Tutti uniti attorno a Paolo Ferraro – doc sul controllo mentale)

Posted By Redazione On 24 maggio 2013

Fonte: https://www.facebook.com/groups/CDDComitatodiCoordinamentoDifendiamolaDemocrazia/permalink/583693024994251/ [1]

Bisogna creare intorno a Paolo Ferraro un circuito di sicurezza fatto non solo di psichiatri e psicologi onesti, ma giornalisti, uomini politici, professionisti a vario titolo e tanta, tanta bella gente. Non mi meraviglia ma mi preoccupa la minaccia del ben “noto” professionista Luigi Cancrini fatta a suo tempo al magistrato Paolo Ferraro , di elettroshock, “se parli” … espressa a viva voce … nell’autunno del 2010 . E’ chiaro che Cancrini Luigi non si preoccupa assolutamente di dimostrare di appartenere a quella cordata di psichiatri deviati internazionale che ha sposato il progetto sul controllo mentale nato al Tavistock Clinic di Londra negli anni 20 del secolo scorso. Nel sito del Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale creato dalla stesso Cancrini Luigi, http://www.cstfr.org/sto  ria.html [2], potrete vedere che il centro ha avuto fin dall’inizio regolari rapporti di scambio culturale e di ricerca con tutti i più importanti Istituti di Terapia Sistemica americani ed europei; e tra questi provate a indovinare quale c’è? Bravi………. c’è proprio il Tavistock Clinic di Londra. Per chi non avesse letto l’articolo sul Tavistock Institute scritto da me medesimo il 15 maggio su facebook lo ripropongo perché tutti voi capiate di che cosa sto parlando.

E’ evidente che il Magistrato Paolo Ferraro è un personaggio scomodo a causa delle registrazioni e trascrizioni audio rese pubbliche in tutta la rete internet. Ciò che succedeva e probabilmente succede ancora oggi nella Caserma della Cecchignola a Roma e in qualche altra caserma italiana o americana nella nostra bella Italia ha la sua origine nel lontano 1920 a Londra con l’apertura del Tavistock Institute of Human Relations con l’obiettivo di studiare le psicosi traumatiche da bombardamento nei reduci della Prima Guerra Mondiale. I file audio del magistrato Paolo Ferraro, unica prova esistente delle attività di controllo mentale negli apparati militari italiani chiamato MK – ULTRA acronimo di Manufacturing Killers Utilizing Lethal Tradecraft Requiring Assassination cioé la creazione di assassini con l’utilizzo di omicidi necessitanti destrezza letale, sono veri e propri progetti che hanno l’obbiettivo di creare automi umani in grado di compiere qualsiasi istr uzione a comando, programmati addirittura a tempo. Tali procedure consistono nell’utilizzo sinergico di droghe psicotrope, nell’infliggere traumi psicologici profondi quali abusi e violenze sessuali. Da tutto questo è possibile generare pseudo-personalità multiple dissociate difficilmente rilevabili; sottopersonalità in grado di essere attivate attraverso ordini inconsci come numeri, colori, immagini, suoni.

Generalmente gli abusi più comuni sono attivati da rituali legati alla violenza sessuale che danno origine a personalità alternative utilizzate successivamente per scopi sessuali: una vera e propria sex-machine gestita dai vertici del potere politico militare.

Ma non vi è solo il modello erotico; esso rappresenta solo uno dei quattro programmi: ALFA, BETA , DELTHA e THETA. Il primo ALFA, è il programma base per tutti; BETA quello dedicato alle prestazioni sessuali. Il DELTA è il tipo militare-omicida, e l’ultimo, il THETA, è quello in cui viene usata l’energia mentale a distanza. Ecco perché il Magistrato Paolo Ferraro non può apparire nelle trasmissioni televisive più importanti, ecco perché Magistratura Democratica con la collaborazione di Psichiatria Democratica hanno programmato e organizzato un sequestro di persona rozzo e barbaro con l’intento di fermare un magistrato che voleva approfondire e indagare su una realtà a dir poco inquietante. Tornando al Tavistock Institute di Londra definita una strana clinica per malati mentali, un centro di ricerche psichiatriche di fama mondiale che – stranamente – è gestito da alti ufficiali delle forze armate britanniche, fu fondata nel 1920 per occuparsi dei soldati tr aumatizzati dalla “Grande Guerra” sotto la direzione del Generale di Brigata e psichiatra dr.John Rawlings.

Gli psichiatri e gli psicologi del generale scoprirono presto che questi individui erano acutamente suggestionabili; e che lo stesso effetto poteva essere ottenuto attraverso interrogatori brutali e torture. Essi misero a punto tecniche del controllo comportamentale, che furono praticate durante il secondo conflitto mondiale, come parti di vasti programmi di “guerra psicologica”. In pratica, lo scopo era quello di identificare la “soglia di rottura” della resistenza di un essere umano sottoposto a sollecitazioni limite. Nel 1945, il Generale Rees, un altro degli scienziati del Tavistock, in un suo libro dal titolo “THE SHAPING OF PSICHIATRY BY WAR propose che metodi analoghi a quelli sperimentati in guerra, potevano attuare anche il controllo sociale in intere società o gruppi, in tempo di pace. Il Generale Rees afferma “se proponiamo di uscire all’aperto e di aggredire i problemi sociali e nazionali dei nostri giorni, allora abbiamo bisogno di “truppe spe ciali” psichiatriche, e queste non possono essere le equipes psichiatriche stanziali nelle istituzioni. Dobbiamo avere gruppi di psichiatri selezionati e ben addestrati che si muovano sul territorio e prendano contatto con la situazione locale nella sua area particolare.

Dal 1947 il Generale Rees fece carriera nell’apparato dell’ONU, dove creò la Federazione Mondiale della Salute Mentale; collaborò con sir Julian Huxley, allora capo dell’UNESCO; entrambi elaborarono un progetto per la “selezione dei quadri” nelle colonie dell’impero britannico, da addestrare alla futura indipendenza. A questo scopo, la Federazione Mondiale della Salute Mentale guidata da Rees lanciò nel 1949-50 un ampio studio sui profili psicologici di vari paesi. Il programma si chiamava “Tensione mondiale: la psicopatologia delle relazioni internazionali”. Furono studiate le reazioni, le suscettibilità psicologiche di diversi gruppi etnici “per poterli meglio controllare”. In questo quadro, lo studio più approfondito fu intrapreso sugli ebrei: dapprima sui sopravvissuti alle persecuzioni naziste che erano riparati in Israele. Secondo la tattica da Rees, psichiatri “ben addestrati” furono mandati “sul territorio”. Nacque a Gerusalemme la Società per l’Igiene Mentale in Israele. La guidava il dottor Abraham Weinberg, un uomo del Tavistock. Nello stesso tempo il Tavistock conduceva lo stesso tipo di studi sugli arabi, attraverso un affiliato “Istituto di Igiene Mentale”, con sede al Cairo; queste ricerche finirono per convergere con studi analoghi, che gli specialisti israeliani di guerra psicologica stavano conducendo per scopi militari.

I risultati di queste indagini si ritrovano nell’opera monumentale di Raphael Patai (uno degli specialisti israeliani in profili psicologici), THE ARAB MIND, New York , 1976. The Arab mind è uno studio di “profiling”, ben noto ai servizi segreti più sofisticati: un gruppo etnico viene “profilato psicologicamente” dal nemico, per farlo agire – a sua insaputa – a vantaggio del nemico stesso. Quest’arte orribile non viene nemmeno nascosta. Sul numero del 22 giugno 2001 della rivista INTERNATIONAL BULLETIN OF POLITICAL PSYCOLOGY è apparso un dotto articolo col seguente titolo: L’utilità della ricerca psicologica per accendere e sedare la violenza: gli “scopritori” di terroristi e la selezione e gestione di giovani terroristi. Ne è l’autore il dottor Jerrold Post, fondatore del Bulletin, che per 21 anni è stato a capo, alla CIA, del centro “Analysis of Personality and Political Behavior”. In questa veste, Jerrold Post ha scritto infiniti “pro  fili psicologici” fra gli altri Bin Laden, Saddam Hussein e la psicologia dei dirottatori di aerei. Dall’11 Settembre, viene spesso intervistato dai media americani. E in Palestina? Joseph Brewda nel suo libro “ISRAELI PSICHIATRISTS AND HAMAS TERRORIST: CASE STUDY ON HOW TERRORIST ARE MANUFACTURED (inedito, 11 ottobre 2001) ci segnala la presenza nella striscia di Gaza, del “Gaza Community Mental Health Program” (GCMHP), che è di fatto l’unico presidio psichiatrico nella zona occupata dagli israeliani. Il centro è stato creato da un ramo del Tavistock in collaborazione con la Israeli Psiychoanalitic Association, ed è finanziato dai governi americano e britannico. Ufficialmente, ha lo scopo di affrontare i problemi mentali dei bambini traumatizzati nell’Intifada e riabilitare i prigionieri politici palestinesi vittime di torture.

