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L’Argentina perde contro gli avvoltoi: un nuovo default per Buenos Aires?
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che sia di lezione a queste amministrazioni di smettere di approvare appalti e lavori che non potranno pagare? Sia mai, mafia prima di tutto, tanto l’infrazione la paghiamo noi magari con un’aumento della Tasi o della Iuc o con una tassa di scopo apposta
mercoledì, 18, giugno, 2014
Come le Multinazionali ti ingannano. Scardinare la lista degli ingredienti nascosti
Ticket sanitario 2014, esenzione: dal 1 luglio nuovo sistema, autocertificazione non più valida
L’Iraq undici anni dopo
LUNEDÌ 16 GIUGNO 2014
di Michele Paris
Il baratro in cui sembra scivolare in questi giorni l’Iraq sta spingendo gli Stati Uniti ad impegnarsi nuovamente in maniera diretta nel paese mediorientale invaso illegalmente nel 2003 e devastato nei successivi otto anni di occupazione. La marcia del cosiddetto Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS) verso Baghdad sta però sollevando anche numerosi inquietanti interrogativi sulla politica mediorientale di Washington.
I cui obiettivi immediati e di lungo termine, così come le manovre condotte alla luce del sole e quelle nascoste, risultano spesso difficili da decifrare, pur riservando immancabilmente sofferenza e distruzione alle popolazioni costrette a fare i conti, loro malgrado, con gli interventi “umanitari” o “democratizzatori” dell’imperialismo a stelle e strisce.
Il primo elemento da considerare per fare luce sulla crisi in corso è il rapporto degli USA con il governo iracheno del primo ministro sciita, Nouri Kamal al-Maliki. Gli organi della propaganda di Washington, come il New York Times, stanno dando spazio in questi giorni a una serie di opinioni e editoriali nei quali viene attribuita l’intera responsabilità della situazione del paese mediorientale al governo di Baghdad e alla sua natura settaria che ha finito per opprimere e marginalizzare la popolazione sunnita, creando terreno fertile per la nascita di movimenti integralisti come l’ISIS.
Se l’analisi appare in parte corretta e aiuta a spiegare il sostegno che quest’ultima formazione integralista ha trovato tra la popolazione sunnita di città come Mosul o Tikrit, simili critiche, tuttavia, mancano volutamente di considerare il fatto che lo stesso Maliki è stato installato per volere proprio degli Stati Uniti. I metodi sempre più autoritari del governo di Maliki e la persecuzione della minoranza sunnita sono stati anzi appoggiati da Washington, dal momento che servivano a neutralizzare la resistenza all’occupazione soprattutto tra i sostenitori del precedente regime di Saddam Hussein.
Maliki ha così beneficiato dell’appoggio politico degli Stati Uniti e, soprattutto, l’esercito iracheno – definito oggi come uno strumento di oppressione della popolazione di fede sunnita – ha ricevuto sostanziosi finanziamenti, forniture di armi e addestramento sia prima che dopo il ritiro delle forze di occupazione americane alla fine del 2011.
Dal momento che gli scrupoli per i metodi poco democratici di un regime alleato figurano molto lontano dalle priorità della politica estera statunitense, le critiche aperte dei media d’oltreoceano verso Maliki e quelle più velate dell’amministrazione Obama non promettono nulla di buono per il premier iracheno.
I rimproveri di Obama riguardano in particolare la natura settaria del governo di Maliki, incoraggiato, per così dire, a formare un esecutivo più “inclusivo”, che dia maggiore spazio cioè alle élites sunnite e curde, non solo a livello poltico ma anche nelle forze armate.
Questi “consigli” elargiti al primo ministro sciita di Baghdad, oltre a rappresentare una prima prova dell’apparente schizofrenia americana, si legano con ogni probabilità al tentativo di ridurre l’ascendente dell’Iran sul paese che fu di Saddam Hussein.
Maliki, d’altra parte, è di fatto sponsorizzato da Teheran, così che gli inviti degli USA ad imbarcare in una sorta di improbabile governo di unità nazionale sunniti e curdi con reponsabilità e autorità simili a quelle della classe dirigente sciita hanno come fine quello di diluire l’influenza della Repubblica Islamica sull’Iraq. Tanto più che i progressi di ISIS nel nord-ovest dell’Iraq hanno già portato all’avanzata delle forze armate della regione autonoma curda (Peshmerga), in grado qualche giorno fa di sottrarre al controllo di Baghdad la città petrolifera di Kirkuk.
