I NUOVI “REGALI” DI DRAGHI (BCE) PER IL 2014-2015

Mario Draghi, nelle vesti di presidente dalla Banca Centrale Europea, ha deciso una serie di misure economiche valide per il 2014-2015 allo scopo di stimolare l’economia, abbassare la quotazione dell’euro e allontanare lo spettro della deflazione che sta portando disoccupazione e recessione economica in tutta Europa.
 
Quali saranno questi strumenti e a cosa serviranno?
 
1) Taglio del TUR (tasso ufficiale di riferimento) a 0,15%, mentre il tasso sui depositi overnight è del -0,1% (in sostanza alle banche commerciali sarà addebitato lo 0.1% sui depositi delle loro riserve presso la BCE). Ciò dovrebbe condurre le banche commerciali a non depositare la loro liquidità presso la BCE, ma ad erogarla a famiglia ed imprese.
 
2) Stop alla sterilizzazione dei titoli del Piano SMP (ossia il Securities Markets Programme, cioè l’acquisto di titoli di debito pubblico da parte della Bce sul mercato secondario) allo scopo di immettere nuova liquidità nel sistema. La Bce interromperà le operazioni settimanali con cui riassorbe la liquidità creata comprando titoli di Stato durante la crisi del debito, pari a circa 165 miliardi di euro. Da quattro anni, ogni settimana la Banca centrale “drena” dal sistema (offrendo depositi fruttiferi alle banche) la liquidità immessa con i riacquisti di titoli di Stato nell’ambito del programma Smp, che ha dato ossigeno ai Paesi colpiti dalla crisi. Interrompendo questa prassi, la liquidità aggiuntiva resterà sui mercati.
 
3) Acquisto di Abs. Draghi per risollevare il credito e venire incontro alle banche, si dichiara pronto ad acquistare Abs, asse-backed securities, ossia una particolare tipologia di obbligazioni emesse a fronte di operazione di cartolarizzazione. Il caso della cartolarizzazione dei mutui è il più frequente, ma vengono inseriti in ABS anche altre forme di crediti. I più frequenti sono: crediti per acquisto di automobili, ipoteche, crediti bancari, crediti al consumo, leasing, flussi di pagamenti di carte di credito e crediti commerciali, ma esistono anche ABS particolari e specializzati che incorporano esclusivamente crediti in sofferenza.
 
4) Prestiti TLTRO. Draghi, attraverso operazioni denominate “Targeted longer-term refinancing operations (TLTRO) dichiara pronti 400 miliardi di euro da prestare (regalare) alle banche commerciali che a loro volta dovranno prestare a famiglie ed imprese (con esclusione per i mutui “prima casa”). Di questi 400 miliardi, circa 75 miliardi di euro dovrebbero finire nelle casse delle banche italiane. Inoltre, da marzo 2015 a marzo 2016 a tutte le banche sarà consentito di prestare trimestralmente fino a tre volte l’ammontare dei loro prestiti netti al settore privato non finanziario dell’euro (mutui esclusi).
 
CRITICHE ALLE MISURE DELLA BCE 2014-2015
 
Queste misure enunciate da Draghi hanno, come previsto, ricevuto il plauso del FMI e dei mercati finanziari.
C’è però da capire se tali misure possano essere davvero benefiche per l’economia reale, o meglio, se siano davvero in grado di salvarci dalla deflazione e stimolare la crescita e l’occupazione, oppure se trattasi di pura propaganda economica ed illusoria.
 
Ritengo che seppur il tasso sui depositi overnight sia dello -0,1%, scoraggiando in teoria le banche commerciali a depositare la loro liquidità presso la BCE, nei fatti però serve a poco. La storia ci insegna che grosse banche commerciali hanno spesso assunto la funzione di riserva. Ciò vuol dire che se grossi istituti di credito, come JP Morgan, Citigroup, Bank of America, UBS, Credit Suisse, HSBC, Royal Bank of Scotland, Barclays, Deutsche Bank, decidessero di offrire anche uno 0,3% sui depositi bancari, per tutte le altre banche commerciali europee sarebbe sempre meglio depositare la loro liquidità presso queste banche, anziché scontare un tasso di deposito negativo come quello offerto dalla BCE.
 
Quanto all’acquisto delle ABS, questo è un evidente regalo fatto alle banche che hanno speculato più del dovuto, e ciò c’entra poco con lo stimolare l’economia e salvarci dalla deflazione.
 
Circa la prossima iniezione di liquidità da 400 miliardi di euro data alle banche commerciali di eurolandia, ricordo che le due precedenti, ossia quelle del 2011 e del 2012 in cui Draghi “regalò” un totale di 1.000 miliardi di euro, non finirono nell’economia reale, bensì furono utilizzati dalle banche per ricapitalizzare i loro bilanci e speculare ulteriormente sui mercati finanziari. Di questi 400 miliardi, circa 75 mld finiranno alle banche italiane, ossia ad istituti di credito che vantano sofferenze per oltre 162 miliardi di euro (dati Banca d’Italia). Se mancherà la volontà politica di costituire da subito un apposito fondo nazionale in cui dirottare questa liquidità messa a disposizione dalla BCE, dubito fortemente che l’economia reale vedrà mai un centesimo di euro di questi 400 miliardi.
 
Secondo una stima elaborata dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre, le famiglie e le imprese italiane, già dal mese di giugno 2014, sono state chiamate a versare oltre 54 miliardi di euro tra imposte, tasse e tributi nelle casse dell’erario; non mi sembra, visto un prelievo fiscale di tale portata, che si stia andando nelle direzione di uno stimolo all’economia reale e alla soppressione della deflazione. E vi risparmio i nefasti dati su disoccupazione, consumi e nuovo record del debito pubblico.
 
