La sorella della Kyenge: “Chiedere il rispetto delle regole non è razzismo”

5 magg . La sorella del nuovo ministro dell’integrazione italiano: “Chiedere il rispetto delle regole non è razzismo, ci sono tanti immigrati come me che hanno sempre fatto il massimo per integrarsi e hanno sempre seguito la legge”.

Cécile Kyenge, il nuovo ministro dell’integrazione italiano, vuole spalancare le frontiere, abolire il reato di clandestinità e tenere in Italia tutti gli immigrati, nonostante i loro precedenti penali. E gli esponenti della Lega Nord che hanno osato mettere in dubbio questa nomina sono stati immediatamente tacciati di razzismo e xenofobia.

Eppure… proprio la sorella di Cécile Kyenge, Kapya, ha chiesto e ottenuto aiuto dalla Lega Nord per sbrogliare una situazione complicata, per la quale non poteva vivere a casa sua.

A Kapya, da tutti chiamata Dora, era stata infatti assegnata una casa popolare nella periferia di Pesaro, dove lavora all’IperCoop e in una sartoria. Dora però non poteva entrare nella casa a lei assegnata perché occupata da alcuni immigrati marocchini illegali che erano entrati abusivamente nell’abitazione e non ne volevano sapere di levare le tende.

La sorella del ministro ha provato a chiedere aiuto, ma i burocrati italiani non sono riusciti a sbrogliare la matassa. Ecco allora che si rivolge al segretario provinciale della Lega Nord, il quale (incredibile ma vero, almeno per i moralizzatori…) le dà ascolto e riesce a coinvolgere i canali giusti per far sgombrare la casa e permettere a Dora di vivere nella casa a lei destinata.

Per il sentito ringraziamento di Kapya “Dora” Kyenge, che racconta: “Quando ho chiamato la Lega Nord per chiedere aiuto pensavo che mi avrebbero chiuso il telefono in faccia, partivo con il pregiudizio che i leghisti ce l’avessero con tutti gli extracomunitari. Invece mi sono dovuta ricredere: quello che abbiamo ottenuto va a favore di tutti coloro che in futuro avrebbero potuto trovarsi nella mia situazione se noi non avessimo vinto questa “battaglia” per la legalità”.

E, alla faccia di tutti quelli che si ostinano a dire che la Lega Nord critica il ministro Kyenge solo per il colore della pelle: “Chiedere il rispetto delle regole non è razzismo, ci sono tanti immigrati come me che hanno sempre fatto il massimo per integrarsi e hanno sempre seguito la legge”. (mattino.ch)



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Hans Magnus Enzensberger: Il totalitarismo ‘soft’ di Bruxelles

Giampiero Marano on May 3, 2013 —

Nato in Baviera nel 1929, Enzensberger è uno dei più noti scrittori e poeti tedeschi contemporanei. I brani che seguono sono tratti dal Mostro buono di Bruxelles, ovvero l’Europa sotto tutela, uscito qualche mese fa presso Einaudi.

L’esecutivo dell’Unione, che per di più detiene il diritto esclusivo di iniziativa legislativa in quasi tutti i settori e, in quanto ‘custode dei Trattati’, vigila sull’osservanza della legislazione europea da parte degli stati membri, è formato non da ministri ma da commissari. C’è da ritenere che gli inventori di questo concetto non abbiano rilevato le associazioni che in Europa sono a esso ricollegabili. A parte il fatto che in non pochi paesi si intende con esso un poliziotto che svolge indagini, si tratta della denominazione di una carica politicamente molto compromessa. In Unione Sovietica, fra il 1917 e il 1946, esistevano i Commissari del popolo; nell’Armata Rossa i Commissari politici garantivano il rispetto della linea del partito; in Germania, dal 1871 al 1945, ai Commissari del Reich vennero attribuiti grandi poteri, e dopo l’aggressione all’Unione Sovietica, dal 1941 al 1944, i Commissari del Reich ebbero il comando della Germania orientale e dell’Ucraina. (pp. 12-13)

I nostri rappresentanti a Bruxelles sono poco amati. Dal Consiglio alla Commissione, dalla Corte di giustizia all’ultimo assistente nella fascia più bassa, la loro considerazione lascia molto a desiderare (…) Perché la maggior parte dei coabitanti del continente fa di tutto per rendere la vita difficile ai suoi amministratori di fiducia? (…) Con pignoleria vengono elencati i privilegi e le agevolazioni di cui godono. I direttori generali delle fasce di stipendio più alte percepisono, si dice, una retribuzione che è quasi doppia di quella di analoghi funzionari in Germania. Il 10 per cento dei loro introiti è esentasse, così come gli eventuali rimborsi forfettari di viaggio, i contributi per la casa, i figli e la loro istruzione. Chi non lavora nel proprio paese riceve il 16 per cento di maggiorazione per l’estero. Anche i trattamenti pensionistici sono degni di nota. Un normale funzionario lascia il servizio a 63 anni al massimo, però può accedere al prepension amento già a 55. Da una persona interna alla Commissione si è appreso che a questi privilegiati le cose vanno bene al punto che è già capitato di ‘doverli costringere con la forza a lasciare Bruxelles’. (pp. 16-17)

Pur con tutto l’instancabile immischiarsi nella nostra vita quotidiana, un unico campo non è ancora stato dissodato. Ed è la cultura. L’Unione non ci ha mai tenuto molto. Dà fastidio se non altro per il fatto di essere difficilmente omologabile (…) Una sola occhiata al budget che l’Unione mette a disposizione per questo scopo è sufficiente per comprendere quale sia il problema. Detto bilancio ammonta a cinquantaquattro milioni di euro, e quindi rientra in una percentuale bassa; più precisamente, esso significa circa undici centesimi l’anno per ogni cittadino dell’Unione. In termini di confronto: per spese destinate alla cultura, la sola municipalità di Monaco di Baviera si concede centosessantuno milioni di euro. (p. 25)

E’ deplorevole che la maggioranza degli etnologi preferisca recarsi in Papua-Nuova Guinea piuttosto che a Bruxelles; perché lì gli si rivelerebbe un filone di ricerca molto particolare. Già a prima vista è evidente che chi è riuscito a entrare in quelle sfere si considera parte di una élite sovranazionale. Questi funzionari rappresentano la ragion di stato di uno stato che non esiste affatto. Collocati al di sopra dell’orizzonte campanilista dei paesi membri, essi si sentono chiamati a tutelare un interesse generale superiore (…) Nell’esprit de corps dei funzionari dell’Unione rientra non solo l’agile padronanza di regole non scritte e di gerghi, ma anche una nuova variante di internazionalismo. Qui un legame troppo stretto con il paese d’origine è considerato disdicevole. Si è poliglotti e si tiene molto al fatto che il proprio staff venga reclutato dal massimo numero di paesi membri (…) Le inevitabili conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. C on la distanza crescono isolamento e autoreferenzialità. Ciò significa pure che le decisioni prese qui sono sempre più difficili da comunicare a chi sta fuori. Ai solerti rei convinti di Bruxelles non si fa torto pensando che l’umiltà non rientri tra le loro doti. (pp. 42-44).

