Dal Muos all’industria degli armamenti, una riflessione

TG Valle Susa

Intervista con il generale Fabio Mini a proposito delle basi militari Usa in Italia, la potenza cinese e il potere dei conglomerati industriali degli armamenti

di Carlo Cefaloni – CittàNuova

L’installazione a Niscemi, in provincia di Caltanissetta, del M.U.O.S. (Mobile User Objective System) è destinata a creare notizia, secondo le leggi prevalenti dell’informazione, solo con la cronaca delle proteste della popolazione. Da tutta la Sicilia movimenti di diversa estrazione e gente comune si danno  appuntamento nel bosco del parco naturale della sughereta del niscemese per manifestare contro la messa in funzione delle potenti antenne del sistema di telecomunicazioni satellitare della marina militare statunitense.  Nonostante la guerra di carte bollate del sindaco Francesco La Rosa davanti alla magistratura amministrativa, la questione sembra chiusa in maniera definitiva con lo studio dell’Istituto superiore di sanità che minimizza i pericoli della salute di un impianto già in funzione dal 1991. «Continueremo a vigilare» è stata la conclusione del governo all’interpellanza di una deputata siciliana, Venerina Padua, che, da medico pediatra, ha sollevato obiezioni confermate da altri esperti accademici.

Non stiamo tuttavia, come ha affermato il generale Fabio Mini in un recente dibattito, davanti ad una questione che si fa gestire ad un messo comunale. Non sarà la notifica di un’ingiunzione municipale a intimorire il comando dell’esercito della superpotenza Usa che governa le sue numerose basi in Italia in conformità ad un trattato siglato nel 1953 che nessuno ha mai messo in dubbio o aggiornato.

Andiamo alle radici della sovranità sul territorio italiano che il caso Muos evidenzia, grazie all’intervista che ci ha concesso lo stesso generale Mini che, come è noto, ha un notevole curriculum perché ha comandato tutti i livelli di unità da combattimento e ha prestato lunghi periodi di servizio negli Stati Uniti, in Cina, nei Balcani e nella Nato. È stato capo di stato maggiore del comando alleato del sud Europa e comandante della forza internazionale di sicurezza in Kosovo. Ora è consigliere scientifico di alcuni centri di ricerca sulla sicurezza e collabora con le riviste e i quotidiani del gruppo «l’Espresso», tra cui il periodico di geopolitica “Limes”. Autore di testi importanti e approfonditi che rivelano una notevole libertà di analisi come  La guerra dopo la guerra (2003), Soldati (2008), Mediterraneo in guerra (2012), La guerra spiegata a… (2013) e Perché siamo così ipocriti sulla guerra (2013). Significativo il fatto che abbia curato la pubblicazione di un testo nel 2005 “Guerra senza limiti” scritto da strateghi militari cinesi che citano non solo Machiavelli ma anche un altro italiano poco conosciuto fuori dall’ambito militare, il teorico del “dominio dell’aria” Giulio Douhet.

È concepibile realisticamente un‘alternativa alle condizioni definite nei trattati del 1953 sulle basi militari statunitensi in Italia ?

«L’alternativa esiste ed è auspicabile perché al mondo non saremo mai pari se non chiediamo il rispetto della nostra dignità. Altrimenti non solo siamo considerati dei servi, ma giudicati anche male come tali.Come Paese, considerando la nostra tradizione e cultura, non siamo secondi a nessuno e ricevere questo trattamento da chi si propone come alleato e pretende lealtà e amicizia è quasi offensivo. L’alternativa è di natura politica e, in questo senso, esiste quando le regole dettate dagli altri non vengono accettate supinamente, ma almeno dopo aver formulato delle domande.  Per molti anni ho lavorato nell’ambito della Nato e con gli stessi americani. Devo dire che essi riconoscono i diritti di dignità e di sovranità quando conoscono e stimano le persone con cui hanno a che fare, altrimenti non fanno neanche finta di porsi il problema. Se tali istanze di elementare amor proprio non emergono nel rapporto, la questione non si pone».

E quali sono le domande da porre?

«Ad esempio, sul perché del posizionamento delle basi o delle antenne. Quali esigenze di sicurezza, non solo Usa ma anche italiane, giustificano tali scelte strategiche. Nessuno in Italia, né al livello politico e, meno che mai, a quello tecnico-militare, ha mai posto una questione così semplice. A questo punto sembra davvero inimmaginabile tornare indietro sul posizionamento delle antenne Muos. Dovremmo spiegare cosa è cambiato negli ultimi 5 anni rispetto al posizionamento della base di tele-comunicazioni presente sullo stesso territorio da oltre 50 anni. La natura del servizio svolto dalle precedenti strutture era di equivalente portata strategica, in relazione ai tempi e alla situazione. E così come non abbiamo fatto domande sulle conseguenze delle esposizioni alle onde elettromagnetiche sulla popolazione o sul rischio che il nostro Paese correva nell’ospitare strutture che riguardavano soltanto gli Stati Uniti. Allo stesso modo, non abbiamo fatto domande sui rischi derivanti dalle nuove strutture del Muos».

Ma non potremmo dire, in generale come lei dimostra nel testo “Mediterraneo in guerra”, che la stessa politica delle basi non si giustifica nel nuovo contesto geopolitico?

