impliquée dans le projet.

Dominique Dord, député-maire d’Aix-les-Bains et ex-trésorier de l’UMP, annonce, pour sa part, qu’il ne faut plus compter sur lui « pour défendre l’indéfendable ».

9. Les riverains résistent

 

Depuis des années, l’opposition au Lyon-Turin est massive dans le val de Suse, là où doit déboucher le tunnel en Italie. La vallée s’est transformée en centre de résistance au point de nécessiter la présence de l’armée italienne pour protéger le chantier de reconnaissance.

Et, malgré le ralliement au projet des maires de Suse et de Chaumont, le Lyon-Turin est encore largement refusé par la population locale. La manifestation qui s’est déroulée le 23 mars dernier en atteste.

 

10. Les couacs s’accumulent

 

Le projet a récemment été entaché de différents couacs. L’enquête publique favorable aux travaux côté français a ainsi été mise en cause en 2012 pour conflits d’intérêts.

 

Peu après que l’ex-directeur général italien de la société LTF, Paolo Comastri, a été condamné, en 2011, pour trucage d’appel d’offres sur des faits qui remontent à l’année 2004, alors qu’il était en poste à LTF.

 

Enfin, dans un autre registre, Philippe Essig, ancien président de la SNCF, a déclaré, au mois de janvier dernier, que ce tunnel « n’est pas nécessaire aujourd’hui, et pour longtemps », avant d’ajouter qu’il espérait voir « le bon sens l’emporter et nos ressources consacrées aux vrais problèmes des Français ».

 

«On ne va pas reboucher ce qui a été creusé»
 

 


Louis Besson, coprésident de la Commission intergouvernementale franco-italienne du projet Lyon-Turin.

Sachant que le trafic de marchandises dans les Alpes françaises n’a pas augmenté comme prévu, le projet Lyon-Turin est-il toujours pertinent ?

A chaque crise, l’indicateur le plus immédiat du ralentissement économique est la réduction du volume des transports de marchandises. Donc là, on n’y échappe pas. 

Mais l’objectif de l’Europe est d’avoir un grand axe ouest-est dont le Lyon-Turin serait une pièce maîtresse. Car si le nord de l’Europe a des voies de communication extrêmement performantes, on a le blocage alpin dans le Sud. 

Cet obstacle physique ne doit pas se payer économiquement. Et tant qu’on n’aura pas cette infrastructure, on parlera en l’air.

Pourquoi alors la décision ferme de faire ce tunnel n’est-elle toujours pas prise ?

Lors du dernier sommet franco-italien de Lyon, les deux Etats ont réaffirmé l’urgence absolue de terminer ce projet. 

Et ils ont engagé la réalisation d’un tube définitif du tunnel (présenté officiellement comme une nouvelle galerie de reconnaissance, NDLR) sur une zone où les travaux préparatoires ont révélé de grandes contraintes géologiques. 

L’Europe finance la réalisation à 50 %, car elle considère que c’est essentiel.

Lance-t-on la construction du tunnel alors que son financement n’est toujours pas assuré ?

On avance et il est évident que l’on ne va pas reboucher ce qui a été creusé. Paris et Rome jouent un peu avec l’Europe en disant : « Nous sommes prêts à y aller, mais subordonnons les engagements qui sont à prendre à vos décisions de financement. » 

On donne des signes de notre volonté d’avancer, mais pour tout engager, on a besoin de l’Europe. Il y a urgence.

http://www.leparisien.fr/magazine/grand-angle/train-lyon-turin-10-raisons-d-arreter-03-05-2013-2776683.php

 

Fondi del Viminale nascosti in Svizzera, indagato ex numero due dei servizi segreti

lamotta11 magg – Dieci milioni di euro spariti dalla casse del Viminale e investiti in una finanziaria svizzera: è il filone di una inchiesta della procura di Roma per la quale è indagato il prefetto Francesco La Motta, ex vicecapo dell’Aisi, il servizio segreto civile. La vicenda, di cui scrivono oggi alcuni quotidiani, riguarda il denaro del Ministero dell’Interno gestito dal Fondo per gli edifici di Culto (Fec), di cui La Motta è stato direttore dal 2003 al 2006.  Il Fec, ente con personalità giuridica propria, ha un patrimonio di oltre 700 immobili di valore storico e artistico e amministra tutti i beni degli enti religiosi disciolti: da Santa Maria del Popolo a Roma, a Santa Croce a Firenze, da Santa Chiara a Napoli, a Santa Caterina d’Alessandria a Palermo.