La questione europea ha preso slancio con l’inizio della Guerra fredda. Il segnale di partenza l’ha dato nel 1946 Winston Churchill con il famoso discorso di Fulton, quando non solo coniò l’espressione ‘cortina di ferro’, ma postulò anche una nuova Europa unita. Naturalmente si riferiva anzitutto ai tedeschi, cosa sorprendente, se non altro perché non esisteva altro popolo che, a parte gli indiani, fosse a Churchill più inviso di quello (…) Con il suo tentativo pensava naturalmente non tanto al bene dei tedeschi, quanto alla minaccia sovietica (…) Nel maggio del 1948 [Churchill] incaricò il genero Duncan-Sandys di organizzare nella capitale olandese una memorabile manifestazione, oggi del tutto dimenticata: il Congresso dell’Aia per l’Unificazione dell’Europa. In quell’incontro lo stesso Churchill assunse la presidenza e tenne il discorso inaugurale (…) Dietro non ci stava nessun governo, e ancora oggi non è affatto chiaro chi abbia finanziato l’operazione. I t eorici della cospirazione sospettano che i servizi segreti americani ci avessero messo lo zampino. (pp. 46-48)

Il Parlamento europeo può prendere decisioni sul budget solo in accordo con il Consiglio europeo. Un solo rappresentante del Consiglio può bloccare le decisioni del Parlamento in materia di bilancio. In questo modo la regola classica che recita No taxation without representation perde ogni valore. Per la prima volta nel 1979 il Parlamento è stato eletto direttamente. Da allora la partecipazione alle elezioni è sempre calata; l’ultima volta si è fermata al 43 per cento (…) L’impressione è che l’apatia degli elettori dell’Unione non preoccupi troppo i responsabili, che guardano impassibili alla loro base di legittimazione. Non è peregrina la supposizione che ciò vada loro a genio; per ogni esecutivo consapevole del proprio potere la passività dei cittadini è infatti una condizione paradisiaca. (pp. 70-71)

Non solo al loro interno le istituzioni europee dimostrano di soffrire di una megalomania che non conosce confini. La loro sfrenata spinta ad ampliarsi è notoria. Paesi che si fanno beffe di ogni criterio di adesione vengono integrati contro le regole e senza tante storie. Ogni volta i nostri piccoli geopolitici anelano ad ampliare sempre più la loro Europa (…) In ogni caso l’Unione europea può vantare una forma di potere che nella Storia non ha esempi. La sua originalità consiste nel fatto di realizzarsi senza fare uso di violenza. Si muove in punta di piedi. Si comporta in modo spietatamente umanitario. Vuole solo il nostro bene (…) Non tiene assolutamente conto del fatto che noi stessi sappiamo ciò che è bene per noi; ai suoi occhi siamo per questo troppo impotenti e immaturi. Perciò abbiamo bisogno di essere assistiti e rieducati a fondo. (pp. 75-78)

L’Europa ha già superato ben altri tentativi di uniformare il continente. Tutti avevano in comune la hybris e nessuno di loro era destinato a un successo duraturo. Neppure la versione non violenta di un progetto simile può avere una prognosi favorevole. Tutti gli imperi della Storia hanno goduto soltanto di un limitato periodo di crescita esponenziale, finché sono naufragati per l’eccessiva espansione o per le contraddizioni interne. (p. 84)

Written by: Giampiero Marano on May 3, 2013.


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Se lo Stato spende un miliardo al mese in affitti assurdi. E scoppia lo scandalo del contratto a Mps

Nella storia della commedia all’italiana questa si guadagna una piazza sul podio. Perché dentro ci sono tutti, da Berlusconi a Prodi. Perché è indicativa per comprendere come abbia fatto la nostra spesa pubblica a crescere in maniera così vertiginosa. Perché è firmata da quel Sergio Rizzo che ben conosce i meandri oscuri della Casta. Può uno Stato sull’orlo del default spendere un miliardo al mese in affitti? E, soprattutto, possibile che debba persino accollarsi il contratto di quel buco nero chiamato Monte dei Paschi?

 Ci sono storie che da sole spiegano come ha fatto la nostra spesa pubblica a superare il 50 per cento del Prodotto interno lordo in un Paese che continua a impoverirsi. Storie che, chissà perché, hanno sempre lo stesso protagonista: gli immobili. Una di queste riguarda un affare che coinvolge il Monte dei Paschi di Siena, banca precipitata in una crisi senza precedenti, e il dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia. E riguarda un grande palazzo, a Roma, davanti al Colosseo. Si tratta della vecchia sede delle esattorie, gestite appunto dalla banca senese, che non a caso ha anche una filiale al piano terra del medesimo stabile.

 Tutto ha inizio nel settembre del 2010. Va ricordato il contesto. Qualche mese prima il governo di Silvio Berlusconi è stato costretto a una dura manovra economica per decreto: la speculazione internazionale aveva già assalito i Paesi più deboli dell’eurozona e ora inquadrava nel mirino anche l’Italia. Era dunque necessario alzare uno scudo, che sarebbe tuttavia crollato dopo qualche mese: ecco allora un primo giro di vite alle pensioni, ecco il taglio degli stipendi più alti dei dirigenti pubblici, ecco il tentativo di sforbiciare i costi della politica.

 Mentre nelle stanze del Tesoro circolavano tabelle che dimostravano come la spesa pubblica stava assumendo proporzioni sempre più preoccupanti, nelle stanze accanto si pensava di spendere altri soldi. In che modo? Affittando dai privati una nuova sede. Il bello è che negli anni precedenti le Finanze avevano ceduto i propri immobili con la motivazione di contribuire all’abbattimento del debito pubblico, che a dispetto di ciò continuava a crescere.

 A questo punto salta fuori il Monte dei Paschi di Siena, che attraverso una società immobiliare della quale è presidente Alfredo Monaci, futuro candidato alle elezioni politiche del 2013 con la lista Monti nonché fratello del presidente del consiglio regionale della Toscana Alberto Monaci (Pd ex Margherita), possiede a Roma un immobile che capita come il cacio sui maccheroni.

