Mafia, appalti, TAV: la Procura di Torino non vuole che nel maxi processo entrino le prove

Mercoledì 11 Giugno 2014 09:20
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Procura di Torino e Governo oggi graniticamente insieme contro l’acquisizione di documenti che provano infiltrazioni e frequentazioni mafiose in aziende coinvolte negli appalti TAV Torino-Lione.

Le difese degli imputati in udienza hanno annunciato il deposito di una relazione del nucleo investigativo dei Carabinieri del 19 dicembre 2011, parte del cd processo ‘Minotauro’, che dimostra:

  • -che Bruno Iariamembro della ‘ndrangheta e capo del c.d. “locale” di Cuorgnè, è stato dipendente della ditta valsusina Italcoge S.p.A., quella la cui ruspa sfondò il cancello della centrale idroelettrica il 27 giugno 2011 a Chiomonte, difesa e scortata dalle forze dell’ordine. Per i feticisti, il simbolino Italcoge si vede nella foto qui sotto, sulla ruspa, dietro ai fari.

ruspa

La relazione dei c.c. dimostra anche:

  • -i rapporti tra Italcoge S.p.A. e Iaria Giovanni, padre di Bruno ed altro membro della ‘ndrangheta.
  • le frequentazioni tra membri della ‘ndrangheta e la società Martina (altra azienda valsusina coinvolta negli appalti TAV Torino-Lione), in particolare la presenza di uno dei soci ad una riunione dell’anno 2007 a casa di Iaria Giovanni.

Si tratta insomma delle due società, Italcoge e Martina, aggiudicatarie dell’appalto di Lyon Turin Ferroviaire per la recinzione del cantiere della Maddalena a Chiomonte e che lì hanno operato il 27.6.2011 e 3.7.2011 fianco a fianco con le forze dell’ordine.

Un elemento rilevante per il processo e per conoscere le motivazioni degli oppositori al TAV, visto che – lo ha detto il Prof. Marco Revelli sentito all’udienza di oggi – proprio il carattere di lotta alla mafia è uno dei collanti del Movimento. E infatti la richiesta di produzione documentale delle difese degli imputati era scattata durante l’audizione dello storico.

Il professore aveva appena finito di dichiarare che il mattino del 27 giugno 2011 al cancello della centrale i manifestanti no tav, mentre si opponevano allo sgombero, urlavano “mafia – mafia” all’indirizzo della ruspa. La ruspa gialla che avrebbe abbattuto il cancello e si sarebbe fatta strada sino al piazzale dell’azienda vitivinicola. La ruspa scortata e difesa dalle forze dell’ordine – “embedded“, l’ha definita Revelli.

Revelli aveva ricordato al microfono che la cosa lo aveva stupito. Che lui era lì, sul posto, in quei momenti, vedeva la scena e si chiedeva perchè gli altri no tav urlassero “mafia-mafia“. Che la cosa gli faceva specie, perché il ministro di allora Maroni diceva che in quei giorni lo scontro era tra “ordine e disordine”.

Se la gente urlava “mafia” all’indirizzo dei mezzi delle ditte che stavano per sgomberare l’area della Libera Repubblica della Maddalena, chi era uno e chi era l’altro?

Revelli aveva chiesto il perchè di “mafia – mafia“, e quelli a fianco gli avevano risposto che da tempo, da decenni, in Valsusa c’erano infiltrazioni mafiose, che alcune ditte erano chiacchierate, che loro soci o dirigenti avevano riportato – lo diceva la cronaca giornalistica – condanne per turbativa d’asta, corruzione e altro. E che c’era il forte sospetto che la ‘ndrangheta avesse rapporti con alcune di queste ditte.

Ma la Procura di Torino oggi in udienza ha chiesto che il Tribunale non ammettesse la produzione: per i PM, le infiltrazioni mafiose – ammesso che esistano” -, non hanno nulla a che vedere con la questione TAV e con il maxi processo. E devono restare fuori.

Si è opposto alla produzione anche il fallimento della ditta Italcoge S.p.A.

E, come se non bastasse, si è opposto anche il Governo: pure i ministeri della Difesa, dell’Interno e dell’Economia hanno chiesto che il documento non fosse acquisito.

Il Tribunale di Torino -che nei due anni di questo processo ha sistematicamente respinto le richieste dei difensori degli imputati – anche questa volta, trincerandosi dietro questioni formali, ha fatto come richiesto da PM e Governo e così il documento per ora non entra.

Dunque procura, governo (e tribunale, avallando l’opposizione) non vogliono che si parli di infiltrazioni mafiose – “ammesso che esistano” – in questo processo.

Ma cosa li spaventa tanto?

Non vogliono che si dica che la mafia in Valle di Susa esiste, da quarant’anni? Non vogliono che emerga pubblicamente, anche in aula, che tra le motivazioni dell’opposizione al TAV c’è anche questo, lo sforzo di invertire la rotta, tener fuori dalla cosa pubblica le cosche mafiose?

Sembra la stessa irriducibile contrarietà, già dimostrata tante volte, a fare entrare nel processo la questione di merito di fondo: non volere che si dica e che provi che il TAV è inutile, che è un progetto vecchio e superato, che i traffici merci Italia-Francia sono inesistenti. Perché?

Questo processo, per come è stato impostato sin dall’inizio dalla Procura (con adesione totale del collegio giudicante), è e deve rimanere asetticoplastificatoprecotto: hai tirato un sasso – resistenza e violenza a pubblico ufficiale. E via il più veloce possibile verso la sentenza di condanna, non mi interessa perché lo hai fatto, non influisce sulla condotta e tantomeno sulla pena.

Per le difese, il maxiprocesso no tav è stato impostato come qualcosa d’altro: confronto (forzato, ovviamente…) nel merito, nell’arena giudiziaria, il perché, se un sasso è stato tirato, lo si è tirato. Una difesa nel processo: quel tipo di difesa di cui Caselli denunciava la scomparsa nelle aule di ‘giustizia’, sostituita dalla difesa dal processo, e che però alla prova dei fatti, lo stesso Caselli e i suoi sostituti si sono rifiutati di affrontare. Per le difese il maxi processo era un processo che doveva dare spazio alle motivazioni storiche e sociali di fondo dei manifestanti e degli imputati delle due storiche giornate del 27 giugno e del 3 luglio 2011: l’opposizione ad un’opera inutile, devastante per l’ambiente, mancante dei requisiti strutturali per farla perché progetto vecchio di 20 anni, in cui avrebbero lavorato le solite grandi aziende, con attribuzioni sospette di appalti, e con la sinistra presenza in Valsusa della ‘ndrangheta.

Perciò la produzione di quel documento per gli imputati era importante e l’opposizione alla produzione è una questione molto seria, grave, preoccupante…e in una certa misura incomprensibile, sia dal punto di vista storico e sociale che da quello giuridico.

Per la storia basta pensare alle presenze, confermate, della mafia nei cantieri TAV della Roma – Napoli. Alle innumerevoli informative sulla realtà della presenza di camorra e ‘ndrangheta negli appalti e subappalti dell’alta velocità ferroviaria, addirittura i chiamiamoli gridi di allarme della commissione di inchiesta parlamentare del 2011 che allerta sul rischio di infiltrazioni mafiose negli eventuali cantieri della Torino-Lione. E allora, se una comunità di migliaia di persone si oppone ad un’opera pubblica anche perché teme, con fondamento, che i soldi pubblici possano finire in mano ad associazioni criminali, commette un reato? E l’opposizione popolare alle mafie dove finisce? La lasciamo soltanto alla Sicilia, alla Calabria, alla Campania? La lasciamo soltanto ai Peppino Impastato a Cinisi nel 1978, oppure ispirati ad esperienze come la sua, la vogliamo anche al Nord nel 2011 e nel 2014? La mafia esiste solo al Sud e in Lombardia?