Salvatore Tamburro

Lo Stato Islamico di Iraq e il Levante e quei conti che non tornano

Sorge spontaneo porsi una domanda: come ha fatto l’Isil, nato soltanto nell’aprile del 2013 dalle ceneri di ciò che era “al-Qaeda Iraq”, nell’arco di un anno a ottenere tutti i finanziamenti e gli strumenti necessari per assumere il controllo della Siria nord-orientale, diventando forza predominante non soltanto all’interno della “resistenza” anti-Assad ma anche in Iraq? Un successo improvviso che coincide tra l’altro con la rottura tra l’Isil e al-Qaeda, avvenuta nel febbraio 2014.
DI GIOVANNI GIACALONE · 21 GIUGNO 2014 
 
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Nelle ultime due settimane il Medio Oriente è stato scosso dall’improvvisa e inaspettata avanzata dell’Isil (Stato Islamico di Iraq e il Levante) che, nell’arco di poco più di una settimana, si è impossessato di mezzo Iraq. Più che una “Primavera araba”, una vera e propria “Primavera jihadista”.
 
Mosul, Tikrit, Ramadi e Fallujah sono già state conquistate, a Baghdad ci si prepara allo scontro e la raffineria di Baiji, la più grande d’Iraq, è circondata dai jihadisti, che hanno anche preso il controllo dell’aeroporto di Tal Afar. Nell’assalto di Mosul 800 jihadisti sono riusciti ad avere la meglio su più di 3.500 soldati iracheni; alcuni hanno disertato, altri ancora sono stati catturati e trucidati, assieme a inermi civili la cui unica colpa era quella di essere sciiti; tutti uccisi a sangue freddo nelle ben note esecuzioni sommarie di cui l’Isil va tanto fiero.
 
A questo punto sorge spontaneo porsi una domanda: come ha fatto l’Isil,  nato soltanto nell’aprile del 2013 dalle ceneri di ciò che era “al-Qaeda Iraq”, nell’arco di un anno a ottenere tutti i finanziamenti e gli strumenti necessari per assumere il controllo della Siria nord-orientale, diventando forza predominante non soltanto all’interno della “resistenza” anti-Assad ma anche in Iraq? Un successo improvviso che coincide tra l’altro con la rottura tra l’Isil e al-Qaeda, avvenuta nel febbraio 2014. [1]
 
I finanziamenti dell’Isil
 
Secondo la versione “ufficiale” dell’antiterrorismo statunitense l’Isil riuscirebbe a gestire gran parte dei costi per la “guerra santa” grazie al controllo di alcuni pozzi petroliferi nel nord della Siria, attraverso furti, estorsioni nei confronti di aziende locali e personaggi politici. Molte delle armi e dei mezzi sarebbero inoltre state “trafugate” dai depositi dell’esercito iracheno e dalla Siria. [2]
 
Poi con l’assalto alla banca di Mosul della scorsa settimana tutto risultava chiaro: l’Isil si sarebbe impossessato di 429 milioni di dollari, diventando così uno dei più ricchi gruppi terroristi del pianeta assieme ai Talebani e a Hizbullah. Una teoria che suona ridicola per chiunque abbia un minimo di competenza in ambito economico.
 
Fare la guerra costa e basta andare a leggere i budget sui conflitti in Iraq e Afghanistan per rendersene conto. Lo Stato Islamico d’Iraq e il Levante era già da tempo in possesso di tutto l’occorrente per i relativi assalti, come i veicoli ultimo modello, ad alto consumo, in grado di spostarsi con gran rapidità sia nel deserto che nei centri urbani e i moderni armamenti, in gran parte gran parte di fabbricazione statunitense. Dal punto di vista tecnologico sono all’avanguardia, con sofisticata attrezzatura radio, gps, telefoni satellitari e pc coi quali postare su Twitter le loro “bravate”. Da dove arrivano poi i fondi per pagare i propri uomini (circa 10 mila jihadisti secondo stime dell’Economist)? Per non parlare poi degli spostamenti, dei viveri ed dei rifornimenti. Ci sono inoltre i costi per il reclutamento e il supporto logistico di migliaia di europei che giungono in Siria per unirsi ai jihadisti. [3]
 
Il governo di Nouri al-Maliki accusa apertamente l’Arabia Saudita di finanziare i jihadisti dell’Isil e di “sostenerli moralmente”. Le parole del primo ministro sono una risposta diretta alle critiche mosse ieri dalle autorità saudite che ritengono il PM iracheno responsabile di aver portato l’Iraq sull’orlo del baratro con la sua politica di esclusione dei sunniti. Lo scorso marzo il capo di governo iracheno aveva già puntato il dito contro Arabia Saudita, Kuwait e Qatar i cui sovrani sono storici alleati degli Stati Uniti e che starebbero da tempo finanziando e appoggiando l’Isil con l’obiettivo di spezzare l’ ”asse sciita” che va da Teheran a Beirut, passando proprio per Siria e Iraq,  contrastando così l’egemonia iraniana in Medio Oriente.
 