In questa prospettiva è opportuno ricordare la rivelazione pubblicata settimana scorsa dal New York Times, nella quale è emerso come mesi fa l’amministrazione Obama avesse respinto le richieste di assistenza militare di un governo Maliki, già in apprensione per la crescente forza di ISIS nelle aree di confine con la Siria, dove il gruppo jihadista è impegnato nella guerra contro il regime di Bashar al-Assad.
Che Washington non fosse a conoscenza della grave minaccia rappresentata da ISIS è a dir poco impensabile, dal momento questa formazione è finanziata e armata da altri alleati americani – evidentemente più influenti e strategici dell’Iraq di Maliki – come Arabia Saudita, Kuwait o Qatar. Inoltre, gli Stati Uniti e lo “Stato Islamico” si ritrovano a combattere sullo stesso fronte in Siria, il cui regime è invece sostenuto dal governo sciita di Baghdad.
Nei confronti di Maliki, gli americani hanno manifestato anche nel recente passato più di un disappunto, apparso evidente, ad esempio, in occasione di richieste sottoposte al suo governo e andate in gran parte a vuoto. Tra di esse vanno ricordate almeno quelle volte a fermare l’afflusso di guerriglieri sciiti verso la Siria per combattere al fianco di Assad e a mettere fine alla concessione dello spazio aereo iracheno ai velivoli iraniani diretti a Damasco con materiale militare da utilizzare nella guerra civile in corso.
L’attitudine da tempo in fase di trasformazione degli Stati Uniti nei confronti del governo Maliki sembra comunque scontrarsi con le promesse di aiuto che lo stesso Obama ha annunciato nei giorni scorsi, anche se qualsiasi misura dovesse essere decisa potrebbe essere di portata relativamente limitata. Iniziative in apparenza contraddittorie, in ogni caso, sono una costante della politica estera USA, all’interno della quale il concetto di nemico e alleato varia di volta in volta a seconda delle necessità strategiche.
Ciò risulta particolarmente evidente in relazione alla “guerra al terrore”, all’interno della quale i cosiddetti nemici giurati – come ISIS – passano frequentemente e senza troppi problemi da minaccia da debellare con un intervento militare ad alleati di fatto per rovesciare regimi poco graditi.
Nel caso di ISIS, infatti, Washington ha quanto meno assistito alla sua nascita e al suo rafforzamento in Siria senza muovere un dito per combattere la minaccia terroristica che questo gruppo rappresenta, ben sapendo che il suo dilagare avrebbe costituito prima o poi un problema vitale anche per l’Iraq.
L’avanzata di ISIS, dunque, costringe ora l’amministrazione Obama a giocare una partita ancora una volta estremamente pericolosa e ambigua per promuovere gli interessi strategici americani in Medio Oriente. Una partita, appunto, iniziata proprio dagli Stati Uniti dapprima con l’invasione dell’Iraq e successivamente con la crisi siriana costruita a tavolina e che rischia come al solito di innescare un processo distruttivo difficile da controllare.
Un altro aspetto da ascrivere alla schizofrenia USA è poi legato al ruolo dell’Iran. Non solo la Repubblica Islamica è stata la prima beneficiaria dell’invasione dell’Iraq e della rimozione di Saddam Hussein, ma addirittura ora sembrerebbe potersi aprire una collaborazione tra Teheran e Washington per combattere la minaccia comune dell’ISI.
Una prospettiva di questo genere appare però improbabile vista la predisposizione americana nei confronti dell’Iran, sempre che non serva a indebolire proprio quest’ultimo paese e, come affermato in precedenza, accompagnandola ad una riduzione della sua influenza sull’Iraq. Il primo obiettivo verrebbe perseguito trascinando Teheran in un conflitto rovinoso oltreconfine, mentre il secondo con la modifica degli equilibri di governo a Baghdad, assegnando maggiore peso alle minoranze sunnita e curda a discapito degli sciiti.
Questo fine, tuttavia, potrebbe essere raggiunto non solo costringendo Maliki a cedere parte del potere accumulato in questi anni proprio grazie agli Stati Uniti, ma anche, secondo molti osservatori, con un’ipotesi mai come ora reale, vale a dire lo smembramento dell’Iraq in tre entità separate (sciita, sunnita, curda).
Una soluzione di questo genere, d’altra parte, nel recente passato è stata apertamente promossa da importanti think tank d’oltreoceano e da personalità politiche di spicco, a cominciare dal vice-presidente Joe Biden quando era ancora senatore.
