BRUXELLES COMPLETAMENTE PARALIZZATA DALLA RIVOLTA DI CONTADINI E ARTIGIANI CONTRO L’UNIONE EUROPEA!

ma ce lo avevano il permesso di ribellarsi dalla società politically correct? Sennò attenzione, son fascisti. A quanto pare, i loro sindacati il permesso lo han concesso ma i nostri sindacati sono all’avanguardia, ritengono lo sciopero generale una desueta forma di lotta. Sarà per questo che son secoli che non la usano

BRUXELLES – Mentre va in scena il summit europeo, fuori dai palazzi di potere entrano nel vivo le proteste anti austerity dei “Forconi d’Europa”. Centinaia di manifestanti hanno bloccato il traffico con barricate di legname, anche incendiate, per le arterie principali di Bruxelles nei pressi del palazzo dove ha sede l’Unione Europea.
A guidare le proteste sono contadini e artigiani. Fin dalle prime ore del mattino trattori e cumuli di fieno occupano la strada principale che porta alla sede UE di Bruxelles. Ad essere prese di mira da cori, cartelli e dichiarazioni sono le autorità europee, colpevoli di aver creato un’Europa iniqua, senza lavoro.
Tronchi di albero in fiamme non hanno impedito però ai leader degli Stati membri europei di arrivare a destinazione e partecipare alla riunione giornaliera, ma manifestanti e sindacati della CNE stanno facendo sentire la loro voce.
Il leader dei sindacati Bruno Dujardin ha spiegato ai giornalisti che quello che cercano è una “Europa per la gente, che rispetti i lavoratori e permetta a tutti i dipendenti europei di avere condizioni di lavoro decenti”.  (WSI-Reuters)
Tratto da: Fonte
Qualche giorno prima erano scesi in strada i vigili del fuoco. Ecco il video.

Le catene si stringono. L`Italia nel vortice di un falso ”debito pubblico”

20 dic 2013 – di Fabrizio Fiorini – 

L`Italia nel vortice di un falso ”debito pubblico” Come si chiama quel bicchiere che più lo si svuota e più si riempie? Nessuno alza la mano? Bene, ecco la risposta: è il “debito pubblico”. O almeno, così vorrebbero farci credere i governi della fame che si sono susseguiti, nel corso degli ultimi anni, all’amministrazione della colonia italica.

Quel debito pubblico sul cui altare, quotidianamente, sacrifichiamo pezzi di sovranità e in base al quale regoliamo l’agenda politica di una nazione costretta, peraltro,  a dover passare sotto le forche caudine dei meccanismi di controllo (“stabilità”, la chiamano) dell’Ue. Quel debito pubblico che, a detta dei politicanti (e a rigor di logica) dovrebbe ridursi diminuendo la spesa pubblica o aumentando le entrate fiscali. I tagli alla spesa pubblica sono oramai all’ordine del giorno: la sanità pubblica è in ginocchio (è di oggi la notizia del taglio di 1500 posti letto ospedalieri nella sola regione Sicilia), nella scuola pubblica si fa fatica a garantire la mera retribuzione del personale docente e non docente. I consulenti del Fmi, cui il governo Letta ha spalancato le porte, stroncano sul nascere ogni entusiasmo di facciata del Ministero dell’economia: occorre tagliare, flessibilizzare, contenere la spesa. Se sul fronte delle dismissioni dello Stato sociale siamo oramai al bollettino di guerra, sul fronte delle imposizioni fiscali non va così meglio. Nel girone dantesco dell’arzigogolo burocratico e delle mille sigle (Tares, Tasi, Tari, Iuc), non si contano più le attività commerciali e artigianali costrette alla chiusura e i cittadini e le famiglie condannate alla disperazione o al suicidio per insolvenza. Meno spese, più entrate, vincoli di bilancio. E il debito pubblico, invece che diminuire, incrementa. In un solo mese, da settembre a ottobre, secondo i dati statistici comunicati dalla stessa Banca d’Italia, di ben 18 miliardi, toccando la irrazionale cifra di 2085 miliardi di euro. Ci sarà a Roma un maestro di algebra capace di spiegarci il perché. Ci sarà qualcuno che non penserà di risolvere il problema restituendo due milioni di euro di indennità parlamentari (lo 0,001% dell’incremento mensile della nostra situazione debitoria). Ci sarà qualcuno che ricordi che “pagare un debito di moneta con altra moneta emessa a debito è impossibile” .  Occorre, sì, riprenderci il futuro, come in tanti hanno urlato in questi giorni nelle piazze: ma non sarà possibile senza riappropriarci innanzitutto della nostra moneta, spezzando definitivamente i tentacoli alla piovra bancaria. Era scritto su uno striscione oggi in piazza: “il Sole non sorge a Bruxelles”.

Fonte: Rinascita

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La scienza è in mano ad una casta… La notizia più ignorata del momento.

21 dic 2013 – Le principali riviste scientifiche distorcono il processo scientifico e rappresentano una «tirannia» che va spezzata.
Questo il giudizio del premio Nobel per la medicina 2013.
Schekman
La denuncia è grave, a maggior ragione perché è la cosa che ha pensato di dire Randy Schekman al Guardian il giorno stesso in cui ha ricevuto il premio Nobel e quindi non solo nel momento più importante per la carriera di un ricercatore, ma anche nel momento di massima visibilità. Ma non basta, la dichiarazione di Schekman era stata preceduta di un paio di giorni da quella di un altro autorevolissimo scienziato, Peter Higgs, notissimo teorizzatore del bosone di Higgs, che sempre al Gurdian aveva denunciato il sistema delle pubblicazioni scientifiche.
 