Difatti, “la tortura è una pratica corrente da parte dei militari israeliani”, scrive Joseph Brewda. “Le leggi d’Israele consentono ufficialmente trattamenti come la deprivazione del sonno, prolungate sedute al buio, l’obbligo a mantenere a lungo forzate posizioni corporee, “confinamento” in spazi-scatola senza l’uso della toilette, esposizioni a temperature estreme. Ci sono medici israeliani che esaminano i prigionieri palestinesi e indicano quali di queste torture possono essere applicate, dato lo stato di salute e le condizioni fisiche del detenuto”. Almeno centomila palestinesi di Gaza, il 10% della popolazione, è stato detenuto nelle carceri israeliane e sottoposto all’una o all’altra tortura; molte di queste vittime sono bambini, dato che la legge israeliana considera adulto chi abbia più di 12 anni. Secondo uno studio condotto dallo stesso “Gaza Mental Health Program”, l’85% dei 1300 bambini intervistati hanno assistito a irruzioni del la polizia o dei soldati nelle loro case, il 42% è stato picchiato, il 55% ha visto picchiare il proprio padre. Il 19% di questi bambini sono stati essi stessi detenuti. Di conseguenza, molti di loro manifestano segni di deterioramento mentale: mutismo, insonnia, scoppi d’ira e di violenza immotivati verso i propri familiari. L’intenzione del Gaza Community Mental Health Program è davvero quella di curare questi bambini? Direi che gli indizi sono allarmanti. Il direttore del Gaza Community Mental Health Program, pagato dagli americani e sotto controllo degli israeliani, è uno psichiatra palestinese, dottor Eyad Sarraj, che è anche un esponente di alto livello di Hamas. Sarray non nasconde, anzi esalta, la sua ammirazione per i terroristi suicidi. Come ha scritto in un articolo del 4 agosto 1997 “Capire il terrorismo palestinese”, in Palestina, la cosa stupefacente non è che accadano atti di terrorismo suicida, ma che accadano così raramente. Il dottor Sarraj è convinto (come l’Istituto Tavistock di Londra) che la violenza è il solo mezzo con cui gli adolescenti disturbati della Palestina possano recuperare la salute mentale: parole del dottor Sarraj è il processo che esteriorizza la coscienza di schiavo che è stata introiettata nel bambino (palestinese dalla violenza israeliana)e ne forma ormai l’intimità personale profonda. Con questi atti, i bambini riaffermano se stessi ed esercitano il diritto a una vita libera e migliore”

Ci si può chiedere come mai Israele, che controlla il centro di salute mentale di Gaza come abbiamo visto, e ne addestra gli specialisti, lasci al suo posto questo individuo? La risposta mi sembra ovvia c’è bisogno di terroristi “fabbricati”. Sempre nel 1997, cose simili furono ripetute in una conferenza, tenuta all’interno del Gaza Community Mental Health Program, da Abdel Aziz Rantisi, il portavoce di Hamas nella Striscia di Gaza. In quell’occasione, Rantisi spiegò che “il suicidio è vietato dall’Islam, salvo specifiche situazioni”. Lo ascoltavano, e condividevano con lui il podio, la dottoressa Yolanda Gampel, direttrice della Israeli Psychoanalitic Association all’Università di Tel Aviv, il dottor Moshe Landsman, supervisore dell’assistenza psichiatrica al centro di Dimona (il centro dove l’esercito israeliano fabbrica le armi nucleari); inoltre, la dottoressa Helen Bambar e il dottor Rami Heilborn, che dirigono la fondazi one medica per la cura delle vittime della tortura, fondata dall’Istituto Tavistock di Londra.

E in Italia? Beh abbiamo la testimonianza del Magistrato Paolo Ferraro che fa nomi e cognomi di Psichiatri romani, Ufficiali e Alti Ufficiali dell’esercito Italiano che sicuramente fanno parte di questo oramai atavico progetto. Progetto che è oramai a conoscenza di tutti ma che la magistratura sembra voler insabbiare e cancellare con una nomina di amministratore di sostegno per uno dei migliori magistrati che Roma e l’Italia tutta ha. Il tutto sembra paradossale, insensato, assurdo, irragionevole ma ahimé questa è la pura verità e realtà. Grazie al signor Mario Comuzzi che mi ha fatto da cicerone nella bellissima città di Trieste e al direttore del giornale quindicinale “La Voce di Trieste” Paolo. G. Parovel scopro che all’interno del parco S. Giovanni di Trieste sede del manicomio chiuso nel 1978 e dove oggi hanno sede il Centro di Salute Mentale un’insegna colpisce la mia attenzione. E’ insegna del WHO che si trova all’entrata del padiglione confere nze e riunioni dell’ospedale psichiatrico. Tutto chiaro mi sembra, soldi europei arrivano a Trieste per progetti psichiatrici non del tutto leciti e probabilmente legati all’oramai atavico progetto Tavistock. Non è un caso che in questo padiglione si riuniscono psichiatri come Dell’acqua e Franco Rotelli (psichiatra) direttore generale dell’ASL1 di Trieste e Paolo Cendon , ordinario di diritto privato all’Università di Trieste, colui che ha redatto già nel 1986 il progetto destinato a fungere come base per il provvedimento sull’amministratore di sostegno (approvato nel 2003 dal Parlamento). TRIESTE UNA RAMIFICAZIONE DEL TAVISTOCK?

NON ERA QUESTA L’ITALIA CHE SOGNAVO.

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NUOVO TERREMOTO: ALTRA STRAGE PROGRAMMATA IN ITALIA

 di Gianni Lannes

Questa volta faranno le cose in grande per mietere quante più vittime possibili. Garantito. «Dobbiamo aspettarci un nuovo forte sisma, come quello dell’Irpinia: non sappiamo come, dove e quando avverrà… Ma sappiamo che arriverà nuovamente il giorno in cui ci troveremo a fronteggiare un’emergenza internazionale…».

Ecco cosa ha dichiarato un mese fa in occasione del festival del volontariato il prefetto Franco Gabrielli, ex capo dei

servizi segreti civili (Sisde, poi Aisi), attuale numero uno della Protezione Civile per nomina diretta del Governo Berlusconi al posto del famigerato Guido Bertolaso.

L’allarmismo ingiustificato o infondato è un reato penale anche se viene alimentato dai vertici dello Stato? E se avesse ragione il numero uno del carrozzone statale? Ma se i terremoti per la scienza civile sono imprevedibili, allora il dottor Gabrielli è un chiaroveggente, oppure è stato informato da chi provoca i sismi artificiali, come nel caso delle forze armate degli Stati Uniti d’America che occupano illegalmente lo Stivale? A rigor di logica: delle due, l’una. A voi la scelta.

Che l’Italia sia soggetta ad un rischio sismico è una constatazione pari alla scoperta dell’acqua calda. Allora, perché un individuo strapagato con denaro pubblico che ricopre un importante ruolo sociale per conto delle Autorità di Governo soffia sul fuoco, annunciando che il Belpaese deve prepararsi ad un nuovo violento sisma? Gabrielli oltre ad essere uno sbirro particolarmente amato dalle alte sfere, è dotato di poteri speciali e straordinari. Che servano per calpestare impunemente le norme del diritto, ammantandole con emergenze e deroghe utili all’edificazione di opere pubbliche e profitti privati?

Un esperto, Alessandro Martelli, direttore del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) di Bologna, un anno fa ha dichiarato pubblicamente che un sisma devastante (“settimo grado della scala Richter) colpirà il Sud Italia. L’esperto ha ribadito questa previsione in audizione parlamentare. Immaginate cosa si prospetta, ad esempio, per intere città del Meridione: Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Cosenza, Potenza, Matera, Taranto, Brindisi, Lecce, Bari, Foggia, Termoli, Campobasso, Pescara, Sulmona. Il grande botto è atteso per il 2013, tant’è che la Protezione Civile si è affrettata a far bandire dalla Consip (controllata dal ministero dell’Economia & Finanze) l’acquisto di 12 mila prefabbricati per l’ennesima emergenza in arrivo che durerà così è scritto nelle previsioni dello Stato, almeno 6 anni.

Napolitano accanto al criminale internazionale Kissinger

Tale azione, però, non ha nulla a che vedere con la prevenzione. E a questa constatazione aggiungiamo il fatto che l’anno scorso, poco prima del terremoto in Emilia del 20 maggio, il Governo dell’eterodiretto Mario Monti (affiliato alle multinazionali terroristiche del Bilderberg Group e della Trilateral Commission che hanno come primo obiettivo la drastica riduzione della popolazionemondiale) ha emanato un decreto, sottoscritto anche dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (associato all’Aspen Institute finanziato dal medesimo Bilderberg dei criminali mafiosi David Rockefeller ed Henry Kissinger, quest’ultimo ricevuto in pompa magna da Napolitano) in cui lo Stato non ha più alcuna responsabilità in caso di disastri “naturali”, in realtà artificiali, così il quadro è completo.

Sul piano della prevenzione e sul risanamento del territorio sottoposto anche al dilagante dissesto idrogeologico ed alle ferite inferte quotidianamente dall’uomo avido, tutelato dalle leggi statali e regionali, l’unico efficace rimedio non è stato posto in essere. Anzi,  soprattutto nel Mezzogiorno, le Regioni (sospinte dai Comuni) e lo Stato hanno consentito in totale deregulation normativa la realizzazione di impianti eolici industriali in salsa mafiosa (l’Appennino Meridionale: Puglia, Campania, Molise, Basilicata) nonché la pioggia di cemento ed asfalto in tutte le varianti, comprese ed incluse le “aree protette.

Due più due notoriamente fa quattro. La più potente arma di controllo delle masse è la paura. Allora basta incuterla a dovere dall’alto di un pulpito istituzionale, incarnando un ruolo di potere per conto terzi. 

Come si uccide l’Italia? Gradualmente, un po’ alla volta, atterrando anche l’economia di aree particolarmente produttive (Emilia Romagna, Veneto, ed ora perfino Toscana in Garfagnana). 

Ci sono eventi e dettagli sul terremoto aquilano del 6 aprile 2009 (6.1 di magnitudo momento della scala Richter registrati a livello internazionale e non 5.8 come attestato dall’INGV) passati direttamente nel dimenticatoio, su cui invece dovremmo soffermare la nostra attenzione. Berluconi, Maroni e Bertolaso devono ancora spiegare al popolo italiano, soprattutto aquilano, ma soprattutto alla magistratura competente e determinata a far luce e persguire fino in fondo i respapobili di quella mattanza, perché mai mentre la Commissione Grandi Rischi il 3 marzo 2009 raccomandava pubblicamente la popolazione locale di stare a casa tranquilla, le autorità dello Stato sgomberavano di nascosto, qualche giorno prima, del tragico eventi, la sede della prefetura di L’Aquila, sede di coordinamento della Protezione Civile.

Dopo la strage di 27 bambini ed una maestra a San Giuliano di Puglia (il 31 ottobre 2002) provocata da un terremoto anomalo con ipocentro a dieci chilometri di profondità (genesi su cui è aperta un’inchiesta investigativa di ricercatori indipendenti), nel 2003 mediante il Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) numero 3274 veniva riformulata la classificazione delle zone sismiche del territorio italiano e stabilite le normative tecniche inerenti le costruzioni e ristrutturazioni nella varie zone sismiche. In base a quale principio scientifico e/o tecnico, sono state frettolosamente cambiate le carte in tutta la Penisola, isole incluse, resta un mistero di Stato.

«Il Comune dell’Aquila, stranamente non rientrava nella zona 1 (Pericolosa), ma in zona 2 (zona che in passato ha avuto danni per terremoti abbastanza forti, anche se risultava raso al suolo nel 1703» mi fa notare Marco Righetti.

