De Benedetti batte cassa al nuovo governo per salvare Sorgenia

un tale potentato e sarebbe in bancarotta? Dove li ha nascosti i soldi lo svizzero De Benedetti?

di Giuseppe Maneggio – 19/02/2014

Fonte: Primatonazionale
  
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Sorgenia lotta contro il tempo per salvarsi. E la famiglia De Benedetti potrebbe battere cassa al governo Renzi
 
L’impero finanziario del gruppo De Benedetti rischia di sbriciolarsi a causa della crisi in cui versa Sorgenia unitamente a quella del resto delle attività editoriali controllate dalla Cir (Compagnie Industriali Riunite, il gruppo controllato dal noto imprenditore naturalizzato svizzero).
 
Sorgenia è gravata da 1,86 miliardi di euro di debiti, di cui 60,7 milioni già scaduti e non pagati a gennaio. Nel dicembre scorso, l’amministratore delegato, Andrea Mangoni, aveva presentato un piano di ristrutturazione che prevedeva il taglio del debito per 600 milioni e moratoria fino al luglio di quest’anno. Ma l’incontro tra le banche creditrici (Mps, Banco Imi, Unicredit, Banco Popolare, Ubi Banca, Bpm, solo le principali) e i vertici della Cir non ha portato ad alcuna soluzione definitiva. La banche chiedono che la famiglia De Benedetti partecipi alla ristrutturazione del debito almeno per la metà, ma la Cir non sarebbe disposta ad offrire più di 100 milioni. Il rischio è che gli istituti di credito adesso non concedano nemmeno la moratoria e che si sia giunti ad una secca rottura per salvare il salvabile. Le banche in assenza degli obiettivi mancati dal piano industriale non se la sentono di accollarsi delle sicure perdite, in una fase nella quale già non concedono prestiti alle imprese e alle famiglie. E come dargli torto nello specifico, se il socio austriaco Verbund (46%) ha azzerato la sua partecipazione, non volendone più sapere?
 
La banca più esposta, manco a dirlo, è Mps con 600 milioni di euro, che già di suo ha una situazione finanziaria difficilissima. Rodolfo De Benedetti, primogenito di Carlo, assicura che ci sarebbe in cassa la liquidità sufficiente per il rimborso del bond Sorgenia, ma senza una moratoria l’azienda avrebbe risorse appena per tirare a campare un altro mese. Ai guai di Sorgenia per la Cir si aggiungono anche quelli di Tirreno Power, controllata al 39%, oberata da 875 milioni di debiti e per i quali ancora non è stata trovata una soluzione con Unicredit.
 
Il capitalismo “creativo” italiano ci ha già abituato, in passato, a soluzioni che hanno salvato l’insalvabile: basta semplicemente battere cassa allo stato. Nel caso specifico si parla di creare una bad company che metta assieme Sorgenia, E.ON ed Edipower. Quest’ultima è controllata daA2A, società partecipata dal Comune di Milano e dal Comune di Brescia, entrambi a guida Pd. In pratica si ritirerebbe dal mercato una capacità energetica produttiva pari a 12.500 MegaWatt, che verrebbe messa a disposizione del sistema energetico nazionale, per quando le energie rinnovabili non dovessero più bastare. In questo modo, la bad company potrebbe attingere a sovvenzioni pubbliche per 250 milioni di euro, ma che potrebbero arrivare a 700-800 milioni.
 
I 494 milioni di euro che la famiglia Berlusconi ha sborsato in seguito alla richiesta di risarcimento chiesta dalla famiglia De Benedetti sul caso lodo Mondadori, non sono bastati. Carlo De Benedetti e la sua famiglia per salvare il loro impero dovranno sperare nel governo Renzi.

IL VENEZUELA SOTTO ATTACCO DI NUOVO

“Non esiste più quella vecchia e corrotta elite, tanto cara al capitalismo dei grandi gruppi, che per 40 anni ha impoverito la popolazione.” Si è trasferita in Europa, dove domina incontrastata e difatti aumentano i poveri, tanto cari ad una parte politica che sostiene la Ue e l’euro senza se e senza ma.
 