La divisione o la federalizzazione dell’Iraq determinerebbe in particolare la fine di questo paese come entità autonoma posizionata strategicamente sempre più a fianco dell’asse della “resistenza” anti-americana, formata da Siria, Iran e Hezbollah.
Un’evoluzione tutt’altro che sgradita agli Stati Uniti, nonostante l’appoggio ufficiale al governo Maliki e all’unità dell’Iraq, e favorita dalla campagna in corso dello Stato Islamico, i cui militanti sunniti, come fanno da tempo in Siria, continuano ad alimentare il fanatismo religioso e divisioni settarie che difficilmente potranno essere superate nel quadro di un paese sovrano guidato da un governo sciita e filo-iraniano.
http://www.altrenotizie.org/esteri/6048-liraq-undici-anni-dopo.html
Milano: Clandestino e pregiudicato tenta violenza sessuale, arrestato
violenza diversamente violenza. Non se ne deve parlare, è razzismo. La vittima è razzista, non ci stava.
mercoledì, 18, giugno, 2014
Era scesa da casa per buttare la spazzatura nel cortile del suo condominio, come tutte le sere, quando un rumore improvviso ha attirato la sua attenzione. Un uomo, con fare minaccioso, è sbucato dai cassonetti è l’ha aggredita, le ha strappato la maglietta e ha tentato di stuprarla.
Vittima una donna di una 30 anni che vive a Milano. L’episodio è avvenuto proprio sotto casa, in via Val di Non, dove la donna vive con marito e figli. Il maniaco è un uomo egiziano di 30 anni, Mohamed Shaba, clandestino con numerosi percedenti, che si era rifugiato tra i cassonetti del condominio per la notte.
La donna ieri sera , alle 21, è uscita da casa per andare a portare la spazzatura nel cortile del suo condominio, quando è stata aggredita di sorpresa. L’egiziano è sbucato dai cassonetti, l’ha afferrata, le ha strappato la maglietta e l’ha palpeggiata. Le urla della vittima hanno allertato i vicini che hanno chiamato i carabinieri, arrivati sul posto in pochi minuti. L’uomo è così subito stato arrestato per violenza sessuale. il messaggero
http://www.imolaoggi.it/2014/06/18/milano-clandestino-e-pregiudicato-tenta-violenza-sessuale-arrestato/
Il presidente Ucraino era un agente del dipartimento di Stato USA.
“Durante l’incontro del 28 aprile con l’ambasciatore, il nostro Insider Ucraino (OU), Petro Poroshenko, ha negato che dietro la recente decisione del procuratore generale Oleksandr Medvedko di emettere un mandato di arresto per il luogotenente della Tymoshenko, Oleksandr Turchynov, vi fosse la sua influenza. Il motivo dell’arresto era per”interrogarlo [Turchynov] circa la presunta responsabilità nella distruzione di file della SBU [L’apparato di intelligence Ucraina] riguardante la figura di spicco della criminalità organizzata Seymon Mogilievich. ” [Il boss della Mafia Russa] Wikileaks Public Library of US Diplomacy
La motivazione circa la presunta distruzione dei file è comparso in un messaggio dell’ambasciata datata 14 Aprile 2006 .
“…I file contenevano informazioni sulla cooperazione Tymoshenko – Mogilievich quando lei dirigeva la United Energy Systems verso metà-fine anni 90′ ” WikiLeaks
Yulia Tymoshenko, un’aspirante oligarca, è la beniamina delle due amministrazioni Bush e Obama per il suo ruolo nella Rivoluzione Arancione 2004 che ha portato il primo governo moderno anti-russo dell’Ucraina al potere. Ha aiutato a negoziare le offerte di gas naturale tra Ucraina e Russia.
Un’altra menzione di Poroshenko ha reso chiaro quanto il Dipartimento di Stato abbia puntato su di lui identificandolo come una futura risorsa.
“L’insider Petro Poroshenko era in corsa per il lavoro di PM.” WikiLeaks
Il Segretario di Stato Hillary Clinton ha incontrato l’attuale presidente nel 2009, quando egli ha servito come ministro degli Esteri dell’Ucraina. Il contenuto della riunione è stato descritto in un messaggio confidenziale dell’ambasciata degli Stati Uniti a Kiev il 18 Dicembre 2009 :
[Parlando al Ministro degli Esteri dell’Ucraina Petro Poroshenko] “Lei [il segretario di Stato Clinton] ha sottolineato che gli Stati Uniti prevedevano diverse vie per l’adesione alla NATO.” Wikileaks
Il presidente Ucraino era un agente del dipartimento di Stato USA.