Vogliamo ricordarlo, che sono stati i No Tav ad accorgersi che per anni LTF ha utilizzato il C.U.P. sbagliato (codice unico progetto per tracciare a scopo antimafia le transazioni negli appalti pubblici), quello del progetto di una diversa linea ferroviaria? Vogliamo ricordarlo chesono stati i No Tav ad accorgersi che nella sciagurata legge di ratifica dell’Accordo Italia-Francia del 2012 si prevede che gli appalti del TAV Torino-Lione siano assegnati con la legge francese, che non ha leggi antimafia?

Due coincidenze?

E’ preoccupante che di una questione così grave – rapporti tra ‘ndrangheta e società operanti sul cantiere TAV della Maddalena – non si possa parlare nel giardinetto della bella, falsissima e cortese Torino.

(D’altronde, perché stupirsi? E’ la Torino dove evidentemente i grandi appalti per le grandi opere pubbliche sono sempre tutti OK, nessuna corruzione, nessun particolare scandalo, nessuna indagine dirompente. E dove quando anche eventualmente qualcosa succede – pensiamo alla sentenza di primo grado penale che nel 2011 condannò per turbativa d’asta l’allora direttore generale e direttore costruzioni di LTF sull’appalto del cunicolo esplorativo TAV di Venaus -, non c’è nessun magistrato che convoca conferenze stampa. Quelle sono riservate agli arresti degli antagonisti o dei no tav).

Ma non lo si comprende, il rifiuto, neanche pensando alle dinamiche più propriamente processuali, per quanto possano valere a questo punto: il PM non ha anche il dovere, secondo il codice di procedura penale, di cercare elementi a favore degli imputati? E se un no tav si oppone all’avanzata di un mezzo di cantiere di una ditta che è sulla bocca di molti per le frequentazioni con membri di associazioni criminali, commette davvero un reato? E se giuridicamente lo commette, non è forse un reato meno grave di altri analoghi, perché commettendolo quell’imputato ha tentato di salvaguardare beni comuni da interessi…meno comuni?

Ma in questo maxiprocesso – che dal punto di vista delle garanzie e dei diritti degli imputati è unminiprocesso – tutto è anomalo. Benvenuti nella giustizia no tav, benvenuti a Torino.

Gian Carlo Taselli

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 Da notav.info

“No Tav e diritti: quel che accade in Val Susa riguarda tutti gli italiani”

post — 11 giugno 2014 at 11:46
Un contro-osservatorio per smontare i miti dell’alta velocità. Un esposto al Tribunale dei Popoli sulle violazioni dei diritti in Val Susa. E un invito a riaprire il confronto con i cittadini. Parla Livio Pepino, il magistrato in pensione da sempre schierato contro il tunnel. Che dice: “Siamo ancora in tempo per cambiare idea”

No Tav e diritti: quel che accade in Val Susa riguarda tutti gli italiani

La Val Susa? È Terzo Mondo. Ma non perché i suoi abitanti siano poveri o affamati, o perché vogliano emigrare rischiando la vita. No: ad assimilarli agli indigeni colombiani o ai contadini dell’Africa Sub-sahariana è un diritto che è stato loro strappato. Quello di difendere il proprio territorio da interessi economici imposti dall’alto. A sostenerlo sono il celebre ex presidente di Magistratura Democratica Livio Pepino e una lunga sequela di studiosi e intellettuali di tutto il mondo, dal teologo della liberazione Frei Betto al regista Ken Loach, da Serge Latouche ad Alex Zanotelli.

Insieme hanno presentato un esposto ufficiale per “ violazione dei diritti fondamentali in Valle ” al Tribunale permanente dei Popoli, un organo “d’opinione” (i suoi atti non hanno conseguenze giuridiche), ma storicamente importante. E che fino ad oggi, appunto, si è occupato di violenze e danni ambientali contro i popoli dell’Est o del Sud del mondo. Mentre da venerdì (data in cui l’esposto sarà presentato anche in Italia con una conferenza stampa) dovrà studiare un caso europeo.

Livio Pepino

Livio Pepino

Ma come, dottor Pepino, già agli italiani importa così poco di quel che succede in questa sperduta provincia torinese, e voi chiedete che ne occupino gli eredi del tribunale istituito nel 1966 da Bertrand Russell e Jean-Paul Sartre per indagare sui crimini del Vietnam? Non le sembra un po’ esagerato?
«Assolutamente no: ciò che succede a Chiomonte riguarda tutta l’Europa. Il modello avviato da queste parti, l’idea della “Grande Opera Costosa” che si impone sopra la volontà dei cittadini, sarà esportato con successo altrove, se dovesse vincere 20 anni di resistenza locale. Con due problemi: il primo è la sottovalutazione dei rischi ambientali e sulla salute. E il secondo è la ferita che si infligge all’idea stessa di democrazia e partecipazione democratica. Che repubblica è quella in cui vota solo metà degli aventi diritti e in cui quelli che chiedono d’essere ascoltati vengono esclusi dalle decisioni che li riguardano?»

Partiamo da quest’ultimo punto: il Commissario della Torino-Lione sostiene che non sia vero che i cittadini non sono stati coinvolti. Anzi, dice che il progetto è migliorato proprio grazie alle 204 riunioni svolte fra il 2006 e il 2013 con le comunità locali. Non è partecipazione questa?
«Ma che partecipazione: questa è propaganda! Non c’è stato alcun tipo di confronto reale. Hanno invitato i soli sindaci favorevoli alla Tav per discutere sul come fare l’opera. Nessuno ha voluto invece mettere in discussione l’utilità dell’intervento, e le sue conseguenze, insieme agli abitanti. È stato fin dall’inizio un piano unilaterale, gestito senza coinvolgere i residenti»

Ma lei com’è che è diventato un così convinto No Tav? I maligni scrivono  sia perché ha una casetta a Chiomonte…
«I punti di partenza sono spesso casuali. E sì, anche se non ho più quella casa, dove ora c’è il cantiere dell’Alta Velocità io andavo a correre col cane. Le conosco quelle terre, ci sono legato. Ma da magistrato e da cittadino  colgo in questa vicenda il simbolo di un modello di sviluppo che non funziona più. Che deve cambiare. Partendo dal confronto, vero, con la popolazione: questo sarebbe fare politica in grande»

Ma non è un po’ utopico pensare sia possibile mettere d’accordo gli interessi dello Stato e quelli di chi dice: “Non nel mio giardino”?
«Non ho una risposta pre-costruita da dare. Quello che so è che anche il turbo-decisionismo berlusconiano, su un problema come quello dei rifiuti, ad esempio, non ha portato ad alcun risultato. È ovvio che trovare una mediazione fra interessi locali e priorità nazionali è difficile. Ma è necessario, soprattutto quando si tratta di investimenti colossali come quello dell’Alta Velocità. O facciamo nostra questa consapevolezza, oppure ci troveremo ad avviare ogni volta con vent’anni di ritardo dei maxi-processi, alla ricerca dei responsabili di danni provocati su cittadini che all’epoca non erano stati informati»