Fabio Mini

«Senza il crollo del blocco ex sovietico la situazione si sarebbe perpetuata secondo una certa logica della deterrenza destinata a perpetuarsi all’infinito (o meglio all’indefinito) ma con gli eventi del 1989 – 90 sono cambiati tutti i parametri della politica estera, militare, di sicurezza e di difesa. Abbiamo, per un certo verso, minori certezze perché non c’è più una guerra (anche se fredda) apertamente dichiarata tra blocchi contrapposti. Tuttavia, non esiste una manifestazione di ostilità tale da giustificare una posizione ideologica. Come ho messo in evidenza nel dibattito sulla base di Vicenza, oggi non ha senso il mantenimento di un tale avamposto quando gli avamposti si sono ormai spostati ad Est con il consenso dei nuovi governi. Gli Stati uniti hanno portato avanti la politica delle basi con i Paesi che hanno perso la guerra, esercitando perciò quella supremazia sugli sconfitti che si manifesta da sempre, fin dal tempo delle guerre del Peloponneso, in maniera non solo e non tanto punitiva quanto pragmatica e fisiologica»

Si può dire che, nel caso concreto, abbiamo avuto a che fare con una proposta Usa impossibile da rifiutare…

«In realtà non c’è stata neppure una proposta. Gli Stati Uniti hanno ritenuto di poter fare in Italia ciò che hanno voluto. Come sempre. Sul piano formale hanno fatto passare le nuove strutture, come un adeguamento tecnologico delle vecchie. Sul piano sostanziale ci hanno fatto credere che il Muos servirà anche la Nato e la difesa dell’Italia. E come sempre ci abbiamo voluto credere. Come se fossimo gli sconfitti della Seconda guerra mondiale o, peggio, i traditori. Non ci si vuole rendere conto che oggi è cambiato tutto: gli Stati Uniti non sono più i vincitori assoluti, anzi, da 50 anni a questa parte hanno fallito tutte le guerre e hanno riversato la loro aggressività sul piano economico e finanziario come su quello politico. Ma anche in questo caso molto dipende dall’atteggiamento di chi deve subire e non si concede neanche il diritto di porre delle domande. Negli ambiti internazionali viene apprezzato proprio chi pone domande ragionevoli come espressione di sovranità e dignità. Invece, specie in ambito militare, nei rapporti con la Nato noi italiani abbiamo avuto dei rappresentanti costretti a tacere perché privi di guida politica, perché platealmente schierati con gli interessi americani o perché incapaci perfino di capire l’oggetto della discussione per mancanza di preparazione tecnica o di adeguata conoscenza adeguata della lingua inglese. Ad un certo punto, nel 90-91, la Nato, dovendo rispettare il modello decisionale che prevede il consenso unanime di tutti i membri nelle decisioni importanti, ha deciso di adottare il criterio del “silenzio assenso” che si sposa alla perfezione con coloro che restano zitti e, quindi, acconsentono a tutto. Si è trattato di una rivoluzione procedurale importante che ha tolto di mezzo ogni ostacolo e imbarazzo. Così è passato il Muos, l’allargamento della base di Vicenza, lo spostamento del comando navale Usa a Napoli, la ristrutturazione e potenziamento delle altre basi italiane e così via».

Siamo rimasti, quindi, una piattaforma aereo navale per la guerra…

«È stata finora la configurazione migliore per una penisola nel Mediterraneo come base operativa e logistica, pensiamo alla sede ideale assicurata in Sardegna per la manutenzione dei sommergibili a propulsione nucleare e lo stoccaggio di armi e munizioni. Altre basi situate in Grecia e Turchia erano molto più problematiche ed esposte a pericoli. Inoltre, in Italia le basi statunitensi non sono mai state veramente contestate dalla popolazione. Non c’è mai stata una crisi simile a quella di Okinawa che da anni contesta aspramente la presenza americana o una crisi simile a quella spagnola o delle Filippine che, addirittura, fecero chiudere le basi stranere. Di fatto, sono cresciuti movimenti contrari alle basi in Sardegna quando gli americani avevano già deciso di andarsene via.

Oggi il costo delle basi è un problema serio, perché gli americani avrebbero la convenienza a chiuderle quasi tutte ma trovano Paesi che si oppongono perché piccole realtà locali vivono sull’indotto dell’attività delle basi militari. Nel vicentino, ad esempio, la presenza americana non è vitale per l’economia locale, ma fa comodo ai pochi operatori inseriti nel circuito logistico della caserma Ederle che ormai ha solo la funzione di dare ospitalità e sicurezza alle famiglie di militari che sarebbero meglio predisposti operativamente spostando la sede nell’Est dell’Europa».

Eppure la base è stata estesa nonostante una certa opposizione popolare…

«Anche quando esistono, tali manifestazioni di dissenso sono scoordinate perché il problema delle basi è delle nazioni che le ospitano e non degli americani. L’Italia con i suoi governi non ha mai sollevato obiezioni, anzi ha rassicurato i vertici statunitensi. Ha poco senso la manifestazione della popolazione locale contro gli Usa che legittimamente possono dire: “Rivolgetevi al vostro governo”».

Non le sembra che, nonostante tutto, tali basi militari rimangano anche perché sono un presidio, nel disordine globale, contro nuovi possibili conflitti? Come interpretare, ad esempio, la crescita, anche di potenza bellica, della nuova potenza cinese?