Le strane contraddizioni dell’amministrazione Obama
 
Già nel giugno 2013 un articolo del LA Times intitolato “Gli USA hanno addestrato e armato segretamente i ribelli in Siria fin dal 2012“ spiegava:
 
“Agenti della CIA e truppe speciali degli USA hanno segretamente addestrato i ribelli jihadisti siriani sulle armi anticarro e antiaeree dalla fine dell’anno scorso, mesi prima che il presidente Obama approvasse l’intenzione di armarli direttamente, secondo funzionari statunitensi e comandanti ribelli”. [4] Nel gennaio 2014 era uscita la notizia secondo cui l’amministrazione Obama avrebbe dato il “via libera” per il rifornimento di armi leggere ai così detti “ribelli siriani moderati”; qualcosa però non deve aver funzionato, visto che l’Esercito Libero Siriano, la parte “laica” delle forze anti-Assad, ha da tempo perso il suo ruolo di guida nel fronte di opposizione, schiacciato non soltanto dall’esercito regolare siriano ma anche dallo stesso Isil.  [5]
 
Il 22 novembre scorso si è poi costituito il nuovo Fronte Islamico anti-Assad, una coalizione che sembra rimpiazzare il vecchio ELS e che riunisce diversi gruppi armati prima divisi tra loro, tra cui Ahrar al-Sham, Jaysh al-Islam, Suqour al-Sham, Liwa al-Tawhid, Liwa al-Haqq, Ansar al-Sham. Il Fronte islamico si dipinge come indipendente da ogni altro gruppo politico e si propone di far cadere Assad e di instaurare uno stato islamico fondato sulla Sharia.
 
Chi sarebbero dunque questi “ribelli moderati” secondo l’amministrazione Obama? Per quale motivo Washington sembra così scrupolosa nel far arrivare armi a suddetti “moderati” o “laici” che sono ormai quasi inesistenti sul campo, mentre nel frattempo l’Isil riesce a conquistare buona parte dell’Iraq, mantenendo il controllo dei territori conquistati in Siria, mettendo in atto dei veri e propri stermini nei confronti dei civili sciiti e razziando le banche irachene di milioni di dollari? Tante, troppe cose non tornano.
 
 
 
 
 
 

La fondazione di D’Alema intasca 3 mln di euro all’anno di fondi pubblici

oltre alla sua, chissà quante altre. E poi per i disoccupati non ci sono soldi per il reddito di cittadinanza. Perché muoiono di fame questi merdosi di politici senza le loro fondazioni???
lunedì, 23, giugno, 2014
Altro che l’America, Massimo D’Alema ha trovato l’Europa. Baffino, si sa, è un uomo dai molti impegni e dalla grande inventiva.
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foto Marco Merlini / LaPresse
23 giugno – Così, tra una conferenza e una vendemmia, si è impegnato con una fondazione, la Feps, Foundation for European Progressive Studies, un think tank vicino ai socialisti europei. L’ex premier, come racconta il Fatto Quotidiano, ne è presidente dal 2008, come ammette lo stesso D’Alema, la fondazione si ispira al modello tedesco. Cosa significa questo fantomatico e misterioso modello è presto detto: finanziamento pubblico.
La fondazione del lìder Maximo, come quelle dei partiti in Germania, ottiene il suo sostentamento con il finanziamento pubblico. E non si tratta di spiccioli. Secondo il quotidiano di Padellaro la fondazione di D’Alema porta casa tre milioni di euro all’anno, un finanziamento che – come da regolamento – copre l’85 per cento delle spese sostenute, i soci fondatori devono occuparsi del restante 15 per cento.
Dal 2008 a oggi la Feps ha percepito 16,7 milioni di euro. I soldi, logicamente, non sono di D’Alema (che in quanrto presidente è solo rappresnetate ufficiale della associazione) e servono per pagare gli stipendi e sostenere le spese della fondazione. Ma tutto questo meccanismo conferma il doppio binario di una Ue che pretende austerità dai cittadini e poi elargisce finanziamenti a fondazioni e partiti. ilgiornale.it

Il nuovo ‘manifesto’ per il cambiamento in Europa è un peggioramento del vecchio + Il maestro Padoan spiega, gli allievi francesi prendano nota

Questi due articoli sono da “abbinarsi” in quanto si riferiscono alla solita stantia litania delle riforme, presentate come inedite ….Padoan le va a spiegare ai francesi….ora i contratti sono troppi…..ma prima era indispensabile fare riforme per introdurne quanti più tipi possibile sennò non ripartiva il lavoro, ora il contrario….questi sono i tecnici responsabili

Il problema quindi di chi NON MANGIA E SI SUICIDA PERCHE’ NON SA DI CHE VIVERE NON E’ UNA PRIORITA’, COME SE LA DISOCCUPAZIONE FOSSE TALMENTE IRRILEVANTE CHE SI TRATTA DI POCHI CASI SFORTUNATI. CRIMINALE!!I  IL SISTEMA DI SUSSITI è INEFFICACE,  e questo è vero. E come pensa di risolverlo? Cancellarlo anche a quei pochi che rientrano nei requisiti per riceverlo?

L’Italia pensa di dotarsi di un salario minimo, come la Germania?
«No, non è all’ordine del giorno in Italia. Il problema in Italia è che ci sono troppi contratti di lavoro – 40 in tutto!- ed un sistema di sussidi di disoccupazione inefficace. La nostra riforma del mercato del lavoro, presentata al parlamento, punta giustamente a semplificare il mercato del lavoro ed a legare i salari alla produttività del lavoro. Il FMI ha riconosciuto i nostri sforzi di riforma su questi temi chiave»