Continua a parlare di confronto: ma si può ancora considerare possibile una mediazione dopo gli scontri, gli arresti, le minacce, la tensione che dura da anni?
«Certamente più passa il tempo più sarà difficile ricomporre il conflitto fra Pro Tav e No Tav. Sono convinto però non sia ancora tutto perduto. Quello che chiediamo, con l’esposto al Tribunale dei Popoli, è innazitutto che venga fatta una comunicazione seria e approfondita sui potenziali rischi per la salute degli abitanti. Non due numeretti: un grande convegno che coinvolga esperti e scienziati. Poi, che sia chiarito se il Tunnel è utile o no e in base a quali analisi»

La interrompo: certo che per il ministero è utile la Tav. Hanno appena stanziato tre miliardi di euro! E continuano a pubblicare studi in cui si afferma che indotto e progresso sono assicurati…
«Lo so, lo so: la tecnica non è neutrale. Ma devono provarlo agli italiani, di star spendendo bene i fondi pubblici, non solo a me. E poi, c’è il confronto con la popolazione, ancora tutto da avviare»

Operai al lavoro alla Talpa in Val Susa

Operai al lavoro alla Talpa in Val Susa

Mi sembra che i termini, più che per un nuovo tavolo di discussione, siano perché la Tav non si faccia. Ma i lavori ormai non sono irrimediabilmente partiti?
«No no, non c’è niente di irreparabile. La Talpa sta solo scavando un tunnel geognostico. La previsione è di iniziare quello vero e proprio solo fra cinque, sei anni. Per cui possiamo ancora tornare indietro. Finora è stata solo una fase preparatoria: costosa, ma preparatoria. E io dico: meglio smettere subito piuttosto che arrivare al quasi-cento per cento della costruzione per poi dire “Che disastro”, come sta avvenendo per il Mose a Venezia»

Ma come fa lo Stato a tornare indietro? Proprio mentre due suoi magistrati portano avanti l’accusa di terrorismo contro quattro No Tav…
«È vero, ormai il clima è avvelenato. Distorto da un pensiero unico che mette in luce negativa tutto ciò che riguarda quel Tunnel»

La madre di Mattia, uno degli...

La madre di Mattia, uno degli arrestati per terrorismo

È ancora convinto siano distorte quelle accuse di terrorismo, come aveva già sostenuto tempo fa?
«Io sono convinto che tutti i reati vadano perseguiti. Come non potrei? L’ho fatto per decenni, da magistrato. Ma vanno perseguiti per quello che sono. Bisogna mantenere un’adesione rigorosa alla realtà. Formulare accuse equilibrate, senza enfatizzare. E soprattutto senza esagerare con le misure cautelari»

Per questa sua tesi aveva già litigato duramente, a distanza, con un ex esponente di Magistratura Democratica, Giancarlo Caselli. Che se ne andò sbattendo la porta proprio per uno scritto No Tav di Erri De Luca pubblicato sulla rivista della corrente…
«Chiunque critichi l’impostazione di quel processo oggi è accusato di voler delegittimare la magistratura. Non è così. Io lo ripeto sempre, anche quando vado alle assemblee in Val Susa: i reati devono essere puniti. Bisogna ristabilire un clima più sereno, anche a Torino»

Erri De Luca: lunedì è stato rinviato a giudizio per istigazione a delinquere. Come commenta questa scelta?
«Come sopra»

Livio Pepino e Giancarlo Caselli...

Livio Pepino e Giancarlo Caselli insieme nel 2005

Arriviamo finalmente a venerdì: oltre all’esposto presenterete la nascita del  Controsservatorio ” della Valle. Di che si tratta?
«Vogliamo costruire un gruppo di persone impegnate a raccontare l’Alta Velocità in modo diverso. A ripristinare la verità, andando in giro per l’Italia con dibattiti e convegni per far capire come quello che avviene a Susa ci riguardi a tutti. Perché lì si mette in atto un modello di sviluppo sbagliato»

Il compressore per il cui incendio 4...

Il compressore per il cui incendio 4 persone sono accusate di terrorismo

Non correrete il rischio di essere accusati anche voi di istigazione a delinquere?
«Io sono un fervente non violento. Per cui mi ritengo vaccinato. Penso di sapere qual è la differenza fra il raccontare una verità, anche se ostile e dolorosa da ascoltare, e l’eccitare gli animi con delle provocazioni. Sono sicuro che il diritto mite sia l’unica strada da seguire. Partendo, appunto, dalla verità».

UN TRIBUNALE PER I DIRITTI DELLA VAL SUSA

TG Valle Susa

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Susa – salone Rosaz, 13 giugno 2014 ore 21.00

Livio Pepino, Sandro Plano, Alessandra Algostino,

Claudio Cancelli, Alberto Perino, Marco Revelli

illustrano

il ricorso presentato dal Controsservatorio Valsusa e da 15 amministratori locali al Tribunale Permanente dei Popoli (già Tribunale Russel) sulla violazione dei diritti fondamentali in Val Susa 

«È diritto fondamentale dei cittadini e delle comunità essere consultati al fine di ottenere il consenso libero, previo e informato prima di adottare e applicare misure legislative o amministrative che li danneggino, prima di adottare qualsiasi progetto che comprometta le loro terre o territori o altre risorse».

(Tribunale permanente dei popoli, sentenza 23 luglio 2008)

Esposto del Controsservatorio Val Susa
al Tribunale Permanente dei Popoli

Il Controsservatorio Valsusa ha presentato un esposto al Tribunale Permanente dei Popoli firmato anche dal presidente e dal vicepresidente della Comunità Montana Valle Susa e Val Sangone e da numerosi sindaci e amministratori.

La nostra iniziativa è stata condivisa da numerose personalità del mondo della cultura e della scienza, di diversi paesi, che hanno voluto manifestarci il loro sostegno.

Ci siamo rivolti al Tribunale Permanente dei Popoli ritenendo che nei venticinque anni trascorsi da quando si è iniziato a parlare del progetto di una nuova linea Torino-Lyon siano stati sistematicamente violati alcuni diritti fondamentali dei cittadini: il diritto alla salute (propria e delle generazioni future), il diritto all’ambiente, il diritto a condizioni di vita dignitose, il diritto a una informazione corretta e trasparente, il diritto di partecipare alle decisioni che riguardano la propria vita.

In questi anni i cittadini, riuniti in comitati e sostenuti dalle amministrazioni locali, hanno ripetutamente denunciato le violazioni documentando ampiamente l’inutilità dell’opera, i danni per l’ambiente e i rischi per la salute, lo sperpero di danaro pubblico. Tecnici, esperti e scienziati di fama internazionale hanno supportato le loro ragioni presentando studi e analisi di innegabile validità scientifica.

Non ci è stato dunque difficile raccogliere e allegare al nostro esposto una prima raccolta di documentazione che ripercorre le diverse fasi dell’opposizione al TAV Torino-Lyon. Così come non è stato difficile indicare un elenco di possibili testi in grado di offrire testimonianze significative sui diversi aspetti su cui abbiamo investito il TPP e suggerire una bibliografia minima sul rapporto fra democrazia, partecipazione e movimento con particolare riferimento alla Val Susa.

Aderisci alla nostra iniziativa, metti la tua firma!

