L’Angola tende la mano alle aziende europee in crisi

ecco un esempio di come l’Africa libera dal giogo del FMI può prosperare. Fino a che non sorgerà la necessità di un intervento umanitario…

Il governo angolano ha invitato gli industriali che non trovano mercato in Europa a “de-localizzarsi” nel Paese africano 

Francesca Dessì

Se in Europa ci sono unità industriali avanzate che non trovano mercato per i loro prodotti a causa del contesto attuale, potrebbero pensare di de-localizzare in Angola, se l’alternativa deve essere il fallimento”. È l’invito lanciato dal ministro dell’Industria angolana Bernarda Henriques da Silva durante una conferenza sul commercio fra l’Angola e il Portogallo, organizzata a Lisbona. Il ministro dell’Industria ha sottolineato che “gli angolani non vogliono attrezzature obsolete col pretesto che l’Angola è un Paese sottosviluppato, dove la priorità è creare occupazione e dover il personale essendo poco qualificato può anche utilizzare tecnologia antiquata. Gli imprenditori che la pensano così non hanno futuro in Angola”. “Chi la pensa così”, ha continuato Da Silva, “non conosce la realtà angolana, manca di lungimiranza e non è sicuramente un industriale. Perché l’industria in qualsiasi parte del mondo è un investimento di lungo periodo che ha bisogno di investimenti continuativi e di modernizzazione per mantenersi competitiva”.
Da qualche tempo, l’Angola, secondo produttore di petrolio in Africa dopo la Nigeria (anche se secondo gli ultimi dati se la giocano alla pari), sta dando lezioni all’Europa, alle prese con una profonda crisi economica. Offre posti di lavoro ai disoccupati europei e possibilità di investimento agli industriali.
Secondo i dati forniti dall’Osservatorio per le migrazioni, sono oltre 100mila i portoghesi che si sono trasferiti nel Paese africano, oltre quattro volte il numero di angolani presenti in Portogallo. Ad attrarre i giovani sono le possibilità di lavoro e gli stipendi più alti. Un ingegnere appena laureato o un giornalista con tre anni di esperienza, che guadagnano al massimo mille euro in Portogallo, se ne vedono offrire tremila in Angola, il più delle volte con vitto e alloggio pagato dai datori di lavoro. Ma il fenomeno non riguarda solo il Portogallo, sono molti i Paesi messi in ginocchio dalla speculazione finanziaria internazionale. Molti vanno in Sudafrica, Mozambico e in altri Paesi che offrono maggiori possibilità di una vita dignitosa.
L’Angola, uscito dalla guerra civile nel 2002, ha conquistato l’invidiabile primato di avere avuto la maggiore crescita economica al mondo nell’ultimo decennio. Nel periodo 2001-2010, il Pil dell’Angola ha avuto un aumento medio annuo dell’11,1%, seguita dalla Cina con una crescita del 10,5%. Nel 2012, il Pil è stato pari all’8%. Per il 2013 la Banca mondiale ha previsto una crescita del 7,2% e del 7,5% nel 2014.
È un Paese in forte crescita economica grazie alle scelte del governo che ha sfruttato al meglio le sue risorse naturali – petrolio, oro, diamanti, bauxite, uranio, rame, terre fertili e così via- e che si è ribellato ai dettami imposti dall’Occidente. Uscito dalla guerra civile, il presidente José Eduardo Dos Santos, non volendo sottostare alle regole “colonialiste” del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, si è infatti rivolto alla Cina che non ci ha pensato due volte a prestare soldi a palate per ricostruzione del Paese. Un credito che il governo angolano sta ripagando in forniture di petrolio.
Ancora oggi, il presidente Dos Santos ha adottato misure anti-occidentali. Ad esempio, a partire dal primo luglio, tutte le aziende petrolifere che operano in Angola e tutte le imprese e le istituzioni straniere dovranno utilizzare il Kwanza, la moneta locale, per effettuare pagamenti di beni e servizi. La nuova legge prevede l’obbligo per le compagnie petrolifere di pagare i fornitori angolani utilizzando conti correnti aperti in banche angolane. Il nuovo provvedimento rientra nell’ambito della politica di “de-dollarizzazione” dell’economia angolana.
Oggi siamo di fronte al rovesciamento della storia. L’Angola che si può permettere di comprare le imprese portoghesi e non solo, mentre il Paese europeo sta precipitando in un abisso senza ritorno. I Dos Santos, che si sono arricchiti con lo sviluppo dell’industria petrolifera e diamantifera, si stanno infatti comprando le aziende del Portogallo in bancarotta, in particolare nel settore della stampa portoghese. Ma non è l’unico Paese, l’intera Europa soffre di una crisi senza precedenti, tra cui l’Italia. In un’interessante articolo pubblicato qualche giorno fa, il Jornal de Angola, il quotidiano di Stato, analizzando le elezioni italiane, scrive: “L’Italia non è ingovernabile. Ciò che è ingovernabile è l’Unione Europea”. Pertanto, “la notizia principale delle elezioni italiane è la fragorosa sconfitta della politica economica unica dell’austerità e dei tagli di bilancio imposti dai mercati, che possono tutto attraverso i loro agenti installati nell’Unione Europea”. L’articolo si sofferma sulla figura di Monti definito “un apostolo del neoliberismo” che “guidò un governo solo perché fu indicato dai burocrati ultraliberali di Bruxelles e dalla Cancelliera tedesca”. Il quotidiano angolano parla anche del Pd di Bersani che viene definito un partito che ha “una storia corta e triste”, fondato “sulle macerie del Pci” da cui è nata “un’imitazione a buon mercato e ancora meno raccomandabile del Partito democratico americano di Obama”.
 

29 Marzo 2013 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=19976

L’Angola tende la mano alle aziende europee in crisiultima modifica: 2013-03-29T18:44:00+01:00da davi-luciano
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