 Superficie adeguata alle esigenze, collocazione deluxe: di fronte al Colosseo. Il contratto d’affitto viene stipulato con decorrenza primo gennaio 2011. Importo: 7 milioni 260 mila euro. Ma ci sono da fare i lavori di ristrutturazione, che costeranno una quindicina di milioni. A carico, di solito, del proprietario.

 E qui si apre un’altra pagina di questa storia. Perché il Monte dei Paschi, già in affanno dopo l’acquisizione dell’Antonveneta e il titolo che precipita in borsa, decide di vendere. Delibera di cedere a non meno di 132 milioni, per portare a casa almeno una trentina di milioni di plusvalenza rispetto al valore di bilancio. Purtroppo però il mercato è depresso, e anche un immobile tanto prestigioso è difficile da cedere a un buon prezzo. C’è però un fondo, che si è costituito da qualche mese. Lo gestisce una società del gruppo Mittel del quale è presidente Angelo Rovati, già fund raiser di Romano Prodi alle elezioni del 2006, famoso ex cestista del passato divenuto poi imprenditore e scomparso proprio in questi giorni.

 Il Monte conferisce il palazzo a quel fondo, le cui quote vengono acquistate da un altro fondo. È il Fondo di previdenza dei dipendenti delle Finanze, alimentato con il premio-incentivo che tutti gli anni tocca a loro per i risultati ottenuti sul fronte della lotta all’evasione fiscale. L’investimento è ottimo, per loro: 7 milioni e mezzo, fra le pigioni pagate dal loro ministero e l’affitto dei locali dove sta la filiale del Monte dei Paschi, significano un interesse di quasi il 5,8 per cento.

 Ovvero, un rendimento ben superiore al costo di un mutuo immobiliare. Invece è meno buono, decisamente, per i contribuenti. Perché quando i 18 anni del contratto saranno scaduti, lo Stato avrà speso una cifra che sarebbe stata più che sufficiente a comprare quel palazzo, ma non avrà nemmeno un mattone in mano.

 L’operazione può avere mille giustificazioni: ne siamo certi. Ma non può non lasciare interdetti, tanto più se si considerano le dimensioni enormi del patrimonio immobiliare pubblico, il cui valore commerciale è stimato in almeno 400 miliardi di euro, e lo stato in cui questo versa. Di più. Mentre si avviavano alla conclusione gli imponenti lavori di ristrutturazione del palazzo di via dei Normanni, il governo Monti avviava un piano per risparmiare sugli affitti passivi pagati dalla pubblica amministrazione, con la prospettiva dichiarata di realizzare economie per 56 milioni di euro l’anno entro il 2015.

 Il solo ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha appena preso in affitto quel palazzo del Monte dei Paschi, conta di risparmiare 13 milioni e mezzo. Goccioline, in un mare sterminato. Su Panorama Giuseppe Cordasco ha rivelato l’esistenza di una stima secondo cui lo Stato italiano ha in affitto dai privati qualcosa come 10.108 immobili, con un costo annuale di un miliardo 215 milioni di euro. Ovvero, poco meno di un terzo del gettito dell’Imu sulla prima casa.

 Ma è una stima per difetto, se si considera l’immenso capitolo degli affitti passivi delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Voci che potrebbero addirittura moltiplicare per dieci quel numero, facendolo salire all’incredibile valore, secondo valutazioni che circolavano qualche settimana fa tra i ministri del governo di Mario Monti ormai sull’uscio di Palazzo Chigi, di 12 miliardi di euro. Il triplo dell’Imu sulla prima casa.

 La casistica è semplicemente sterminata: basti l’esempio del Comune di Roma, proprietario di migliaia di immobili, capace di spendere 14 milioni l’anno per affittare i locali e i servizi delle commissioni e dei gruppi politici del consiglio comunale. Tutto questo, per giunta, in assenza della doverosa trasparenza nonostante una legge approvata il 24 marzo dello scorso anno imponga a tutte le amministrazioni l’obbligo la pubblicazione online dei contratti d’affitto.

 Non si può non ricordare che dal 2001 al 2012 la spesa pubblica al netto degli interessi pagati sul debito è salita in termini reali del 12,5 per cento, mentre il Prodotto interno lordo reale procapite diminuiva del 6,5 per cento.

 LEGGI DALLA FONTE ORIGINALE – Sergio Rizzo su Corriere.it

http://www.infiltrato.it/inchieste/italia/se-lo-stato-spende-un-miliardo-al-mese-in-affitti-assurdi-e-scoppia-lo-scandalo-del-contratto-a-mps

 

Spagna, non solo corride: ecco tutti gli eventi dove vengono uccisi animali

ato 4 maggio 2013

In Spagna sono numerosi gli ‘eventi’ dove vengono maltrattati, torturati e uccisi gli animali: iniziano a Gennaio, finiscono a Dicembre. Di seguito gli avvenimenti principali mese per mese…
 
Ricevuto da Alessio Farnetani
  

Gennaio Manganeses Polverosa (Castilla Leon). Una capra viva viene gettata dal campanile della chiesa.

Febbraio Villanueva de la Vera (Extremadura). Un asinello cavalcato dall’uomo più grasso del villaggio, attraversa il paese attorniato dalla folla isterica che lo picchia selvaggiamente. Mentre cammina danno fuoco ai suoi testicoli, lo fanno bere grappa, gli danno pugni e calci e finito il carnevale… finisce anche l’asinello!

Marzo Salas de los Infantes (Castilla-Leon). Polli e tacchini vengono uccisi a bastonate da ragazzi con gli occhi bendati, tra le urla della folla scatenata.

Aprile Tordesillas (Castilla-Leon). Un toro viene rincorso e massacrato a colpi di lancia da un centinaio di uomini a cavallo. Vince la “lancia d’oro” chi riesce ad atterrare l’animale e a tagliargli i testicoli, mentre il toro è ancora vivo e cosciente.

Maggio Benavente (Zamora). Diversi tori vengono strangolati lentamente con una corda legata al loro collo e tirata da 300 uomini.

Giugno Coria (Caceres). La folla insegue dei tori attraverso le strade del villaggio lanciando loro freccette e mirando agli occhi. Quando gli animali si accasciano vengono castrati, mutilati e pugnalati fino alla morte.

Luglio Carpio del Tajo (Castilla la Mancha). Dei cavalieri staccano la testa a oche vive appese a una corda stesa attraverso la piazza del mercato.

Agosto San Sebastian de los Reyes (Madrid). Dei nani torturano e mutilano alcuni vitellini per ore intere. Quando i vitelli cadono agonizzanti, i nani danzano sui loro corpi.