Il nuovo ‘manifesto’ per il cambiamento in Europa è un peggioramento del vecchio

domenica, 22, giugno, 2014

Sarà pronto al massimo dopodomani e sarà il programma della nuova Commissione Ue. Il documento cui lavora Van Rompuy si intitola – si apprende – “Agenda for the Union in times of change”: la parte più importante, almeno per Roma, è “A Union of jobs, growth and competitiviness”, mirata a sostenere ripresa e occupazione, dando fiato agli investimenti.
Un documento, quello su cui sta lavorando Herman Van Rompuy – che ha ricevuto dall’ultimo vertice Ue il mandato di mediatore nella difficile partita delle nomine – cui è legato, almeno per l’Italia, il risiko delle poltrone europee. Sul lavoro finora portato avanti dal presidente uscente del Consiglio europeo e sui cui gli sherpa delle varie cancellerie sono in queste ore al lavoro per limare il testo, ci sarebbe – secondo fonti che seguono il dossier – un ok di massima di Roma che però “stressa” sulla necessità di dare spazio agli investimenti privati ed al mercato unico dell’energia.
Due elementi fondamentali, rispettivamente per la crescita e la competititività. Sul delicatissimo nodo del rigore, della finanza pubblica, non si punterebbe all’introduzione di un vago concetto di ‘flessibilità’ – che rischierebbe di aprire margini di manovra difficili da gestire anche negli equilibri europei – ma bensì a quello più circostanziato dell’utilizzo dei margini di manovra, già previsti dal Patto di Stabilità e Crescita, per quanto riguarda le riforme strutturali. Tenere cioè in considerazione, nei tempi di rientro nei parametri imposti, dei costi delle riforme strutturali, chieste proprio dall’Europa.
. Al momento sono al lavoro le diverse cancellerie europee. I contributi per l’Italia sono quelli del ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan, e del sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega agli Affari Europei Sandro Gozi. Quello che ne dovrebbe risultare e’ un ‘manifesto’ per l’Europa che vuole cambiare e che nasce dal colloquio tra il presidente del Consiglio Matteo Renzi e la cancelliera tedesca Angela Merkel al G7 di Bruxelles.
Van Rompuy, nel documento, sembra aver fatto sua l’impostazione proposta dal premier italiano, prima il metodo e solo dopo i nomi. L’obiettivo: arrivare al vertice di Ypres, il 26 giugno, con un testo il piu’ possibile condiviso sia dallo schieramento progressista che da quello popolare. Ma soprattutto, restituire l’immagine di un’Europa che mostra di aver compreso il messaggio arrivato dal voto del 25 maggio su cambiamento e crescita.
http://www.imolaoggi.it/2014/06/22/il-nuovo-manifesto-per-il-cambiamento-in-europa-e-un-peggioramento-del-vecchio/

“l’Europa che vuole cambiare e che nasce dal colloquio tra il presidente del Consiglio Matteo Renzi e la cancelliera tedesca Angela Merkel al G7 di Bruxelles.”
ma non ci stava lavorando Van Rompuy da solo?
“Un documento, quello su cui sta lavorando Herman Van Rompuy”

si certo questo manifesto sarebbe il parto di questi due, il Bilderberg si è appena riunito per niente. IL CFR lo sà? Ed alla Trilateral questi “due” erano sfuggiti di mano, si sono addirittura riuniti in segreto ad elaborare piani così in contrasto con quelli di tutti gli altri massoni banchieri……

Quindi Renzi e la Merkel si riuniscono in segreto e Van Rompoy prendeva appunti e ne ha fatta la sua agenda?
Allora se pensano agli “investimenti”, cioè rubinetti aperti, addio austerità?
La “strega del Nord” si è ammorbidita ed ora ci attende un futuro di lavoro, crescita e competitività???
Nessun rigore?

Pare il patto per la crescita siglato anni addietro tra sindacati e Confindustria….

“Tenere cioè in considerazione, nei tempi di rientro nei parametri imposti, dei costi delle riforme strutturali, chieste proprio dall’Europa.”

ah ecco, rigore e crescita.

E competitività, cioè? Se il portoghese stira per 3 euro l’ora il greco offre a 2,50 e l’italiano a due????