«La minaccia di un intervento cinese è uguale a zero. Si agitano cose che non esistono. Studio la politica cinese da 30 anni e sempre più mi convinco che la loro formidabile crescita economica non ha bisogno di esercitare la forza per cambiare gli equilibri mondiali. L’uso dello strumento bellico in Europa o altrove è fuori dai loro piani. In continuità con la loro antica cultura, i vertici cinesi vogliono essere l’ago della bilancia, non il piatto. Preferiscono segnalare la mancanza dell’equilibrio che qualcun altro dovrà rimettere in sesto. Ormai la Cina dei conglomerati, di Stato e privati, esprime un potere economico di primo livello sui mercati finanziari e nel settore delle grandi infrastrutture. Emblematica la loro strategia di presenza nel continente africano. E in tema di minacce, sento di poter dire che assolutamente neanche la Russia esprime un pericolo militare reale».

In tale quadro, quindi, come si giustifica la stazione satellitare di Niscemi?

«Il Muos ha una valenza strategica globale che nessuna altra base statunitense in Italia possiede, perché è uno dei quattro siti mondiali che permettono il controllo delle operazioni terrestri, aeronavali e satellitari a distanza. Ma si tratta di qualcosa che va oltre lo strumento necessario alla movimentazione delle truppe di terra, di aria e di mare. Il Muos è il pilastro nel controllo di tutto il sistema delle comunicazioni in generale, dei traffici mercantili assicurati dalle navi e dagli aerei civili. Lo strumento militare esprime solo una minima parte della potenza di un Paese che è costituito dal controllo delle informazioni».

Introdotta l’analisi del contesto generale, arriviamo alla domanda fondamentale: perché il Muos è stato messo proprio in Sicilia?

«Certamente il Muos si poteva costruire da un’altra parte, ma il costo sarebbe lievitato di qualche milione di dollari, un’inezia per il bilancio della difesa statunitense, e l’amministrazione pubblica italiana non ha espresso alcuna obiezione, tanto più che l’operazione è rientrata in un adeguamento tecnologico di un impianto già presente da anni e quindi in linea con il trattato vigente sulle basi. Resta comprensibile il timore degli abitanti del posto per eventuali attacchi provenienti non da altri Stati, non esistono realtà statuali in grado di minacciare le basi Usa, ma da organizzazioni terroristiche. Gli “stati canaglia” sono tutte invenzioni che cambiano a seconda delle strategie».

In che senso?

«Basta osservare i movimenti degli interessi delle grandi industrie, con l’esercito dei loro mercenari, basta vedere il loro spostamento geografico per aspettarsi il deflagrare di nuovi conflitti nelle aree interessate con il sorgere di formazioni terroristiche che legittimano nuovi interventi militari».

Alla radice non è stato decisivo il nuovo concetto di difesa che è stato acquisito anche in Italia senza un vero dibattito, e cioè la necessità per i nostri eserciti di intervenire in ogni luogo dove gli interessi comuni vengono minacciati?

«Se ci consideriamo parte di un’alleanza, l’interesse comune deve essere perseguito con il concorso di tutti. Ma questo non è il nostro caso perché da oltre 60 anni, nel complesso, Nato o meno, i Paesi stanno perseguendo gli interessi di una sola parte, e cioè degli Usa, con evidenti conseguenze sulla sovranità degli altri Stati ai quali va l’onere di dover inventare continuamente delle giustificazioni per sempre nuove avventure. Con una visione più equilibrata degli interessi comuni, Bush non avrebbe compiuto le operazioni in Iraq e in Afghanistan nel modo che conosciamo e che ha provocato nuove e persistenti instabilità. Dobbiamo rivedere il significato stesso di interesse nazionale e internazionale di sicurezza e stabilità, che non può coincidere con nuove guerre e nuove instabilità. Non è affatto semplice e risolutivo cambiare un sistema che si conosce con un nuovo assetto che si ignora del tutto. Bisognava pensarci due volte prima di passare da Mubarak ai “Fratelli musulmani” che hanno una strategia di egemonia su tutto il mondo arabo. E così si può dire per tutta la strategia orientata a rimuovere gli autocrati laici, come il caso della Siria, senza avere l’alternativa di un’opposizione altrettanto laica e con il rischio dello sfascio e sofferenze indicibili per la popolazione civile. Lo stesso sta avvenendo in Libia».

Proprio parlando di interessi nazionali e strategie belliche, non è paradossale che l’Italia abbia partecipato alle operazioni di combattimento in Libia senza che l’opinione pubblica, tranne poche testate giornalistiche come Città Nuova, avvertisse la partecipazione del Paese ad una guerra che ha visto gli stessi nostri vertici militari molto dubbiosi?

«Sembra, in effetti, prevalere l’idea di una nostra pretesa estraneità ad eventi che ci vedono coinvolti direttamente, quasi fossimo dei testimoni inconsapevoli e invece siamo partecipi di questa fase di instabilità di un pianeta che non ha trovato il suo equilibrio. L’intervento nei singoli conflitti locali sta provocando una serie di ferite che stanno dissanguando il mondo senza operare cambiamenti duraturi».

Ma negli Usa non esiste un filone di pensiero critico nei confronti dell’attuale strategia globale?

«Esiste certamente una parte orientata a cambiare il tipo di intervento nel mondo riducendo le spese militari essenzialmente per contenere e risparmiare sui costi. Allo stesso tempo emerge anche una posizione critica che chiede di rivedere lo strumento militare nel complesso di una visione politica alternativa. È del tutto evidente che una posizione del genere, anche quando è sostenuta dal presidente degli Usa, deve scontrarsi con i poteri prevalenti delle grandi industrie. Si tratta di enormi conglomerati che non obbediscono più a nessuno. Si può dire che non hanno più un Paese di riferimento».

