Lo Stato Islamico di Iraq e il Levante e quei conti che non tornano

Sorge spontaneo porsi una domanda: come ha fatto l’Isil, nato soltanto nell’aprile del 2013 dalle ceneri di ciò che era “al-Qaeda Iraq”, nell’arco di un anno a ottenere tutti i finanziamenti e gli strumenti necessari per assumere il controllo della Siria nord-orientale, diventando forza predominante non soltanto all’interno della “resistenza” anti-Assad ma anche in Iraq? Un successo improvviso che coincide tra l’altro con la rottura tra l’Isil e al-Qaeda, avvenuta nel febbraio 2014.
DI GIOVANNI GIACALONE · 21 GIUGNO 2014 
 
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Nelle ultime due settimane il Medio Oriente è stato scosso dall’improvvisa e inaspettata avanzata dell’Isil (Stato Islamico di Iraq e il Levante) che, nell’arco di poco più di una settimana, si è impossessato di mezzo Iraq. Più che una “Primavera araba”, una vera e propria “Primavera jihadista”.
 
Mosul, Tikrit, Ramadi e Fallujah sono già state conquistate, a Baghdad ci si prepara allo scontro e la raffineria di Baiji, la più grande d’Iraq, è circondata dai jihadisti, che hanno anche preso il controllo dell’aeroporto di Tal Afar. Nell’assalto di Mosul 800 jihadisti sono riusciti ad avere la meglio su più di 3.500 soldati iracheni; alcuni hanno disertato, altri ancora sono stati catturati e trucidati, assieme a inermi civili la cui unica colpa era quella di essere sciiti; tutti uccisi a sangue freddo nelle ben note esecuzioni sommarie di cui l’Isil va tanto fiero.
 
A questo punto sorge spontaneo porsi una domanda: come ha fatto l’Isil,  nato soltanto nell’aprile del 2013 dalle ceneri di ciò che era “al-Qaeda Iraq”, nell’arco di un anno a ottenere tutti i finanziamenti e gli strumenti necessari per assumere il controllo della Siria nord-orientale, diventando forza predominante non soltanto all’interno della “resistenza” anti-Assad ma anche in Iraq? Un successo improvviso che coincide tra l’altro con la rottura tra l’Isil e al-Qaeda, avvenuta nel febbraio 2014. [1]
 
I finanziamenti dell’Isil
 
Secondo la versione “ufficiale” dell’antiterrorismo statunitense l’Isil riuscirebbe a gestire gran parte dei costi per la “guerra santa” grazie al controllo di alcuni pozzi petroliferi nel nord della Siria, attraverso furti, estorsioni nei confronti di aziende locali e personaggi politici. Molte delle armi e dei mezzi sarebbero inoltre state “trafugate” dai depositi dell’esercito iracheno e dalla Siria. [2]
 
Poi con l’assalto alla banca di Mosul della scorsa settimana tutto risultava chiaro: l’Isil si sarebbe impossessato di 429 milioni di dollari, diventando così uno dei più ricchi gruppi terroristi del pianeta assieme ai Talebani e a Hizbullah. Una teoria che suona ridicola per chiunque abbia un minimo di competenza in ambito economico.
 
Fare la guerra costa e basta andare a leggere i budget sui conflitti in Iraq e Afghanistan per rendersene conto. Lo Stato Islamico d’Iraq e il Levante era già da tempo in possesso di tutto l’occorrente per i relativi assalti, come i veicoli ultimo modello, ad alto consumo, in grado di spostarsi con gran rapidità sia nel deserto che nei centri urbani e i moderni armamenti, in gran parte gran parte di fabbricazione statunitense. Dal punto di vista tecnologico sono all’avanguardia, con sofisticata attrezzatura radio, gps, telefoni satellitari e pc coi quali postare su Twitter le loro “bravate”. Da dove arrivano poi i fondi per pagare i propri uomini (circa 10 mila jihadisti secondo stime dell’Economist)? Per non parlare poi degli spostamenti, dei viveri ed dei rifornimenti. Ci sono inoltre i costi per il reclutamento e il supporto logistico di migliaia di europei che giungono in Siria per unirsi ai jihadisti. [3]
 
Il governo di Nouri al-Maliki accusa apertamente l’Arabia Saudita di finanziare i jihadisti dell’Isil e di “sostenerli moralmente”. Le parole del primo ministro sono una risposta diretta alle critiche mosse ieri dalle autorità saudite che ritengono il PM iracheno responsabile di aver portato l’Iraq sull’orlo del baratro con la sua politica di esclusione dei sunniti. Lo scorso marzo il capo di governo iracheno aveva già puntato il dito contro Arabia Saudita, Kuwait e Qatar i cui sovrani sono storici alleati degli Stati Uniti e che starebbero da tempo finanziando e appoggiando l’Isil con l’obiettivo di spezzare l’ ”asse sciita” che va da Teheran a Beirut, passando proprio per Siria e Iraq,  contrastando così l’egemonia iraniana in Medio Oriente.
 
Le strane contraddizioni dell’amministrazione Obama
 
Già nel giugno 2013 un articolo del LA Times intitolato “Gli USA hanno addestrato e armato segretamente i ribelli in Siria fin dal 2012“ spiegava:
 
“Agenti della CIA e truppe speciali degli USA hanno segretamente addestrato i ribelli jihadisti siriani sulle armi anticarro e antiaeree dalla fine dell’anno scorso, mesi prima che il presidente Obama approvasse l’intenzione di armarli direttamente, secondo funzionari statunitensi e comandanti ribelli”. [4] Nel gennaio 2014 era uscita la notizia secondo cui l’amministrazione Obama avrebbe dato il “via libera” per il rifornimento di armi leggere ai così detti “ribelli siriani moderati”; qualcosa però non deve aver funzionato, visto che l’Esercito Libero Siriano, la parte “laica” delle forze anti-Assad, ha da tempo perso il suo ruolo di guida nel fronte di opposizione, schiacciato non soltanto dall’esercito regolare siriano ma anche dallo stesso Isil.  [5]
 
Il 22 novembre scorso si è poi costituito il nuovo Fronte Islamico anti-Assad, una coalizione che sembra rimpiazzare il vecchio ELS e che riunisce diversi gruppi armati prima divisi tra loro, tra cui Ahrar al-Sham, Jaysh al-Islam, Suqour al-Sham, Liwa al-Tawhid, Liwa al-Haqq, Ansar al-Sham. Il Fronte islamico si dipinge come indipendente da ogni altro gruppo politico e si propone di far cadere Assad e di instaurare uno stato islamico fondato sulla Sharia.
 
Chi sarebbero dunque questi “ribelli moderati” secondo l’amministrazione Obama? Per quale motivo Washington sembra così scrupolosa nel far arrivare armi a suddetti “moderati” o “laici” che sono ormai quasi inesistenti sul campo, mentre nel frattempo l’Isil riesce a conquistare buona parte dell’Iraq, mantenendo il controllo dei territori conquistati in Siria, mettendo in atto dei veri e propri stermini nei confronti dei civili sciiti e razziando le banche irachene di milioni di dollari? Tante, troppe cose non tornano.
 
 
 
 
 
 
Lo Stato Islamico di Iraq e il Levante e quei conti che non tornanoultima modifica: 2014-06-23T14:44:49+02:00da davi-luciano
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