Il maestro Padoan spiega, gli allievi francesi prendano nota
Pubblicato su 22 Giugno 2014 da frontediliberazionedaibanchieri in POLITICA
Intervistato quest’oggi ( 20 giugno-ndr ) dal quotidiano francese le Figaro, il ministro italiano dell’Economia, Pier Carlo Padoan, spiega ai cugini il segreto del nostro successo. Ma di che diavolo di successo parliamo?, vi chiederete. Non ne abbiamo idea ma i toni sono quelli, quindi tanto vale assecondare l’intervistato e cercare di diradare la nebbia.
Padoan spiega all’intervistatore francese il concetto di “patto di stabilità intelligente”, che sarebbe quello in cui, a norme invariate (poiché questa è la nuova strategia italiana), si portano alla luce e si sfruttano i presunti ” molti margini di manovra” delle norme esistenti. E qui, Padoan mostra tutta la sua sapienza politica. Non andiamo in Europa a fare i rottamatori ed i Capitan Fracassa ma a “fare politica”, che è l’arte del possibile, inclusa l’esegesi del quadro normativo esistente. Secondo Padoan, che oggi ha ufficializzato che l’Italia non chiederà alcunagolden rule per il calcolo del rapporto deficit-Pil (sconfessando tutte le speranze indigene di tal genere, alcune decisamente fantasiose),
«L’idea sarebbe di valutare positivamente i paesi che mettono in opera le riforme strutturali, perché gli effetti positivi sulle finanze pubbliche sono reali, ma giungono in tempi abbastanza lunghi»
Questo è il canovaccio diplomatico da intessere con Re Tentenna Hollande e da barattare con la presidenza Juncker della Commissione Ue, cioè con la Merkel (auguri). L’intervistatore chiede a Padoan cosa dovrebbe fare la Francia per “beneficiare della clemenza dei suoi pari sul deficit”. E qui Padoan spiega agli allievi che fare, cronoprogramma incluso. Dopo aver premesso che la Francia ha effettivamente un problema di deficit, a differenza dell’Italia (che ha il maggior avanzo primario d’Europa), ma che Parigi continua a beneficiare di grande benevolenza da parte dei mercati finanziari (“cento punti base meno dell’Italia sui tassi d’interesse”), Padoan emette una buona e benevola pagella sulla bozza di riforme strutturali francesi, che tuttavia “devono essere realizzate”. Poi, con grande nonchalance, Padoan butta lì anche l’orizzonte temporale di realizzazione di tali riforme, per mandare il messaggio a Bruxelles e Berlino:
«Per essere credibile, un programma di riforme deve essere presentato sull’arco di tre anni. Perché bisogna dare certezze ad imprese ed investitori»
Ecco quindi il messaggio per l’Eliseo: facciamo asse, per una volta, e puntiamo su un triennio di sospensione delle occhiute regole fiscali comunitarie, mentre facciamo le riforme. Prendi nota, François. Ciò premesso, quali sono le riforme prioritarie per la Francia? Risponde Padoan: la riforma del mercato del lavoro, per riassorbire la disoccupazione giovanile; la riforma della governance dello stato, per ridurre il numero di collettività locali (come la nostra caotica legge di “riforma” delle province, pare di capire): e qui Hollande ha già promesso di ridurre il numero di regioni (ancora auguri). Da ultimo, rilanciare la produttività, che sinora ha avuto crescita nulla.
Ora che Hollande e Valls hanno i compiti estivi, è tempo di una domanda per Padoan:
L’Italia pensa di dotarsi di un salario minimo, come la Germania?
«No, non è all’ordine del giorno in Italia. Il problema in Italia è che ci sono troppi contratti di lavoro – 40 in tutto!- ed un sistema di sussidi di disoccupazione inefficace. La nostra riforma del mercato del lavoro, presentata al parlamento, punta giustamente a semplificare il mercato del lavoro ed a legare i salari alla produttività del lavoro. Il FMI ha riconosciuto i nostri sforzi di riforma su questi temi chiave»
Ora, per valutare pensieri e parole di Padoan occorre avere sempre sotto gli occhi il ddl delega di “riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, di riordino dei rapporti di lavoro e di sostegno alla maternità e alla conciliazione”, per gli amici Jobs Act, quello vero, che affianca, integra ed in prospettiva dovrebbe superare, inglobandola, la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo determinato, da poco approvata.
Nel testo del ddl delega l’ipotesi di introduzione di forme sperimentali di “salario minimo” è ben presente (art.4, punto 1c del ddl delega). Ricordate anche la nostraipotesi di lavoro“: un sistema fatto di contrattazione fortemente decentrata (cioè di “retribuzioni legate alla produttività”, per dirla alla Padoan), puntellato dalla “garanzia” del salario minimo, basso quel tanto che basta per non causare ulteriore aumento di disoccupazione, e contratti di lavoro con monetizzazione dell’uscita, quindi senza alcun obbligo di reintegra, sotto nessuna circostanza. Questo è lo scenario sul quale il vostro titolare scommetterebbe, nel medio termine (diciamo un triennio o anche prima, se la condizione del mercato italiano del lavoro dovesse diventare drammatica).
Ciò detto, non è chiaro per quale motivo Padoan sconfessi l’ipotesi di salario minimo, che pure è nelle linee-guida del ddl delega. Ma tant’è. Mentre reiteriamo l’invito a tenere sempre presente il testo di questa delega, a futura memoria, possiamo concludere che l’essenza politica di Padoan lo porta (immaginiamo con condivisione e beneplacito di Matteo Renzi) ad “offrire” ai francesi questa strategia negoziale con la Germania. Tre anni di pausa dall’ortodossia fiscale contro le mitologiche “riforme strutturali”. Come finirà? Ah, saperlo. Restate sintonizzati.

PAROLA D’ORDINE: COSTRUIRE DRONI CATTIVI | ­­­ I N T E R M A T R I X

Pubblicato da BOJS – LION OF YAHUDA venerdì 20 giugno 2014

Skunk è un drone anti-sommossa dotato di quattro lanciatori di paintball, ma può impiegare anche proiettili e munizioni di ogni genere

Il drone anti-sommossa esiste già ed è di fabbricazione sudafricana: si chiama Skunk (puzzola). È stato svelato ieri dalla Desert Wolf durante la Fiera della Sicurezza (IFSEC) di Johannesburg. Si tratta di un drone volante dotato di quattro lanciatori di paintball (proiettili innocui pieni di vernice), ma volendo può impiegare munizioni di diverso tipo.Il compito di Skunk dovrebbe essere quello di controllare la folla prevenendo eventuali rischi per le forze di polizia. Luci strobo e altoparlanti dovrebbero consentire comunicazioni dirette con le persone, dopodiché in caso di emergenza è in grado di sparare proiettili coloranti (per ora), per marcare gli indumenti delle persone. Volendo può essere dotato con proiettili di ogni genere. Insomma, è una “puzzola” pericolosa.Non mancano poi due videocamere HD e una videocamera termica FLIR (quella che montano anche i caccia). Per altro è prevista anche la registrazione in tempo reale di ogni attività dell’operatore remoto.