Postato il Mercoledì, 19 febbraio
 
DI MARIA PAEZ VICTOR
counterpunch.org
 

Ancora una volta è in corso un attacco molto ben organizzato contro il governo democratico popolare del Venezuela. Un attacco fatto di manipolazioni monetarie, sabotaggio economico, campagna mediatica internazionale avversa all’economia del paese, nonostante gli ottimi indicatori economici e diffamazione della società petrolifera statale. I disordini dell’ultima settimana hanno causato 3 morti e 66 feriti.
La tattica è la stessa adottata dall’opposizione non-democratica negli ultimi 15 anni dalla prima elezione del presidente Hugo Chávez. Stessa identica tattica usata nelle cosiddette Rivoluzioni Arcobaleno nell’Europa dell’Est, in Libia, in Siria, in Egitto e ora in Ucraina. Lo scopo è quello di creare una parvenza di caos, di provocare le forze di polizia, di screditare il governo attraverso i principali media internazionali per favorire disordini civili, o anche una guerra civile (come è avvenuto con successo in Siria); e, infine, promuovere le giuste condizioni per un intervento o un’occupazione internazionale.
Tuttavia, il Venezuela non è in Medio né nel Vicino Oriente e il suo governo è una democrazia partecipativa che gode di una maggioranza molto solida, del sostegno di tutte le istituzioni chiave in uno stato di diritto e dell’appoggio dei suoi paesi confinanti. Inoltre, la popolazione è organizzata in comunità molto coese, non è una massa amorfa. La posta in gioco è alta perché il paese ha le più grandi riserve di petrolio conosciute e sono a un tiro di schioppo da Washington.
Non essendoci più in giro Hugo Chavez l’opposizione considera Nicolas Maduro una facile preda; sottovaluta quest’uomo la cui popolarità è molto aumentata sia all’interno che all’esterno del paese.[i]
L’attacco al Venezuela, l’obiettivo di creare il malcontento popolare, si è concretizzato in questo modo:
 
Guerra monetaria.  iniziata con un assalto alla valuta, con la manipolazione del mercato nero del dollaro, con l’ottenimento, da parte del Governo, di dollari a prezzo di favore dietro false motivazioni.  Maduro non ha esitato: ha regolamentato i prezzi e cambiato le regole di scambio monetario e il 70 % della popolazione ha approvato questa sua misura .[ii]
 
Falsa carenza di beni di consumo:   In un sol colpo, proprio mentre stava per iniziare lo shopping natalizio, c’è stato un aumento scandaloso del prezzo delle merci e una carenza di beni alimentari.  Molti ricchi commercianti hanno accumulato beni di prima necessità come farina di mais, zucchero, sale, olio da cucina, carta igienica, ecc. nascondendoli in depositi o spedendoli in Colombia, attraverso un’operazione di contrabbando ben architettata. L’esercito ha scoperto un ponte illegale costruito per le moto, sul quale transitavano le merci di contrabbando.  Migliaia di sacchi di prodotti alimentari sono stati rinvenuti  abbandonati e lasciati marcire per le strade secondarie della Colombia: e questo non era contrabbando economico, ma un contrabbando per ragioni politiche.  Il Governo Colombiano ha poi collaborato con quello Venezuelano per porre fine a questo traffico.
 
Attacco alla società petrolifera PDVSA: La stampa internazionale ha fatto circolare la notizia che la  PDVSA stava fallendo perché invece di re-investire i suoi utili, li stava utilizzando per programmi sociali, e che il paese era a corto di petrolio. Stranamente non capita mai che faccia circolare la voce che in Canada o in Arabia Saudita scarseggi il petrolio. Hanno anche diffuso l’assurda notizia che il Venezuela stava importando benzina dagli Stati Uniti. Il fatto è che la PDVS possiede la CITGO, grande compagnia petrolifera degli Stati Uniti,  la cui raffineria spesso rimanda in Venezuela un liquido speciale utilizzato per migliorare la qualità della benzina 95. Secondo l’autorevole Petroleum Intelligence Weekly [iii] la PDVSA è ancora una delle prime 5 compagnie petrolifere del mondo.[iii]
 