Ma se la dichiarazione di Schekman è clamorosa, altrettanto clamoroso è il silenzio con il quale è stata inghiottita dalle testate che si occupano di divulgazione scientifica, alcuni quotidiani le hanno almeno dedicato il “minimo sindacale” come Il Corriere della Sera “Schekman: «Le principali riviste scientifiche danneggiano la scienza»” (poco più che un trafiletto) e l’Unità “Il Nobel Shekman: “Boicottiamo Science e Nature”“, altri hanno però vistosamente dimenticato di pubblicarla. Ma ancor più vistosa è la “dimenticanza” da parte di soggetti che fanno della divulgazione scientifica il loro argomento centrale, non una parola sull’autorevole denuncia da parte delle solite testate comeLe ScienzeOggiscienza, Query, Pikaia e perfino Focus e Ocasapiens, in genere così attente a difendere la buona scienza scegliendosi però bersagli comodi e banali come i creazionisti della Terra giovane o qualche stravagante di turno.
 
E allora per vedere commentato in modo decente quanto detto da Schekman dobbiamo andare suWired, un periodico che si occupa in genere di scienza tenendo conto delle sue implicazioni più ampie, per leggere un articolo intitolato “Il Nobel che vuole boicottare le riviste scientifiche“, che inizia con le seguenti parole:
 
La scienza è a rischio: non è più affidabile perché in mano a una casta chiusa e tutt’altro che indipendente…
 
Le principali riviste scientifiche internazionali – Nature, Cell e Science – sono paragonate a tiranni: pubblicano in base all’appeal mediatico di uno studio, piuttosto che alla sua reale rilevanza scientifica. Da parte loro, visto il prestigio, i ricercatori sono disposti a tutto, anche a modificare i risultati dei loro lavori, pur di ottenere una pubblicazione.
 
L’accusa di “tirannia” lanciata da un neo premio Nobel dovrebbe in ogni caso meritare la massima attenzione, ma così come si usa fare per i critici di minore visibilità la tecnica è la stessa: ignorare per non dare visibilità alle idee. Ma Schekman aggiunge dell’altro, qualcosa che da sempre andiamo sostenendo:
 
Queste riviste, dice lo studioso, sono capaci di cambiare il destino di un ricercatore e di una ricerca, influenzando le scelte di governi e istituzioni.
 
Ma il suo laboratorio (all’università di Berkeley in California) le boicotterà – ha detto al Guardian –, evitando di inviare alcun genere di ricerca.
 
Sfruttano il loro prestigio, distorcono i processi scientifici e rappresentano una tirannia che deve essere spezzata, per il bene della scienza. Almeno così la pensa il Nobel.
 
La scienza con le sue dichiarazioni è un’autorità tale da influenzare le scelte di governi e istituzioni, e se è manipolabile da parte di chi detiene il comando delle principali testate scientifiche è automaticamente vero che le affermazioni su temi sensibili possono essere orientate in base alle convenienze dei governi stessi o delle istituzioni. Le dichiarazioni di Schekman supportano dunque indirettamente che su temi come il Global warming, la pandemia H1N1, l’eugenetica e tutte le implicazioni della visione malthusiana dell’evoluzione, la possibilità di orientare gli studi in un senso “conveniente” è reale.
 
 L’episodio della dichiarazione di Schekman mostra che però neanche per un Nobel per la medicina è facile denunciare i problemi della scienza, figurarsi per soggetti enormemente meno visibili.
 
La denuncia di Schekman rappresenta però un incentivo ad andare avanti per tutti coloro che ritengono la scienza una realtà preziosa che deve essere difesa dalle strumentalizzazioni e da qualsiasi tentativo di piegarne i risultati a vantaggio di interessi particolari.
 

Autorità garante per l’infanzia, Spadafora: abbiamo una lista di giudici in conflitto di interesse