I primi 25 modelli saranno forniti quest’estate all’industria dell’estrazione mineraria, dove spesso si registrano scioperi violenti. Ogni Skunk completo costerà circa 340mila euro (CHI PAGHERA’? LO SAPPIAMO BENE CHE SONO SEMPRE SOLDI PUBBLICI)

C’è da rimanere scioccati a sentir parlare di scioperi violenti e droni anti-sommossa, ma ormai la battaglia nelle manifestazioni avviene anche nei cieli. In Turchia la Polizia sparava sui droni dei manifestanti di Gezi Park per bloccare le riprese delle violenze. Domani con gli Skunk i rapporto di forze cambierebbe. Sempre che i white hat (hacker etici) non riescano a craccarli. Ma non finisce qui…

Cyber-drone con GoPro: stabilisci qual’è il “target” e lui fa da solo

Che ne direste di un drone volante dotato di smart cam che vi segue e inquadra in automatico come farebbe un regista in un colossal (o meglio come un Killer di professione che vi insegue per uccidervi? – ndr)? Si chiama HEXO+ e potrebbe davvero rivoluzionare l’intero settore, perché mette insieme la ripresa aerea con le esigenze di spettacolarizzazione. Il tutto per di più gestibile tramite un’app Android e iOS per smartphone o tablet.La startup californiana che si nasconde dietro al progetto ha già superato la soglia minima per la produzione sul sito di crowdfunding KickStarter: puntava a 50mila dollari, ed è già a quota 214mila. Per prenotarne una ci vogliono 599 dollari. A maggio 2015 saranno consegnati i primi droni completi di app e sospensione cardanica per la propria GoPro. La versione compelta con GoPro Hero 3 White Edition HD costa 699 dollari. Il top di gamma con GoPro Hero 3+ Black Edition 4K arriva a 999 dollari.Tramite la comoda interfaccia della app in pratica si può definire l’inquadratura che il drone dovrà tenere durante la ripresa. Il tracking del soggetto, magari in bicicletta o su una moto o semplicemente in corsa, è possibile grazie al costante dialogo tra il drone e uno smartphone – che si dovrà montare sul mezzo oppure tenere in tasca. Il protocollo wireless di riferimento è MAVLINK, ormai standard con licenza LGPL, già visto anche sui Parrot.

Dopodiché il drone volante fa tutto da solo: evita ostacoli, si muove in aria, accelera e rallenta, eccetera. Il suo unico obiettivo è tenervi al centro della scena, come avete stabilito via app.

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Le riprese sono a dir poco impressionanti anche perché HEXO+, grazie a sei pale, è capace di una velocità massima di 70 km/h. Ovviamente non è molto ingombrante: misura 62 x 52 x 12 centimetri e pesa 980 grammi. Per di più la cosiddetta “sospensione cardanica” per la videocamera è stata progettata per ridurre al minimo le vibrazioni. Peccato solo per l’autonomia a pieno carico che è di soli 15 minuti.

L’ultima nota curiosa è che è ancora disponibile il kit fai-date-te. Per 299 dollari vendono il dispositivo di guida automatica e i file che consentono la stampa 3D del drone.

A parte il potenziale legato all’intrattenimento è evidente …(!) che HEXO+ potrebbe essere usato in occasioni diverse. Immaginate in campo giornalistico magari durante una manifestazione oppure in sede di reportage. E che dire poi in ferie, mentre si fa una camminata in montagna, oppure ancora in barca a vela durante qualche manovra.

E che dire se usato per scopi di “Ordine Pubblico”? Vi inseguirà fino a casa!

E non finisce ancora quì..

Robot Raptor: corre come un dinosauro e batte Usain Bolt

Una cosa è sicura: se i robot dovessero sfuggire al nostro controllo, difficilmente riusciremo a seminarli correndo. La prima dimostrazione l’abbiamo avuta con il “Cheetah” di Boston Dynamics, poi è stata la volta dell’Outrunner e ora ecco il Raptor.È il nuovo progetto su cui stanno lavorando i ricercatori dell’istituto sudcoreano KAIST. Diversamente dal Cheetah (che vuol dire ghepardo), il modo in cui corre questo robot non s’ispira a un mammifero contemporaneo, bensì al Velociraptor, il temibile dinosauro del Cretaceo che ha fatto passare tante notti insonni a chi ha visto il primo Jurassic Park.Le due gambe robotiche si sono spinte su un tapis roulant fino a 46 chilometri orari. Anche in questo caso, come per il Cheetah, una velocità di poco superiore a quella raggiunta dall’uomo più veloce del pianeta: Usain Bolt (circa 44 chilometri orari). E dato che noi dinosauri da poltrona non ci avviciniamo ai record di Bolt neanche lontanamente, in caso di rivolta robotica sarebbe meglio stare fermi e difendersi piuttosto che tentare di scappare.

Il Raptor è molto differente dal Cheetah. Il primo è leggero e piccolo, mentre il secondo è più grande e apparentemente più pesante. Il robot Cheetah ha inoltre due “piedi” solidi, mentre il Raptor ha due protesi in fibra di carbonio flessibili su gambe che hanno un solo motore a testa. Un tendine consente alle gambe di recuperare parte dell’energia che consumano.C’è anche una sorta di coda che fornisce equilibrio. Anche se non sembra la coda di un Velociraptor, funziona in modo simile: oscilla quando il robot corre, fornendo un contrappeso per evitare che cada in avanti o indietro. Entrambi i robot devono essere collegati a una guida per evitare di cadere, quindi non sono del tutto indipendenti. Almeno per ora… in futuro chissà.
Ne abbiamo già parlato per molti anni (dal 2007 precisamente), potete leggere tutto dentro il Blog cliccando su questo link, e oggi inizia la fine dell’uomo attraverso le stesse cose che sta costruendo ispirato da spiriti maligni, eh sì, sono tutte tecnologie aliene alla bellezza e all’amore veri. Pensateci se ci riuscite!Comunque questo piccolo riassunto non può darvi nemmeno lontanamente l’idea di ciò che stanno facendo nei laboratori di tutto il mondo e che qualcosa di GRANDE è ormai dietro l’angolo di casa vostra.. ma non voltatevi mai indietro!Bojs – Lion of Yahuda

Pagati da Mosca ?