Campagna mediatica per screditare l’economia.  I media internazionali per anni non hanno fatto che prevedere morte e distruzione per l’economia del Venezuela.  Tuttavia l’economia del paese sta andando bene. Le sue esportazioni di petrolio l’anno scorso ammontavano a $ 94 miliardi di dollari, mentre le importazioni hanno raggiunto solo i 59,3 milioni di dollari – un minimo record. Le riserve nazionali sono a 22 miliardi di dollari e l’economia ha un’eccedenza (e non un deficit) del 2,9 % di PIL. Il paese non ha debiti interni o esteri particolarmente onerosi.[iv] Sono tutti questi degli ottimi indicatori che farebbero invidia a molti paesi dell’Europa, agli Stati Uniti e al Canada.   La banca multinazionale Wells Fargo ha recentemente dichiarato che il Venezuela è una delle economie emergenti maggiormente al sicuro da possibili crisi finanziarie e la Bank of America Merril Lynch ha raccomandato ai suoi investitori di acquistare titoli di Stato venezuelani  [v]
 
Esagerazioni dei rischi per la sicurezza.  Il Venezuela, purtroppo, ha un elevato tasso di criminalità, come la maggior parte dei paesi dell’America Latina.  La recente morte di una giovane coppia molto in vista nel panorama mediatico del paese, ha spinto l’opposizione ad esagerare il senso di insicurezza. Maduro ha risposto con un Piano Generale per la Pace, utilizzando polizia locale, coinvolgendo le amministrazioni comunali e le collettività locali, dividendo le città in settori, evidenziando le zone “calde” e istituendo delle pattuglie speciali, creando 25 comitati di cittadini per il controllo di Polizia per un totale di 250 persone, garantendo nuovi servizi a favore delle vittime dei crimini, coinvolgendo i mezzi d’informazione nel tentativo di ridurre al minimo programmi televisivi violenti.  Tutto questo ha avuto un grande successo popolare.
 
All’interno dell’opposizione ci sono degli elementi realmente democratici e rispettosi della legge; ma, purtroppo, la maggioranza è anti-democratica.
 
Negli ultimi giorni, due leader dell’opposizione non-democratica, i due parlamentari Leopoldo López e Maria Corina Machado, hanno incitato a nuova violenza. Disordini orchestrati, con sabotatori professionali e  manipolazione dei giovani, hanno causato la morte di tre persone e il ferimento di 66.[vi] Lopez, il cui collegamento con la CIA risale al suo soggiorno a Kenyon College, Ohio .[vii] –  ha dichiarato pubblicamente che la violenza sarebbe continuata finchè non si sarebbero “sbarazzati” di Maduro. Uno dei manifestanti ha detto alla stampa: “Abbiamo bisogno di un morto “. 
Su Twitter poi abbondano messaggi di incitamento a farsi avanti per uccidere Maduro. Un messaggio di Twitter ha addirittura riportato i dettagli precisi della scuola del figlio del Presidente dell’Assemblea Nazionale, Diosdado Cabello, suggerendo il rapimento del bambino.
 
Il Procuratore Generale, che è una donna, è stato fisicamente aggredito ed i suoi uffici saccheggiati. E poi auto della polizia date alle fiamme, un’associazione culturale devastata; e il Governatore della Casa di Tachira che ha rischiato di morire tra le fiamme con la sua famiglia.
Gli atti di violenza dell’opposizione sono ormai una costante. Lo scorso ottobre, Henrique Capriles, il candidato presidenziale sconfitto quattro volte, dopo aver perso contro Maduro, ha apertamente incitato ad una violenta protesta con queste precise parole: “Scendete in piazza e mostrate il volto della vostra rabbia!”  Risultato: 10 persone morte (di cui una bambina di soli cinque anni) e 178 feriti,19 cliniche attaccate e incendiate e medici cubani in fuga per mettersi in salvo.
Ora, la stampa internazionale non denuncia le violenze dell’opposizione venezuelana. Quando vengono segnalati questi episodi c’è sempre qualcuno lì pronto ad insinuare che è tutta colpa del governo.
 