TAV: un aiuto a tradurre dal francese per i giornali italiani

Ho deciso di dare una mano ai col­le­ghi gior­na­li­sti main­stream ita­liani, che vedo sem­pre più in dif­fi­coltà a leg­gere, tra­durre, ripor­tare noti­zie delle Con­fe­renze Stampa e della stampa fran­cese.  Certo, l’inglese è più impor­tante, ma essendo così vicini a noi, anche la lin­gua dei cugini d’oltralpe andrebbe un po’ più curata.

Fac­cio un esem­pio: Hubert Du Mesnil, pre­si­dente di Ltf (Lyon Turin Fer­ro­viaire), ha rispo­sto nel corso di un video­col­le­ga­mento tra le due sedi della società, Torino e Cham­bery, in una lunga conferenza-stampa lo scorso 3 giu­gno, sul TAV.

Si può tro­vare la cro­naca, abba­stanza com­pleta, sui gior­nali fran­cesi, come ad esem­pio il Moniteur:

http://​www​.lemo​ni​teur​.fr/​1​4​7​-​t​r​a​n​s​p​o​r​t​-​e​t​-​i​n​f​r​a​s​t​r​u​c​t​u​r​e​s​/​a​r​t​i​c​l​e​/​a​c​t​u​a​l​i​t​e​/​2​4​6​2​3​2​8​9​-​l​y​o​n​-​t​u​r​i​n​-​p​o​u​r​-​h​u​b​e​r​t​-​d​u​-​m​e​s​n​i​l​-​l​a​-​f​r​a​n​c​e​-​s​a​u​r​a​-​d​e​g​a​g​e​r​-​d​e​s​-​c​a​p​a​c​i​t​e​s​-​d​e​-​f​i​n​a​n​c​e​m​ent

L’articolo è lungo, ma io che so leg­gere ve lo rias­sumo in poche frasi. Par­lando del tun­nel di prova (geo­gno­stico), secondo LTF il can­tiere verrà aperto a ini­zio 2015: costo pre­vi­sto 390 milioni di euro. Per quanto riguarda l’opera vera e pro­pria, la Fran­cia non ha messo a bilan­cio ancora un sin­golo euro e — secondo Du Mesnil — dovrebbe poter di essere in grado di repe­rire i 150–200 milioni di euro all’anno che saranno il costo minimo pre­vi­sto a suo carico, su una tem­pi­stica di dieci-quindici anni, per un totale di 2,2 miliardi di euro degli 8,5 pre­ven­ti­vati totali, a patto che il finan­zia­mento dell’Unione Euro­pea arrivi al mas­simo del 40%, cosa che si vedrà nel 2015.

E qui scatta il dramma. Se leg­giamo i gior­nali ita­liani , di tutta que­sta incer­tezza, della distin­zione fra tun­nel di prova e opera vera e pro­pria, degli zero fondi messi finora a bilan­cio dalla Fran­cia, dell’alea riguar­dante l’europa, fra paren­tesi per nulla inten­zio­nata a for­nire il fami­ge­rato 40%, dato che i fondi glo­bali a dispo­si­zione per que­ste “grandi opere” sono molto limi­tati, vi sono mol­tis­sime altre opere pre­ten­denti, e la Torino-Lione è in pes­sima posi­zione di prio­rità, non vi è traccia.

TAV: la Fran­cia ono­rerà gli impe­gni — dicono, ad esem­pio, quelli di Repubblica.

Deve essere una evi­dente dif­fi­coltà con la lin­gua fran­cese. Aiuto io.

Tra­duco e rias­sumo qui il pezzo finale dell’articolo del Moni­teur, che evi­den­te­mente era pro­prio impos­si­bile come forma lin­gui­stica, dato che non se ne trova la minima traccia.

TAV: un pro­gramma inde­fi­nito 
Men­tre la rispo­sta della Com­mis­sione euro­pea è pre­vi­sta nel 2015, il calen­da­rio suc­ces­sivo dell’opera non è defi­nito con pre­ci­sione. Il calen­da­rio non è fisso, ha detto Hubert du Mesnil, e sarà un com­pro­messo a fronte dei molti vin­coli tec­nici, finan­ziari e poli­tici che si pre­sen­te­ranno. 
Per quanto riguarda il com­ple­ta­mento totale del col­le­ga­mento fer­ro­via­rio tra Lione e Torino — al di fuori della giu­ri­sdi­zione di LTF — che dovrebbe costare circa 18 miliardi in più, Hubert du Mesnil ha sem­pli­ce­mente dichia­rato che dovrebbe avve­nire in fasi, a seconda dello svi­luppo del traf­fico.

Ah, va bene. Allora (vedi figura qui sotto) pos­siamo star tran­quilli. Anzi: #stia­no­se­reni gli irri­du­ci­bili inna­mo­rati del tun­nel. Le cam­pane a morto stanno suo­nando ormai a stormo.

Sogni, menzogne e realtà dell'anadamento del traffico ferroviario al Frejus

Sogni, men­zo­gne e realtà dell’andamento del traf­fico fer­ro­via­rio al Frejus

Adden­dum: un certo allarme mi ha poi destato que­sto auto­re­vo­lis­simo arti­colo del Pre­si­dente di Con­fin­du­stria: TAV subito o sarà troppo tardi! L’attuale linea Torino Lione è quasi satura.

Era il 1991: io ero poco più che un ragazzo. Nel 2010, il traf­fico sulla Torino-Lione è circa (linea blu) il 20% dell’attuale capa­cità. In discesa.