Le parole di Maria Teresa, madre di Chiara Zenobi

TG Valle Susa

In seguito all’incontro di domenica scorsa con i genitori dei ragazzi in carcere, la mamma di Chiara ha fatto pervenire un breve scritto

Sono la mamma di Chiara. Voglio ringraziare tutte le persone che ho conosciuto in Val Susa per la emozionante accoglienza. Fino ad ora non ho scritto niente da quel terribile nove dicembre. So di aver vissuto questo periodo chiedendomi tanti perché sulle scelte difficili di questa speciale e coraggiosa figlia. La risposta a queste mie domande mi è arrivata da questa poesia di José Saramago: “Un figlio è un essere che ci è stato prestato per un corso intensivo per imparare come si ama una persona diversa da noi stessi, cambiando i nostri peggiori difetti per dare i migliori esempi e imparare ad avere coraggio. Proprio così! Essere un genitore è il più grande atto di coraggio che si può fare, perché significa esporsi a tutti i tipi di dolore, in particolare, l’incertezza di agire correttamente e la paura di perdere qualcosa di così caro. Perdere? Come? Non è nostro, ricordi? Era solo un prestito!”

Un forte abbraccio a tutte le mamme e a tutti voi.

Maria Teresa Brazzelli

Udienza preliminare per Vattimo: “Perseguono la protesta”

post — 12 giugno 2014 at 11:13

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Mi sembra che ci sia uno spirito di persecuzione nei confronti dei No Tav, sono andato decine di volte in carcere e nessuno ha mai avuto nulla da eccepire su chi mi accompagnava, combinazione questa volta sono andati perfino a controllare i tabulati telefonici per vedere se io e Abbà ci eravamo parlati”.

Gianni Vattimo, accusato di falso dalla procura di Torino ed indagato con Nicoletta Dosio e Luca Abbà, è accusato dalla procura con l’elmetto di falsa, perchè andò a visitare in carcere Davide Giacobbe arrestato per la vicenda delle colazioni al cantiere, in qualità di europarlamentare accompagnato dai due notav.

Spero di essere archiviato perché questa vicenda è solo una noiosa grana da chiudere in fretta – ha detto – anche per questo ho preso un avvocato che non sia del legal team No Tav“.

Le dichiarazioni di Vattimo mettono in evidenza la persecuzione che c’è nei confronti del movimento notav e i numerosi ostacoli alla difesa creati dai pm titolari di tutte le inchieste e da buona parte dei Gup e dei Gip chiamati a vidimare ogni loro nuovo prurito.

Leggiamo così le dichiarazioni di Vattimo e la scelta di affidarsi ad un avvocato che non fa parte del pool notav. Per questo, facciamo nostre le dichiarazioni di Nicoletta Dosio ” penso sia importante ancora una volta riconoscere il lavoro di tutti gli avvocati notav come merita, lavoro faticoso che riempie loro buona parte del tempo lavorativo, e sempre svolto gratuitamente e con molta professionalità. Una forma di partecipazione alla nostra lotta preziosa che va valorizzata come merita!”

E a proposito dei recenti sviluppi nelle indagini Vattimo ha detto: “L’idea di vedere qui dei nuclei di terrorismo è un’esagerazione della procura sono forme di protesta come uno sciopero è difficile che durante un picchetto non voli nemmeno un pomodoro o una patata. Mi chiedo se non sia anche io un terrorista a questo punto“.

L’udienza preliminare è stata aggiornata al prossimo 10 luglio. I pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo hanno chiesto che Vattimo, Abbà e Dosio siano rinviati a giudizio, gli avvocati del legal team hanno risposto chiedendo il proscioglimento: “Secondo noi il reato non esiste. Un europarlamentare ha pieno diritto di entrare in carcere accompagnato da chi certifica essere utile per il proprio ufficio“.

Certo è che mentre in altre parti d’Italia viene a galla il marciume dei rapporti tra politica e imprenditoria, come per l’Expo e il Mose, al palazzo di giustizia di Torino, l’unico problema sono i notav, ma si sa qui la crociata è da portare avanti, costi quel che costi.

Il Movimento No Tav ricorre al Tribunale per i Diritti dei Popoli

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La lunga storia del movimento NoTav si è arricchita di un nuovo e particolare momento di lotta, mai proposto prima né in Italia né in Europa. Si tratta del ricorso presentato dal movimento NoTav al “Tribunale permamente dei diritti dei popoli”. Si tratta di un tribunale molto particolare, a carattere sovranazionale e con valenze para-giuridiche ma di grande influenza morale, teorica e culturale. Nacque su impulso dell’ex partigiano Lelio Basso il 4 luglio 1976 ad Algeri, sulle orme di quel Tribunale Russel fondato dieci anni prima da Bertrand Russel e Jean Paul Sartre, per denunciare a livello globale i crimini commessi in Vietnam e in America Latina.

Oggi il tribunale permanente esercita funzioni di monitoraggio sulle violazioni dei diritti fondamentali dei popoli in ogni parte del globo. I giudici che ne fanno parte si riservano la possibilità di istruire veri e propri processi che pur non avendo effetti giuridici sensibili, portano alla ribalta conflitti sociali particolarmente aspri e cruenti, se non invisibili.

Nel caso del movimento NoTav, il ricorso al tribunale permanente è stato promosso dal Controsservatorio Valsusa, l’organo di controinformazione gestito – tra gli altri – da Livio Pepino, ex magistrato di Torino ed ex presidente di Magistratura Democratica, ora capofila nell’ambito del movimento di un ampia e influente area di intellettuali, studiosi di varia formazione e docenti universitari.

Nell’incontro pubblico tenuto a Susa venerdì 13 presso la Sala Rosaz, i relatori Livio Pepino, Sandro Plano (sindaco di Susa), Alberto Perino e Alessandra Algostino hanno illustrato ai presenti gli aspetti più importanti del ricorso presentato al tribunale, sottolineando che si tratta del «primo caso in Italia e in Europa». Il documento ripercorre sinteticamente le origini e le motivazioni della lotta contro il treno per poi analizzare in dettaglio quelle che si configurano come sistematiche violazioni dei diritti del popolo valsusino.

Il ricorso denuncia come in Val di Susa gli abitanti siano stati privati del diritto a partecipare in modo diretto e attivo ai processi decisionali che riguardano la grande opera dell’Alta Velocità. Ciò nega quanto sancito in diversi punti della carta Europea dei diritti fondamentali dell’uomo, più volte citata nel testo: il diritto all’accesso alle informazioni; l’obbligo di trasparenza nei processi decisionali, che non possono piovere dall’alto, ma ai quali ogni singolo individuo ha il diritto-dovere di essere coinvolto; il diritto al dissenso, sistematicamente calpestato con politiche repressive che di fatto indeboliscono – secondo un chiaro intento politico e lobbystico – una realtà forte e articolata come il movimento NoTav.

E ancora, si cita la «Dichiarazione Universale dei diritti umani» approvata dall’Onu nel 1948, la quale stabilisce che «è indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione»; la costituzione della Repubblica italiana, citata in più passaggi, invece dichiara che «la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione», che «è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale […] che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione economica, politica e sociale» e che «la repubblica riconosce e promuove le autonomie locali».