Il 16 aprile 2009 l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, a scanso tardivo di responsabilità, ovvero del gioco italiota dello scaricabarile con i morti ancora caldi a terra, pubblica la monografia “Pericolosità sismica, normativa e zone sismiche nell’Aquilano”, a cura di C. Meletti ed M. Stucchi.

Nel report si legge: “Con questo intervento intendiamo fare il punto sulla evoluzione della collocazione nelle zone sismiche dell’area dell’Aquilano in relazione alla sua pericolosità sismica. Il comune dell’Aquila fu classificato come sismico sin dal terremoto del 1915 del Fucino. Nel 1927 furono introdotte le classi (ovvero zone) sismiche e l’area dell’Aquila posta in classe 2, come quasi tutti i comuni dell’area. Altri 10 comuni della provincia furono classificati solo dopo il 1962; 4 di questi in seguito al terremoto del 1958 (Fig.1). In seguito al terremoto di Irpinia e Basilicata del 1980, nel 1984 tutto il territorio nazionale fu riclassificato con criteri omogenei, sulla base della “Proposta di riclassificazione sismica” del Progetto Finalizzato Geodinamica (GdL, 1980). Per tutta l’area aquilana fu confermata la classificazione sismica precedente: le aree colpite dai terremoti del 1915 e del 1933 erano zona 1, le altre in zona 2 (Fig.2) .

Nel 1998 uno studio svolto per conto del Dipartimento della Protezione Civile (“Proposta 1998”, pubblicato come Gruppo di Lavoro, 1999) propose una nuova classificazione dei comuni italiani, che tuttavia non venne adottata dalle autorità competenti. Anche in quel documento per il comune dell’Aquila veniva confermata la zona 2. Per tutta la provincia veniva confermata l’afferenza alla zona sismica in vigore, tranne 6 comuni per i quali si proponeva il passaggio in zona 1: Barete, Cagnano Amiterno, Capitignano, Montereale, Pizzoli, Tornimparte (Fig.3). In seguito al Dlgs 112/1998, la competenza in materia di aggiornamento dell’assegnazione dei Comuni alle zone sismiche passò a Regioni e Provincie Autonome. Allo Stato rimase la competenza di definire i criteri generali per tale aggiornamento e la competenza in materia di norme tecniche. 

Il terremoto di San Giuliano di Puglia del 2002 riportò drammaticamente alla attenzione il fatto che la situazione delle norme e della classificazione era ancora la stessa del 1984. Con un intervento di emergenza, l’Ordinanza PCM 3274/2003 aggiornò l’assegnazione dei comuni alle zone sismiche, combinando la classificazione allora vigente con la “Proposta 1998” e definendo per la prima volta la zona 4; da allora tutta Italia appartiene a una delle 4 zone sismiche. Lo stesso provvedimento adottò una nuova normativa sismica, coerente con l’Eurocodice 8, e stabilì i criteri con i quali si sarebbe dovuto realizzare uno studio aggiornato di pericolosità sismica.

Per tutta la provincia dell’Aquila venne confermata la classificazione precedente, con l’eccezione dei 6 comuni già citati (Barete, Cagnano Amiterno, Capitignano, Montereale, Pizzoli, Tornimparte) che passarono in zona 1. Le Regioni recepirono, con modeste variazioni (Basilicata, Lazio, Campania, Sicilia e Provincia di Trento), le nuove assegnazione dei comuni alle zone sismiche con propri atti (Delibere delle Giunte Regionali) nel corso del 2003 e del 2004. L’Abruzzo (DGR n.438 del 29/3/2003) recepì le assegnazioni dell’Ordinanza senza modificarle…”.

A questo punto torna utile consiglio di lettura (per increduli e negazionisti), si tratta di uno studio pubblicato un decennio fa, intitolato “Stato delle conoscenze sulle faglie attive in Italia: elementi geologici di superficie. Risultati del progetto 5.1.2 “Inventario delle faglie attive e dei terremoti ad esse associabili (autori tre paleosismologi di chiara fama: F. Galadini, C. Meletti, E. Vittori). Ecco un breve stralcio introduttivo:

«Il progetto 5.1.2 “Inventario delle faglie attive e dei terremoti ad esse associabili” è legato alle ricerche in campo sismotettonico condotte dal GNDT nell’arco temporale di più di un decennio. L’importanza dei dati geologici sulle faglie attive ha fatto ritenere opportuna la raccolta ed una sorta di sistematizzazione delle informazioni disponibili sulle faglie attive del territorio nazionale. Questa fase di raccolta ha riguardato il solo ultimo anno della convenzione triennale 1996-1998. I database sulle faglie attive Già da diversi anni sono in corso di realizzazione presso altri enti delle banche dati contenenti le informazioni disponibili sulle faglie attive del territorio nazionale. Gli esempi più significativi vengono dall’Istituto Nazionale di Geofisica (Valensise e Pantosti, 1999) e dall’ANPA (Vittori et al., 1997)».

 

faglie sismiche attive (in rosso) – studio del paleoosismologo F. Galadini

Aggiungo che, seppure fosse ben nota alle autorità – Stato, Regione, Provincia, Comune, Protezione Civile, INGV, esperti, nonché studiosi annessi e connessi – la presenza nell’area urbana aquilana di alcune faglie sismiche attive (si leggano almeno gli studi del professor Galadini), sono stati autorizzati comunque addirittura interi piani di lottizzazione edilizia. Ed ora si fa anche di peggio, in virtù del mero profitto economico, in attesa della prossima catastrofe.

Torniamo al recente passato per capire come chi detiene il potere pianifica il peggio. Nel 2004 l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia presentava alla Commissione Grandi Rischi, la mappa di pericolosità MPS04 (pubblicata nel 2006) che in molte zone non trova corrispondenza con la classificazione sismica suddetta, anzi quasi la disconosce, ma le Regioni non recepivano o meglio non si adeguavano.

In riferimento alla città dell’Aquila – ancora oggi militarizzata e non ricostruita nonostante le promesse non mantenute dal piduista Berlusconi, aspirante senatore a vita per accaparrarsi l’immunità – quest’area urbana, attraversata da arcinote e pericolose faglie sismiche attive rientrava nella mappa INGV in zona di massima pericolosità e non media come da decreto del presidente della Repubblica.

Così è partito il tragico balletto delle responsabilità tra INGV (“io l’avevo detto…”) e Regione (“io non l’avevo compreso e non capisco nemmeno cosa mi stai dicendo…”).

In riferimento ai membri della Commissione Grandi Rischi (in primis Enzo Boschi, a capo dell’ INGV per lungo tempo), sapevano benissimo che le costruzioni, ma soprattutto le ristrutturazioni realizzate, non sono adeguate alla pericolosità della zona. Poco dopo il terremoto di 4 anni fa, preceduto da una sequenza (decollata a giugno del 2008) simile a quella odierna che investe la Calabria (il Pollino) l’INGV pubblica un documento in cui si fa notare quanto sopra che suona come un (“hai visto!”).

Le massime autorità scientifiche, tecniche e politiche per non smarrire l’abitudine a prendere per i fondelli il popolo italiano, dopo il terremoto del 6 aprile 2009 che ha mietuto 309 vittime umane (ma il bilancio poteva essere anche peggiore se i vigili del fuoco non avessero salvato migliaia di persone dalle macerie), sono state “cambiate” o meglio “differenziate” a livello nazionale le zone sismiche, tant’é che per l’Aquila, la Regione Abruzzo, per non smentirsi e ammettere il fatale errore costato la vita ad innocenti, la colloca ancora in zona 2 e non 1 (pericolosa). In altri termini: incongruenze, contraddizioni e speculazioni in nome del dio profitto. In compenso le norme di costruzione dell’attuale zona 2 sono circa le stesse della vecchia zona 1.

Questa tragica situazione – secondo Marco Righetti – «è convenuta e conviene a Regione in quanto le opere edili pubbliche avrebbero un costo maggiorato (per progettazione e rispetto normative antisismiche più restrittive) di circa il 10/15 per cento e ai progettisti e Direttori dei Lavori (anche gli attuali) con meno responsabilità su danni precedenti e futuri, dovuti a sisma».

In altri termini, detto “terra terra”: in loco si stà ricostruendo con normative inadeguate all’effettiva pericolosità della zona. Rammentate le dichiarazioni illuminanti rilasciate dall’ex Direttore dell’INGV, tale Enzo Boschi – già condannato in primo grado a sette anni di reclusione dal Tribunale di L’Aquila – dopo il terremotoe pubblicate dal settimanale L’Espresso e dai quotidiani Il Corriere della Sera e La Stampa: «Prevedere terremoti? L’unica difesa è costruire bene… Anch’io ho fatto tutto quello che in genere si fa per la carriera. Ho leccato il sedere quando c’era da leccarlo, ho assecondato, ho chinato la testa: non ho paura di negarlo…».

L’amico Angelo de Gaetano ha riassunto in parole esaustive la situazione: «Il cerchio si stringe, prima le chiaroveggenze dei terroristi della protezione civile, e degli esperti governativi, poi la legge che smarca lo stato dalla ricostruzione, scaricando costi e oneri assicurativi sulle comunità colpite (appena prima del sisma dell’Emilia) ora la gara d’appalto della Consip per la fornitura degli alloggi di fortuna in quantità industriale. Il prossimo terremoto artificiale è davvero “prossimo” e non potrà che essere nel profondo Sud, considerata la necessità di mascherare la strategia del terrore con la fatalità della catastrofe imprevedibile. Prepariamoci spiritualmente a resistere, non ne verremo fuori in breve e soprattutto vinceremo solo se siamo disposti a mutare paradigma, dalla schiavitù di inutili consumi e tecnologie alla libertà della sobrietà e della coltivazione degli “alimenti spirituali”».

L’Italia in fondo è una colonia a stelle e strisce, a libertà controllata e priva di democrazia. Perfino i nostri ufficiali di Stato Maggiore sono subalterni agli yankees in divisa che spadroneggiano sulla nostra terra e sui nostri mari. E i padroni nordamericani, grazie ai traditori nostrani della Costituzione, della Patria e del Popolo Sovrano, al vertice dello Stato e del Governo (alla voce Napolitano e Letta), fanno dal 1943 i loro porci comodi senza che nessuno abbia il coraggio di affrontarli e sistemarli a dovere, rispedendoli tutti oltre Atlantico (milizie armate, armamenti nucleari e spie) tanto per iniziare.

inchiesta:

http://www.stampalibera.com/?p=63313#more-63313

 

Meglio un falsario o un bancario?