TAV subito o sarà troppo tardi. Era il 1991

TAV subito o sarà troppo tardi. Era il 1991

PS — Un rin­gra­zia­mento all’amica Cri­stina Ferro di Gia­veno (TO) che mi ha for­nito il mate­riale e la segnalazione.

L’ARTICOLO DEL 2008 CHE INGUAIA OBAMA SULL’UCRAINA

Il G7 del 2014 in Olanda. Il Grande escluso è Putin.
Un articolo del 2008 evocava già la strategia del caos che si sarebbe dovuta applicare in Ucraina per mezzo dell’amministrazione Obama.
 
Questa relazione compromettente aggiunge una tessera in più al puzzle che evidenzia le mire della Governance presidenziale per integrare l’Ucraina all’Unione Europea e alla NATO e utilizzare la Crimea come base militare avanzata.
 
Ma quello che è particolarmente interessante è la datazione, che risale al 26 Dicembre 2008.
 
In modo analogo, l’anno scorso Roland Dumas riferì che l’azione in Siria era stata menzionata dagli inglesi prima che le ostilità si verificassero in quel luogo e il rapporto seguente rivela che anche quell’intrusione era stata voluta da molto tempo.
 
“Uno scenario di conflitto armato sarà condotto durante il mandato del nuovo presidente degli Stati Uniti, Barack Obama” – sono le parole pronunciate dal politologo Andrej Okara ad una tavola rotonda a Kiev.
 
A tale proposito, anche il «Novyj Region» riporta: “Questo è il quadro americano, e sotto Obama, la probabilità è molto superiore a quella di McCain”.
 
E scrive ancora – “È risultato chiaro all’annuncio delle persone che avrebbero rappresentato la squadra di Obama. Tali persone sono professionalmente «targate» Wall Street. Tutte sviluppano un disegno chiamato «Strategia del caos controllato».”
 
Secondo Okara, dopo la Georgia, l’area di tale «caos controllato» dovrebbe essere innanzitutto l’Ucraina, e più specificamente la Crimea.
 
 
Yalta – Castello neogotico chiamato “Nido di Rondine” – Repubblica Autonoma di Crimea 
“È un possibile punto caldo per un eventuale vasto dissenso che potrebbe degenerare in guerra mondiale. Ciò costituisce, purtroppo, una delle scene la cui realizzazione oggi fa parte della sfera concreta.” Ha affermato il politologo.
 
Il suo collega dell’Istituto ucraino di Studi sulla Russia, Andrej Blinov, è del parere che la nazione sovietica non sia interessata ad una tale collisione e dichiara:
 
“Considero questa prospettiva marginale nel momento in cui si parla di guerra in Crimea o nel distretto di Mikhailovsky; tuttavia la possibilità di un concorso maggiormente attivo di capitali russi è ben più reale qui. Dipende da quando la crisi finirà. Se sarà nel 2010, la Russia sarà già molto più indebolita.”
 
Le ambizioni degli Stati Uniti verso la Crimea sono confermate dalla recente firma della Carta ucraino-americana sulla cooperazione strategica.
 
Tale Carta prevede il riconoscimento incondizionato della sua sovranità nazionale insieme all’integrazione nella NATO, l’aumento della presenza statunitense nella penisola e altre forme di cooperazione.
 
L’ambasciatore degli USA in Ucraina, William Taylor, rassicura però: “La Carta non obbliga alcuna delle due parti a venire in aiuto all’altra tramite mezzi militari” – poi aggiunge: “Se dovesse esserci una violazione dei confini, ci riuniremo e discuteremo le misure da adottare.”
 
Nella seconda parte del documento dedicata all’àmbito della salvaguardia e della tutela, è riportato l’interesse di entrambi i paesi per una «Ucraina forte, indipendente, democratica», la cui integrazione nella struttura europea è «una priorità comune». E si sottolinea ancora che la nazione diventerà un membro della NATO.
 
Flotta Russa a Sebastopoli – Crimea
Intanto – “Considerando le minacce globali alla stabilità nel mondo e al fine di contrastarle, l’Ucraina e gli Stati Uniti rafforzeranno la loro cooperazione in materia di difesa e sicurezza” – ha asserito l’ambasciatore.
 
Inoltre, Taylor ha menzionato misure concrete per potenziare sia il livello di addestramento delle forze armate ucraine che delle forniture militari. 

La quinta sezione è dedicata allo sviluppo dei contatti e dell’intesa culturale:

 
«L’Ucraina – riporta il testo presentato da Taylor – si felicita dell’intenzione degli Stati Uniti di aumentare la loro presenza diplomatica in Crimea; le modalità per questo sono in fase di negoziazione, ma potrebbe trattarsi soltanto di una struttura con determinate funzioni consolari».
 
Il documento fa riferimento anche al sostegno di Kiev contro Mosca per il ritiro della Flotta russa posizionata sul Mar Nero nella penisola ucraina.
 
Il fatto che la Crimea sia il terreno più promettente per la destabilizzazione del quadro generale, risulta vantaggioso per gli americani e Kiev, sottolineano gli osservatori da alcuni mesi.
 
Nei media, vengono presentati di quando in quando diversi teatri secondo cui gli ucraini «democratici» con le loro rivendicazioni verso la Russia tentano di far esplodere alla lunga questa «polveriera».
 
I deboli sforzi degli attivisti peninsulari a favore della nazione sovietica (come il tentativo di restituire la Crimea alla Russia per via giuridica) sono severamente repressi, ma la vittoria completa dello SBU (Servizio di Sicurezza Ucraino; ndt) sui «dissidenti» è ancora lontana, secondo numerosi segnali.
 