Il ricorso si snoda poi su un altro caposaldo della lotta NoTav: la dimensione ambientalista, ovvero la difesa, promozione e tutela del territorio e della salute, in contrasto alle logiche diland grabbing e di sfruttamento indiscriminato delle risorse. Ed è proprio la radice ambientalista, quella che fin dagli albori del movimento ha alimentato il conflitto tra stato e Valsusa. Anche in questo caso il testo del Controsservatorio richiama la costituzione: «la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione» nonché «la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività».

Il documento, redatto con numerose citazioni di documenti tradizionali del diritto sovranazionale, aspira a collocare il movimento NoTav sul piano dei grandi movimenti di lotta e indipendenza territoriale; le caratteristiche ci sono tutte, anche per quanto riguarda i tentativi ripetuti di reprimerlo.

Tuttavia è risaputo quanto le convenzioni europee e le carte sovranazionali redatte su temi di fondamentale importanza per i diritti individuali, non vengano quasi mai recepite dai nostri governi, così come la costituzione italiana sia ormai un testo obsoleto, una reliquia del passato da guardare sotto vetro con una certa nostalgia. Ed è risaputo quanto in Italia vengano privilegiati l’arbitrio, la deformazione sistematica del diritto, l’interpretazione ad usum proprium di qualsiasi norma, la corruzione come strumento di potere e contrattazione. In valle si tenta da 25 anni di sconfiggere tutto ciò, con ogni mezzo necessario, scagliandosi con forza contro una grande opera che in se racchiude il peggio – a ogni livello – delle politiche economiche e sociali del nostro paese.

Un diritto acquisito in Val di Susa può significare un diritto acquisito da tutti. Il ricorso dei NoTav al «Tribunale permanente dei diritti dei popoli», non è uno sterile esercizio di retorica giuridica, ma un fermo richiamo a principi inalienabili che sembrano ormai archiviati, contagiati dai mali che affliggono ogni governo contaminato da interessi lobbystici e di carattere privato.

Il ricorso è stato sottoscritto da tutti i sindaci NoTav della valle, da una serie di personalità della cultura come Ken Loach, Paolo Rumiz, padre Zanotelli, Serge Latouche, Ellekappa, oltre che da enti come l’International Association of Democratic Lwayers e l’Associazione Nazionale Giuristi Democratici.

L’obiettivo per presentare il ricorso è di almeno 10.000 firme.

La versione integrale del ricorso potete leggerla qui:

http://controsservatoriovalsusa.org/esposto-al-tpp/il-testo

Per lasciare la vostra adesione, potete firmare qui:

http://controsservatoriovalsusa.org/esposto-al-tpp/aderisci-all-iniziativa

 Adriano Chiarelli – Corrispondente in Valsusa per Contropiano

Tasi, caos al patronato di corso Torino. Arrivano ambulanza e polizia + cosa rischia chi sbaglia o non paga oggi

secondo i servizi gli italiani si ribelleranno e saranno disposti a tumulti e sommosse….
si certo per pagare la Tasi in tempo. Che pena

Tasi, caos al patronato di corso Torino. Arrivano ambulanza e polizia
Alice Martinelli – Videoservizio di Alberto Maria Vedova

Caos al patronato di corso Torino

Almeno 150 persone in fila per ricevere il modulo di pagamento della Tasi. La fila ha invaso la corsia laterale della strada, fino alla pensilina dell’autobus
Tasi, lunedì 16 giugno ultimo giorno per pagare Tasi, lunedì 16 ultimo giorno per pagare. La guida e le risposte a tutte le domande Tasi, i consumatori: «Stangata in media di 231 euro a famiglia» Tasi, i consumatori: «Stangata in media di 231 euro a famiglia» Una panoramica di Genova (immagine di archivio) Tasi, i ritardi sono tollerati
Genova – Caos al patronato di corso Torino, dove almeno 150 persone sono in fila per ricevere il modulo di pagamento della Tasi . La fila invade la corsia laterale della strada, fino alla pensilina dell’autobus e le macchine hanno difficoltà a passare (fotogallery) .

«Sono qui dalle 8.30 – spiega Andrea Guidi, pensionato – c’erano 200 persone. Una signora si è anche sentita male ed è intervenuta l’ambulanza. Io – continua – ho avuto i primi contatti con questo Caf un mese e mezzo fa. Mi hanno detto che mi avrebbero richiamato ma non si sono più fatti sentire».

Nella stessa condizione tutti gli altri cittadini che si sono presentati qui sperando di ricevere il modulo senza aver più saputo niente. In mattinata è dovuta intervenire anche la polizia, per chiudere la corsia laterale di corso Torino, occupata dalla gente in fila.

«Quelli che non ho chiamato per me non sono in lista» urla dalla porta il funzionario. E scoppia la protesta. «Come non siamo in lista? – si chiede- non abbiamo più ricevuto la famosa chiamata, non ci hanno ritelefonato – dice il signor Virgilio – quello che è certo è che non ho mai visto la coda per pagare le tasse».

I funzionari cominciano a distribuire dei numeri per smaltire la fila e far tornare le persone più tardi.

«Ho appena preso il 71 – dice una signora alzando il bigliettino giallo – mi hanno detto di tornare tra due ore e mezza». «Io posso aspettare pure fino a stasera ma non ce la faccio ad entrare là dentro, ho 89 anni – spiega la signora Maria indicando la porta del patronato – ma poi come farò? A una certa ora la posta chiude e anche la banca».

La direttrice Ravalli risponde di pazientare. «Per i primi 15 giorni le sanzioni non sono altissime – dice – purtroppo abbiamo avuto pochissimo tempo, 10 giorni lavoratevi per calcolare più di tremila Tasi e Imu».

«Ma non è vero che hanno avuto poco tempo – protestano in tanti – abbiamo anche dovuto chiamare noi comunicando le aliquote dei vari Comuni perché così ci hanno chiesto: abbiamo dovuto recuperare i dati e ritelefonare. Era la fine di maggio!».

http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2014/06/16/ARk8Hvl-arrivano_ambulanza_patronato.shtml

le tasse sono sexy, servono per togliere ai ricchi per dare ai poveri, RACCONTANO I SERVI DELLE BANCHE

Tasi, i ritardi sono tollerati
Roberto Sculli

Tasi, lunedì 16 giugno ultimo giorno per pagare Tasi, lunedì 16 ultimo giorno per pagare. La guida e le risposte a tutte le domande Preso d’assalto il patronato di corso Torino (foto Gentile) Tasi, caos al patronato di corso Torino. Arrivano ambulanza e polizia
Genova – Come per l’Imu, oggi è la scadenza per regolare il conto della prima rata della Tasi. Quali sono le conseguenze se si sbaglia a compilare i moduli oppure se il versamento tarda di qualche giorno? Poche o addirittura nessuna.

Chi paga la Tasi corretta ma in ritardo a cosa va incontro?

In teoria, se si paga entro 14 giorni della scadenza, è prevista una maggiorazione dello 0,2% per ogni giorno di ritardo (quindi, fino a un massimo 2,8%), oltre a interessi pari allo 0,003% al giorno. Sempre sulla carta, per chi dovesse pagare il dovuto fra il 30 giugno e il 16 luglio, la sanzione sale al 3% più gli interessi. La realtà è un’altra, perché è pronta a essere varata una moratoria generalizzata che coprirà i ritardatari. Il governo l’ha promessa, ma non ha ancora specificato quanto sarà ampia la “forbice del perdono”. Un termine verosimile potrebbe essere il 15 luglio (alcuni Comuni l’hanno già fissato). In ogni caso, i Comuni, in autonomia, stanno tutti progressivamente promettendo la tutela della buona fede del contribuente.