21 DICEMBRE 2013 DI DONATO
 
sequestri
Finalmente Liberi ha contato circa 105 giudici onorari in evidente conflitto di interesse e ci si prepara alla denuncia.  Vincenzo SpadaforaGarante dell’infanzia e adolescenza pochi giorni fa durante il congresso organizzato dal Cismai si è espresso così sul business delle comunità per l’accoglienza dei minori denunciato dalla commissione di inchiesta Finalmente Liberi di Federcontribuenti: “Ma quale business? Io ho conosciuto comunità che stanno chiudendo. Per evitare che passino messaggi come questo, completamente sbagliati, è dunque necessario tenere alta la soglia della tensione”. Generalizzare è sempre sbagliato, pericoloso ma su questo tema è cento volte più letale la generalizzazione. Probabilmente è vero, esistono case famiglia che operano con professionalità, ma è altrettanto vero che esistono molti, troppi casi dove il bambino viene letteralmente fatto prigioniero, sequestrato anche quando non necessario, per errore, abuso o favoritismo. Entriamo quindi nello specifico e cerchiamo di capire quali sono le cose che non vanno, ” il nostro scopo è fare e dare giustizia tutelando genitori e bambini, non cerchiamo la polemica, il nostro è un invito aperto al Garante, – precisa l’avv.Franceschini responsabile di Finalmente Liberi -, abbiamo tra le mani casi pazzeschi e siamo disposti a mostrarli al dott. Spadafora ”. Ad esempio, un ragazzino di 12 anni chiede, perchè ne ha diritto, di essere ascoltato dal giudice, per dirgli che vuole stare con la madre: ” sono il nonno di F., strappato con violenza all’affetto non solo della madre, ma anche dei nonni. Io e mia moglie siamo entrambi professori in pensione, mia figlia fa la maestra eppur avendo l’autorizzazione ad educare una classe di bambiniun giudice le ha tolto la potestà genitoriale. Il tribunale dei minori, dopo la relazione di un giudice onorario e quella di una psicologa di parte avversa, mia figlia si è separata dal marito, ci ha zittiti, dicendo che sapeva tutto su di noi, ora possiamo vedere F. solo allo spazio neutro. Veniamo a mia figlia. La patria potestà le è stata tolta grazie alla relazione di un perito di parte avversa e senza tenere in alcuna considerazione le due relazioni di psichiatri certificate da due istituzioni statali per ribaltare a sentenza ”. Di casi come questo ne abbiamo molti, come di genitori con la sola colpa di non avere abbastanza soldi per crescere un figlio e gli viene tolto. Soprattutto abbiamo tantissimi giudici in conflitto di interessi perchè hanno direttamente o indirettamente a che fare con le comunità a cui vengono affidati, dietro fondi dello Stato, i bambini. ” Le spieghiamo, dott. Spadafora, come funziona il meccanismo. Sulla base dei dati in nostro possesso e tenga presente che nessun ente conosce davvero il numero dei bambini allontanati dalle proprie famiglie, parliamo di migliaia all’anno, solo il 7% ha alle spalle abusi sessuali o violenza, poi ci sono allontanamenti per futili motivi, come problemi economici o scaturiti da separazioni conflittuali. Basta la segnalazione ai servizi sociali, un furbo psicologo di parte e scatta il sequestro, il dramma è che non ci si può appellare agli atti del tribunale e il risultato è una grande, disumana, ingiustizia nei confronti di questi bambini. Bisogna intervenire sui provvedimenti ritenuti per legge ” provvisori ” ma che in realtà durano anni togliendo ai genitori il diritto di difendersi ed appellarsi ”. Infine la questione dei giudici onorari che decidono il destino del minore. Sono psicologisociologimedici e assistenti socialipagati un tanto ad udienza, pagati dagli istituti e dalle cooperative che accolgono i bambini e sa chi li nomina i giudici onorari? Il diretto interessato presenta la domanda, il tribunale dei minori l’approva e il CSM ratifica, le sembra un sistema in grado di assicurate equità e giustizia? Fin ora, Finalmente Liberi ha contato circa 105 giudici onorari in evidente conflitto di interesse e ci si prepara alla denuncia. La Commissione invita quindi pubblicamente l’Autorità Garante, Spadafora, ad un incontro per mostrargli, carte alla mano, la realtà che è sotto gli occhi di tutti ma che nessuno ammette.
 
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L’UCRAINA SERVE COME BASE MILITARE NATO