I comunisti ucraini sono anche convinti che è impossibile sfuggire alle provocazioni del «movimento crimeano».
 
 
Resti della Fortezza Genovese e Chiesa di S. Giovanni Battista – Feodosiya l’antica Caffa – Crimea
 “Gli USA si preparano per un intervento ad Est (avendo come obbiettivo la Russia naturalmente), ma prima devono frantumare la Crimea filo-russa” – dice l’ex portavoce parlamentare della penisola e deputato nazionale Leonid Grach.
 
L’apertura, il prossimo anno, di una progettata rappresentazione americana a Sinferopoli è parte del disegno.
 
Gli analisti avevano ben previsto che l’Ucraina sarebbe stata la zona che avrebbe mantenuto vivo l’interesse del nuovo presidente degli Stati Uniti.
 
“Obama farà dell’Ucraina il contrappeso della Russia” – dichiara il politologo Sergej Taran: “Dapprima gli ucraini saranno privati della considerazione USA, perché Obama sarà occupato a risolvere i problemi all’interno degli Stati Uniti.
 
Ma in qualche tempo, a motivo dell’impegno presidenziale a lungo termine per rafforzare l’autorità americana in Europa, i leader statunitensi presteranno una particolare attenzione all’Ucraina che potrebbe diventare l’equilibratore della Russia nella regione e, successivamente, anche della vecchia Europa, sull’esempio della Polonia attuale.”
 
Per l’analista politico ucraino Andrei Yermolaev, il suo paese rimarrà per gli Stati Uniti uno strumento di dissuasione nei confronti della Russia. Secondo lui, l’Ucraina è per la politica americana il mezzo utilizzato in strategie piuttosto ciniche.
 
I più sagaci «veggenti» ripetono già a gran voce la prossima annessione della penisola all’Europa: una delle arie di quell’Opera è stata la lezione impartita recentemente a Kiev, dal posto di comando, sul tema «Azioni delle unità volontarie sul teatro di Crimea dopo l’aggressione militare della Russia».
 
Gli organizzatori dei festeggiamenti (Il Comitato di Salvezza Nazionale, insieme ai partiti «Fratellanza» e «Forza Nuova», e all’associazione «Confraternita del Nord») affermano che nello scontro tra Ucraina e Russia, che avverrà al più tardi nel 2011, il peso della resistenza dipenderà dalle organizzazioni benevole.
 
 
 
 
 
I «protagonisti» sono certi che lo scenario strategico dello Stato Maggiore delle Forze Armate russe sia già stato programmato.
 

Economista britannico propone di abolire contanti

L’iniziativa di eliminare dalle transazioni economiche globali la carta moneta è stata fatta da un professore alla Harvard University, uno dei più grandi economisti mondiali, Kenneth Rogoff, che ha proposto di sostituirla con la moneta elettronica.

Rogoff ha affermato che non utilizzando più carta moneta aumenterà il controllo sul flusso delle transazioni, eliminando il “sommerso” nel mercato finanziario, risolvendo anche il problema dell’evasione fiscale. Verrà inoltre eliminato ogni pagamento anonimo in contanti e il fatturato di cassa per le attività criminali, tra cui il traffico di droga, sottolinea l’economista.
Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/news/2014_06_04/Economista-britannico-propone-di-abolire-contanti-5740/?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

Agenzia Entrate: distruggere le piccole aziende

Pubblicato 3 giugno 2014 | Da daniele
 
Questa è la terza testimoniaza che ci offre Luciano Dissegna, ex Dirigente dell’Agenzia delle Entrate, che dopo anni di osservazione e di riflessione è giunto alla conclusione che gli attacchi forsennati dell’Agenzia delle Entrate contro le piccole aziende non possono essere altro che precisi ordini impartiti da molto in alto.
Tesi che LIFE da anni sostiene e il fatto di una conferma così autorevole come quella di Luciano Dissegna costituisce  amara consolazione.
 
Daniele Quaglia

BANCONOTE DA 10 EURO – DA SETTEMBRE ARRIVANO QUELLE NUOVE

Posted on giugno 4, 2014 by pjmanc
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QUALCHE MESE FA ERA TOCCATO ALLA BANCONOTA DA 5 EURO. Nuovo design, nuovi colori. Ora, invece, tocca alla banconota da 10 euro. Anche questa sarà cambiata. E sarà in circolazione dal prossimo 23 settembre. per questo la Bce si sta muovendo per farla conoscere.
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IN MERITO RIPORTIAMO LA BREVE NOTA DELL’AGENZIA LaPresse- Tre milioni di negozi e piccole imprese dell’eurozona riceveranno opuscoli informativi sulla nuova banconota da 10 euro della serie ‘Europa’, che sarà in circolazione a partire dal 23 settembre 2014. Lo riferisce la Bce. L’opuscolo, la cui distribuzione è iniziata oggi in Finlandia e in Estonia, incoraggia gli esercenti e i piccoli imprenditori a garantire che i dispositivi di manipolazione e di controllo dell’autenticità accettino anche le nuove banconote e siano pronti per il prossimo 23 settembre. Ton Roos, il direttore Banconote della Bce, ha dichiarato che “stiamo realizzando questo ampio esercizio per garantire che le informazioni raggiungano molti gestori professionali del contante in tutti i Paesi dell’area dell’euro, in modo che questi siano preparati per la nuova banconota”. Entro la fine di giugno gli opuscoli saranno distribuiti in tutta l’eurozona.Cominciamo a fare abitudine alla nuova banconota. A voi piace? O preferivate quella ancora in uso?Sul sito Internet della BCE sono consultabili gli elenchi dei dispositivi di controllo dell’autenticità e delle apparecchiature per la selezione e accettazione delle banconote che sono stati verificati dalle banche centrali dall’Eurosistema e adattati per il riconoscimento del nuovo biglietto da €5. Elenchi analoghi saranno pubblicati per la nuova banconota da 10 euro, una volta ultimate le necessarie verifiche. Naturalmente le nuove banconote da 10 euro, così come i biglietti della prima serie, sono facili da controllare applicando questo metodo.
Redatto da Pjmanc http:/ ilfattaccio.org