Settembre Ciruelas Cifuentes (Madrid). Delle giovani mucche vengono rincorse e schiacciate con dei trattori.

Ottobre Fuenlabrade (Madrid). Quattro animali (tori o mucche) vengono picchiati, pugnalati, feriti con ogni tipo di strumento dalla folla e muoiono per dissanguamento.

Novembre Igea (La Rioja). Si spezzano le membra a dei vitelli e poi li si getta nel vuoto da una piattaforma.

Dicembre Notilla del Palancar (Cuenca). Nel corso di uno spettacolo delle galline vengono lapidate a morte.

Staff nocensura.com

http://www.nocensura.com/2013/05/spagna-non-solo-corride-ecco-tutti-gli.html

 

Eurogendfor, la polizia europea über alles con “totale immunità giudiziaria”: ecco i nuovi gerarchi

La cosa più preoccupante in assoluto di questa milizia, attualmente posta sotto il comando del colonnello olandese Cornelis Kuijs, è la sua totale autonomia. L’Eurogendfor, infatti, non deve rispondere né ai Parlamenti delle nazioni che l’hanno creata, né, tanto meno, a quello europeo di Strasburgo. Soprattutto, parrebbe che i membri dell’Efg possano godere di una “totale immunità giudiziaria”. Che cosa potrà succedere in occasioni dove l’ordine pubblico dovrà rispondere ai nuovi gerarchi? La risposta in un’inchiesta firmata da Gea Ceccarelli per ArticoloTre.

 In questi giorni si parla molto dell’imminente scioglimento dell’Arma dei carabinierie sono in tanti a domandarsi dove potranno finire dunque tutti coloro che hanno dedicato la propria vita alla forza militare italiana. Ebbene, la risposta è: poliziaEurogendfor.

 La Polizia non ha certo bisogno di presentazioni. La seconda, invece, sì, se non altro per il silenzioche su essa regna. L’Eurogendfor altro non è che l‘European Gendarmerie Force, una sorta di esercito sovranazionale dotato di poteri straordinari,formato da 800 militari sempre pronti a intervenire in ogni luogo del pianeta e una riserva di di circa 2000uomini attivabili entro trenta giorni.

 Questa gendarmeria nacque nel 2004 su iniziativa di cinque Paesi Membri dell’Ue: Francia, Italia, Portogallo, Spagna e Paesi Bassi. Proprio quelli che, il 18 ottobre 2007 , firmarono a Noordwijk il Trattato di Velsen, il quale, formato da appena 42 articoli, ne disciplina compiti e poteri. Nel 2008, poi, ai cinque stati “padri” si aggiunse anche la Romania.

 L’Egf, che ha sede a Vicenza, presso la caserma Chinotto, è a disposizione dell‘Unione Europea, della Nato, dell’Onue dell’Ocse, eppure non risponde a nessuno di essi, ma solo al Cimin(Comitato Interministeriale di Alto Livello), ossia a quel gruppo di ufficiali e rappresentanti del Ministero Esteri e Ministero Difesa. Rapidamente schierabile, composta da forze di polizia con status militare, interviene in scenari di crisiper riportare l’ordine pubblico.

 Dalla sua nascita, ha -ufficialmente- operato in almeno tre scenari: in Bosnia Erzegovinadal 2007 al 2010, nell’ambito della Missione Eufo “Althea”; ad Haiti, nel 2010, a seguito del terremoto, rispondendo alla richiesta dell’Onu; in Afghanistan, sotto l’egida della Nato, dove tutt’ora addestra la Polizia locale. Eppure non sono in pochi a ritenere che sia stata schierata anche in altre località e contesti, come in Greciadurante le rivolte anti-austerity.

 La cosa più preoccupante in assoluto di questa milizia, attualmente posta sotto il comando del colonnello olandese Cornelis Kuijs, è la sua totale autonomia. L’Eurogendfor, infatti,non deve rispondere né ai Parlamentidelle nazioni che l’hanno creata, né, tanto meno, a quello europeo di Strasburgo. Soprattutto, parrebbe che i membri dell’Efg possano godere di una“totale immunità giudiziaria”.

 NelTrattato di Velsen, il documento firmato dai ministri dei paesi che l’hanno costituita, si possono trovare infatti elencati i diversi “super poteri” che questa milizia europea si è vista riconoscere. Nell’articolo 21, per esempio, si cita l’inviolabilità dei locali, degli edifici e degli archivi della gendarmeria.In quello successivo, ecco comparire l‘immunità delle proprietà e dei capitali dell’Egf da provvedimenti esecutivi dell’autorità giudiziaria dei singoli Stati.

 E ancora: l’articolo 23 prevede che tutte le comunicazioni degli ufficiali della forza in questione non possano essere intercettate da nessuna autorità giudiziaria,mentre il ventinovesimo, il più illuminante di tutti, spiega come il personale EGF non possa essere soggetto a “procedimenti di esecuzione di giudizi a loro carico relativi a situazioni derivanti dallo svolgimento dei loro compiti ufficiali emessi dello Stato ospite o di destinazione.

 Una carta bianca che permette ai super militari di far quello che preferiscono, appena mitigata dall’articolo 13, che sottolinea come il personale EGF debbarispettare la legge in vigore nel Paese ospite o nel Paese di destinazione”. Inoltre, nell’articolo 28 del Trattato si chiarisce che i paesi aderenti rinunciano a chiedere indennizzi per eventuali danni procurati dalla milizia.

 Una lunga serie di protezioni, dunque, che, assieme al silenzio che regna su di essa, andrebbe a coprire la forza di polizia internazionale, la quale può operare in tutte le fasi di gestione di una crisi: quella iniziale, “attraverso la stabilizzazione e il ripristino delle condizioni di ordine, sicurezza pubblica, sostituendo o rafforzando le forze di polizia locali deboli o inesistenti”; quella di transizione, “continuando a svolgere la sua missione come parte della componente militare, facilitando il coordinamento e la cooperazione con unità di polizia locali o internazionali”; e nel disimpegno, “agevolando il trasferimento delle responsabilità dai militari alla catena di comando civile.”

 Il Trattato di Velsen, inoltre, affida ad Eurogendfor una serie di impegni e compiti che sollevano numerose incognite. Oltre al garantire la pubblica sicurezza e svolgere attività di polizia giudiziaria, l’Egf può controllare, sostituirsioistruire le polizie localidirigere la pubblica sorveglianza, operare alle frontiere, acquisire ogni genere di informazionee, infine, svolgere operazioni d’intelligence.