Cosa succede in caso di errori? Esiste una tutela ulteriore?

Sia in caso di ritardi che errori esiste un paracadute che ben si attaglia alla situazione: lo Statuto del contribuente (legge 212 del 2000), salva in caso di violazioni dovute a «ritardi, omissioni ed errori dell’amministrazione» o in caso di «obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria». Da questo punto di vista, il pasticcio Tasi è quel che si chiama un caso di scuola.

Anche per il pagamento dell’Imu è concessa una moratoria?

No. Per se ugualmente contorta, la normativa che riguarda la vecchia imposta sugli immobili, sopravvissuta, in caso di abitazione principale, per i soli immobili di lusso A1, A8 e A9, si ritiene oramai consolidata. Quindi in tutti i casi in cui l’Imu è dovuta (immobili a disposizione, case in affitto, locali commerciali ecc.), l’imposta va pagata improrogabilmente entro la giornata di oggi.

L’articolo completo sul Secolo XIX di oggi: leggilo nell’edicola digitale
http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2014/06/16/AR3RPwl-tollerati_ritardi_sono.shtml  

In Fuga dall’Inferno Fiscale, e Ora Tocca ai Pensionati.

16 giugno 2014
 
 
Vi avevo avvisato che il tema della fuga (o l’esilio)  dall’inferno fiscale e sociale Italiano stava diventando di proporzioni bibliche, e vi devo confessare che ho giucato a carte truccate visto che lavoro attivamente nel settore, anche se per una piccola ma importante nicchia.
 
Tuttavia quando una parte per ora piccola ma in cresita dei miei clienti fra quelli pensionati,  mi ha comunicato i nuovi indirizzi in giro per il vasto mondo, ho cominciato a fare delle domande e a chiedere.
 
Sono uscite almeno tre mete preferite, Dubai per i più ricchi, poi la Thailandia e Tenerife.
 
Ovvero luoghi che offrono alti standard sanitari (incommensurabili rispetto a quelli Italiani, al patto di pagare una adeguata assicurazione sanitaria), estese regioni a bassissima criminalità (ovvero come in Italia, il centro di Bolzano non è esattamente come Scampia), e soprattutto la pensione percepita al lordo delle tasse e soggetta a imposizioni fiscali locali bassissime o inesistenti.
Infine un costo della vita o equipollente a quello Italiano (Dubai… ma vogliamo mettere?), oppure estremamente più basso (-50% per la Thailandia, -25% per Tenerife)
Peraltro pare che si stiano sviluppando nuove figure professionali anche in Italia per facilitare l’espatrio delle famiglie con pensioni.
Ora… vi sconsiglio nell’indugiare nella critica verso i vecchietti in fuga e di considerare questo ulteriore flusso di denaro pubblico che varca i confini per quello che è, e trarne le necessarie conclusioni.
 
Siate consapevoli, siate preparati, anche se avete una pensione.
Vi consigli di dare una occhiata al mitico sito Mollo Tutto
(no io non lavoro, ancora…., nel ramo pensionati ma mi sto organizzando, per ora non mandatemi mail di richiesta informazioni a meno che la vostra meta non sia Dubai)
 