Il crescente benessere della popolazione (viii) è un chiaro risultato di 15 anni di Rivoluzione Bolivariana
[viii]   Il Comitato Economico delle Nazioni Unite per l’America Latina e i Caraibi ha dichiarato che il Venezuela è il paese con il più basso livello di disuguaglianza sociale dell’area (coefficiente GINI), scesa del 54%.[ix]
I livelli di povertà sono al 21 % e la povertà estrema è scesa dal 40% al 7,3 %. La mortalità infantile è stata ridotta da 25/1000 (1990) a 10/1000  [x]  Il governo Chávez ha eliminato l’analfabetismo e fornito pubblica istruzione, alloggi e servizi sanitari gratuiti.  In un solo decennio, il Venezuela è avanzato di 7 posizioni nell’indice dello Sviluppo Umano delle Nazioni Unite.[xi]
I sondaggi mostrano che la popolazione del Venezuela è una delle più felici del mondo- [xii] In tutto questo, grande è stata la solidarietà ricevuta da insegnanti esperti e medici Cubani. Cuba e Venezuela hanno mostrato al mondo cos’è la vera solidarietà tra nazioni.
La crisi finanziaria che ha colpito il Nord America in questi ultimi sei anni, ha prodotto un antagonismo tra lo Stato e i lavoratori e la popolazione in generale. Con il pretesto di una necessaria austerità, ovunque sono stati tagliati i programmi pubblici e i sindacati distrutti.
Con il calo dei prezzi del petrolio, la crisi ha colpito anche il Venezuela. Tuttavia, il governo ha continuato nel suo intento di ridurre la povertà nel paese, ad aumentare i salari, a formare migliaia di lavoratori, ed il tasso di crescita ha continuato a salire, nonostante la forte contrazione economica.   Proteggendo l’occupazione, strategia fondamentale per contrastare la crisi, l’economia del paese ha continuato a crescere ad una media tra il 2,5 e il 5% del PIL  [xiii]
 
La vera opposizione in Venezuela sono gli Stati Uniti, i suoi alleati ed i suoi agenti che alimentano il gasdotto illegale di dollari che si riversano nelle false ONG falsi e nei partiti all’opposizione.
 
Il Venezuela è un esempio del rifiuto dell’economia neo-liberale e del capitalismo delle multinazionali.  Non esiste più quella vecchia e corrotta elite, tanto cara al capitalismo dei grandi gruppi, che per 40 anni ha impoverito la popolazione.
La strategia della violenza non ha alcuna speranza di successo perché, a differenza del 1999, il popolo venezuelano oggi è organizzato in una moltitudine di gruppi: consigli comunali, municipalità, comitati per la salute pubblica, per la sicurezza, di polizia locale, di attività sportive e culturali e comitati scolastici. La Rivoluzione Bolivariana ha generato non una massa informe di persone, ma una popolazione strutturata ed organizzata, capace di prendere, insieme al suo governo, le decisioni per la sua vita. Il Venezuela, ormai, è una democrazia partecipativa pienamente funzionante.
L’opposizione non ha una base popolare – come lo dimostra la serie delle sue sconfitte elettorali.
 
Non gode dell’appoggio dei militari (e alcuni componenti dell’opposizione democratica sono apparsi in televisione per denunciare questa tattica utilizzata dall’opposizione non-democratica di apparire sempre con accanto personale militare).
Non hanno il sostegno dei paesi confinanti, che subito hanno espresso la loro solidarietà con il Presidente Maduro, per denunciare la violenza al loro interno.  La loro unica carta vincente è sperare che i Marines Americani invadano il Venezuela: questo sarebbe l’inizio di una guerra regionale.
 
María Páez Victor è una sociologa, nata in Venezuela
 
 
 
17.02.2014
 
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63

VENEZUELA: GUARDA LE FOTO FALSE SULL’INESISTENTE BRUTALITÀ POLIZIESCA

si comprende anche senza sapere lo spagnolo
 
Venezuela: Guarda le foto false sull’inesistente brutalità poliziesca
Vea las imágenes de supuesta brutalidad policial en Venezuela, que en realidad son fotos viejas en otros países AQUI
 
Foto di altri Paesi utilizzate in Twitter e stampa per la guerra mediatica contro il Venezuela
Vdi anche QUI
17 febrero, 2014 – 

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 Vea las imágenes de supuesta brutalidad policial en Venezuela, que en realidad son fotos viejas en otros países AQUI
Foto di altri Paesi utilizzate in Twitter e stampa per la guerra mediatica contro il Venezuela
Vdi anche QUI  

17 febrero, 2014
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Arriba a la izquierda: Tuitero opositor divulga foto de supuesto estudiante venezolano golpeado por “fascistas asesinos” del PSUV. Derecha: La foto corresponde a Unai Romano, joven retenido, golpeado y torturado en 2005 por la policía española.