Bank, Boris e Maggie

 
“L’anno scorso volevano farmi fuori..mi hanno sparato ad una zampa!
 
Perchè?!?
 
Perchè volevano rendermi invisibile per sempre…volevano farmi svanire nel nulla!
 
Tanto nessuno si sarebbe accorto della mia assenza!”
 
Bank ora è guarito!sta bene!
 
Ma per guarire le ferite del suo cuore abbiamo bisogno di una mamma o di un papà che si prenda cura di lui!
 
Ha circa 4 anni castrato taglia grande!
 
Acerra (NAPOLI)
 
Verrà portato ovunque!
 
PER INFO CONTATTARE:
Rossella la barbera 3392917884
Stefania Capuano 3450214818
 
bank[5]
 
 
 
14 - 1[4]
Boris cane lupo abbandonato davanti a casa mia perché’ aveva problemi alle zampe , per farlo stare fermo davanti al mio cancello gli hanno dato una bastonata in testa.
 
L’ho portato in ospedale e c’è rimasto per una settimana per essere curato, ora sta bene ed è vispo, ora si trova a rifugio Italia in Ucraina.
 
Volevo adottarlo io ma purtroppo ho dovuto cambiare idea perché ho già molti animali a casa e il padrone ci avrebbe buttato fuori e con tutti quegli animali è difficile trovarne un’altra. Bravissimo, 2 anni circa,  sterilizzato,  vaccinato,  microchippato,  passaporto ucraino.
 
Se seriamente interessati scrivete a : i.a.p.l.onlus@mail.ru
 
DIFFONDETE PER FAVORE.. OGNI CANE CHE VIENE ADOTTATO LASCIA POSTO IN RIFUGIO UCRAINO AD UN RANDAGIO DESTINATO A MORTE CERTA IN STRADA!
 
 
8[4]
La dolce Maggie ha bisogno di una famiglia tutta sua, chi vuole amarla per sempre?
 
Si trova in stallo a Pavia.
 
È stata curata con amore per mesi, adesso sta bene e corre felice col suo carrellino.
 
Maggie ha appena un anno, è una cagnolina molto bella e di una dolcezza incredibile, buonissima con tutti!
 
Una taglia media grande, vaccinata, chippata e a presto sarà anche sterilizzata.
 
Per info adozione:
 
Erminia 338 2936033, Nicoletta 346 8823905, Daniela 347 7521475 oppure simona.farcas@gmail.com.
Per leggere la sua storia e partecipare al evento:https://www.facebook.com/events/601467096606294/.
 
Cerchiamo anche mamme e papà a distanza per Maggie.
 
Finché non trova adozione dobbiamo pagare ogni mese lo stallo e altre spese veterinarie.
 
Vi prego aiutiamola!
 
Grazie mille a tutti!
 
– BONIFICO: IBAN: IT41F0558401615000000002278
intestato a CRISTINA PINTO
causale: “per Maggie”
– POST PAY: numero carta 4023600571559642
intestata a FRANCESCO ARDITO
codice fiscale: RDTFNC73M01F205J – per favore indicare importo e data di versamento per messaggio.
 

Verso la Bancarotta: E Ora Siamo I Numeri 8 ( Eravamo la Settima Potenza, e Abbiamo Perso 20.000 Imprese)

4 giugno 2014 Di FunnyKing
 
Italiano #staisereno
 
Anche se è in atto l’ennesimo Gomblottone Internazionale (che in qualche modo c’entrano i tedeschi).
Infatti a causa dei “mondiali di calcio” che anzichè svolgersi in permanenza in Italia (come sarebbe giusto) si stanno per svolgere in Brasile. Il paese della Samba, aiutato dai poteri forti, dalle banche, dalle malvagie multinazionali e ovviamente dai tedeschi (e dall’euro), ci ha superato come potenza industriale.
E noi siam finiti dal settimo all’ottovo posto al mondo secondo confindustria.
 
Purtroppo sempre a causa di un tremendo GOMBLODDONE di cui NOI non siamo responsabili (come potremmo?) l’Expo pare che non stia generando una emerita mazza per parare il colpo. Siamo proprio sfortunati, ce l’hanno tutti con noi ehm… cioè con voi.
Oh ma tranquilli eh!
 