 
L’Italia non è nemmeno un Paese per vecchi. Oggi i pensionati sono in fuga insieme ai giovani. Per l’Istat sono 473mila gli over 60 che vivono all’estero. Gli ultimi a partire lo fanno soprattutto per motivi economici. Nel nostro Paese un pensionato su due prende meno di mille euro al mese. E così fa le valigie chi non vuole rinunciare allo status di un tempo. Chi altrimenti dovrebbe trasferirsi a casa del figlio per arrivare a fine mese. Chi è deluso dalla politica, dallo sfacelo dell’economia, dalla maleducazione delle persone. Chi è in cerca del benessere, lontano da ansie e stress e possibilmente al caldo. Chi dopo la morte del coniuge non ce la fa più a frequentare i soliti luoghi. Costa Rica, Thailandia, Filippine, Colombia, Brasile e Cuba dove, secondo l’Inps, i pensionati italiani da 20 nel 2010 sono passati a 70 dopo l’apertura delle frontiere a gennaio 2013. E ancora Panama, Canarie, Tunisia, Marocco, Capo Verde, Kenya e Bulgaria sono le mete di ritiro più gettonate nell’ultimo anno. Le nuove terre di residenza dove qualcuno desidera perfino essere seppellito.
La gentilezza della Thailandia – “Qui la gente è gentile e ti saluta per strada”, dice Antonio Mammato, 65 anni, che due anni fa ha salutato la costiera amalfitana per trasferirsi a Phuket, in Thailandia (dove vivono 350 pensionati italiani, cioè 200 in più rispetto a tre anni fa). Il senso di sicurezza che avverte per strada lo fa respirare: “Posso lasciare il motorino con il casco nelle zone più affollate e nessuno me lo ruba”. Ingegnere ed ex dipendente comunale: “Ho chiuso lo studio dopo la morte di mia moglie nel 2001. Per ora vivo di risparmi ma sono in attesa della pensione Inpdap, mille euro netti al mese: qui è lo stipendio di un dirigente!”. Antonio vive in un monolocale di fronte all’università, per l’affitto spende cento euro al mese, più 15 euro circa per le bollette, e giura: “La stanza mi serve solo per dormire, il resto del giorno lo passo fuori. Il clima è sempre bello”. E dell’Italia dice: “Sembra un formicaio impazzito. Io non voglio più vivere così”. In Thailandia si può permettere di tutto: “Pago 1,20 euro per un pasto, 2,50 per una camicia e 4/5 per un paio di pantaloni. E 200 euro di tasse all’anno. Ho una bella macchina e vivo nel quartiere più esclusivo dell’isola”. Se fosse rimasto in Italia non avrebbe potuto mantenere lo stile di vita di quando lavorava. Anche la compagnia non gli manca. “Ho tanti amici italiani”.
Come Giovanni Giurlanda, 62 anni, di Padova, ex impiegato di banca, dal 2006 in Thailandia. “Sono partito perché non sopportavo l’idea di starmene da solo con le mani in mano”, racconta Giovanni, divorziato dal 2002. Cosa fa in Thailandia adesso? “Vivo! Ho scoperto uno stile semplice e più naturale: vado in spiaggia e a pescare quasi tutti i giorni, gli abitanti vivono alla giornata e ti trasmettono molta serenità”. Giovanni prende duemila euro di pensione. Si è comprato una casa dove abita con la sua nuova compagna. “Un altro motivo per cui me ne sono andato dall’Italia è l’arroganza delle persone, la poca serietà dei politici e la situazione che non si smuove. Ero stanco di tutto questo, davvero”.
Al sole di Tenerife – La signora Elena, toscana di nascita, nella vita precedente faceva la stilista a Milano. Poi tre anni fa ha voltato pagina, a Tenerife. Oggi studia spagnolo e sta all’aria aperta con le amiche. Perché ha fatto le valigie? “Non per soldi. In Italia soffrivo di mal di schiena. Qui mi sono ripresa: il microclima delle Canarie mi aiuta sia fisicamente sia psicologicamente. Poi, mi creda, non ho più potuto assistere al degrado culturale, alle piccole industrie che chiudevano a favore delle grandi catene. Ai governi vergognosi. È stato troppo umiliante”. Quali sono i vantaggi dell’isola? “Il clima, caldo e non piovoso tutto l’anno, e il fatto di essere nell’Unione Europea con un’impostazione da Paese nordico: burocrazia e sanità efficiente, ordine, pulizia, ambiente curato. Mi fa sentire rispettata”. Pensa di rientrare in Italia? “Mai. Neanche nella tomba. Voglio essere seppellita qui”.
Panama, Costa Rica, Belize: alla ricerca di regimi fiscali agevolati e qualità di vita – “In un anno le richieste di pensionati sono aumentate del 30 per cento – dice Alessandro Castagna, responsabile diVoglioviverecosì, il portale dedicato a chi vuole cambiare vita -. Andalusia e isole Canarie sono le destinazioni più frequenti perché sono abbastanza vicine, fanno parte dell’Unione Europea, godono di un buon sistema sanitario, c’è poca criminalità, burocrazia efficiente e la lingua è facile”. La conferma arriva anche da Massimo Dallaglio di Mollotutto, altro sito web utile per farsi un’idea delle opportunità oltreconfine -. Gli anziani vogliono informarsi sulle mete migliori, sul costo della vita, su come si fa a trasferire residenza e pensione all’estero. Noi abbiamo referenti italiani in loco con cui possiamo metterli in contatto. In generale – precisa Dallaglio – attirano i Paesi con un regime fiscale agevolato, per esempio la Tunisia, dove si sborsa il 25 per cento di tasse sul 20 per cento di reddito. E c’è un accordo che garantisce ai pensionati italiani una copertura medica totale.
Anche in Costa Rica, dopo un pagamento mensile in base al reddito (massimo cento euro), si ricevono le cure completamente gratis. Mentre in Belize, altra nuova meta di ritiro, i vantaggi fiscali vanno dal rimborso di tutte le spese necessarie per il cambio di residenza, allo sconto del 50 per cento su tutte quelle di soggiorno temporaneo sostenute prima di acquistare o affittare una casa, sulle assicurazioni mediche e i biglietti aerei. E a Panama – aggiunge – per chiunque abbia una pensione governativa o corporativa di almeno 700 euro al mese la residenza è quasi automatica”.
“In Tunisia vita da re per chi non ha problemi di salute” – Adriano Martelli, 66 anni, ex infermiere, si è rifatto una vita in Tunisia, raggiunta quattro anni fa. Con la sua pensione, da 900 euro, a Torino si era dovuto trovare un secondo lavoro per sopravvivere. “Da quando sono qui ho guadagnato quindici anni. Non ho mai preso un raffreddore, e ho smesso di prendere le pastiglie per gastrite, mal di testa e pressione, non ne ho più bisogno”. Ha scelto questo Stato perché ci abitavano già degli amici. “Alla fine del mese in Italia non mi rimaneva più niente: 400 euro per un monolocale da 30 metri quadri, poi le bollette e le spese per la macchina”.
A Susa, città turistica tunisina, ha preso in affitto un piano di una casa sul mare: oltre cento metri quadrati, arredato, per 260 euro al mese. E ne spende altri 150 per cibo e detersivi. “Vivo con poco più di 400 euro al mese e faccio una vita da re: ho la donna delle pulizie, otto telefoni cellulari (il prezzo è di circa 20 euro l’uno), una tv, faccio shopping e vado al ristorante almeno due volte alla settimana. Un pasto mi costa circa cinque euro”. Adriano in Tunisia non ha più bisogno dell’auto. “Mi muovo con i pulmini pubblici: si fermano dove vuoi tu, basta alzare la mano. Il biglietto non costa neanche 50 centesimi. Anche i taxi sono economici: un euro per sette chilometri”. Unico neo: la sanità. “Le strutture sono fatiscenti. Consiglio di venire qui soltanto a chi non ha problemi di salute”.
Nel 2013 l’Inps ha registrato 250 pensionati residenti in Tunisia, quasi cento in più rispetto al 2010. Renato Fortino è socio dell’agenzia “Case in Tunisia”, nata nel 2008, che si occupa di assistere in loco chi è intenzionato a stabilirsi nel Paese (dal permesso di soggiorno al trasferimento della pensione, apertura del conto in banca fino ai corsi di francese e arabo). “Nel 60 per cento dei casi si tratta di pensionati che in Italia prendono dai 500 ai 600 euro al mese, reddito che una volta trasferito in Tunisia è lordo e di questo l’80 per cento è defiscalizzato, mentre la base imponibile è solo sul 20 per cento del rimanente (pari a circa il 6/7 per cento). Questo target cerca case in affitto da 180 a 230 euro al mese, di solito con una camera da letto e salone. Ma non ci sono solo i piccoli pensionati – precisa Fortino – Abbiamo seguito anche ex medici, direttori di banca, imprenditori, dirigenti statali, che qui lievitano il loro potere di acquisto. Ultimamente arrivano italiani di mezza età tagliati fuori dal mercato del lavoro che qui provano a reinventarsi: dal maestro di tennis all’istruttore cinofilo e psicologo”.
“Addio Lecco, spargete le mie ceneri nel Mar Nero” – La Bulgaria è l’ennesimo Eldorado per anziani: quelli italiani sono 364 contro i 106 di tre anni fa. Franco Luigi Tenca, 66 anni, è uno di questi. Vive nella capitale, Sofia, da ottobre 2009. Ex camionista di Mandello del Lario, in provincia di Lecco, separato dal 2005 e in pensione dal 2007 con 1200 euro al mese. È stato intervistato dalle Iene e dopo che il servizio è andato in onda, a gennaio, la sua casella di posta elettronica è stata presa d’assalto: 1600 mail in dieci giorni da parte di pensionati, tutti italiani, di cui il 20 per cento già residente all’estero: “Mi hanno scritto dalle Canarie, Francia, Svizzera, Belgio, Germania, Lituania, Sudafrica, Mauritania, Congo, Brasile, Filippine e New York”, dice Franco, ancora incredulo. Gli hanno chiesto di tutto: “Come si sta, dov’è la Bulgaria, quante tasse ci sono, se c’è l’euro, se è vero che l’assicurazione della macchina costa un terzo (vero), quanto tempo serve per avere il trasferimento della pensione lorda e della residenza”. Risposta: “Dipende da quanto impiega il Comune italiano di residenza a mandarti il certificato di cambio di residenza. A me lo hanno spedito dopo 20 giorni ma c’è chi aspetta anche 5 mesi. Comunque qui nel giro di una settimana l’ufficio immigrazione ti fornisce la tua carta d’identità bulgara. Prima però devi presentare un documento di riconoscimento italiano, un contratto di affitto e un conto corrente in una banca locale, che apri subito con 50 euro. Dopodiché vai in ambasciata per l’iscrizione all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, cioè l’Aire”.
Nel frattempo Franco è diventato referente per Mollotutto e quasi ogni settimana accoglie gruppi di pensionati che vengono qui per un sopralluogo. “La mia mail è franco.tenca@alice.it. Pubblicatela pure!”. Franco vive con la nuova moglie, una signora bulgara della sua età, in un appartamento in centro di 50 metri quadri, che gli costa al mese 20 euro di affitto: “Mia moglie è inquilina dai tempi del regime comunista e il canone è rimasto uguale”. Altrimenti per un alloggio arredato della stessa superficie si spendono 200 euro. Cinquanta euro in più per 80 metri quadrati. Per le bollette? “40 euro al mese di elettricità e 12 per l’acqua. Qui non c’è il gas, abbiamo il boiler e il piano di cottura elettrico”, spiega Franco. E la spesa? “300 euro al mese per due persone. Anche il fisco non strozza: circa il 18 per cento di tasse e il sei per cento se sei pensionato”. Risultato: “Oggi vivo da nababbo e non più da barbone come in Italia, dove al venti del mese ero costretto ad attingere ai risparmi, che a forza di fare così sarebbero finiti alla svelta”. Svantaggi? “La lingua, ma la gente è cordiale e appena può ti aiuta, mi ricorda gli italiani negli anni ‘60 e ’70”. La Bulgaria è entrata nell’Unione europea nel 2007 ma non ha adottato l’euro: “La moneta è il lev e vale quasi due euro”, risponde Franco alle decine di pensionati che gli continuano a scrivere. Tornerà a Lecco prima o poi? “Assolutamente no. Voglio che le mie ceneri siano gettate nel Mar Nero”.