Decenas de imágenes circulan en estos momentos en redes sociales y medios de comunicación de diferentes países, como forma de alegar que existe una “cruel represión” por parte de los cuerpos de seguridad venezolanos contra los manifestantes opositores.  Alba Ciudad recopila algunas de estas imágenes como forma de ayudar a desmontar esta campaña de mentiras contra Venezuela. Todas las imágenes pueden ampliarse y descargarse haciéndoles click.

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Texto: Luigino Bracci, Alba Ciudad

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  • Arriba a la izquierda: Tuit del diario Tal Cual enviado el 8 de febrero indica que efectivos de la Policía de Mérida arremeten contra estudiantes.
  • Derecha: En realidad, la imagen proviene de la agencia AFP y fue tomada en 2010: son efectivos de la Policía Metropolitana en una manifestación en Caracas. Nótese que en la imagen de Tal Cual a la izquierda fue tachado adrede el logo de la Policía Metropolitana en el uniforme del efectivo policial, pues dicho cuerpo policial fue disuelto en 2011.

A través de Twitter se divulga una foto de una joven abrazando a un policía.

  • Arriba a la izquierda: Tuitera opositora Daniela Frías divulga una foto de una supuesta estudiante venezolana a punto de llorar, tratando de abrazar a un policía. ”Tú y yo somos venezolanos, mi pana”, dice el texto del tuit.
  • Derecha:  La imagen en realidad corresponde a hechos ocurridos en Bulgaria en el año 2013.

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  • Arriba a izquierda: Tuiteros opositores presentan imagen de supuesta estudiante venezolana tomada por el cuello y siendo arrastrada por guardias nacionales. “Que esta foto dé la vuelta al mundo”.
  • Derecha: La imagen corresponde a estudiantes reprimidos en Chile en octubre de 2011.
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  • Arriba a la izquierda: Tuitero asegura que realizaron  ”una inmensa rolo de cadena que hicieron en Táchira” contra Maduro, con personas tomadas de la mano con franelas color amarillo, símbolo del partido derechista Primero Justicia.
  • Derecha: La imagen corresponde a una cadena humana realizada en Cataluña, España, en septiembre de 2013 en pro de la independencia de dicha región de España.

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  • Arriba a la izquierda: Este domingo en la tarde, la actriz Amanda Gutiérrez tuiteó la foto de un hombre supuestamente siendo obligado a practicar sexo oral con dos policías, dando a entender que era un estudiante apresado, torturado y violado por oficiales venezolanos.
  • Derecha: La imagen corresponde a una página para adultos radicada en los Estados Unidos. La foto tuiteada por Gutiérrez estaba recortada, pues los “policías” (en realidad actores porno disfrazados) tenían un uniforme con la palabra “POLICE”. La actriz se disculpó y borró el tuit, aduciendo que “me fuí de bruces ante la indignación de lo que se ‘presume’ que han vivido los estudiantes presos”.

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Arriba: La portada del diario impreso argentino Clarín del 13 de febrero de 2014 colocó la imagen de una persona con un fusil y dio a entender que era uno de los “chavistas armados ayer, en Caracas (…) actuaron grupos parapoliciales que, según testigos, dispararon a la multitud”. Dieron a entender que estas personas son responsables de dos muertes ocurridos el día anterior.

La realidad es que la persona mostrada era un efectivo del CICPC (policía científica venezolana), protegiéndose de la quema de 5 vehículos de dicho cuerpo policial realizada por opositores violentos, a pocos metros de la entrada de su sede en Parque Carabobo (Caracas). Otros diarios y páginas web, como Infobae y El Mundo de España, hicieron actos similares omitiendo la leyenda original de esta foto de la agencia EFE: “Miembros de la CICPC caminan frente a un vehículo incendiado durante una marcha convocada por la oposición, en Caracas (Venezuela).”

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  • Arriba a la izquierda: El tuitero opositor Esteban Gerbasi tuiteó la imagen de un estudiante siendo baleado con perdigones a una distancia inaceptablemente corta. “¡Dictadura! Para muestra un botó”, escribió.
  • Derecha: La imagen corresponde a manifestaciones en Río de Janeiro en junio de 2013 (ver aquí, foto 10), y la hizo pasar por imágenes de la “dictadura” en Venezuela.
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  • Arriba a la izquierda: Numerosos tuiteros publicaron la foto de efectivos de seguridad pateando a un perro, escribiendo: “La Guardia Nacional no perdona ni a los perros. ¿Será que el perro es un fascista nazi?”
  • Derecha: Miembros de la Misión Nevado alertaron que la foto corresponde  al perro griego Loukanikos, que acompañó las protestas anticapitalistas en dicho país europeo, alegando que era un perro maltratado por la Guardia Nacional Bolivariana en Venezuela.