Di comidad del 19/12/2013
 
Una notizia positiva degli ultimi giorni ha riguardato la sospensione dei negoziati per l’annessione dell’Ucraina all’unione Europea. Stavolta è stata la stessa UE a cercare orgogliosamente di assumersi la diretta responsabilità della rottura, adducendo a pretesto le “infondate” richieste economiche del governo ucraino.
L’Ucraina è strangolata da un enorme debito pubblico, che è sotto la“sorveglianza speciale” da parte di uno dei due veri padroni dell’UE, e cioè il Fondo Monetario Internazionale. Il FMI pretende anche che il governo ucraino elimini i sussidi alla popolazione per il riscaldamento, cosa che rende poco attendibili le frenesie occidentalistiche delle piazze ucraine. Sarà pure vero che tra le lusinghe della UE ci sarebbe stata anche quella di favorire un accordo con il FMI per il debito ucraino; ma, vista la brutta fine che fanno i “sorvegliati speciali” del FMI, è molto difficile che la promessa risulti credibile.
Molti commentatori insistono nel presentare un’Ucraina ormai aperto terreno di scontro tra la Germania e la Russia; ma, considerando l’enorme volume d’affari tedesco con la stessa Russia, si spiegherebbe semmai il fatto che la cancelliera Merkel appaia oggi come la più prudente ed esitante nell’alimentare lo scontro polemico con Putin. Al contrario, non appare per niente prudente l’atteggiamento statunitense, al punto che si è potuto vedere ilsenatore McCain esibirsi a Kiev, agitando la piazza e promettendo pieno sostegno alle proteste filo-UE.
La retorica europeistica può servire di volta in volta da paravento per gli interessi bancari rappresentati dal FMI, oppure per gli obiettivi espansionistici della NATO, l’altro padrone della UE. Ancora prima di McCain, era infatti stata la stessa NATO ad esporsi platealmente per fare pressione sul governo ucraino. Il vicesegretario generale della NATO, Vershbow, uno statunitense, si è sciolto anch’egli in accorati inni di fede europeistica, garantendo che il futuro dell’Ucraina sarebbe in Europa.
L’Ucraina è attualmente legata alla NATO da un patto di collaborazione, ormai decennale, ma si tratta evidentemente di annettere in modo definitivo una preziosa area di confine all’apparato militare USA in Europa. Con basi navali in Ucraina, la USNavy potrebbe controllare il Mar Nero da entrambe le sponde, e portare così contro la Russia una pressione militare decisiva per realizzare l’obiettivo di smembrarla in più Stati. I moniti della NATO sono espliciti: l’Ucraina è ad un bivio, deve scegliere se “civilizzarsi” entrando a pieno titolo nel Sacro Occidente, oppure rimanere all’ombra della tutela russa rischiando di esporsi alle aggressioni finanziarie ed alla cronica destabilizzazione interna delle “rivoluzioni colorate”.
Il concetto di “rivoluzione colorata” non va frainteso nel senso che oggi la piazza ucraina sia tutta invasa da agenti della CIA. Le rivoluzioni colorate spesso fagocitano e mobilitano sacche di malcontento reale, e ciò viene ottenuto attraverso l’azione di organismi ibridi e ambigui, come fondazioni private ed organizzazioni non governative, associazioni che operano apparentemente nel settore della beneficenza e dei diritti umani. Il sistema di mobilitazione può basarsi anche sulla denuncia di casi di effettiva corruzione. Un’indignazione autentica viene poi reindirizzata su falsi obiettivi di “occidentalizzazione”, spacciata come sinonimo di buona amministrazione.
Sulla questione ucraina Putin non può permettersi di cedere, perché altrimenti rischierebbe di essere travolto da un colpo di Stato militare. La situazione in Ucraina ha qualche analogia con quanto accaduto in settembre per la Siria, quando la Marina russa ha fatto chiaramente capire di non essere disposta a rinunciare alla base navale siriana di Tartus.
La dipendenza energetica dell’Ucraina nei confronti della Russia è un dato storico, ma per Gazprom in questi anni l’Ucraina era stata soprattutto un pollo da spennare, e quindi gli aspetti della sicurezza russa erano stati sacrificati agli affari. Che qualcosa invece oggi stia cambiando nell’atteggiamento russo, è indicato anche dal fatto che per l’Ucraina Putin si è deciso ad aprire i cordoni della borsa, sia facendo sconti sulle forniture di gas, sia acquistando titoli di Stato ucraini.
Ma è molto difficile che la NATO consideri chiusa la partita e rinunci a destabilizzare l’Ucraina, che non serve solo come base navale, ma anche come base missilistica. Appena il mese scorso, il segretario di Stato USA, Kerry, ha ribadito che lo “scudo anti-missile” in Europa si farà, nonostante ogni opposizione russa. Attualmente è la Polonia ad essere individuata come principale sede del sedicente “scudo”, ma solo perché l’Ucraina non fa ancora parte a pieno titolo della NATO.

La vittoria di Pirro degli operai che fanno causa alla Fiom

poi si indignano se la gente sta con il movimento 9 dicembre

di Stefania Carboni  – 21/12/2013 –
I lavoratori della Flexider hanno trascinato in aula il sindacato di Landini, colpevole di non aver impugnato in tempo i loro licenziamenti. Ma il tribunale ripartisce anche la minima colpa con gli ex lavoratori risarcendoli con appena 4mila euro a testa
 
 Vi ricordate gli operai della Flexider di Torino, azienda che si occupa di componentistica auto, che si sono ritovati a dover far causa al loro sindacato? Noi avevamo raccontato la loro storia qui. Come è andata a finire? Il gruppo ha fatto trascinato in aula il sindacato di Maurizio Landini e ha vinto. Fiom ora dovrà risarcire i suoi associati per «comportamento inadempiente». Peccato che però la sentenza del Tribunale di Torino è una vittoria a metà: dei circa 800 mila euro previsti per il risarcimento danni ne sono stati stabiliti solo 42 mila. Ovvero? Circa quattromila euro a testa per ogni operaio. Avrebbero consegnato anche loro in ritardo la documentazione. Una beffa, per persone che lottano nelle aule dei tribunali dal 2009, lavorano a singhiozzo o hanno già definitivamente perso il loro impiego. Tutto partì nell’estate 2009, quando, secondo la sentenza del tribunale piemontese, il sindacato non ha impugnato entro i termini il loro licenziamento.
 
 
I FATTI – L’odissea degli operai Flexider iniziò nell’agosto 2009 quando l’azienda metalmeccanica, con la chiusura di un reparto, optò per licenziamento di 25 unità. Una decisione arrivata non proprio come un fulmine a ciel sereno, dato che, dopo tanti mesi di cassa integrazione, stando a quanto raccontano gli operai stessi nell’aria circolavano già suggerimenti di “dimissioni”. In una delle ultime assembleee però Elvira Nobile della Fiom Cgil(“sbalordita” della linea adottata dal sindacato precedentemente) suggerì ai lavoratori di non licenziarsi. In caso di licenziamento si sarebbe optato per il ricorso. Arrivarono le lettere d’addio. Per i primi di gennaio 2010 le pratiche dovevano arrivare tutte all’avvocato indicato per l’impugnazione. Così non fu. Da quel momento in poi partirono i problemi. I mesi passarono tra promesse di deposito ricorsi ed assemblee fino ad inizio 2011 quando i funzionari Fiomconfermarono che alcune impugnazioni furono fatte troppo in ritardo: per quei lavoratori non ci sarebbe stato più nulla da fare. Perché? Perché i ricorsi furono impugnati oltre i 60 giorni previsti dalla legge.
 