10 Giugno 2014 ” ICH “- Sta ancora lavorando per i suoi ex padroni a Washington, DC?
Due messaggi diplomatici dalla Public Library WikiLeaks sulla US Diplomazia indicano che il neo eletto Presidente dell’Ucraina, Petro Poroshenko era un agente degli Stati Uniti per conto del Dipartimento di Stato. Un messaggio confidenziale dell’ambasciatore degli Stati Uniti a Kiev il 29 aprile 2006 cita il presidente dell’Ucraina neo eletto per ben due volte.
Dal momento che stava facendo il suo lavoro in segreto, era il “nostro insider”, ne consegue che Poroshenko ha svolto il ruolo di agente :. “qualcuno assunto o reclutato da un’agenzia di Intelligence diventa la loro scommessa. La persona alla quale l’agente riporta – l’attuale dipendente dell’agenzia – è conosciuto come operativo”. Enciclopedia di spionaggio, intelligence e sicurezza
Poroshenko è un oligarca ucraino, uno dei cinquanta cittadini più ricchi che gestiscono il paese. E’ improbabile che il presidente abbia ottenuto denaro per i servizi resi, ma è altamente probabile che egli abbia ottenuto vantaggi finanziari come conseguenza.
In mezzo al caos e la rovina Ucraina, la recente elezione di Poroshenko possono significare una sincronizzazione completa delle politiche USA-Ucraina per quanto riguarda le regioni orientali dove i cittadini ucraini sono oggetto di bombardamento via terra e via aria nelle loro città.
FONTE
Tradotto e Riadattato da Fractions of Reality
ADUC – L’anonimato sul web e’ un diritto. A dirlo la Corte Suprema del Canada
solo per pedofili ovviamente, In Italia sappiamo bene cosa comporta un commento non celebrativo o leccafondoschiena sul web o FB delle icone della politica, basti pensare alla Boldrini (ogni commmento critico naturalmente è “sessista”
L’anonimato sul web e’ un diritto e la polizia deve assolutamente possedere un mandato giudiziario per domandare a dei fornitori di accesso ad Internet delle informazioni su alcuni dei loro clienti. Cosi’ ieri ha sentenziato la Corte Suprema del Canada.
All’unanimita’, la piu’ alta giurisdizione del Paese ha sentenziato che l’ottenimento, dalle forze dell’ordine, di informazioni personali su un abbonato “costituisce una ricerca o una perquisizione”. E’ necessario, quindi, secondo i giudici, “tener conto del ruolo dell’anonimato nell’ambito della protezione dei diritti in materia di vita privata su Internet”. Questa sentenza arriva nel momento in cui il Parlamento federale ha al vaglio un progetto di legge per dare alla polizia delle vie preferenziali per la sorveglianza su Internet.
La funzione del fornitore d’accesso
La Corte Suprema e’ stata chiamata in causa da un canadese condannato nel 2007 per aver scaricato delle foto e dei video pedofili che erano stati ritrovati dalla polizia sul suo computer, dotato del programma peer-to-peer LimeWire.
Avendo individuato l’indirizzo IP dell’accusato, le autorita’ avevano invitato il fornitore di accesso ad Internet Shaw Communications a fornire loro le coordinate fisiche per l’individuazione della persona e, quindi, per fargli una perquisizione domiciliare.
La difesa, che non ha contestato lo scaricamento dei contenuti pedofili, ha ritenuto che i dati forniti dall’Internet Provider avrebbero potuto far conoscere dei dettagli intimi sulle attivita’ e lo stile di vita dell’accusato.
L’anonimato, fondamento della vita privata?
Se il tribunale di prima istanza e la Corte d’Appello avevano sentenziato che l’ottenimento di queste informazioni non poteva essere paragnato ad una perquisizione, la Corte Suprema ha invece stabilito il contrario.
“Un certo grado di anonimato e’ consono a molte attivita’ che vengono fatte su Internet e l’anomimato potrebbe, quindi, essere considerato nell’insieme delle circostanze, essere un fondamento del diritto nell’ambito della vita privata per la protezione costituzionale contro le ricerche, le perquisizioni e i rilevamenti abusivi”, sottolinea il giudice Thomas Cromwell della Corte Suprema.
Il piu’ altro tribunale ha inoltre confermato la colpevolezza del ricorrente in merito al possesso dei contenuti pedofili, ed ha disposto un nuovo processo sulla diffusione in Internet di foto e video di pornografia infantile.
http://lagrandeopera.blogspot.it/2014/06/aduc-lanonimato-sul-web-e-un-diritto.html