Secondo quanto scrivono i giornali, gli accertamenti sono partiti da una inchiesta della procura di Napoli sul riciclaggio e sugli affari del clanPolverino (a La Motta si contestava di aver favorito i camorristi). Dalle indagini sarebbero emersi elementi relativi ai soldi sottratti dal prefetto, per questo gli atti sono stati trasferiti a Roma e collegati alla denuncia sull’ ammanco presentata tempo fa dai responsabili del Fondo per gli edifici di culto. La Motta, che è accusato di corruzione e peculato, avrebbe trasferito i dieci milioni di euro in Svizzera. Una iniziativa di cui, stando alle verifiche del Ros dei Carabinieri, il ministero sarebbe stato al corrente.

Tre giorni fa, gli investigatori hanno perquisito su disposizione del pm Paolo Ielo l’ abitazione e l’ufficio dell’ Aisi dove il prefetto – in pensione da alcuni mesi – continua ad avere un incarico di consulenza. Gli inquirenti hanno già inviato una richiesta di rogatoria alla Svizzera. Di La Motta, gentiluomo di sua Santità, la procura napoletana si era occupata all’ epoca delle indagini sulla P4 per i presunti contatti con Luigi Bisignani, esclusi poi dagli stessi magistrati. (secoloditalia)

http://www.imolaoggi.it/?p=49918

Gli umani sono superiori?

Matti per i gatti

   

Così s’intitolava un’intervista aGiorgio Celli, noto entomologo bolognese e divulgatore scientifico televisivo, amante dei gatti, ma l’espressione può essere estesa anche a tutte le gattare, o gattofile che dir si voglia.

Spesso, come provocazione retorica, diciamo agli onnivori che se proprio gli scappa di mangiare carne di macellare gli animali con le proprie mani, e portiamo come prova della nostra non idoneità al consumo di carne l’assenza di zanne e di intestino corto.

Eppure, che l’Homo sapiens abbia una parte di ferinità è altrettanto vero e ciò che è successo in Brasile ne è la testimonianza.

Vedere un uomo che mette in pratica il nostro invito retorico e uccide a morsi un gatto, così, tanto per passare il tempo, ci fa capire non solo che abbiamo a che fare con uno psicopatico, ma che l’essere umano ha tutte le potenzialità per tornare al cannibalismo com’era nei tempi andati.

 

Probabilmente, in una situazione di “day after”, quello psicopatico brasiliano riuscirebbe a sopravvivere meglio di chiunque altro, vista la disinvoltura con cui riesce ad addentare un mammifero, vivente, a sangue caldo. Mi ricorda quegli scimpanzè che in un famoso documentario diedero la caccia a piccole scimmie, riuscendo a catturarne alcune e a sbranarle sul posto, in cima agli alberi della foresta. Il documentarista voleva sfatare il mito del primate nostro cugino come di scimmia vegetariana e pacifica. Chissà cosa voleva dimostrare quel signore che, forse con un telefonino, ha filmato il “pazzo” che sbranava il gatto?

In quel caso, con uno spettatore che invece d’intervenire a salvare l’animale si limita a riprendere la scena, non è scattato il meccanismo dell’induzione a delinquere in qualità di attori in un’improvvisata recita – come avviene spesso nei teatri di guerra in presenza dei fotoreporter – dal momento che il “pazzo” non si era neanche accorto d’essere filmato e lo avrebbe fatto indipendentemente dai presenti.

 

I quali non si sono premurati di togliere dalle mani del minorato mentale quel gatto che avrebbe potuto subire danni, come poi è regolarmente avvenuto. Trattandosi di una piccola comunità forestale, presumo che il pazzoide era ben conosciuto per le sue intemperanze, eppure nessuno si è premurato di togliergli di mano il gatto, ma se si fosse trattato di un bambino le cose sarebbero andate diversamente.

La scena dunque va contestualizzata e stiamo parlando di una società rurale in cui gli animali vengono abitualmente macellati sulla pubblica via, nessuno si scompone per le loro urla di dolore e i cugini selvatici di quelle persone, gli indios che vivono nella selva, mangiano anche i ragni giganti, oltre a uccidere scimmie e tapiri con la cerbottana.

Quando vedo scene di guerriglia tra indios, che si oppongono allo sfratto impostogli dalle autorità brasiliane, e soldati, ovviamente sto dalla parte dei primi, ma se penso che tutti loro, per cultura e tradizione, hanno comportamenti crudeli verso gli animali, mi viene da considerare che essere allontanati dalla foresta è solo ciò che si meritano. Una specie di Nemesi.

O karma se si preferisce.

Ma tornando al divoratore di gatti (che poi non l’ha neanche mangiato), vanno dette anche altre cose. La barbarie che si palesa con quel preciso comportamento passa attraverso il non uso di utensili. La nostra idea di civiltà c’impone di macellare gli animali con strumenti da punta e da taglio. Da qui la proposta retorica degli animalisti fatta ai carnivoristi. Il pazzo brasiliano usa i suoi denti, mentre tutti i macellatori del mondo usano coltelli affilati, protesi dei denti stessi e degli artigli che non abbiamo.