22 maggio 2013  Alberto Medici 

La domanda non è oziosa. Non è cioè una provocazione scherzosa, paradossale, divertente, da chicchera del dopocena con gli amici, sgranocchiando bagigi e frutta secca (se d’inverno) o finendo le fragole col gelato (se d’estate). La domanda è terribilmente seria, e anzi va posta correttamente così: per il bene comune, collettivo, per il bene della società, è più dannosa l’attività di un falsario o quella del sistema bancario?
  • Entrambe infatti immettono liquidità nel sistema.
  • Entrambe creano liquidità senza alcun corrispettivo d’oro o qualsivoglia sottostante.
  • Entrambe abbassano il valore unitario del denaro, creando inflazione.

E fin qua, i punti in comune. Esistono però alcuni punti che le distinguono:

  • L’attività del falsario è illegale, quella del sistema bancario no.
  • Il sistema bancario crea moneta debito, cioè per ogni “X” di moneta creata, crea un “X + Y%” di debito (con Y sempre maggiore di zero, a volte anche 50, 60% nel caso dei mutui a lunga scadenza), il falsario immette la sua moneta in circolo spendendola, quindi senza alcun debito associato.
  • Il falsario pertanto non ipoteca alcun bene di creditore per creare il suo denaro, e non ci saranno creditori disperati che si suicideranno, alla fine, per aver perso tutti i loro beni (e quelli dei firmatari a garanzia del prestito, tipicamente genitori, suoceri, nonni, ecc.).

E siccome con la creazione di un debito illimitato, irripagabile, stiamo tutti (individui, famiglie, imprese, stati) perdendo la nostra libertà, gravando e ipotecando le future generazioni, decisamente l’attività del falsario è meno dannosa alla società di quella del sistema bancario.

La Cina blocca e distrugge 3 partite di mais OGM Monsanto

23 maggio 2013 – La Cina ha distrutto 3 partite di mais geneticamente modificato Monsanto MON89034 importato dagli Stati Uniti.Tutto questo nonostante la forte carenza di mais sul mercato interno e la necessità di importarne una gran quantità per garantire la sicurezza alimentare della nazione più popolosa del mondo.

Che sia l’inizio di un nuovo corso? La CIna e’ uno dei grandi consumatori di prodotti OGM Monsanto e quello che e’ accaduto potrebbe essere un duro colpo per la multinazionale statunitense.

 Fonte

Pensioni, se la controriforma Damiano farà più danni della Fornero

I danni della Riforma Fornero sono evidenti: allungando l’età del pensionamento non si è fatto altro che aumentare il numero di esodati, lavoratori tra i 50/55 anni troppo giovani per andare in pensione, troppo vecchi per trovare un nuovo lavoro. Persone che si ritrovano senza stipendio e senza pensione. Arriva così la ddl di Cesare Damiano del Pd che vuol essere il ‘salvagente’ per chi si trova – come gli esodati – in media res. Invece la controriforma Damiano rischia di essere peggio di quella Fornero: incerti i costi – visto che i ricavati si prenderebbero dalle lotterie e giochi online; un gettito di copertura iniziale troppo alto – 5 miliardi di euro eduna proposta di legge che taglia e decurta tutto, penalizzando solo i cittadini. Alla fine dei conti anche con l’ex ministro del Lavoro Damiano si rischia una ‘pensione utopia’ in un Paese per vecchi.

 di Maria Cristina Giovannitti

pensioni-Damiano-ForneroL’Italia è un Paese per vecchi e questo è assodato. Il problema è che alle riforme – si veda l’ultima della Fornero – si aggiungono controriforme che vengono presentate come “migliori” ma tra le righe, rischiano di  peggiorare la situazione già precaria.

Parliamo in questo caso della proposta di legge  pensionistica – già presentata nella scorsa legislatura – del parlamentare Pd, primo firmatario, Cesare Damiano . E’ una controriforma che ha ricevuto l’ok dalla Commissione Finanze di Montecitorio, ed ora è al vaglio della Camera.

 LA CONTRORIFORMA SENZA NESSUNA CERTEZZA : TUTTE LE OMBRE – L’ex Ministro del Lavoro durante il governo Prodi, Cesare Damiano del Pd è dalla scorsa legislatura che cerca di rimpiazzare la riforma Fornero con questa sua proposta di legge. La proposta del piddino Damiano comprende un solo articolo diviso in due punti principali che sottolineano il ritorno alla “vecchia legge pensionistica” che procede per tappe o per gradini. Lagrande novità è che se con la riforma Fornero si va in pensione a 42 anni ed un mese di contributi, con la proposta Damiano i tempi si accorciano: a decorrere dal 1 gennaio 2014 i lavoratori che hanno compiuto 62 anni di età ed hanno 35 anni e 5 mesi di contributi potranno andare in pensione ma con un disincentivo del’8% – una penalizzazione prevista anche nella riforma Fornero.

Nella controriforma l’età pensionabile sarebbe di 66 anni ma per tutti coloro chevolessero scegliere il prepensionamento devono sottostare ad una penalizzazione: viene decurtato il 2% per ogni anno di ‘pensione anticipata’. Questo vuol dire che se il lavoratore sceglie di andare in pensione a 65 anni, riceverà l’assegno pensionistico ridotto del 2%; se sceglie il prepensionamento a 64 anni, dalla pensione sarà tolto il 4% e così via. Il discorso vale anche al contrario: per coloro che dopo i 66 anni di età volessero continuare a lavorare, potranno beneficiare dell’incentivo del 2%.

pensioni_regime_internazionale_inpsQuesta penalizzazione a carico dei cittadini appare di per sé ingiusta e sembra rivelarsi un flop annunciato perché, stando ai dati dell’Inps, nel 2012 solo 8 mila lavoratori hanno deciso di ritirarsi dal lavoro e subire le penalizzazioni sul loro assegno pensionistico.

Ancora più ingiusta la situazione delle lavoratrici donne – che dovrebbero andare in pensione a 57 anni di età e 35 di contributi – alle quali, secondo la proposta di legge, sarà decurtato il 25/30% di denaro dalla pensione. Davvero un penalizzazione eccessiva ed ingiustamente discriminante.

La grande ombra che emerge è quella di una controriforma che taglia ovunque, riducendo già esigue pensioni e favorendo – come al solito – solo persone che hanno cominciato a lavorare presto.

 Inoltre, con la ddl Damiano si pone come il paladino degli esodati e ritiene che questa sia una riforma per aiutare soprattutto loro,quell’esercito di 350 mila persone senza lavoro e senza stipendio – specifica con precisione. In realtà questo è un dato errato, fa sapere Mauro Nori, direttore generale dell’Inps, che specifica come per ora sia impossibile ancora avere il numero preciso di esodati.

Altro ‘buon proposito’ della proposta Damiano sembra essere il risparmio che potrebbe però, rivelarsi un altro blaff. Con la Riforma Fornero in 5 anni lo Stato dovrebbe spendere 5 miliardi di euro però, considerando che la legge sulle pensioni è ancora in via sperimentale, secondo le previsioni si potrà arrivare a spendere anche 30 miliardi di euro in 10 anni. Secondo Damiano con la controriforma, invece, sarà alto solo il gettito iniziale di 5 miliardi di euro, tutto il resto del denaro verrà ricavato, invece, dai guadagni di giochi online e della lotteria. Il problema è che le entrate nelle casse dello Stato con la lotteria sono molto variabili e non permettono di avere delle certezze per il futuro quindi sembra azzardato parlare solo di una spesa iniziale.

esodati3_damiano_pensioneRESOCONTO ALL’ITALIANA: DAGLI ESODATI ALLA CASTA CON ‘BABY PENSIONI’ MENTRE PER I GIOVANI LA PENSIONE E’ UTOPIA – Una nuova controriforma per ‘vecchi’ che allontana ancora di più una utopica pensione: già solo questo è il grande flop della controriforma Damiano.Consideriamo che in Italia ci sono 17 milioni di pensionati. Una grande fetta sono i cinquantenni che crogiolano senza stipendi e pensioni – gli esodati – e poi c’è la casta, quella dei ‘baby pensionati’ – circa 100 mila che ci costano annualmente 13 miliardi di euro –  che con soli 2 anni di legislatura hanno diritto a pensioni dalle uova d’oro di circa 10 mila euro. Anche nella controriforma Damiano, come già in quella Fornero, nessun accenno a penalizzazioni su questi privilegi: se solo si dimezzassero queste pensioni, portandole a 5 mila euro – che non è affatto una miseria – lo Stato italiano incasserebbe ogni anno 7 miliardi di euro.

Le uniche certezze sembrano essere: una pensione che continua ad essere utopia ed una proposta di legge che tutela sempre la casta.

http://www.infiltrato.it/notizie/italia/pensioni-se-la-controriforma-damiano-fara-pi-danni-della-fornero

Pd e Pdl, da Penati a Tarantini ecco il super inciucio di affari e favori

All’origine delle larghe intese sul governo Letta, tra i due partiti esiste una sorta di bicamerale permanente dei soldi e dello scambio (e in alcuni casi, del sesso a pagamento). Come dimostrano le vicende dell’Ilva di Taranto, del sistema Sesto, del Monte dei Paschi di Siena. E delle escort bipartisan del rampante imprenditore pugliese

Pd e Pdl, da Penati a Tarantini ecco il super inciucio di affari e favori

Sono i silenzi che colpiscono. Il 2013 si è aperto con una campagna elettorale preceduta e accompagnata da una raffica di scandali. Mentre più di un osservatore si spingeva a valutare la nuova stagione del malaffare ancora più grave di quella di Tangentopoli (1992-1994), l’argomento è stato cancellato dal dibattito politico tra le forze nominalmente contrapposte che si sono poi riunite sotto la cupola del governo Letta. E anche dopo le elezioni si è visto il Pd inchinarsi disciplinatamente all’elezione del pluriindagato Roberto Formigoni alla presidenza della commissione agricoltura del Senato. E del resto, se nei lunghi mesi di agonia della giunta regionale lombarda distrutta dagli scandali l’opposizione di centrosinistra non ha mai affondato il colpo, come dimenticare che da parte sua il centrodestra nordista ha sempre accompagnato con signorile distacco le disavventure giudiziarie dell’ex presidente della Provincia di Milano Filippo Penati? Distrazioni, afasie, minimizzazioni e garantismi pelosi trovano un comune punto di caduta. Nelle grandi storie (giudiziarie e non) all’incrocio tra politica e affari i big di Pd e Pdl si ritrovano sempre fianco a fianco. Che sia complicità o semplice buon vicinato, l’effetto non cambia: tutti sanno tutto di tutti e cane non morde cane.