Chi non vuole il fracking in Europa è un agente della Russia. Sembra incredibile, eppure il segretario della Nato Anders Fogh Rasmussen ha detto proprio così. Se non fosse ridicola, sarebbe un’accusa molto grave.

Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, non teme di essere accusato di caccia alle streghe. Durante un discorso alla Chatham House, a Londra, si è lanciato a dire che la Russia sostiene dietro le quinte organizzazioni ambientaliste che fanno campagna contro l’estrazione di gas di scisto con il fracking, nel tentativo di danneggiare gli interessi europei.

Ha parlato di un complotto. «Ho incontrato alleati che possono riferire come la Russia, nell’ambito delle sue sofisticate operazioni di informazione e disinformazione, ha stretto rapporti attivi con cosiddette organizzazioni non governative – organizzazioni ambientaliste che lavorano contro il gas di scisto – allo scopo di mantenere la dipendenza europea dall’importazione di gas russo», ha detto Rasmussen. Quando gli sono stati chiesti dettagli di questa operazione russa, il segretario generale della Nato è rimasto sul vago: «È una mia interpretazione».

Il fracking, abbreviazione di hydraulic fracturing, «fratturazione idraulica», è la tecnica che permette di estrarre gas naturale o petrolio che giace in formazioni rocciose a grandi profondità (è il gas di scisto, o shale gas), sparandovi acqua mista a sabbia e agenti chimici a a grande pressione in modo da spaccare le roccie. Negli Stati uniti è in grande voga, dal 2011 sono stati aperti quasi 40 mila nuovi pozzi in 12 stati per estrarre petrolio e soprattutto gas di scisto – anche se la cosa ha un impatto molto forte, tra l’altro sul consumo di acqua <http> e i reflui tossici nelle falde idriche, e ha suscitato opposizioni locali. Anche in Europa esistono giacimenti di petrolio e gas di scisto, ma qui le condizioni sono ben più difficili in termini di geografia, geologia, regolamentazioni.

Dopo la crisi ucraina però i sostenitori del fracking in Europa sono partiti alla carica. Si tratta, dicono, di indipendenza dalle forniture di gas della Russia – che in effetti è una delle maggiori fonti di approvvigionamento per molti paesi europei occidentali, inclusa l’Italia. Gli Stati uniti hanno offerto di vendere all’Europa il suo shale gas (cosa che in ogni caso richiederà alcuni anni, anche perché viaggia allo stato liquido di navi cisterna e serviranno poi impianti rigassificatori).
Il fracking, dicono molti, permetterebbe all’Europa di procurarsi una nuova fonte interna per rendersi indpendente. Anche volendo lasciar da parte l’impatto ambientale però la fattibilità economica del fracking europeo è dubbia, anche perché non è chiaro quanti dei giacimenti attuali sarebbero sfruttabili commercialmente. La Polonia, che aveva messo in cantiere progetti di estrazione con fratturazione idraulica, ci sta ripensando (non per motivi ambientali ma perché le difficoltà geologiche sono notevoli). Nel Regno unito, altro paese che ha giacimenti, nessun progetto è stato approvato e non solo perchè vi sono state forti proteste.

Dunque sostenere il fracking al momento è più che altro una presa di posizione politica. E Rasmussen è l’ultimo, in ordine di tempo, a schierarsi. Ma si dev’essere lasciato scappare la lingua, perché l’ufficio stampa della Nato poi ha dichiarato che le affermazioni del segretario generale esprimevano la sua opinione personale, non una posizione ufficiale.

Il primo nemico non si scorda mai. Che la Nato si ponga in termini antagonisti alla Russia è quasi ovvio – l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico è nata all’inizio della Guerra fredda come alleanza dell’Europa occidentale e degli Stati uniti in oposizione all’Unione sovietica (quasi quasi la crisi in Ucraina è un sollievo: un’alleanza in crisi d’identità ritrova la sua funzione). Certo Rasmussen è stato tra le voci più dure contro la Russia.

È anche naturale che il blocco di nazioni europee si preoccupi delle fonti di approvvigionamento energetico – così come è ovvio che la Russia usi il suo gas come strumento di pressione, o comunque elemento di negoziato. Quello che di sicuro la Russia ha fatto, appena un mese fa, è stato firmare con la Cina un mega contratto per la fornitura di gas nei decenni a venire, un accordo da 400 miliardi di dollari. Funzionari della Nato ora dicono al Guardian che Mosca sta usando «un mix di hard e soft power per ricreare la sua sfera di influenza, anche attraverso campagne di disinformzione sull’energia». Ma non è quello che fa ogni ogni stato, usare strumenti di pressione e/o campagne di informazione per difendere i propri interessi?
Le organizzazioni ambientaliste che fanno campagna contro il fracking ribattono: la loro opposizione ha solidi motivi di impatto ambientale, senza alcun bisogno di essere pagati da Mosca. C’è anche dell’incredibile: Greenpeace ad esempio ha visto un gruppo di suoi attivisti sbattuti in galera per parecchi mesi in Russia, la scorsa estate, per una protesta contro le perforazioni petrolifere nell’Artico.
In effetti l’accusa lanciata dal segretario generale della Nato equivale a dire: chi si oppone al fracking è pagato da Mosca, è un agente russo. Se non fosse ridicolo, sarebbe molto grave – forse è insieme ridicolo e grave.