Haga click para verla más grande

  • Arriba a la izquierda: Tuitero asegura que un niño fue herido en la localidad de Táchira por “huestes bolivarianas”.
  • Derecha: La cruda imagen de un niño herido llorando mientras es atendido, en realidad corresponde a Siria, país que pasa por una profunda guerra civil.

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  • Arriba a la izquierda: Joven muy golpeado; piden “que dé la vuelta al mundo”.
  • A la derecha: la foto corresponde a un joven revolucionario herido en Mérida durante las protestas de opositores en abril de 2014.

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  • Arriba a la Izquierda: Tras aparecer el domingo 16 de febrero junto al Presidente Maduro, el escritor Leonardo Padrón y numerosos tuiteros  acusaron a José Navarro, trabajador del Metro golpeado por manifestantes el viernes, de formar parte de una farsa; alegaron que tenía el collarín al revés.
  • Derecha: Las fotos suministradas a través de Esteban Trapiello muestran que no es así, y que determinados modelos collarines se pueden usar de esta manera.

Esto ocurrió en abril de 2013, pero se sigue tuiteando con insistencia: la periodista Ludmila Vinogradoff, en la página web del diario español ABC, tuiteó fotos de una mujer siendo arrastrada por oficiales de policía, aduciendo que eso ocurría en Venezuela. Los hechos, en realidad, ocurrieron en Egipto en 2011.

  • Izquierda: la periodista Ludmila Vinogradoff, en la página web del diario español ABC, tuiteó fotos de una mujer con el torso semidesnudo, siendo arrastrada por oficiales de policía, aduciendo que eso ocurría en Venezuela.
  • Derecha: Los hechos, en realidad, ocurrieron en Egipto en 2011. La Sra. Vinogradoff borró el artículo, pero en otro reconoce el error. Esto ocurrió en abril de 2013, pero se sigue tuiteando con insistencia.

Pubblicato da titus 12:53 p. m.

Russia ed Egitto verso l’accordo da 3 miliardi sulle armi

volevano prendersi l’Egitto i mercenari di soros e soci dei fratelli musulmani ed invece arriva la Russia. Si stanno vendicando sull’Ucraina?

AFP 14 febbraio 2014

Russia ed Egitto verso l’accordo da 3 miliardi per acquistare armamenti finanziato da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, affermava un giornale di Mosca. Le due parti hanno già “siglato o firmato” contratti per l’acquisto di caccia MiG-29, sistemi di difesa aerea e costiera, elicotteri d’attacco Mi-35 e armi leggere, affermava il quotidiano Vedomosti citando due fonti governative russe. L’articolo appare il giorno dopo i colloqui a Mosca tra il presidente russo Vladimir Putin e il capo dell’esercito egiziano Abdel Fatah al-Sisi, probabile nuovo capo di Stato del Paese nordafricano.
Cairo si è rivolta a Mosca, principale fornitore di armi negli anni ’60 e primi anni ’70, dopo che Washington ha tagliato l’assistenza al suo alleato regionale dopo il rovesciamento a luglio del presidente islamista democraticamente eletto Muhammad Mursi.

Traduzione di Alessandro Lattanzio
http://www.statopotenza.eu/10486/russia-ed-egitto-verso-laccordo-da-3-miliardi-sulle-armi

Femen. Il cupio dissolvi

c’è poco da stupirsi e molto da schifarsi quando c’è gente che inneggia ai genocidi etici e salutari discriminando vittime di guerre ingiuste. Tanto basta attribuire ogni cadavere ai perdenti che non hanno facoltà di replica ed il gioco della coscienza pulita è fatto.
Femen Dresda
La foto è emblematica. Queste due “femen” festeggiano l’atroce bombardamento di Dresda.  Ringraziando l’atlantico “Bomber Harris” d’aver assassinato 250 mila abitanti della Firenze del nord senza alcuna logica strategica militare ma soltanto per terrorizzare una nazione ormai alle corde.
– See more at: http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23019&utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+Rinascita-Tutti+%28Rinascita+-+Tutti%29#sthash.NaNnDH2C.dpuf

Dresda brucia ancora

Posted By Redazione On 11 febbraio 2014 
 
Era assolutamente necessario che i bombardieri inglesi ed americani apparissero come la spada del Signore. Gli alleati non avevano scelta. Se non affermavano solennemente, se non provavano con qualsiasi mezzo di essere stati i salvatori dell’umanità, non erano che assassini. Se un giorno gli uomini cesseranno di credere alla “mostruosità tedesca”, non domanderanno conto delle città distrutte?
 
