Siria. È scontro anche all’interno delle opposizioni armate

Il leader dimissionario delle opposizioni estere conferma la presenza di centina di miliziani tunisini fra le fila delle truppe dissidenti 

Matteo Bernabei

Dalla politica al campo di battaglia, le divisioni interne alle opposizioni siriane si fanno sempre più evidenti. A pochi giorni dalle dimissioni del presidente della Coalizione di Doha, Moaz al Khatib, che ha accusato i suoi colleghi di agire per interessi personali o di Paesi stranieri, un’altra notizia mette in evidenza le frizioni fra le diverse fazioni che compongono il fronte dissidente, questa volta però in ambito “militare”. Il magazine statunitense Time ha, infatti, pubblicato ieri un reportage nel quale mette in evidenza un fenomeno fino ad ora mai riscontrato ufficialmente, ma spesso ipotizzato dagli analisti, e cioè lo scoppio di scontri armati fra i diversi gruppi che compongono il sedicente Libero esercito siriano, braccio armato delle opposizioni estere al governo di Damasco.
La rivista statunitense rivela in particolare combattimenti fra la Brigata Farouq e i miliziani di Jabhat al Nusra, nell’area compresa tra le province di Raqqa, Hasaka e Dayr az Zor. Una diretta conseguenza delle ingerenze internazionali che hanno portato alla formazione di un’accozzaglia di bande armate composte per la maggior parte di mercenari e volontari jihadisti stranieri, che ha dato vita a un conflitto dipinto come una guerra civile ma che, evidentemente, tale non è. Il manifestarsi sempre più frequente di frizioni e di azioni armate incontrollate da parte di questi gruppi, ha costretto nel recente passato gli Stati Uniti a inserire il fronte al Nusra nella lista organizzazioni terroristiche, così da poter avere un capro espiatorio al quale imputare le stragi indiscriminate compiute dalle milizie ribelli. La verità sta però venendo a galla e persino il governo tunisino, preoccupato dal flusso di estremisti che dal Paese si reca in Siria per unirsi alle fila del Les, sta agendo in via ufficiale per fermare la migrazione jihadista. Dopo l’appello della scorsa settimana del premier di Tunisi, ieri anche il ministro della Giustizia dello Stato maghrebino si è rivolto alla popolazione chiedendo a chiunque avesse legami con chi recluta combattenti in Siria di “prendere contatto con le autorità competenti”.
Sulla vicenda è intervenuto, sempre ieri, anche il presidente dimissionario della Coalizione siriana, il quale, nel tentativo di sminuire le affermazioni del governo tunisino, ne ha invece confermato i timori e affermando che la presenza combattenti tunisini nel Paese arabo “ammonta a poche centinaia”. Parole che lasciano intuire come la presenza di mercenari e soldati di altri Paesi sia la normalità per chi afferma, invece, di combattere una guerra civile e di parlare in nome dei cittadini siriani. Quella di ieri per il fronte dissidente è stata la giornata delle brutte notizie. Al reportage del Time e ai timori di Tunisi, si sono infatti affiancate le risposte negative di Usa e Alleanza Atlantica in merito alla richiesta di Khatib di utilizzare le batterie di missili Patriot schierate in Turchia per difendere le aree ribelli. “C’è una volontà internazionale di non far vincere la rivoluzione”, ha commentato il leader dimissionario della Coalizione di Doha, che si è detto “sorpreso” dalla reazione degli alleati. Al Khatib ha evidentemente sopravvalutato il supporto che i Paesi occidentali sono disposti a fornire a una “rivolta” fittizia, che nonostante l’addestramento, la presenza di mercenari e la fornitura illegale di armi, non riesce a ottenere grandi successi in campo militare e neppure a guadagnarsi il rispetto e il supporto della popolazione civile.
In molti evidenziano ormai l’impossibilità di mettere fine alla crisi attraverso una soluzione armata, ma in pochi, almeno in Occidente, tentano strade alternative. Un’opzione valida al conflitto potrebbe essere rappresentata dai cosiddetti Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), i Paesi emergenti, ai quali ieri si è rivolto anche il presidente siriano, Bashar al Assad, chiedendogli di agire per mettere fine alle violenze e favorire la ricerca di una soluzione negoziata e pacifica della crisi. Appello che sarà accolto con ogni probabilità, vista la presenza nel gruppo dei governi di Mosca e Pechino, gli unici che in passato hanno realmente provato a mettere fine al conflitto attraverso la diplomazia.


28 Marzo 2013 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=19962

 

Siria. È scontro anche all’interno delle opposizioni armateultima modifica: 2013-03-29T18:46:00+01:00da davi-luciano
Reposta per primo quest’articolo