I PATTI D’ACCIAIO SU TARANTO INQUINATA. Anche gli ultimi eclatanti sviluppi dell’inchiesta di Taranto sul gruppo Riva-Ilva sono caduti nel silenzio. Nessun esponente politico della larga maggioranza di governo sembra avere niente da dire. Guardiamo l’antefatto. Emilio Riva, 86 anni, è antico e buon amico di Silvio Berlusconi. Nel 1994 è il primo governo del centrodestra, nei suoi soli sette mesi di vita, a spianargli la strada verso la conquista dell’Ilva di Taranto, la più grande acciaieria europea svenduta dall’Iri per 1649 miliardi di lire, meno degli utili del primo anno di gestione Riva (oltre 1800 miliardi). Ai Riva piace Forza Italia, che finanziano negli anni 2003-2004 con 330 mila euro. Anche Pier Luigi Bersani piace ai siderurgici: nel 2004 la Federacciai (la Confindustria del settore) lo finanzia con 20mila euro, nel 2006, alla vigilia della sua seconda incoronazione a ministro dell’Industria, gli dà altri 50mila euro. Nel 2008 la Federacciai versa a Bersani altri 40mila euro. Nella campagna elettorale del 2006 sono scesi in campo anche i Riva: mano al portafoglio e 98mila euro per Bersani. Due anni dopo, quando Berlusconi invoca i “patrioti” per salvare l’Alitalia, Riva risponde prontamente, e investe 120 milioni nella nuova Cai di Roberto Colaninno. Dai loro luoghi di detenzione più o meno domicialiari Riva e i suoi figli si sono sbracciati in questi mesi a minacciare querele a chiunque insinuasse che in cambio della partecipazione al salvataggio dell’Alitalia “italiana” l’Ilva abbia ottenuto un occhio benevolo del ministero dell’Ambiente retto da Stefania Prestigiacomo (2008-2001) per l’Autorizzazione integrata ambientale che le ha permesso di inquinare spensieratamente fino all’estate del 2012.

Buoni rapporti a destra, buoni rapporti a sinistra, un modo tutto sommato classico di vivere bene in Italia. Quando l’emergenza ambientale comincia a farsi veramente calda, a luglio del 2012, Riva cede la presidenza dell’Ilva di Taranto al prefetto Bruno Ferrante, già candidato del centrosinistra a sindaco di Milano nel 2006. Quando il deputato ambientalista del Pd Roberto Della Seta dà fastidio con la sua attività parlamentare, Riva scrive una lettera a Bersani per chiedergli un intervento. Bersani non se ne dà per inteso, ma è un fatto che alle elezioni dello scorso febbraio nelle liste del Pd non si è trovato posto per Della Seta. Nel frattempo l’inchiesta giudiziaria rivela che il deputato Pd di Taranto Ludovico Vico discuteva al telefono con il capo delle relazioni esterne dell’Ilva, Girolamo Archinà, poi arrestato, come “far buttare il sangue” a Della Seta. In tanta armonia l’unico disturbo è la magistratura, che certe volte non rinuncia a fare il suo dovere. Toghe rosse? Il primo politico arrestato per il caso Ilva è stato, a novembre scorso, l’ex assessore provinciale all’Ambiente Michele Conserva, del Pd. Il 15 maggio scorso è stato arrestato nuovamente insieme al presidente della Provincia di Taranto, un altro Pd, Gianni Florido. Quest’ultimo ha alle spalle una vita da dirigente sindacale della Cisl di Taranto, iniziata proprio dal settore metalmeccanico. Partiti di destra, di centro, di sinistra, sindacati. Tutti dentro fino al collo, per questo nessuno fiata.

DALLE COOP A PONZELLINI, TUTTI I TIFOSI DI SESTOGRAD. Luca Ronconi scelse Sesto San Giovanni per mettere in scena lo spettacolo “Il silenzio dei comunisti”. Mai location fu più azzeccata. Su quanto accaduto nell’ex Stalingrado d’Italia, travolta dallo scandalo del compagno Filippo Penati, non una voce s’è alzata. Da sinistra. Ma neanche da destra. Solo la classica “fiducia nella magistratura”. Le maglie dell’inchiesta ribattezzata “sistema Sesto”, del resto, hanno avvolto tutti. I filoni sono diversi. Come i livelli di coinvolgimento. Nel processo a carico dell’ex capo della segreteria politica di Bersani, oltre all’acquisto delle quote dell’autostrada Milano-Serravalle, ci sono le presunte tangenti per l’acquisto dell’area Falck e il finanziamento illecito attraverso la sua fondazione Fare Metropoli. Nella prima si va dalle coop rosse agli uomini di Berlusconi. Uno in particolare: Mario Resca, ex direttore generale del ministero dei Beni culturali ai tempi di Sandro Bondi, consigliere dell’Eni, designato dal governo guidato dall’amico Silvio, e della Mondadori del gruppo Fininvest. Resca compra anche una quota del 5 per cento della holding che possiede la Sesto Immobiliare, di cui è vicepresidente. La società guidata da Davide Bizzi nel 2010 compra i terreni al centro dell’inchiesta penale sulle mazzette a Penati, e affida a Massimo Cavrini i poteri per “la gestione di tutti i rapporti con l’amministrazione” comunale.

Cavrini è un manager coop. Lavora per il Consorzio cooperative costruttori di Bologna, una delle aziende più importanti della Legacoop. A sinistra dunque le coop, a destra la copertura è assicurata da Berlusconi. Quando nel luglio 2011 i giornali resero nota l’indagine a carico di Penati, l’ex sindaco di Sesto e presidente della Provincia di Milano era seduto comodo nel Consiglio regionale della Lombardia e furono pochi “ribelli” del Pd a chiederne le dimissioni. Il Pdl gli dimostrò piena solidarietà. Del resto, il “leghista di sinistra”, era simpatico a molti. Tanto da sfiorare la vittoria sul Celeste Formigoni, superandolo nei risultati a Milano. Pochi mesi dopo il Fatto rese nota l’esistenza della fondazione Fare Metropoli, creata da Penati per finanziare le sue campagne elettorali e foraggiata da amici noti di sinistra e altri, insospettabilmente interessati al successo politico di Penati, di destra. Come Massimo Ponzellini, indagato per finanziamento illecito.

L’ex presidente della Banca Popolare di Milano, poi arrestato, con una mano dava all’ex sindaco di Sesto e con l’altra aiutava, sempre attraverso la banca, gli amici del Pdl, da Ignazio La Russa aDaniela Santanchè, da Paolo Berlusconi a Michela Vittoria Brambilla. Oltre a Ponzellini, Fare Metropoli poteva contare su un altro banchiere: Enrico Corali, alla guida della Banca di Legnano e membro del cda di Expo 2015 come rappresentante della Provincia di Milano. Infine gli amici di sempre: Renato Sarno, Enrico Intini e Roberto De Santis. Il primo è l’architetto indicato da Piero Di Caterina come il “collettore e gestore degli affari di Penati” nonché potente funzionario in Serravalle. Intini, indagato a Bari per turbativa d’asta, è azionista di maggioranza della Milano Pace. Infine De Santis, anche lui nel mirino dei pm per gli appalti nella sanità pugliese. I tre investono a Sesto 100 milioni di euro in un progetto immobiliare. E non dimenticano di finanziare Fare Metropoli.

SPARTIZIONE ALLA SENESE DI UNA BANCA IN COMUNE. Un consigliere d’amministrazione inMonte dei Paschi a te e due a me. Ma ti garantisco anche la conferma della presidenza diAntonveneta e altri incarichi. Denis Verdini e Franco Ceccuzzi l’accordo di spartizione di poltrone e incarichi nella Siena che viveva attorno a Rocca Salimbeni lo hanno messo proprio per scritto. Due paginette dettagliatissime che illustrano con sconcertante precisione la divisione tra Pd e Pdl redatto il 12 novembre 2008. Tutto ciò che è scritto in quelle due pagine si è poi avverato nei mesi successivi con assoluta precisione. Il documento, pubblicato dal Fatto il 16 febbraio scorso, è stato smentito dai diretti interessati. Ceccuzzi, ex deputato e primo cittadino di Siena, ha vinto le primarie del centrosinistra, ma è stato costretto a rinunciare alla corsa a sindaco dalle polemiche che lo hanno travolto a seguito dell’inchiesta partita sull’acquisto di Antonveneta.

E per il papello che oltre a spartire poltrone con il Pdl sigla un “patto di non belligeranza” tra i due partiti. Quindi incarichi nella banca e nella fondazione Mps ma anche nei consorzi , nelle municipalizzate, nella società della gestione delle terme di Chianciano e l’accordo politico: “L’onorevole Verdini si impegna in vista delle elezioni amminsitrative 2009 a ricercare una candidatura del Pdl per la presidenza della provincia di Siena che non tenti di sconvolgere gli attuali equilibri e a presentare liste del Pdl nei Comuni rifuggendo da qualsiasi accordo destabilizzante con le liste civiche”. Non che nell’anno 2013, a pochi mesi dallo scandalo che ha travolto l’istituto di credito, la situazione cambi. Al voto di domani si presentano liste civiche che ospitano insieme esponenti sia del centrosinistra sia del centrodestra. In terra di Siena ha messo radici il romanissimo “volemose bene”.