 Ed è proprio quest’ultimo punto, quello che preoccupa i più: una superforza che tutto può, con la benedizione di stati e organizzazioni, una struttura militare sovranazionale in grado di operare in qualsiasi angolo del globo senza dover render conto a nessuno, che si configura anche come organo di spionaggio interno ed esterno. In poche parole, una bomba innescata in mano ai potenti, i quali, secondo alcuni, l’avrebbero già utilizzata a proprio piacimento per placare proteste e rivolte. E’ il caso, appunto, della Grecia. In questa direzione, non sono in pochi a domandarsi quanto tempo debba trascorrere prima che i supermilitari intervengano anche in Italia, considerata la crisi sia governativa che finanziaria in cui il nostro paese riversa e che lo sp inge perennemente sull’orlo del baratro. Oltre il quale, ci sono pochi dubbi, ci attendono i manganelli dell’Egf.

 LEGGI DALLA FONTE ORIGINALE – Gea Ceccarelli su ArticoloTre.com

http://www.infiltrato.it/inchieste/italia/eurogendfor-la-polizia-europea-uber-alles-con-totale-immunita-giudiziaria-ecco-i-nuovi-gerarchi

 

In aula si discute il DEF, ma non c’è nessuno – Cadoinpiedi

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In aula si discute il DEF, ma non c’è nessuno – Cadoinpiedi
Oggi si discute in aula il DEF (documento di economia e finanza). Nei due spicchi affianco a noi ci sono sì e no 15 deputati. Ma si rendono conto che sono pagati per essere in aula sempre, non solo quando si deve schiacciare il pulsantino per votare?! Ricordiamoglielo!“. 

Così Paola Carinelli, deputata 5 Stelle, su Facebook. 

http://www.cadoinpiedi.it/2013/05/06/in_aula_si_discute_il_def_ma_non_ce_nessuno.html

Tradate Picchiato da un disoccupato, direttore Inps finisce all’ospedale

sotto chock i dipendenti. Quelli che con lo stipendio fisso dicono al disoccupato di arrangiarsi con l’indennità ridotta. E sono i dip pubblici sotto chock. Quando la tua nazione di condanna a morte per miseria è facile perdere la calma, ma per carità, mai riflettere su questo.

 Il dirigente aggredito da un frontaliere che non capiva perché gli fosse stata ridotta l’indennità. Ma era stato già denunciato per minacce una settimana fa

 Un disoccupato ha aggredito, questa mattina, il direttore della filiale Inps di Tradate. L’uomo, che aveva già minacciato in passato i dipendenti, è entrato come una furia nell’ufficio del dirigente, lo ha preso per i capelli, e lo ha colpito con alcuni pugni in faccia e ai fianchi.

 Il funzionario, M. F., aveva tentato di farlo ragionare, ma non ha potuto fare nulla contro la furia dell’utente, che prima di colpirlo ha anche rivolto la sua rabbia contro alcuni macchinari, gettando carte dappertutto e spaccando un computer. L’intervento di alcuni colleghi, che hanno separato i due e isolato l’aggressore, ha evitato conseguenze peggiori ma adesso dentro l’Inps c’è paura e rammarico.

 LA TESTIMONIANZA

«Questo soggetto era già noto per la sue intemperanze – racconta Tullio Ferretti, il direttore dell’Inps provinciale – si tratta di un lavoratore frontaliere che, per effetto di un adeguamento delle normative, ha visto la sua indennità di disoccupazione ridotta da 12 mesi e 8 mesi. Ma noi ci siamo limitati ad applicare le leggi. La durata dell’indennità, prima, era regolata solo da un accordo bilatelare italo svizzero, che nel frattempo è rientrato nelle normative dell’Unione Europea, le quali prevedono 8 mesi annuali per chi ha meno di 50 anni. Capisco la difficoltà del lavoratore, ma il nostro ufficio non ha sbagliato».

L’aggressore , che sarebbe un uomo sulla quarantina, si è poi dileguato: l’episodio è stato denunciato ai carabinieri. L’uomo aveva minacciato il direttore della filiale la settimana scorsa, dopo un colloquio moto teso, in cui aveva già lamentato la riduzione dell’indennità. L’Inps lo aveva denunciato proprio in quella occasione. «Nei giorni scorsi c’è stato anche uno scambio di email – continua il direttore dell’Inps provinciale Ferretti – ma lui non ha voluto sentire ragioni. Questa mattina, mi hanno detto che sembrava una furia, tirava i capelli del nostro direttore di filiale e cercava di distruggere tutto. Ho parlato con la vittima mentre era in ospedale a farsi medicare».

 PROTESTE SINDACALI

I lavoratori, sotto choc, hanno subito allertato i rappresentanti sindacali, che stanno lavorando a una dura presa di posizione, spiegando che l’Inps, in prima linea sulle disoccupazioni, sta diventando un terreno fertile per la rabbia di una parte della popolazione, disperata per la difficile situazione economica. I sindacalisti sono in fermento: «La R.S.U. e le organizzazioni sindacali di Varese esprimono rammarico e piena solidarietà al collega responsabile della sede di Tradate per la violenta aggressione avvenuta allo sportello del centro operativo. Solo con l’intervento di altri colleghi è riuscito a liberarsi» scrivono in una lettera che sta girando tra i dipendenti in queste ore. I lavoratori chiederanno all’amministrazione dell’istituto che adotti tutte le misure necessarie affinché ogni lavoratore possa svolgere il proprio compito «con dignità e professionalità ma principalmente in tutta sicurezza, senza rischiare l’ incolumità personale » e di «ritornare ad un sistema di presenza del vigilante e delle mansioni ad esso connesse». Pestaggi di questo tipo non erano mai avvenuti, ma adesso la crisi sociale è talmente grave che i dipendenti stanno arrivando a chiedere le guardie giurate alle porte dei palazzi.

6/05/2013

Roberto Rotondo

http://www3.varesenews.it/varese/picchiato-da-un-disoccupato-direttore-inps-finisce-all-ospedale-262226.html

 

Francia, fallisce il test di un missile per testate nucleari

quand’è che alla Francia sarà impedito di continuare ad inquinare ambiente e minare la salute della gente ignara dei suoi esperimenti?