 
 
IN AULA – Dopo la doccia fredda i licenziati trascinarono il sindacato in tribunale, sotto la tutela degli avvocati Michele Ianniello e Alessandra Beltramo. Quest’ultima, contattata da noi di Giornalettismo, ci spiegò a marzo i dettagli dell’azione legale: «Abbiamo fatto una causa ordinaria di richiesta risarcimento danni per la perdita di istanze. Imputiamo il sindacato di averci tolto la possibilità di arrivare davanti ad un giudice e verificare se il licenziamento era legittimo o meno». A legittimare la tesi dell’accusa la prova che il mandato al sindacato sia stato dato verbalmente molto prima della scadenza delle impugnazioni ai dipendenti. A provarlo, riunioni, testimoni e trascrizioni fonografiche. Dall’altra parte della barricata la Fiom, difesa dall’avvocato Alberto Manzella ha sostenuto come per 14 dipendenti già la delega al sindacato fu firmata fuori tempo massimo, rendendo di fatto impossibile presentare qualsiasi cosa.
 
I MOTIVI DEL TRIBUNALE – Ed è su questo che viaggia la decisione deltribunale di Torino. Gli operai pretendevano un risarcimento totale di 800 mila euro. Perché? Perché secondo il legale dei dipendenti Flexider altri due lavoratori, trovatisi nella medesima situazione, hanno impugnato entro i terminiottenendo di fatto il reintegro. Il tribunale piemontese però non ha dato del tutto retta alle unità licenziate riconoscendo il concorso di colpa dei lavoratori. Per questo, come riporta anche l’edizione locale della Stampa Torino, uno dei legali Iannello ha annunciato ricorsi: «Faremo ricorso in appello – ha spiegato – perché secondo noi non c’è alcuna documentazione da presentare in questi casi: è sufficiente spedire una raccomandata chiedendo l’impugnazione».
 
TRA MUTUO E NATALE – E intanto gli ex lavoratori Flexider come vivono la sentenza? «Siamo rimasti un po’ tutti quanti basiti sulla decisione – spiega Gateano Di Gennaro, uno dei dipendenti coinvolti nella vicenda – il risarcimento varia a seconda del richiedente: c’è chi ha preso 3 mila e 500, chi tremila. Il massimo rimane comunque 4 mila euro». Gli operai che saranno risarciti dalla Fiom sono 15. Altri hanno optato per un accordo col sindacato o per altre vie legali. Gaetano entra ed esce dai cancelli della fabbrica ad intermittenza, con continue proroghe: «Questa è la quinta proroga – spiega – il contratto mi scade il 30 di questo mese. Non credo me lo rinnoveranno più». Ha una figlia (“da mandare a scuola”), una moglie sotto part-time e un mutuo da pagare. «Si va a singhiozzo, si lavora due mesi quando va bene. Fortunatamente ho ottenuto la disoccupazione, anche se ho comunque difficoltà. Altrimenti non saprei come fare». Gaetano spera in un piccolo regalo di Natale: «Il rinnovo? Sarebbe un miracolo». Ora non sta più sotto alcun sindacato, così come i suoi colleghi. «C’è chi lavora come me due/tre mesi, chi è tornato a casa con i suoi. Tre di noi riusciti a trovare impiego: è difficile». Quei quattromila euro sembrano una barzelletta davanti a tutti i problemi che gli ex dipendenti devono oggi affrontare: «Non sono niente. Io non dico che 40 mila euro ti cambiano la vita, ma solo 4 mila, con un mutuo, ti lasciano comunque a terra». Ora il risarcimento finirà nelle loro tasche ma gli ex dipendenti non si arrendono: «Solo che il ricorso ci impegnerà un altro anno. Io non so come abbia calcolato il giudice». La cifra risarcitoria stabilita varrebbe come equivalente di cinque mesi senza stipendio: «Se lui riesce a campare una famiglia con 4 mila euro per cinque mesi bene. Io non so se riesco. Speravo in una sentenza giusta. Speravo di tornare a casa a Natale con una buona notizia. Io non so come farò. C’è gente che prende per cause stupide prende fior di soldi. Noi per i nostri diritti abbiamo perso soldi, stabilità ed un impiego. tutto per colpa dell’”incompetenza”».

Da crisi i danni di una guerra: “Italia ha perso oltre 12% di Pil, in fumo 200 miliardi reddito”

e per qualcuno la cosa preoccupante è che il malcontento sia captato dai “cattivi” non politicamente corretti (movimento 9 dicembre) e che questi cattivi non si fidano più della bontà ed onestà intellettuale di coloro che hanno causato questo disastro
rapporto-scenari-economici-del-centro-studi-confindustria-dal-2007-l-italia-ha-perso-piu-del-12-di-pil.aspx