Del resto basta guardare a chi la Fondazione, che controlla la banca e i cui vertici sono nominati dalla politica cittadina, ha elargito a piene mani milioni di euro nel corso degli anni. Dalla fondazione Ravello, oggi presieduta dall’attuale capogruppo del Pdl, Renato Brunetta, alla Giuseppe Di Vittorio della Cgil. Dai circoli Arci alla fondazione Craxi, fondata e presieduta daStefania Craxi. Dai bonifici per l’ex senatore del Pdl, ora candidato sindaco a Pisa e storico braccio destro dell’ex ministro Altero Matteoli, Franco Mugnai (legale nel caso Ampugnano). Ma non solo Toscana e Roma. I fondi arrivano anche a Lecce: arcidiocesi (120 mila euro), varie onlus e 50 mila euro alla provincia. Guidata da Antonio Maria Gabellone, ex Dc oggi Pdl, legato a Vincenzo De Bustis e, in particolare a Lorenzo Gorgoni, membro del cda di Mps. Ma è anche terra politica diMassimoD’Alema e della Banca 121 acquistata da Rocca Salimbeni. I versamenti sono compresi tra i diecimila euro e i due milioni, che vanno alla fondazione Ravello, per un importo complessivo che sfiora il miliardo. Finita l’era di Giuseppe Mussari, scoperta la banda del 5% guidata da Gianluca Baldassarri e gli artifizi compiuti sui bilanci, la pioggia di denaro è finita. L’ente che controlla la banca senese ha chiuso il 2012 con un disavanzo notevole: 193,7 milioni di euro. Mps? Ha chiuso il bilancio con 3,1 miliardi di perdite.

TUTTI PAZZI PER GIANPI E PER LE SUE BELLE AMICHE. “Ricordati che io a vent’anni andavo in barca con D’Alema e a trenta dormivo da Berlusconi”. Così Gianpi Tarantini si vantava con il sodale Valter Lavitola. Millanterie che però mostrano l’importanza dei legami trasversali per il malaffare del terzo millennio. Certo è che alcune delle donne presentate a Berlusconi nell’estate 2009 per ingraziarsi l’allora premier furono poi presentata anche a un esponente del Pd, Sandro Frisullo, ex braccio destro di Nichi Vendola in Regione Puglia, condannato a due anni e otto mesi per reati vari. La “bicamerale del piacere” organizzata da Tarantini è poca cosa rispetto alla “bicamerale degli affari” che stava mettendo su, sfruttando da un lato il debole di Berlusconi per le donne, dall’altro il fiuto di alcuni dalemiani per il business. L’obiettivo: gli affari con la Protezione Civile. Si attornia di imprenditori in buoni rapporti con D’Alema, come Enrico Intini, e per raggiungere l’uomo decisivo per le sue mire – Guido Bertolaso, all’epoca capo della Protezione Civile – fa leva su Berlusconi.

Alle spalle di Tarantini c’era già una storia di affari trasversali nella sanità pugliese. Un sodalizio con l’assessore alla Sanità Alberto Tedesco (Pd) diventato poi rivalità acuta, mentre l’esponente dalemiano finirà nei guai per i suoi affari sanitari: prima salvato con un seggio al Senato, poi finito agli arresti. Gianpi si muove con scioltezza su tutto lo scacchiere politico. Celebre la cena organizzata nel 2007 a Bari da Gianpi in collaborazione con l’amico di D’Alema Roberto De Santis, con un scelto gruppo di medici e dirigenti sanitari. Ospite d’onore proprio D’Alema. Tedesco, già in rotta con l’amico di Berlusconi, si sfoga al telefono: “Sta cosa l’ha organizzata, mi ha richiamato adesso adesso il vice segretario regionale del Pd tale Michele Mazzarano, sta cosa l’ha organizzata De Santis con Tarantini (…) Allora voi volete avere i rapporti, che cazzo volete avere con i Tarantini, li abbiate, abbiateli pure a me non me ne fotte niente”. Racconterà poi il sindaco di Bari Michele Emiliano: “D’Alema arrivò verso le 11. Rimase 10 minuti, non di più, il tempo dei saluti. Poi scappammo via: non si poteva essere commensali di quel signore”.

E Tarantini insiste con Berlusconi. Vuole entrare nella partita grandi opere utilizzando la società di Intini, che pochi mesi prima lo premia con un contratto da promoter, per 150mila euro. Quando il premier si dimostra disponibile a presentargli Bertolaso, secondo la Guardia di finanza, Gianpi lo tempesta di telefonate per “coinvolgerlo in nuove serate, in compagnia di giovani e disponibili donne”: “Stasera è a Roma? Vogliamo organizzare una cena? Volevo presentarle, un’amica mulatta, fantastica”. I pm chiedono a Gianpi: “Ma prima di fargli questa proposta, con Intini aveva parlato?”. “Certo!”, risponde lui: “Intini sapeva che frequentavo Berlusconi”.

di Antonio Massari, Giorgio Meletti e Davide Vecchi

da Il Fatto Quotidiano del 25 maggio 2013

Energia, l’ex ministro dello Sviluppo Passera ci lascia un conto da 500 milioni

Nelle ultime ore di mandato il ministro proroga gli aiuti alla lobby delle centrali Cip6. Addio sconto in bolletta. Lo Sviluppo ignora le indicazioni dell’Authority e preferisce favorire i produttori invece che i consumatori

Corrado Passera

  Un risparmio fino a 500 milioni di euro in bolletta: i consumatori di elettricità italiani avrebbero potuto goderne già da quest’anno. Sfruttando gli effetti del nuovo dinamismo del mercato del gas per ridurre il peso dei vecchi incentivi statali al Cip6. Invece un atto firmato dall’ex ministro dello Sviluppo Corrado Passera nelle ultime ore di vita del governo tecnico ha stabilito che tutto slitterà (se va bene) almeno di un anno. Il decreto in questione è datato 24 aprile, lo stesso giorno in cuiEnrico Letta accettava con riserva l’incarico dal presidente Giorgio Napolitano. Si tratta dell’atto con cui ogni anno il ministero dello Sviluppo economico definisce a conguaglio la remunerazione per le centrali soggette alle convenzioni di cui al provvedimento Cip n. 6 del 1992. Un conto, pagato dalle bollette, che quest’anno sarà più salato del necessario.

Un passo indietro: il Cip6/92 è stato il primo importante meccanismo di incentivazione dellaproduzione elettrica privata in Italia. Due le principali tipologie sussidiate: le fonti rinnovabili e le cosiddette fonti “assimilate” alle rinnovabili, ossia cogenerazione da combustibili derivati da processi industriali come siderurgia, chimica e raffinazione del petrolio e, a certe condizioni, da combustibili fossili. Ha permesso la costruzione di circa 3.000 MegaWatt di impianti verdi e 5.000 MegaWatt assimilati, in una fase in cui in Italia mancava capacità produttiva. Nel contempo però si è rivelato costosissimo, nonché refrattario a ogni tentativo di revisione normativa. L’onere netto in bolletta è arrivato così a pesare 3,5 miliardi di euro all’anno nel 2006, di cui due terzi per le assimilate (spesso assai diverse da quelle energie “verdi” che si volevano incentivare).

Oggi molte convenzioni sono scadute o sono state risolte in anticipo, come nel caso di Edison, uno dei maggiori operatori Cip6. Tra quelle restanti, ormai prossime alle fine, le maggiori sono quelle dei raffinatori come Erg (Garrone) e Saras (Moratti). L’onere in bolletta si aggira oggi intorno a 1 miliardo all’anno. Gli impianti Cip6 percepiscono una remunerazione per kilowatt/ora prodotto legata al tipo di tecnologia e ai cosiddetti “costi evitati”, quelli cioè che l’allora monopolista Enel avrebbe sostenuto se fosse stato esso stesso a costruire l’impianto. Il più importante di essi è il costo evitato di combustibile (Cec): il produttore Cip6 riceve il valore del quantitativo di gas che sarebbe stato necessario a produrre col metano il kWh generato dall’impianto.

Ma come si calcola il valore del gas “non bruciato”? Il punto è qui e con questo si arriva al decreto di Passera. Per il calcolo si usano parametri simili a quelli tradizionalmente usati dall’Autorità per l’energia per il definire i prezzi del gas alle famiglie, basandosi cioè sull’andamento del prezzo del petrolio e derivati. Negli ultimi anni però il mercato gas è cambiato e i prezzi di riferimento sono diventati sempre più quelli dei mercati spot. Tanto che l’Autorità ha deciso che da ottobre i prezzi regolati dipenderanno dai mercati spot anziché dai prezzi del greggio.

Perché allora non adottare lo stesso criterio anche per il costo evitato Cip6? È quanto si è chiesta la stessa authority in una delibera pubblicata a dicembre, in cui suggeriva al ministero dello Sviluppo di cambiare il calcolo del Cec legandolo ai prezzi del mercato del bilanciamento. Così facendo, stimava l’Aeeg, sull’energia Cip6 ceduta nel 2012 si risparmierebbero 500 milioni di oneri in bolletta. Il ministero però ha deciso di mantenere il vecchio criterio di calcolo anche se fuori mercato, per poi eventualmente cambiare nel 2013. A una richiesta di commento, i tecnici del ministero replicano che il Mise ha già in parte tagliato il Cec con un decreto di novembre (che però prevede deroghe). Che i maggiori cambiamenti del mercato sono arrivati solo nel 2012. E che, in generale, “un taglio retroattivo sarebbe stato scorretto: gli operatori avevano già chiuso gli acquisti del combustibile. Dal 2013 arriverà un cambiamento nel senso indicato dall’Autorità, con una fase di transizione”.

Sarà, ma dov’è il problema-retroattività se spesso acquirente e venditore del combustibile sono lo stesso soggetto? Secondo una ricognizione dell’Autorità a novembre, già nell’estate 2011 le industrie acquistavano il gas per l’anno successivo a un prezzo sensibilmente inferiore alle formule legate al greggio: circa 35 centesimi al metro cubo contro i 42 riconosciuti dal decreto Passera. Segno che spazio almeno per un ritocco c’era. Di sicuro gli impianti Cip6 ringraziano. I consumatori no.

Da Il Fatto Quotidiano del 23 maggio 2013

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/25/energia-passera-ci-lascia-conto-da-500-milioni/603534/

Breil: circa 600 manifestanti in corteo nella Val Roya per dire ‘no’ alla chiusura della linea ferroviaria

La manifestazione, organizzata di concerto tra le province di Imperia, Cuneo e la Regione Paca delle Alpi Marittime, ha visto la partecipazione di tanta gente comune delle delegazioni italiane da Cuneo e Imperia e francesi.