 05/05/2013 Francia, fallisce il test di un missile per testate nucleari

 Il missile M51, lanciato alle 9:30 dal sommergibile Le Vigilant immerso nella baia di Audierne, «si è autodistrutto nella prima fase della propulsione» per «ragioni sconosciute» e i frammenti sono ricaduti in mare in un’area vasta

 È esploso al largo della costa bretone i frammenti si sono dispersi in mare

 Un missile balistico intercontinentale francese adibito al trasporto di testate nucleari è esploso nel lancio-test da un sottomarino a propulsione nucleare nell’Atlantico, al largo della costa della Bretagna. L’hanno annunciato le autorità francesi, ammettendo il «fallimento» e aggiungendo che non c’erano testate nucleari. Il missile M51, lanciato alle 9:30 dal sommergibile Le Vigilant immerso nella baia di Audierne, «si è autodistrutto nella prima fase della propulsione» per «ragioni sconosciute» e i frammenti sono ricaduti in mare in un’area vasta.

 «Ho sentito vibrare il terreno», ha raccontato un testimone che si trovava in un bar di Audierne quando è stato effettuato il lancio. «Sono uscito e ho visto il fumo bianco», ha aggiunto. L’M51, diventato operativo dal 2010 dopo cinque collaudi in mare e tre da basi di lancio terrestri, rimpiazza l’ormai obsoleto M45. Si tratta di un missile balistico intercontinentale con una gittata fra i 6.000 e gli 8.000 km, lungo 12 metri e pesante 56 tonnellate, capace di trasportare sei testate atomiche indipendenti. La Difesa francese ha precisato che si tratta del primo fallimento di un test missilistico per la Francia dal 1996.

 http://www.lastampa.it/2013/05/05/esteri/francia-fallisce-il-test-di-un-missile-per-testate-nucleare-1oUUNEmvePkV8UDECC0xbN/pagina.html

 

Si squarcia il velo delle menzogne sulla Siria

Articolo inviato al blog

di: Luciano Lago

Denuncia choc dell’incaricata dell’ONU per la Siria, Carla Del Ponte: nel corso di una trasmissione ai microfoni della Radio Svizzera, la Del Ponte ha affermato che “le Nazioni Unite hanno le prove che – finora – ad utilizzare “armi chimiche”, a partire dal letale “gas sarin”, in Siria sono stati gli insorti e non gli uomini fedeli al regime di Bashar al Assad”.

 Inoltre ha aggiunto che “questo utilizzo e’ stato fatte da parte degli opponenti…dei ribelli e non dalle autorità governative”. La Del Ponte punta il dito però non sui siriani anti-Assad ma contro le frange qaediste sottolineando che, “il fatto non ci sorprende perché negli opponenti si sono infiltrati combattenti stranieri”.

Questa dichiarazione “taglia la testa al toro” nel senso che zittisce Obama il quale sosteneva di avere prove di un possibile utilizzo delle armi chimiche da parte del regime di Al Assad, ammutolisce la grande stampa “allineata” nella manipolazione delle notizie che risponde alle direttive degli USA, di Israele e dell’Arabia Saudita (i principali sostenitori delle forze ribelli) e che sosteneva in coro la pericolosità del regime siriano che stavo utilizzando armi chimiche contro i “poveri ribelli democratici” che operano in Siria.

Inoltre la Del Ponte riconosce (bontà sua) che in Siria operano milizie straniere di Al Quaeda che sono in prevalenza libici, egiziani, algerini afgani e persino ceceni. Non sono quindi elementi di una “ribellione spontanea” come sostengono i “giornaloni” esperti di manipolazione come “Repubblica, La Stampa ed il Corriere della Sera,”oltre ai TG della RAI, ma si tratta di miliziani fanatici ed integralisti appartenenti ad Al Quaeda che vengono colpevolmente armati dagli USA e finanziati dall’Arabia Saudita, potenze che hanno tutto l’interesse alla destabilizzazione del paese arabo.

Si squarcia il velo delle menzogne in Siria ed iniziano ad emergere le verità sul conflitto. Ben lontano da essere una guerra civile ma piuttosto una “guerra sporca” su procura delle grandi potenze.

Le conseguenze sono nell’enorme numero di vittime (oltre 80.000), di profughi che si ammassano nei campi di raccolta in Giordania ed in Turchia, oltre 1.300.000 calcola l’ONU in continuo aumento. Una vera emergenza umanitaria. Questi profughi possono inviare un “ringraziamento” particolare per la loro situazione alla signora Clinton che è stata artefice di questa politica criminale degli USA e dell’accordo che questa aveva fatto con l’Arabia Saudita ed il Qatar per il finanziamento delle milizie ribelli in Siria al fine di rovesciare il regime di al Assad. Le petromonarchie del golfo dovevano mettere i soldi ed il Pentagono avrebbe messo gli armamenti, la CIA ed il Mossad si sarebbero occupati dell’addestramento.

Naturalmente era già prevista la campagna di false informazioni che dovevano attribuire al regime di al Assad la repressione di “spontanee rivolte” contro “il tiranno Al Assad” avvenute ad Aleppo ed in altre città della Siria per poi giustificare un sostegno ai ribelli organizzati per “portare la democrazia” nel paese. Lo stesso identico copione che aveva funzionato così bene in Libia.

Ma la Siria non è la Libia, non è un insieme di tribù beduine del deserto, si tratta invece di una paese con una civiltà millenaria come testimoniano le decine di siti archeologici con i ruderi delle civiltà che sono passate in Siria. Il piano del Dipartimento di Stato USA si è arenato sulla forte resistenza dimostrata dall’Esercito Nazionale Siriano e dalla stessa popolazione che si è rifiutata di appoggiare le milizie ribelli, conosciute per il loro fanatismo e crudeltà, trattandosi di salafiti e wahabiti (le confessioni prevalenti nell’Arabia Saudita) con l’idea di istituire uno stato islamico.

Il risultato è quello di una sanguinosa guerra che tende a distruggere le città della Siria, con un enorme tributo di sangue della popolazione inerme e con una reale possibilità di allargamento del conflitto grazie all’interessato intervento dell’aviazione di Israele che (come detto da Obama) “ha diritto a difendersi”.

Tutto il quadro del Medio Oriente tende ad evolversi e lo stesso Iran inizia a lanciare i suoi “minacciosi” avvertimenti, con le conseguenze che determinerebbe un ingresso diretto dell’Iran nel conflitto.