Marina Forti
Fonte: www.pagina99.it
Link: http://www.pagina99.it/blog/6137/Ambientalisti-pagati-da-Mosca–La.html
20.06.2014

Iraq, atrocità indescrivibili dei miliziani Isis: donne stuprate, sequestri e stragi

domenica, 22, giugno, 2014

 Le atrocita’ di cui si stanno macchiando in Iraq i miliziani sunniti dello Stato islamico dell’Iraq e della Siria (Isis) sono “indescrivibili” e comprendono stragi, sequestri e stupri, anche nei confronti di donne cristiane, cinque delle quali si sono suicidate. Lo ha denunciato il ministro dei Diritti umani iracheno, Mohammed Shia’ al Sudani, in un’intervista all’emittente “Al Iraqiya”.

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“Queste bande armate hanno commesso un gran numero di atrocita’ contro la popolazione delle province di Ninive, Diyala, Salahuddin e Anbar”, ha raccontato il ministro, citando “il massacro di 480 prigionieri detenuti nel carcere di Badush a Ninive, l’uccisione di 14 religiosi che si erano rifiutati di aderire all’Isis a Mosul, e la strage di 175 studenti i cui corpi sono stati gettati in una fossa comune”.

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Inoltre, ci sono stati “stupri di donne, cinque delle quali si sono suicidate, l’incendio di chiese e l’imposizione di tributi nei confronti della comunita’ cristiana di Ninive”. I terroristi,ha aggiunto il ministro iracheno, “hanno sequestrato 150 cittadini appartenenti alla comunita’ religiosa Shabak” e distruggono sistematicamente monumenti d’importanza religiosa o storica, come la statua del mullah Osman Musli, sottraggono documenti e manoscritti preziosi e hanno manifestato l’intenzione di profanare le tombe dei profeti e i luoghi sacri sciiti.

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Nel commettere questi crimini, ha detto al Sudani, “i gruppi terroristi si avvalgono di sostegno esterno e interno nelle province coinvolte, sia livello militare che politico”. La loro azione si sta risolvendo in una catastrofe umanitaria di proporzioni immense, visto che sono gia’ almeno 900 mila le persone che hanno dovuto abbandonare le loro residenze per sfuggire a violenze e massacri, ha sottolineato al Sudani. agi
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Attaccare Grillo per Nascondere le sue Proposte

DI FAUNO LAMI
 
 I Media Attaccano Beppe Grillo per Nascondere l…
 
In questi mesi TV e Giornali stanno facendo ampiamente uso di una delle maggiori tecniche di manipolazione delle informazioni da sempre utilizzate in Italia: criticare le persone ignorando le soluzioni che propongono.
 
Sentiamo infatti continui attacchi personali su Grillo, Casaleggio o Farage, senza però mai entrare in merito ai contenuti delle loro proposte, su cui invece dovremmo concentrare tutta la nostra attenzione. Sappiamo dai media che Grillo è xenofobo, che Casaleggio è un dittatore… ma questi presunti criminali cosa stanno proponendo? Quali sono le loro idee, le loro soluzioni? E perché i media non parlano di quelle, anziché spostare l’attenzione sulle critiche personali?
 
È qui la più grande contraddizione dell’informazione Italiana. Un movimento che per la prima volta nella storia sta promuovendo valori come la Democrazia Diretta, l’Informazione Libera e la Trasparenza dei Politici, con che coraggio può essere definito fascista? Più che una ragionata analisi giornalistica, sembra proprio un facile metodo per spaventare la popolazione, tenendola lontana da argomenti dannosi al sistema partitocratico italiano.
L’attuale sistema politico è messo in grande difficoltà da un Movimento che propone la partecipazione dei cittadini nella politica ripulendo il Parlamento italiano da condannati e pregiudicati, ed infatti si sta difendendo, utilizzando tutti i mezzucci con cui i regimi autoritari si sono sempre difesi, ossia controllando e manipolando le informazioni che arrivano ai cittadini con lo scopo di infangare il nome di chi propone un sistema migliore di quello attuale. Se le informazioni che riceviamo giornalmente vertessero sui contenuti, sulle proposte politiche, e non sul nome e sulla faccia di chi le propone, i cittadini italiani ci metterebbero ben poco a capire che è meglio non avere ladri e corrotti a fare le leggi in parlamento o che è giusto che i cittadini esprimano direttamente il loro parere politico, invece di limitarsi a mettere una croce su una scheda ogni 5 anni.
 
Ma non dimentichiamoci che oggi i direttori di Giornali e TG sono tutti in quota politica, non scordiamoci che i vecchi media continueranno a difendere questi politici che per anni gli hanno garantito centinaia di milioni in contribuiti pubblici all’editoria ogni anno in cambio della loro disinformazione. E non stupiamoci se continueranno ad andare contro a chi invece, giustamente vuole tagliarli. Insomma, pretendere un’informazione pulita ed obiettiva in una situazione come questa è inimmaginabile. Occorre utilizzare strumenti nuovi, liberi e accessibili come la rete se vogliamo favorire la diffusione di notizie dal basso, che vadano a favore della comunità.
 
Allora per il nostro bene, non lasciamoci più distrarre dai pettegolezzi e dagli infiniti attacchi personali che i media inventeranno ogni settimana per spaventarci. Concentriamoci invece su ciò di cui davvero abbiamo bisogno, ossia buone soluzioni da applicare collettivamente e nell’immediato. Abbandoniamo l’idea della delega a un leader carismatico che prende le decisioni politiche al posto nostro ed invece abituiamoci a condividere le soluzioni, senza farci distrarre dalle provocazioni dei media.