Almeno 600 i partecipanti alla grande manifestazione di protesta contro la chiusura della linea ferroviaria Cuneo-Ventimiglia-Nizza, che è in corso di svolgimento a Breil, in territorio francese.

La manifestazione, organizzata di concerto tra le province di Imperia, Cuneo e la Regione Paca delle Alpi Marittime, ha visto la partecipazione di tanta gente comune delle delegazioni italiane da Cuneo e Imperia e francesi. A livello istituzionale è presente la Senatrice Donatella Albano, insieme al Consigliere regionale ligure Sergio Scibilia, molti suoi colleghi piemontesi, il Sindaco di Cuneo Federico Borgna, quello di Limone Franco Revelli ed il vice presidente della Regione Paca, Ives Pepit. Molti anche i sindaci del cuneese e della Val Roya francese oltre al primo cittadino di Airole Fausto Molinari.

I partecipanti sono confluiti in treno da Cuneo, Ventimiglia e Nizza a Breil, dove si è svolto il corteo mentre ora è corso un’assemblea sotto il tendone del piccolo centro francese.

http://www.sanremonews.it/2013/05/25/leggi-notizia/argomenti/cronaca/articolo/breil-circa-600-manifestanti-in-corteo-nella-val-roya-per-dire-no-alla-chiusura-della-linea-ferro.html#.UaEZY9LwmUU

53 deputati di Sel e M5S presentano la mozione notav in parlamento

C’è aria di notav in Parlamento con la mozione firmata da 53 deputati che chiedono al governo di interrompere i lavori, e che chiedono una discussione in aula, forse per la prima volta sull’utilità del Tav. Primo firmatario Giorgio Airaudo di una mozione che vede chi si è dichiarato notav trovare un punto d’incontro.

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Qui il testo della mozione e le firme