L’estorsione

Lunedì di supertasse: 54 miliardi nel 70% delle famiglie con figlio Tasi più cara della vecchia Imu

Entro oggi il pagamento di diversi tributi, dall’Irpef alla prima rata sulla casa Abitazioni, ecco le differenze con il 2012: aggravi più frequenti se la rendita è bassa.Giorno del salasso per la Tasi che nel 71,1 per cento delle famiglie con un figlio…
 
Equitalia: ormai lontani i tempi della sanatoria delle cartelle esattoriali, da lunedì 16 i contribuenti irregolari devono tornare a temere le operazioni di riscossione: ecco come funzionano e come difendersi.
 
ROMA – Per metà delle famiglie italiane la Tasi sarà più cara dell’Imu. Lo dice uno studio della Uil. E 5 milioni di italiani che non pagavano l’Imu ora dovranno pagare la Tasi. Lunedì 16 giugno si pagherà la prima rata nei comuni ‘virtuosi’, quelli che non hanno avuto bisogno dello slittamento al 16 ottobre. Per oltre […]

“IL COMPAGNO M” DEL PD VENETO – È GIAMPIETRO MARCHESE IL GREGANTI DEL SISTEMA-MOSE? CHI È L’UOMO CHE RACCOGLIEVA I SOLDI PER LE COOP ROSSE E FONDAZIONI DEL PARTITO

Dove girano i quattrini, con gli appalti delle amministrazioni amiche, ci sono sempre le coop. E dietro ancora ci trovi quasi sempre le Fondazioni Pd, in un gioco di incastri tra dirigenti che si scambiano di posto: prima consigliere qui, poi presidente là, poi procacciatore di finanziamenti per il partito, che poi ti nomina in quell’altra poltrona lì…

Paolo Bracalini per Il Giornale
“Devolvi il tuo 5 per mille alla fondazione Rinascita 2007”. Un contributo benefico per finanziare attività culturali, tra cui  “il recupero dell’archivio delle sezioni del Pci, Pds e Ds della provincia di Venezia”. Di trovare soldi per la Fondazione che ha ereditato il patrimonio dei Ds veneziani se ne occupava anche Giampietro Marchese, ex  vice presidente del Consiglio regionale e segretario amministrativo del Pd Veneto, nonchè presidente proprio della fondazione Pd “Rinascita”.
 
Marchese, il “Compagno M” del Pd veneziano ora ai domiciliari dopo dieci giorni di carcere, in una intercettazione della Gdf agli atti dell’inchiesta dice a Franco Morbiolo, un ex Pds, poi Ds poi Pd locale (massima vetta: vicesindaco di Cona, paesino in provincia di Venezia) che ha fatto la sua vera carriera nella Coveco, Consorzio veneto cooperative, cioè la coop rossa di cui è diventato numero uno: “I soldi che devono venire dentro, centomila euro, li sto mettendo dentro in fondazione, voi sapete il patrimonio… il partito si è trasformato in fondazione, adesso abbiamo fatto una scuola di politica, un progetto d’archivio, di recupero dell’archivio del Pci di Venezia, per questo domandiamo un contributo e dopo decidiamo…” dice Marchese come presidente di Rinascita 2007. Prima prendiamo i soldi come fondazione, e poi decidiamo.
Dove girano i quattrini, con gli appalti delle amministrazioni amiche, ci sono sempre le coop. E dietro ancora ci trovi quasi sempre le Fondazioni Pd, in un gioco di incastri tra dirigenti che si scambiano di posto: prima consigliere qui, poi presidente là, poi procacciatore di finanziamenti per il partito, che poi ti nomina in quell’altra poltrona lì…
Mesi fa la Guardia di Finanza ha fatto visita proprio agli uffici (belli spaziosi, 19 stanze…) della fondazione Rinascita, in via Cecchini a Mestre, dove hanno sede sia il Pd comunale che provinciale di Venezia, perché secondo gli inquirenti Marchese, allora presidente della fondazione piddina, avrebbe incassato finanziamenti illeciti da imprese consorziate nella coop Coveco di Morbiolo, cioè la persona con cui Marchese parla appunto dei 100mila euro da versare nei “progetti culturali” di Rinascita.
In particolare le indagini si sono concentrate sulla Coop. San Martino di Chioggia, specializzata in lavori subacquei e marittimi, che nel biennio 2005-2006 avrebbe consegnato 600mila euro a Pio Savioli (consigliere del Consorzio Venezia Nuova),uno degli arrestati.
 
Coop rosse, politici nelle istituzioni locali, partito e fondazione di partito come Rinascita. Di fatto una immobiliare, una delle oltre cinquanta sparse per l’Italia che hanno inglobato lo sterminato patrimonio immobiliare degli ex Ds, e di cui beneficia il Pd, che ha le sue sedi locali negli immobili delle fondazioni.
Alla voce “Organi direttivi” la fondazione Rinascita indica tuttora Giampietro Marchese come uno dei suoi consiglieri di amministrazione, forse perchè lo Statuto della fondazione è chiarissimo: “i membri del Consiglio sono nominati a vita”. Marchese non è più presidente, carica ricoperta dal piddino Pierangelo Molena, mentre vicepresidente è il consigliere provinciale Guerrino Palmarini, che è anche l’ex tesoriere provinciale del Pd. L’amministratore cioè delle finanze del partito, risorse preziose per le campagne elettorali, supportate poi magari da generosi finanziatori privati, come appunto le coop o il Consorzio Nuova Venezia. Scatole cinesi in laguna…
La fondazione Rinascita ha un patrimonio di diversi milioni di euro per una cinquantina di immobili sparsi tra Venezia e provincia. Posseduti da una controllata, l’Immobiliare Rinascita, di cui chi è stato amministratore unico? Marchese, ovviamente.

Non solo sezioni del Pd, piccole e grandi, ma anche due autorimesse, un bar (a Mira), cinque negozi, due palazzine, una dozzina di uffici, e immobili di prestigio a Venezia (nei sestieri di Cannaregio, Castello, Giudecca, Dorsoduro) o come le “Botteghe oscure” a Mestre vendute per farne appartamenti di lusso. Vendite, ma anche acquisti.
 

Uno degli ultimi è stato sempre a Mestre, circa mezzo milione di euro per un appartamento di 180 metri quadri utilizzato anche questo come circolo del Pd, inaugurato da Veltroni. Un patrimonio da ricchi. Anche senza i 100mila euro extra chiesti dal presidente Marchese alle coop.
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