Squinzi dice che ora, dopo la travogente vittoria di Renzi che tutto il mondo tremare fa (e dovrebbe farvi tremare sul serio, perchè toc toc, la campana suona per voi), ci sono le condizioni per la svolta. E anche dopo 20.000 imprese chiuse, il destino non è ineluttabile.
Nel senso che andrà peggio?
p.s. l’industria in Italia ormai pesa meno del 18% del PIL, ma perchè dovremmo ancora occuparci di Confidustria che rappresenta un sotto insieme del 18% del PIL?
 
da Ansa
 
L’Italia scivola dal settimo all’ottavo posto nella graduatoria dei Paesi produttori elaborata dal Centro Studi di Confindustria, che parla anche di “demeriti domestici”. Sorpasso del Brasile. Con un +36% dei volumi mondiali 2000-2013, l’Italia è “in netta controtendenza” con un -25,5%. “Fa peggio proprio dove gli altri vanno meglio”.
La “massiccia erosione della base produttiva” rilevata da centro studi di Confindustria per il manifatturiero italiano, ha portato ad un “quadro impietoso”, con una contrazione di oltre 100mila fabbriche e quasi un milione di addetti tra 2001 e 2011, “proseguita nel biennio successivo: altri 160mila occupati e 20mila imprese perduti”.
Squinzi,destino non ineluttabile,ora condizioni svolta:  “Non siamo vittime di un destino crudele e ineluttabile, siamo noi che possiamo e dobbiamo costruire il nostro futuro”, avverte Giorgio Squinzi. Ma serve “un salto di mentalità, una svolta chiara e decisa. E mi pare – dice – che si stanno creando le condizioni per tale svolta”. “Sono sicuro che ce la possiamo fare: ce la dobbiamo fare”. “Tre quinti della riduzione dei volumi prodotti non sono recuperabili negli stessi tipi di beni e attività che esistevano prima della crisi”: parla di “bollettino di guerra”Squinzi, che sottolinea: “Non significa però che la nostra industria e i nostri imprenditori siano immobili e rassegnati. Tutt’altro”. Anche con “scelte di rottura, anche dolorosa, rispetto alle tradizioni consolidate”.
“Il lavoro è la nostra assoluta priorità”, avverte Squinzi. “Una priorità – avverte – che deve orientare tutte le nostra azioni, le nostre scelte, le nostre decisioni a livelli di imprese, di Confindustria, di Governo, e di istituzioni europee”. Serve un “rilancio del settore manifatturiero”. “Le parole e gli annunci del ministro Federica Guidi mi hanno rassicurato, affermando finalmente il giusto approccio, da tanto tempo chiesto da Confindustria”, dice il leader degli industriali.  E’ “un approccio pro industria e pro impresa, indispensabile per assecondare e sfruttare appieno il profondo rinnovamento che è in corso nel nostro tessuto imprenditoriale”.

Putin vuole divulgare prove per dimostrare che l’11 settembre è stato organizzato dagli Usa

By Edoardo Capuano – Posted on 03 giugno 2014
 
Mentre le tensioni tra Stati Uniti e Russia rimangono ad un livello elevato paragonabile solo a quello della guerra fredda, sembra che Putin ne ha avuto abbastanza dei capricci di Obama.
Diversi analisti hanno recentemente ipotizzato che, per mettere Obama al suo posto, una volta per tutte, Putin si è organizzato per rilasciare le prove (ad esempio immagini satellitari) nella sua posizione che riveleranno che gli attacchi terroristici dell’11 Settembre sono un lavoro interno.
Questi cosiddetti “lavori interni” sono meglio conosciuti come attacchi falsa bandiera, sono attacchi appositamente e strategicamente progettati in modo tale da ingannare il pubblico e costringerlo a pensare qualcosa che non è vero. In altre parole, i funzionari americani avrebbero progettato di eseguire un attacco contro l’America e la sua gente per farlo apparire come se una certa entità nemica avesse effettuato l’atrocità.
 
11 Settembre
Questo è solo il caso in cui l’America ha dimostrato interesse nella patria del gruppo attribuito. Come molti hanno spiegato in precedenza, da entrambi i lati gli Stati Uniti avevano un interesse pesante sul petrolio e si pensa quello sia stato il motivo per presunti attacchi sotto falsa bandiera.
Diversi casi documentati sono stati esposti mostrando che questo non sarebbe nulla di nuovo nel regno militare dell’America nel perseguimento di interessi egoistici. Stando così le cose, sembra come se il resto del mondo sta diventando stanco dell’impatto che America sta avendo e del modo in cui svolge la sua agenda.
Nel tentativo di esporre il governo per quello che sta facendo – di uccidere gli americani nel tentativo di invadere altrove e poi uccidendo cittadini ovunque si trovino – alcuni hanno minacciato di far trapelare dettagli militari per esporre le atrocità americane. La più recente speculazione è caduta su Putin secondo quello che ha detto di avere alcune immagini satellitari che dimostrano, senza ombra di dubbio, che l’America è stata complice di un attacco a falsa bandiera.
 
Presumibilmente dimostrando che gli attacchi dell’11 Settembre sono stati eseguiti da funzionari americani – bene, si possono immaginare le ripercussioni. Tutta la fede e fiducia nel governo sarebbe disintegrata, tumulti scoppierebbero per le strade e, forse, avrebbe inizio una rivolta civile.
Detto questo, immaginate come verrebbe vista l’America sulla scena mondiale. Un facile bersaglio per gli estremisti islamici o forse un cambio di gestione da parte di una superpotenza concorrente straniera? Anche se questi scenari possono essere temporanei, potete immaginare come altre forze potrebbero facilmente approfittare di una tale situazione.
Cosa ne pensate voi ragazzi – potrebbe Putin avere tali prove in suo possesso? Potrebbe essere questo il motivo per cui Obama ci è andato così morbido con Putin per tutto il mese passato – forse è stato ricattato? Fateci sapere cosa ne pensate di questo in un commento qui sotto.
 
Articolo originale: tellmenow.com / Via: terrarealtime.blogspot.it