Come sempre succede in questi casi, le bugie hanno le gambe corte e la verità prima o dopo viene a galla.

http://www.agi.it/estero/notizie/201305052234-est-rt10091-siria_carla_del_ponte_choc_ribelli_hanno_usato_armi_chimiche

 

http://coriintempesta.altervista.org/blog/si-squarcia-il-velo-delle-menzogne-sulla-siria/

 

I banchieri israeliani e il progetto mediorientale

maggio 5, 2013

 Dean Henderson – 5 maggio 2013

 Questa mattina aerei da guerra israeliani hanno sganciato bombe sui sobborghi di Damasco per la seconda volta negli ultimi giorni. Con l’esercito siriano che avanza nettamente sul terreno contro i ribelli di al-Qaida finanziati dai sauditi e addestrati dagli israeliani, i banchieri Illuminati sono sempre più disperati nel tentativo di salvare la loro fallita operazione segreta. La Siria è un perno fondamentale per il loro tentativo d’imporre un modello neocoloniale per estrarre petrolio nella regione del Medio Oriente, un piano che ha avuto inizio nel periodo successivo alla Guerra del Golfo.

 La carota e il bastone

La guerra del Golfo ha fornito un’occasione d’oro agli Stati Uniti per scoprire chi erano i loro amici e, soprattutto, chi erano i loro nemici. Il presidente Bush padre, dopo aver esser stato direttore della CIA, sapeva di dover agire da agente provocatore geopolitico, trascinando fuori dall’armadio tutti i nemici degli Stati Uniti per bersagliarli. Dopo la guerra, i Paesi che sostennero l’impegno furono premiati, spesso con fondi sauditi e kuwaitiani. Coloro che simpatizzarono per l’Iraq furono isolati ed esclusi dalla rete finanziaria globale. Poco dopo l’inizio della guerra del Golfo, l’Egitto, la Siria e gli Stati del GCC firmarono la Dichiarazione di Damasco sollecitata dagli USA. L’accordo è un modello di compensazione finanziaria, politica e militare post-bellica per coloro che hanno sostenuto l’operazione Desert Storm. All’inizio della guerra del Golfo, l’Egitto doveva ai creditori esteri 35 miliardi di dollari. Quando il presidente Hosni Mubarak acconsentì l’invio di truppe egiziane, gli Stati Uniti annunciarono l’intenzione di condonare 6,7 miliardi dollari di debiti ai militari egiziani.[1] I sauditi e i kuwaitiani annunciarono una riduzione del debito di 7 miliardi di dollari. Nell’ambito della transazione, 38.000 truppe egiziane rimasero nella penisola saudita. L’Egitto ricevette 2,2 miliardi di dollari annualmente, in aiuti militari dagli USA, che utilizzò per l’acquisto di Apache, F-16 e missili Hellfire, Stinger e Hawk. L’aiuto militare israeliano arrivò a 3,1 miliardi dollari all’anno. Nel 1993 il Kuwait annunciò la fine del suo 42ennale boicottaggio d’Israele, mentre i sauditi smisero di far rispettare il loro boicottaggio.[2]

Quando la Siria si rifiutò di negoziare con Israele, il principe saudita Bandar intervenne. Israele serve da base avanzata per i succhiapetrolio Rothschild/Rockefeller e i loro amici bancari europei. Ashqelon, in Israele, è fondamentale per il commercio dei diamanti della De Beers, finanziata dall’Unione delle Banche, società controllata dalla Bank Leumi, la più grande banca commerciale d’Israele. Bank Leumi è controllata dall’inglese Barclays, una delle quattro banche britanniche che presiedono il Triangolo d’Argento caraibico del riciclaggio di droga e denaro. La famiglia del presidente della Bank Leumi, Ernst Israel Japhet controlla la Charterhouse Japhet, di cui Barclays detiene anche una quota di grandi dimensioni. Charterhouse monopolizza il commercio di diamanti tra Israele e Hong Kong. I Japhet sono una dinastia bancaria tedesca. Furono coinvolti nelle guerre dell’oppio cinesi con i Keswick, Inchcape e Swire. Il fiduciario della Bank Leumi, barone Stormont Bancroft, un ex lord della Regina Elisabetta II e proprietario della Cunard Lines, è un membro della famiglia Samuel che possiede grandi quote della Royal Dutch/Shell e della Rio Tinto. La famiglia Bancroft possiede una grande partecipazione del Wall Street Journal.

Japhet è stato direttore della BCI di Tibor Rosenbaum, istituita nel 1951 dopo la creazione d’Israele, per operare come lavanderia finanziaria svizzera del Mossad. Rosenbaum è stato importante per la fondazione sionista d’Israele, ma non era un amico del popolo ebraico. Tibor era un associato del dottor Rudolph Kastner, il cui buon amico Adolf Eichmann mandò 800.000 ebrei a morte ad Auschwitz. Un articolo della rivista Life del 1967, affermava che la BCI aveva ricevuto 10 milioni di dollari sporchi dalla World Commerce Bank di Meyer Lansky, nelle Bahamas. La seconda banca d’Israele è la Bank Hapoalim, il cui fondatore e proprietario è il visconte britannico Erwin Herbert Samuel, un altro insider della Royal Dutch/Shell. Samuel dirige la Croce Rossa israeliana, un braccio dell’intelligence britannico, ed è cavaliere di San Giovanni di Gerusalemme. Anche la Bank Hapoalim è affiliata alla BCI. Un terzo colosso bancario israeliano è l’Israel Discount Bank, al 100% di proprietà della Barclays, che controlla i finanziamenti e i fondi israeliani alla British Broadcasting Corporation (BBC). Sir Harry Oppenheimer, presidente della De Beers dalle origini anglo-americane, siede nel consiglio della Barclay che comprende cinque membri Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme della Regina Elisabetta, più di qualsiasi altra azienda al mondo.[3]

La Paz Oil detiene il monopolio dei settori petrolifero, petrolchimico e armatoriale d’Israele. Paz è controllata dalla famiglia Rothschild, che fu determinante per la fondazione d’Israele. Gli azionisti includono la Banca  commerciale dello svizzero-israeliano Tibor Rosenbaum, il boss di Detroit ed insider della United Brands Max Fischer, e Sir Isaac Wolfson, membro di una vecchia danarosa dinastia europea e consigliere politico del primo ministro britannico Margaret Thatcher. I membri del consiglio della banca commerciale svizzero-israeliana comprendono l’insider della Permindex generale Julius Klein, il banchiere argentino David Graiver e il segretario al Commercio di Carter Phillip Klutznick.[4]

La Siria inviò truppe a combattere in Iraq e ricevette dai sauditi e dal Kuwait il finanziamento per l’acquisto di 48 caccia MiG-29, 300 avanzati carri armati e un nuovo sistema di difesa aerea. Nel febbraio 1991, il presidente siriano Hafiz Assad ricevette 2 miliardi di dollari di aiuti dai sauditi e dai kuwaitiani. Alla Siria venne permesso d’impadronirsi di territori nel nord del Libano, durante la guerra, frantumando la milizia cristiana del generale Michele Aoun. Il 15 ottobre 1990 le truppe siriane presero Beirut.