Rap. Esercito di disoccupati raddoppiato in sei anni, sono 7,3 milioni. Debito ancora in rialzo nel 2014. Allarme sulla tenuta sociale
porto Scenari economici del Centro studi Confindustria. Dal 2007 l’Italia ha perso più del 12% di Pil.
MILANO (WSI) – Numeri da bollettino di guerra, che rispecchiano tutta la disperazione e la situazione di grave difficoltà che gli italiani stanno vivendo sulla loro pelle, ormai da anni.
Mentre il premier Enrico Letta continua a fare l’ottimista, prevedendo addirittura un Pil in crescita del 2% nel 2015, i dati che vengono snocciolati dai vari centri studi e think tank raccontano una realtà completamente diversa, che stride non poco con i toni celebrativi del governo.
La fotografia della crisi arriva stavolta con il rapporto Scenari economici del Centro Studi di Confindustria. Dallo studio emerge che l’Italia ha perso più del 12% di Pil dal 2007, e che da allora sono andati in fumo oltre 200 miliardi di reddito.La speranza è sulle riforme, che devono essere però incisive. Solo con “incisive riforme strutturali si può recuperare il terreno perduto”. Una crisi, insomma, che ha provocato “danni di una guerra”.
Di fatto, rispetto alle “traiettorie già modeste del decennio 1997-2007 il livello del Pil potenziale è più basso del 12,6%, in altre parole sono andati bruciati oltre 200 miliardi di euro di reddito a prezzi 2013, quasi 3.500 euro per abitante”.
Il dramma della disoccupazione è evidente. L’esercito di disoccupati – persone a cui manca lavoro, totalmente o parzialmente, è di 7,3 milioni, due volte la cifra di sei anni fa. A partire dal 2014, secondo il Centro Studi, si dovrebbe però arrestare l’emorragia occupazionale.
L’impatto della Legge di Stabilità sulla crescita sarà “molto piccolo”, di 0,1 o 0,2 punti sul Pil del 2014, scrive il Centro studio nel rapporto “La difficile ripresa. Cultura motore dello sviluppo”. Di fatto, la manovra è una “occasione mancata”.
Il Centro Studi di Confindustria rivede al ribasso le stime del Pil per il 2013 diffuse a settembre. Nel nuovo scenario è previsto un calo del Pil dell’1,8% quest’anno contro il -1,6% precedentemente calcolato. Per il 2014 gli economisti di viale dell’Astronomia prevedono un incremento dello 0,7% e nel 2015 dell’1,2%. Riguardo al 2013, la revisione delle stime del Pil “deriva da una variazione congiunturale di un decimo peggiore nel secondo trimestre (-0,3% contro -0,2%) e nel quarto (0,2% contro 0,3%)”, si legge.
E per la prima volta viene stilato anche uno scenario alternativo, nel caso in cui le cose dovessero andare peggio. Sulla ripresa economica soffiano “venti contrari. Se ilcredit crunch proseguirà nel 2015 e la debolezza dell’economia renderà necessaria una manovra di un punto di Pil, nel 2014 il Pil salirà solo dello 0,4% e nel 2015 si avrà una crescita zero. E’ questo lo scenario più negativo per l’economia italiana simulato dal Centro Studi di Confindustria negli ultimi Scenari economici.
“Questa simulazione – hanno spiegato gli economisti – tutt’altro che astratta e ben presente a molti analisti di banche d’investimento internazionali, suggerisce che occorre rimuovere ogni causa interna di turbolenza e incertezza e prendere rapidamente decisioni che elevino il Paese su un più alto sentiero di crescita”.
L’andamento dell’economia fa centrare l’obiettivo dei conti pubblici fissato per il 2014 con il deficit al 2,7% del Pil, non quello per il 2015 (2,4%).
Il saldo strutturale non continua ad avvicinarsi al pareggio (1% del Pil tra due anni), nonostante l’ampio avanzo primario (4,5% del Pil al netto del ciclo, mezzo punto meno di quanto stimato tre mesi fa). Questo risultato “è stato ottenuto varando manovre per complessivi 109 miliardi (6,9% del Pil) dal 2009 in poi. Di cui 3 punti di maggiori entrate e 3,9 di minori spese”.
Il debito pubblico, al netto dei sostegni europei e in rapporto al Pil, sale ancora nel 2014 (al 129,8%) per poi iniziare a flettere nel 2015 (128,2%); “una flessione tutta dovuta a un punto di privatizzazioni e dismissioni omogeneamente distribuite”.
Preoccupazioni per il tessuto sociale italiano, caratterizzato sempre di più da continue proteste.
“Il pericolo maggiore (che si presenta nella strada per la ripresa) è il cedimento della tenuta sociale”, con il “montare della protesta che si incanala verso rappresentanze che predicano la violazione delle regole e la sovversione delle istituzioni”.
“Basta poco perché gli eventi prendano una piega infelice”. Il destino dell’Italia “si ripete, con il coagularsi di importanti gruppi politici anti-sistema”.
Sulla pressione fiscale, questa scenderà marginalmente al 43,9% nel 2014 dopo aver toccato il record nel 2013 con il 44,3% di Pil.