La Camera,
premesso che:
nel 2001 venne firmato un accordo tra Italia e Francia per la realizzazione di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione, successivamente ratificato dal Parlamento francese e da quello italiano con la legge 27 settembre 2002, n. 228;
in applicazione di tale accordo, i gestori delle infrastrutture italiana (RFI) e francese (RFF) crearono una «società per azioni semplificata», la Lyon Turin Ferroviaire (LTF), per la realizzazione degli studi e dei lavori preliminari della parte comune franco-italiana, nonché per definire il tracciato, le procedure di valutazione ambientale, lo scavo delle discenderie e dei tunnel di ricognizione, i lavori connessi ed, infine, gli studi necessari alla stesura del progetto («avantprojet») poi inserito nell’ambito del piano delle infrastrutture strategiche della legge obiettivo con un costo pari a 1.807,6 milioni di euro;
nel 2003 il progetto preliminare venne consegnato ai competenti organi italiani e la relativa opera inserita nell’ambito dell’intesa generale quadro tra il Governo e la regione Piemonte. In forza dell’accordo con il Governo francese, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti autorizzò la realizzazione del cunicolo esplorativo di Venaus, trasmettendo altresì al CIPE (il Comitato interministeriale per la programmazione economica) la relazione istruttoria sul «Nuovo collegamento ferroviario transalpino Torino-Lione»;
nel 2005 RFI indicò quale data di ultimazione lavori il mese di settembre 2016, ma a seguito di alcune manifestazioni di dissenso da parte delle collettività locali, si svolse un primo incontro tra esponenti del Governo ed i rappresentanti degli enti locali per trovare una mediazione che potesse consentire di sbloccare i lavori. Subito dopo, i lavori di scavo del cunicolo di Venaus furono fermati e venne istituito l’Osservatorio tecnico sulla Torino-Lione, con il compito di svolgere, con le parti interessate, tutti gli approfondimenti necessari per risolvere le controversie con le collettività locali;
nel 2006, per assicurare la più ampia partecipazione alle comunità locali, nella riunione del 29 giugno svoltasi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri con la regione Piemonte e gli enti locali interessati, venne deciso di stralciare il procedimento dalla «legge obiettivo» e di ricondurlo alla procedura ordinaria prevista dall’articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 6167 del 1977 relativo alle opere di interesse statale;
nel 2007 la Commissione europea decise di finanziare un insieme di interventi per i progetti prioritari nazionali inseriti nella rete TEN-T e, tra essi, la «Lione-Torino». Fu pubblicato un bando europeo e presentata una richiesta congiunta italo-francese di finanziamento;
con la predisposizione del dossier europeo fu ridefinito il costo della parte comune italo-francese del collegamento: il costo degli studi corrispondeva a circa 842 milioni di euro, mentre quello dei lavori a circa 9.033 milioni di euro;
successivamente la Commissione europea assegnò, per il periodo 2007-2013, un contributo di 671,8 milioni di euro per gli studi ed una prima parte dei lavori relativi alla parte comune del progetto;
nel 2008 il Governo diede mandato all’Osservatorio di completare l’approfondimento del nodo di Torino, anche per consentire una corretta individuazione degli scenari ferroviari e trasportistici che avrebbero interessato la valle dove si intendeva individuare dei tracciati alternativi della nuova linea;
nell’ambito del vertice italo-francese del 24 febbraio 2009, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti esaminava con il Governo francese alcuni aspetti che riguardavano la nuova linea ferroviaria AV-AC Torino-Lione e nel 2010 l’Osservatorio stabiliva gli indirizzi operativi per la progettazione preliminare della nuova linea Torino-Lione con orientamenti per il futuro tracciato dal confine di Stato alla connessione con la linea AV-AC Torino-Lione;
negli «allegati infrastrutture» alle decisioni di finanza pubblica 2011-2013 e 2012-2014 l’opera «Fréjus ferroviario» viene riportata nell’ambito delle tabelle relative al «Programma delle infrastrutture strategiche – opere da avviare entro il 2013»;
nel corso del 2012 il Governo, presieduto dal Presidente del consiglio pro tempore Mario Monti, in linea con quanto più volte ribadito dal precedente Esecutivo, ha manifestato l’intenzione di realizzare la «Torino-Lione»;
tra gli aspetti trattati, si formalizzava la definizione, all’interno della parte comune italo-francese, della «sezione transfrontaliera». Si confermava anche, come nella prima fase, la ripartizione dei costi: l’importo delle opere verrà corrisposto per il 42,1 per cento dalla Francia e per il 57,9 per cento dell’Italia. Inoltre, si ipotizzava un finanziamento fino all’ammontare del 40 per cento del costo complessivo da parte dell’Unione europea;
il 20 marzo 2012, inoltre, come si apprende dalla stampa nazionale, il viceministro delle infrastrutture e dei trasporti Mario Ciaccia, a margine dell’Italian Business Mission to Qatar organizzata da Ance, Confindustria, SIMEST e Ministero dello sviluppo economico ha annunciato che a breve il CIPE sbloccherà risorse per circa 300 milioni di euro, una parte delle quali, pari a 20 milioni, andranno a finanziare gli interventi su cosiddetto «Nodo di Torino», collegati alla realizzazione dell’alta velocità. Questa dichiarazione però non ha avuto esito concreto;
il 3 dicembre 2012, al termine di un incontro a Lione, i due Governi emettevano un comunicato che recitava: «I due Paesi hanno confermato l’interesse strategico del nuovo collegamento ferroviario tra Torino e Lione, che costituisce un’infrastruttura prioritaria non solo per la Francia e l’Italia ma anche per l’Unione Europea. Sono state inoltre adottate alcune misure per il potenziamento della sicurezza stradale all’interno delle gallerie transfrontaliere»; si è specificato, tuttavia, che le decisioni in proposito dovranno essere ratificate dai rispettivi Parlamenti;
con tali indicazioni si è praticamente autorizzato il raddoppio del tunnel autostradale del Fréjus, provvedimento in aperta contraddizione rispetto alla più volte manifestata intenzione di trasferire le merci dalla «gomma al ferro» a fini ecologici;
il progetto della nuova linea Torino Lione, impropriamente definito «TAV», è oramai da molto tempo oggetto di un acceso dibattito che, purtroppo, in alcuni casi, è anche trasceso in fenomeni che non hanno nulla a che fare con il sano confronto dialettico che dovrebbe caratterizzare l’adozione di ogni scelta strategica per il futuro del nostro Paese;
il 9 febbraio 2012, 360 professori, ricercatori e professionisti accreditati hanno pubblicato un appello rivolto al Presidente del Consiglio pro tempore, professor Mario Monti, per chiedere un ripensamento del progetto della nuova linea ferroviaria Torino-Lione;
in particolare, nell’ambito del suddetto appello, si evidenzia come nel corso degli ultimi dieci anni sia diminuita la domanda di trasporto merci e passeggeri. Si legge nel documento: «Nel decennio tra il 2000 e il 2009, prima della crisi economica, il traffico complessivo di merci dei tunnel autostradali del Fréjus e del Monte Bianco è crollato del 31 per cento. Nel 2009 ha raggiunto il valore di 18 milioni di tonnellate di merci trasportate, come 22 anni prima. Nello stesso periodo si è dimezzato anche il traffico merci sulla ferrovia del Fréjus, anziché raddoppiare come ipotizzato nel 2000 nella Dichiarazione di Modane sottoscritta dai Governi italiano e francese. La nuova linea ferroviaria Torino-Lione, tra l’altro, non sarebbe nemmeno ad Alta Velocità per passeggeri perché, essendo quasi interamente in galleria, la velocità massima di esercizio sarà di 220 km/h, con tratti a 160 e 120 km/h, come risulta dalla VIA presentata dalle Ferrovie Italiane. Per effetto del transito di treni passeggeri e merci, l’effettiva capacità della nuova linea ferroviaria Torino-Lione sarebbe praticamente identica a quella della linea storica, attualmente sottoutilizzata nonostante il suo ammodernamento terminato un anno fa e per il quale sono stati investiti da Italia e Francia circa 400 milioni di euro»;
viene, inoltre, sottolineata l’assenza di vantaggi economici per il Paese specie sotto il profilo del ritorno del capitale investito. Al riguardo, si legge nel documento: «1) non sono noti piani finanziari di sorta. Sono emerse recentemente ipotesi di una realizzazione del progetto per fasi, che richiedono nuove analisi tecniche, economiche e progettuali. Inoltre l’assenza di un piano finanziario dell’opera, in un periodo di estrema scarsità di risorse pubbliche, rende ancora più incerto il quadro decisionale in cui si colloca, con gravi rischi di stop and go;
2) il ritorno finanziario appare trascurabile, anche con scenari molto ottimistici. Le analisi finanziarie preliminari sembrano coerenti con gli elevati costi e il modesto traffico, cioè il grado di copertura delle spese in conto capitale è probabilmente vicino a zero. Il risultato dell’analisi costi-benefìci effettuata dai promotori, e molto contestata, colloca comunque l’opera tra i progetti marginali;
3) ci sono opere con ritorni certamente più elevati: occorre valutare le priorità. Risolvere i fenomeni di congestione estrema del traffico nelle aree metropolitane così come riabilitare e conservare il sistema ferroviario «storico» sono alternative da affrontare con urgenza, ricche di potenzialità innovativa, economicamente, ambientalmente e socialmente redditizie;
4) il ruolo anticiclico di questo tipo di progetti sembra trascurabile. Le grandi opere civili presentano un’elevatissima intensità di capitale, e tempi di realizzazione molto lunghi. Altre forme di spesa pubblica presenterebbero moltiplicatori molto più significativi;
5) ci sono legittimi dubbi funzionali, e quindi economici, sul concetto di corridoio. I corridoi europei sono tracciati semi-rettilinei, con forti significati simbolici, ma privi di supporti funzionali. Lungo tali corridoi vi possono essere tratte congestionate alternate a tratte con modesti traffici. Prevedere una continuità di investimenti per ragioni «geometriche» può dar luogo ad un uso molto inefficiente di risorse pubbliche, oggi drammaticamente scarse;
altro aspetto valutato in modo nettamente negativo è quello relativo al bilancio energetico-ambientale. Secondo i firmatari dell’appello in questione: «Esiste una vasta letteratura scientifica nazionale e internazionale, da cui si desume chiaramente che i costi energetici e il relativo contributo all’effetto serra da parte dell’alta velocità sono enormemente acuiti dal consumo per la costruzione e l’operatività delle infrastrutture (binari, viadotti, gallerie) nonché dai più elevati consumi elettrici per l’operatività dei treni, non adeguatamente compensati da flussi di traffico sottratti ad altre modalità. Non è pertanto in alcun modo ipotizzabile un minor contributo all’effetto serra, neanche rispetto al traffico autostradale di merci e passeggeri. Le affermazioni in tal senso sono basate sui soli consumi operativi (trascurando le infrastrutture) e su assunzioni di traffico crescente (prive di fondamento, a parte alcune tratte e orari di particolare importanza)»;
per finire con il nodo relativo al pericolo relativo di sottrarre risorse al benessere del Paese, la nuova linea ferroviaria Torino-Lione, con un costo totale del tunnel transfrontaliero di base e tratte nazionali, previsto intorno ai 20 miliardi di euro (e una prevedibile lievitazione fino a 30 miliardi e forse anche di più, per l’inevitabile adeguamento dei prezzi già avvenuto negli altri tratti di alta velocità realizzati), penalizzerebbe l’economia italiana con un contributo al debito pubblico dello stesso ordine della manovra economica che il Governo ha messo in atto per fronteggiare la grave crisi economica e finanziaria che il Paese attraversa;
è legittimo domandarsi come e a quali condizioni potranno essere reperite le ingenti risorse necessarie a questa faraonica opera, e quale sarà il ruolo del capitale pubblico. Alcune stime fanno pensare che grandi opere come TAV e ponte sullo stretto di Messina in realtà nascondano ingenti rischi per il rapporto debito/prodotto interno lordo del nostro Paese, costituendo sacche di debito nascosto, la cui copertura viene attribuita a capitale privato, di fatto garantito dall’intervento pubblico;
numerosi studi elaborati da docenti dell’università del Politecnico di Torino e di altre università italiane, inoltre, chiedono con forza di rimettere in discussione in modo trasparente ed oggettivo l’effettiva necessità dell’opera in questione anche e soprattutto alla luce dell’attuale congiuntura economica-finanziaria in cui versa il nostro Paese;
si rileva, inoltre, che anche l’Agenzia nazionale per l’ambiente francese, secondo quanto si apprende dalla stampa nazionale, nel dicembre 2011 avrebbe diffuso un dossier particolarmente critico sulla realizzazione del Fréjus Ferroviario;
altre criticità sono state sollevate da più parti in relazione alla circostanza che sebbene il citato Osservatorio tecnico sulla Torino-Lione abbia prodotto proposte interessanti, non si sia mai premurato di includere nell’ambito del proprio lavoro un confronto sull’effettiva utilità del tunnel di base e le possibili alternative;
la Corte dei Conti francese, nel rapporto annuale di febbraio 2012, ha anche espresso forti critiche all’AFA (Autostrada ferroviaria alpina) tra Italia e Francia affermando che i servizi di trasporto combinato strada-rotaia tra i due Paesi devono ancora dimostrare di essere convenienti ed efficienti;
la medesima Corte, nel rapporto del 1o agosto 2012, ha espresso la necessità di una revisione profonda dei finanziamenti per l’alta velocità e il quotidiano Le Figaro ha riportato tutte le perplessità che sono emerse sulla saturazione della linea esistente in considerazione dell’andamento dell’economia. Il Governo francese si è dichiarato disponibile al proseguimento dell’iniziativa a patto di ridiscutere i riparti di spesa e di ottenere un massiccio intervento dell’Europa. Il commissario dei trasporti dell’Unine, Siim Kallas, ha dichiarato che l’intervento riguarda i due Stati. La situazione presenta, quindi, aspetti assolutamente contraddittori rispetto al quadro sin ora rappresentato di totale condivisione del progetto e merita un esame più approfondito, come richiesto da tempo degli amministratori locali;
il Governo pro tempore, lo scorso anno, in risposta alle criticità sollevate da più parti sull’opera in questione, ha pubblicato un documento dal titolo «Tav Torino Lione. Domande e risposte, marzo 2012» dove spiega i motivi per i quali ha riconfermato la Torino Lione come opera strategica per il nostro Paese, adducendo ragioni di tipo ecologico, occupazionale e di saturazione delle linee esistenti con taglio propagandistico piuttosto che tecnico basato su effettivi dati e proiezioni attendibili sull’evoluzione dell’economia europea nel prossimo futuro;
tale documento anziché dare risposte convincenti ha evidenziato ancora di più la carenza di reali ragioni transportistiche a giustificazione dell’opera, introducendo elementi del tutto estranei alla logica del «fare le opere se, quando e dove servono» e non ha naturalmente placato la furiosa polemica e la tensione sociale sulla «Torino Lione». Effetti questi che bisognerebbe superare definitivamente per ripristinare un serio confronto politico sulle decisioni da attuare nel settore dei trasporti e delle infrastrutture;
a fronte della gravissima crisi occupazionale che sta investendo l’Italia, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l’opera in questione potrebbe dar luogo nel prossimo futuro a un migliaio di posti di lavoro a fronte di una spesa di svariati miliardi di euro e quindi con un rapporto occupazione/investimento ridottissimo rispetto ad altri progetti su piccole opere o a politiche per la riduzione del costo del lavoro. Sarebbe comunque auspicabile avviare una ulteriore e seria riflessione per verificare con estrema esattezza se, al riguardo, siano state prese in considerazione tutte le opzioni possibili e se l’ordine di priorità stabilito corrisponda realmente a quello giusto;
il segmento della linea ferroviaria Torino – Lione è incluso nell’asse 6, uno dei 30 assi transeuropei TEN-T core network, come da decisione n. 661/2010/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 luglio 2010 (allegato III) che ha confermato la decisione n. 884/2004/ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 (allegato II). L’asse 6 Lione-Trieste-Divaèa/Koper-Divaèa-Lubiana-Budapest-frontiera ucraina (corrispondente al vecchio corridoio 5) non è previsto ad alta velocità dalle stesse decisioni del Parlamento europeo e dal Consiglio europeo già citate, mentre ad alta velocità sono, invece, espressamente previsti gli assi 2, 3, 4 e 19;
pertanto, l’Europa ha previsto l’asse 6 come linea convenzionale e non ad alta velocità/alta capacità;
pertanto, l’asse 6 – ossia il segmento presente sul territorio italiano – esiste già ed è stato oggetto di lavori di riammodernamento con una spesa di circa 400 milioni di euro;
i predetti lavori, appena conclusi, permettono il passaggio dei moderni profili standard PC45 (profili maggiori non possono percorrere le linee italiane, francesi e spagnole);
anche ai più convinti sostenitori di tale progetto infrastrutturale, stante la drammatica crisi economica in cui versa il nostro Paese, dovrebbe apparire evidente come la realizzazione di un progetto così impegnativo per le finanze dello Stato e perfettamente inutile rispetto a quanto previsto dall’Europa, sia del tutto incompatibile con l’ordine di priorità di destinazione delle risorse che dovrebbe essere applicato e tale principio dovrebbe entrare con forza nell’agenda politica di qualsiasi Governo,

impegna il Governo:

a porre in essere ogni iniziativa presso le competenti sedi dell’Unione europea affinché, anche in considerazione della situazione di gravissima crisi economica che sta interessando il nostro Paese, venga accertato che l’asse 6 non è previsto dall’Europa ad alta velocità/alta capacità nonché venga accertato se tutti i Paesi appartenenti all’Unione europea coinvolti dall’attraversamento nell’asse 6 citato abbiano confermato senza riserve la loro adesione alla realizzazione di tale progetto infrastrutturale;
a porre in essere ogni atto di competenza teso ad abbandonare definitivamente il progetto della nuova linea Torino Lione e a chiudere conseguentemente le attività in essere presso il cantiere nel comune di Chiomonte.
Firmatari: Airaudo, Castelli, Migliore, Della Valle, Di Salvo, Crippa, Melilla, Fico, Daniele Farina, Sorial, Claudio Fava, Caso, Lavagno, Lupo, Piras, Gallinella, Pellegrino, L’Abbate, Costantino, Zaccagnini, Nardi, Benedetti, Duranti, Massimiliano Bernini, Quaranta, Parentela, Marcon, Gagnarli, Boccadutri, Busto, Lacquaniti, Daga, Ferrara, Carinelli, Matarrelli, Dadone, Aiello, Franco Bordo, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Piazzoni, Pilozzi, Placido, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Zan, Zaratti.

http://www.notav.info/post/sel-e-m5s-presentano-la-mozione-notav-in-parlamento/