Il Senegal ebbe 42 milioni di dollari di debito cancellati dagli Stati Uniti, avendo partecipato all’operazione Desert Storm e inviato forze di pace in Liberia, dove il burattino della CIA Samuel Doe era stato messo alle corde dai rivoluzionari di Charles Taylor. Doe, che stava proteggendo le piantagioni di gomma della Firestone e le miniere di diamanti della DeBeers, venne rovesciato, accusato di tradimento e giustiziato. Nel 2003, secondo l’Economist, la CIA inviò aiuti militari alla Guinea, utilizzati per finanziare due gruppi controrivoluzionari liberiani per spingere il nuovo presidente Charles Taylor all’esilio in Nigeria. Gli Stati Uniti quindi emisero un mandato dell’Interpol per Taylor, che la Nigeria si rifiutò di riconoscere.

Marocco e Tunisia inviarono truppe nel Golfo e furono premiati dall’aiuto del Kuwait e saudita. Le nazioni del Maghreb nordafricano, Algeria, Mauritania, Sudan e Libia denunciarono tutte con veemenza il bombardamento statunitense dell’Iraq. Yemen, Giordania e Autorità palestinese fecero lo stesso. Nel 1990, l’Arabia Saudita vietò la vendita di petrolio a Mauritania, Yemen, Sudan e  Giordania. L’Arabia Saudita e il Kuwait cancellarono i 100 milioni di dollari che dovevano consegnare all’Autorità palestinese, mentre continuavano a finanziare la fondamentalista Hamas. Al vertice islamico del dicembre 1991 a Dakar, in Senegal, il principe ereditario saudita Abdullah rispose a un tentativo di abbraccio di Yasser Arafat con un laconico: “Niente baci per favore“. Adbullah si rifiutò anche di parlare con il re di Giordania Hussein.

I membri del Consiglio di Sicurezza che votarono “sì” alla risoluzione 678  furono anch’essi premiati. La Cina ottenne un prestito della Banca Mondiale di 140 milioni di dollari. La Russia ottenne 7 miliardi di dollari dagli Stati del GCC. Il Congo ebbe una grossa fetta del debito estero condonato e ricevette aiuti militari, mentre Colombia ed Etiopia ricevettero gli aiuti della Banca Mondiale. Gli USA prontamente versarono i 187 milioni di dollari ai delinquenti dell’ONU, che gli dovevano.[5]

Il giorno dopo che lo Yemen diede un solitario “no” alla risoluzione 678, gli Stati Uniti gli cancellarono un pacchetto di aiuti di 42 milioni dollari. L’ambasciatore all’ONU dello Yemen si sentì dire da un diplomatico degli Stati Uniti, il giorno in cui lo Yemen votò, “Questo è il voto più costoso mai dato“.  I sauditi punirono il loro vicino meridionale chiedendo a migliaia di lavoratori yemeniti impiegati nel Regno, di trovare sponsor sauditi per non essere  espulsi. Dopo la guerra, i lavoratori yemeniti, palestinesi e giordani furono sostituiti in massa, in tutte i sei Stati del GCC, che inoltre annullarono 28 milioni dollari di aiuti allo Yemen.[6] La Giordania perse 200 milioni di dollari di aiuti sauditi, assistenza che di norma copriva il 15% del bilancio di Amman. Gli Stati Uniti cancellarono un pacchetto di 37 milioni dollari di aiuti alla Giordania che, come principale partner commerciale dell’Iraq, subì ulteriori conseguenze e conomiche causate dall’embargo ONU.[7]

Per alcuni Paesi le conseguenze per aver criticato la politica estera degli Stati Uniti furono assai più drastiche. In Etiopia, il governo di Mengitsu Haile Mariam aveva cominciato a denunciare la guerra degli Stati Uniti contro l’Iraq, nonostante il suo precedente “sì” alle Nazioni Unite. Mariam fu rovesciato da una coalizione di ribelli tigrini, eritrei e oromo, che poi sorvegliarono l’ambasciata statunitense a Addis Abeba, davanti cui migliaia di etiopi si riunirono per protestare contro il coinvolgimento degli Stati Uniti nel colpo di Stato.[8] In Algeria, dove il ministro del petrolio del Paese e presidente dell’OPEC, Sadiq Bussena, accusò i venditori di future energetici statunitensi  di manipolare i prezzi del petrolio durante la Guerra del Golfo, il Gruppo islamico armato fondamentalista (AIG) lanciò una campagna terroristica sanguinaria. L’Algeria era un leader dei falchi del prezzo nell’OPEC e i sauditi volevano togliere Boussena dalla preside nza dell’OPEC. Il presidente algerino Chadli Benjedid accusò i sauditi di finanziare l’AIG. Molti algerini vi videro la mano della CIA. La moneta dell’Algeria fu svalutata e nel gennaio 1992 Benjedid venne dimesso. Il primo ordine del giorno del nuovo governo fu approvare la legge sugli idrocarburi, che aprì i giacimenti di petrolio dell’Algeria ai Quattro Cavalieri. Il petrolio dell’Algeria, ricercato per il suo basso contenuto di zolfo, era storicamente gestito dalla Sonatrach statale. Molti membri dell’AIG riemersero per combattere nella guerra della CIA contro la Jugoslavia.

 Note

[1] “Power, Poverty and Petrodollars: Arab Economies after the Gulf War”. Yahya Sadowski. Middle East Report. Maggio-Giugno 1991. p.7

[2] “Report Says Bush’s Sons Lobbied for Kuwait Business”. AP. Joplin Globe. 8-30-93. p.3A

[3] Dope Inc.: The Book that Drove Kissinger Crazy. The Editors of Executive Intelligence Review. Washington, DC. 1992. p.200

[4] Ibid.

[5] “An Enemy of Mankind”. Storm Warning. Seattle. Gennaio 1992.

[6] Sadowski. p.10

[7] Morning Edition. National Public Radio. 6-20-91

[8] “Birth Pains of a New Ethiopia”. Gayle Smith. The Nation. 7-1-91. p.1

 

Dean Henderson è autore di quattro libri: Big Oil & Their Bankers in the Persian Gulf: Four Horsemen, Eight Families & Their Global Intelligence, Narcotics & Terror Network, The Grateful Unrich: Revolution in 50 Countries, Das Kartell der Federal Reserve & Stickin’ it to the Matrix. È possibile iscriversi gratuitamente al suo settimanale Left Hook.

 

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

http://aurorasito.wordpress.com/2013/05/05/i-banchieri-israeliani-e-il-progetto-mediorientale/