La crisi morde, ma la Cgil si rintana alla corte del Pd

mi fa piacere che la preoccupazione di Cremaschi sia quella di non lasciare la protesta ai forconi (cattivi, gente che non si fida più dei sindacati ma che maligni) e non quella di METTERE FINE AI DECENNI DI AUSTERITA’ che la gente non è più in grado di affrontare.
 Insomma come capitalizzare il malcontento, NON porvi fine con un’unione di intenti. Non a caso il potere sta tranquillo con tanti servi

Scritto il 21/12/13 • nella Categoria: idee
 
In un convegno organizzato dalla Fiom a Bologna Susanna Camusso ha affermato che lo sciopero generale non basta più. Siccome è difficile credere che con ciò la segretaria della Cgil volesse annunciare il passaggio a forme di lotta rivoluzionarie, è probabile che sia giusta la interpretazione che ne ha voluto dare la stampa: basta con lo sciopero generale. Ma quanti scioperi generali ha fatto la Cgil in questi ultimi anni? L’ultimo che tutti i lavoratori ricordano con rabbia è quello di tre ore per non fermare la riforma Fornero delle pensioni. Uno sciopero finto, fatto per circostanza e con la chiarissima intenzione di non procurare difficoltà al governo Monti appena insediato. Nessuno sentirà la mancanza di lotte come questa, fatte solo per far guadagnare spazietti nei telegiornali, lotte che i lavoratori hanno imparato a disertare. Gli ultimi scioperi di quattro ore di Cgil, Cisl e Uil, sparpagliati in giornate e territori diversi, sono stati semiclandestini. È fallito anche lo sciopero proclamato dalla Fiom in Emilia la scorsa settimana: poche centinaia di persone in piazza a Bologna.
 
È colpa delle persone che non hanno più voglia di lottare? No, è colpa dei gruppi dirigenti sindacali, che proclamano lotte che servono solo a far vedere che si esiste e che hanno la sola funzione di creare frustrazione ed impotenza in chi le fa. Nella più grave crisi economica del dopoguerra la Cgil vivacchia tra un convegno e l’altro, senza pensare al conflitto vero, quello che i lavoratori son ancora disposti ad affrontare con grande coraggio, come hanno mostrato i tranvieri di Genova. Che questa Cgil sia ora spaventata e affascinata dalla nuova leadership del Pd è evidente e anche questo è un segno della sua profonda crisi. Accantonato e dimenticato il goffo tentativo della Spi di sostenere Cuperlo, ora tutto il gruppo dirigente della confederazione spera in una legittimazione da Renzi. Il più lesto è stato Maurizio Landini, che al convegno di Bologna si è ben guardato dal polemizzare con la segretaria della Cgil sugli scioperi, e invece ha parlato tanto del sindaco di Firenze. Che incontrerà nella sua città in un convegno tempestivamente organizzato dalla Fiom locale.
 
Tra Camusso e Landini si è quindi aperta la gara a chi si presenti più innovativo e corrisponda di più al messaggio delle primarie del Pd. La grande informazione ha subito colto il segnale e si prepara a misurare i dirigenti della Cgil in termini di maggiore o minore affinità con il renzismo. Peccato che le due principali figure della Cgil si siano messe d’accordo di fare il congresso sulla stessa posizione, come se nel Pd non si fossero svolte le primarie e ci fosse stata una intesa preventiva di vertice sulla composizione dei gruppi dirigenti. In mancanza di un confronto trasparente sulla guida del principale sindacato italiano, la contesa andrà avanti a convegni e controconvegni, indici di gradimento, battute di corridoio. Naturalmente si potrebbe anche pensare che alla Cgil e ai suoi rappresentati converrebbe oggi allontanarsi dal Pd, principale partito dei governi che praticano quelle politiche di austerità che stanno devastando il mondo dellavoro.
 
Converrebbe anche alla democrazia una Cgil che non lasciasse la protesta sociale ai forconi e che con i lavoratori, i disoccupati, i precari, i pensionati, provasse a bloccare il paese. Invece di rinunciare preventivamente ad uno sciopero generale che da tempo immemore non convoca più. Ma questo sarebbe accusato di essere il sindacato vecchio, vecchio come quello che, nel pieno della rivolta reazionaria di massa a Reggio Calabria, portava i metalmeccanici a sfilare nella città e così a cambiare il segno politico di quella protesta. Ma quello era il sindacato degli anni ‘70, quello che credeva nella funzione degli scioperi generali. Vuoi mettere quel vecchio modello sindacale con le infinite possibilità di cambiamento della realtà che oggi offrono la partecipazione a Ballarò o a Servizio Pubblico? Solo una minoranza di sognatori contrasta questo modo di fare sindacato in Cgil, e ha chiamato questa sua posizione: “Il sindacato è un’altra cosa”. Ma cosa volete che importi, c’è Renzi.
 
(Giorgio Cremaschi, “Camusso e Landini alla corte di Renzi”, da “Micromega” dell’11 dicembre 2013).
 

Crollo Storico del Credito in Italia

 
L’economia in Italia, Spagna e Francia, dopo un accenno a stabilizzarsi questa estate, ha ripreso a cedere. Il crollo del credito alle imprese è il maggiore anno su anno del dopoguerra. «Prestiti ai privati al minimo storico» L’allarme della Banca d’Italia
Notare che le banche sono “piene di soldi” nel senso convenzionale del termine, perchè oltre ai 300 miliardi e rotti dell’LTRO di Draghi ricevuti un anno fa hanno anche goduto un aumento dei depositi del 5%. A dimostrazione che non c’entra un tubo “DARE SOLDI ALLE BANCHE” perchè prestino. Più soldi ricevono e meno ne prestano…
Per chi vuole leggerlo ho messo online il capitolo “Germania 1931-Italia 2013” in cui, sulla base di uno studio economisti tedeschi stessi della BCE(!), si fa un parallelo tra la situazione della Germania nel 1931 e quella dell’Italia attuale

La contrazione del 3,7% nei prestiti al settore privato (famiglie e aziende) a ottobre rappresenta «la maggior flessione storica», secondo le statistiche di Bankitalia. In particolare il -4,9% riguardante le imprese «è un calo storico», mentre quello di -1,3% per i nuclei familiari non è un minimo assoluto. Via Nazionale segnala anche un aumento delle sofferenze degli istituti, che su base annua sono aumentate del 22,9%. Sul fronte della raccolta, a ottobre il tasso di crescita sui dodici mesi dei depositi del settore privato è risultato pari al 5,4 per cento (3,6 per cento a settembre). La raccolta obbligazionaria, includendo le obbligazioni detenute dal sistema bancario, è diminuita del 7,0 per cento sui dodici mesi (-7,2 per cento a settembre).
 