A una coscienza desta anche la “normale” macellazione provoca ribrezzo, mentre per le persone “normali” diventa accettabile. Qui, nel caso brasiliano, c’è un sovrapporsi di sdegni. Allo sdegno di uccidere un animale che per milioni di persone è un pet, un compagno di giochi e di vita, si aggiunge l’inutilità del gesto, lo spreco di proteine abbandonato come un rifiuto e sputato via, insieme alla modalità di esecuzione.

Siccome l’idea che non si debba far soffrire le bestie è stata propugnata anche dai padri della Chiesa, come sant’Agostino, e ha fatto presa nella religione cattolica che bene o male è stata insegnata anche in Brasile, l’uccisione odontoiatrica di quel gatto suona stonata anche agli astanti. Tanto è vero che il tizio con il cellulare – o la videocamera – ha filmato la scena, considerandola interessante.

 

Se in Cina, in certe località, i gatti vengono mangiati, si capisce che c’è una ragione di tipo

opportunistico, esattamente come avveniva a Vicenza, sempre che non si tratti di una leggenda metropolitana ingigantita per ragioni campanilistiche interne alla cultura veneta. Ma quando veniamo a sapere che certe squadre di calcio, in ritiro in qualche pizzeria con dirigenti e sostenitori, offrono agli incauti presi di mira, per farsi quattro risate, gatto spacciato per coniglio, solo per vedere poi la faccia del consumatore che viene avvisato dell’inganno, percepiamo la stessa inutilità, la stessa mancanza di rispetto, la stessa disattenzione per il principio cattolico del non far soffrire le bestie e non sprecare il cibo.

In Cina il commercio e il consumo di carne di gatto è palese, anche se probabilmente illegale, a Vicenza e altrove nel Nord-Est – se quanto mi è stato riferito è vero – lo si fa di nascosto, ché tanto un’incursione dei NAS mentre si è al ristorante è poco probabile che si verifichi.

In Brasile è capitato, spero, un caso singolo, con un pazzo in circolazione che magari la prossima volta ucciderà un bambino – e la cosa rientrerebbe nel discorso della Nemesi.

In altre parti del mondo si prendono i gatti, come in Bulgaria si prendono i cani, e li si usa per giochi pubblici, con tanto di presenza infantile, per rimarcare la superiorità dell’uomo sulle bestie. In questo, la dottrina della Chiesa cattolica è insuperabile e, ragionando a mente fredda, è arduo supporre che i nostri missionari sparpagliatisi in giro per il mondo possano aver insegnato ai barbari indigeni qualcosa di diverso dall’antropocentrismo. Forse qualcosa sarà potuto venire dai missionari protestanti, che a differenza di quelli cattolici hanno una sensibilità diversa e migliore verso le altre creature.

 

Di fatto, missionari o non missionari, internet ci mette al corrente di situazioni incresciose in cui ai gatti, e a tutti gli altri animali, viene fatta ogni sorta di cattiveria, ogni genere di atto sadico, che, nel contesto in cui avviene, non è neanche percepito come tale.

Se prendiamo il caso di alcune nazioni africane, dove la stregoneria animista è ancora in auge, troviamo che a volte vengono accusate d’essere streghe perfino delle scimmiette, e arse vive com’è successo in Sudafrica. In altri posti è ancora la volta dei gatti, che con la stregoneria hanno evidentemente un rapporto millenario, di esser crocifissi e sventrati per puro diletto. O per proteggere la comunità dagli influssi maligni del felino, ché è la stessa cosa. A qualcosa, il crocifisso almeno è servito: a fornire ai sadici primitivi uno strumento di tortura in più, da aggiungersi a quelli che avevano già.

 

Che dire ancora dei poveri mici? Che la loro vita non è facile, come non lo è quella dei cani.

Che in certi posti vengono impiccati,bruciati vivi o sottoposti a mille altre torture, basti pensare agli studi di neurologia in molti laboratori dell’Occidente.

Con il gatto è così, almeno qui da noi: o lo si ama alla follia, o lo si odia. E infatti ci sono tra gli animalisti quelle che si potrebbero scherzosamente chiamare “scuole di pensiero”: canari Vs gattari.

Io appartengo alla prima categoria, ma ricordo che quando abitavo nella baita in montagna mi faceva piacere se Mitch veniva a sistemarsi sullo stomaco con me disteso sul divano, mentre guardavo la tivù la sera. Le sue fusa avevano un effetto calmante e terapeutico. Gli accarezzavo la “emme” che aveva sulla testa, dato che anche lui faceva parte di quel gruppo di felini che vengono, per tale ragione, chiamati “i gatti della Madonna”.

Diceria popolare.

Mitch non c’è più, da anni ormai, avvelenato da vicini crudeli che, anche se si va a vivere in una baita in mezzo ai boschi, non mancano mai.

Come una maledizione.

http://freeanimals-freeanimals.blogspot.it/2013/05/matti-per-i-gatti.html