I TASSI – I tassi d’interesse, comprensivi delle spese accessorie, sui finanziamenti erogati nel mese alle famiglie per l’acquisto di abitazioni, sono stati pari al 3,9 per cento (3,97 per cento a settembre), quelli sulle nuove erogazioni di credito al consumo al 9,28 per cento (9,61 per cento a settembre). I tassi d’interesse sui nuovi prestiti alle società non finanziarie di importo fino a 1 milione di euro sono risultati pari al 4,49 per
 

La Rivoluzione Silenziosa (L’altra Faccia di #9dicembre )

21 dicembre 2013
 
 
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Vorrei qui fare un appello, a tutti i lettori del blog che svolgono il lavoro di commercialista o che hanno stretti rapporti con quel tipo di mondo.
 
 Oggi il mestiere di commercialista è forse una delle professioni peggiori in assoluto in Italia, lo Stato con una serie di norme hanno trasformato una categoria per vocazione amica e partner di imprese, partite IVA e altri professionisti in una sorta di agenzia di esazione privata. Sono state varate norme feroci sulla responsabilità dei commercialisti in ordine alla fedeltà fiscale dei propri assistiti, fedeltà, che vi vorrei ricordare, è dovuta ad un ordinamento criminale e assurdo, causa prima della morte di aziende e del suicidio di imprenditori.
 
Personalmente conosco qualche operatore di questo settore, ne raccolgo spesso il dolore e non parlo delle difficoltà a farsi pagare dai clienti o a trovarne di nuovi. No, parlo proprio del mestiere, perchè lo Stato gli ha trasformati in confessori, boia e becchini. I commercialisti sono il primo contatto con la VERA situazione degli italiani messi in ginocchio dallo Stato, persone che nella vita di tutti i giorno magari simula ancora sicurezza e status, ma che nella realtà si vede il mondo crollare addosso. E si sfoga col proprio commercialista.
 
Nei primi giorni di questo mese i miei contatti mi hanno messo in allarme su una rivoluzione silenziosa, qualcosa che non va nelle piazze ma rimane negli studi professionali. Forse non sapete che Dicembre 2013 è stato forse il peggiore mese della storia d’Italia per quello che riguarda le tasse, specie su autonomi e imprenditori:
  • 10 dicembre anticipi Irap, Irpef
  • 16 dicembre IMU seconde case e immobili commerciali
  • 27 dicembre anticipi IVA
A cui si deve aggiungere la fine dei termini di rateizzazione per le imposte dell’anno scorso.
 
Mi è stato riferito che è letteralmente esplosa la percentuale di italiani che NON HANNO PAGATO. Attenzione qui non stiamo parlando di evasione, stiamo parlando di tasse dovute in base a corrette dichiarazioni dei redditi ma NON LIQUIDATE.
 
Ci sono 3 ragioni per questo fenomeno che elenco in ordine di importanza a partire dalla maggiore:
  • Mancanza di reddito/utili
  • Opportunità di rinviare il pagamento a Gennaio per tentare di compensare, ovvero mancanza di liquidità.
  • Protesta
La terza ragione è senza dubbio minoritaria ma già presente in alcune categorie produttive, il caso più clamoroso è l’API Industria di Vicenza che nel suo blog scrive:
 
……….
Facciamoci sentire con una protesta concreta.
Facciamo capire che non siamo disposti a subire qualunque imposizione.
RINVIAMO il versamento “in acconto” il 10 dicembre della maggiorazione richiesta.
A dicembre vengono prima le tredicesime dei nostri lavoratori.
Tocchiamo la sensibilità del sistema nell’unico punto che sa comprendere.
RINVIAMO il versamento di trenta giorni, al 9 GENNAIO.
Solo quel giorno di calendario corrisponde al 2,5% dell’anno e la parola “acconto” avrà senso.
NON VOGLIAMO ISTIGARE ALCUNA DISOBBEDIENZA ALLE LEGGI MA E’ NOSTRO DOVERE EVIDENZIARE GLI STRUMENTI (LECITI) CHE CONSENTONO A CIASCUNO DI FAR SENTIRE IL PROPRIO PESO
………..
 
Associazione attiva e battagliera il cui presidente è stato anche intervistato da Oscar Ginnino sull’argomento.
 
Quindi questo è il mio appello.
 
Cari Commercialisti, che diavolo sta succedendo?
 
Siamo davvero alla rivolta fiscale, o meglio no. Neppure una rivolta, ma al momento di una scelta, cioè se indebitarsi con le banche o pagare le tasse, oppure se mangiare o pagare le tasse. Perchè questa sarebbe la vera rivoluzione. La fine dei giochi.
 
Rispetto all’anno scorso, quale è la percentuale di imposte e tasse dovute ma NON versate dai vostri clienti al Dicembre?