 (Maurice Bardèche, I servi della democrazia, Milano, Longanesi, 1949)
 
 [3]
Di Germana Ruggeri e Pietro Ferrari
 
Il 13 febbraio 1942 apparvero in Inghilterra le nuove linee guida per la guerra aerea: esse stabilirono che la popolazione civile dovesse essere il bersaglio principale degli attacchi. Come dichiarò il capo di stato maggiore dell’aviazione militare britannica, Sir Charles Portal, in un memorandum indirizzato al maresciallo Arthur Travers Harris, responsabile del Bomber Command della Royal Air Force: “Spero sia chiaro che i bersagli dovranno essere le aree residenziali, anche qualora esse non fossero specificamente menzionate nelle istruzioni, al pari delle installazioni portuali e delle fabbriche”.
Il bombardamento dei quartieri civili divenne la regola e doveva accelerare, nelle previsioni degli alti vertici , la fine della guerra; la strategia era il moral bombing, lo scopo quello di abbattere il morale del nemico e fiaccarne la volontà di resistenza. La dottrina del maresciallo dell’aria Sir Hugh Trenchard, capo di stato maggiore dell’aviazione militare britannica dal 1919 al 1929, – dottrina destinata ad ispirare l’operato della R.A.F. –, individua così il bersaglio dell’aviazione: “Tutto quello che contribuisce alla capacità d’offesa del nemico e alla sua volontà di lotta”.
 
I civili non rappresentano obiettivi militari in sé, ma se contribuiscono alla produzione di  equipaggiamenti, materiali, dotazioni e tecnologie militari o vivono nelle vicinanze di industrie del settore, le cose cambiano: diventano bersagli da colpire senza alcun appello.  Il bombardiere non discrimina tra le sedi industriali e i luoghi di insediamento della popolazione. Il trauma del bombardamento di saturazione piega il morale di chi sopravvive.
 
La città di Amburgo conobbe la prima tempesta di fuoco (Feuersturm) della storia della Seconda guerra mondiale nell’estate del 1943. Obiettivo militare primario per la presenza dei cantieri navali Blohm & Voss che producevano circa il 45 % dei sommergibili tedeschi, il suo porto era il più attivo dell’Europa. L’area investita dal devastante bombardamento incendiario comprendeva i grandi quartieri di Rothenburgsort, Hammerbrook, Borgfelde e HammSüd, i più densamente popolati, per lo più da famiglie di operai.
 
Fin dalla tarda estate del 1944, presso l’Alto Comando Interalleato, si prese a lavorare alla pianificazione del cosiddetto Piano Thunderclap (Colpo di Tuono), suggerito inizialmente da Sir Charles Portal per dare il colpo di grazia al morale del popolo tedesco. In senso strettamente tecnico si trattava di eseguire una serie di raid aerei dagli effetti calcolatamente disastrosi, sula scala di Amburgo 1943, allo scopo di gettare la Germania nel caos nel momento in cui le masse di profughi,  che fuggivano davanti all’avanzare dell’Armata Rossa verso l’interno della Germania, avrebbero creato alle autorità del Reich problemi logistici, di approvvigionamento e di ordine pubblico.
 
Il 26 gennaio 1945 il segretario di Stato britannico per l’aviazione, Sir Archibald Sinclair, scrisse a Churchill che “Berlino e le grandi città della Germania orientale, come Lipsia, Dresda e Chemnitz, non sono solo dei centri amministrativi che controllano i movimenti militari e civili, ma anche centri di comunicazione primari attraverso i quali passa il massimo del traffico tedesco”. Sinclair aggiunse che la possibilità di attaccare pesantemente queste città era all’esame degli strateghi della Royal Air Force.
 
Il giorno stesso Churchill gli rispose: “Ieri sera … vi ho chiesto se Berlino, e senza dubbio, altre grandi città della Germania orientale, potrebbero essere considerate adesso come obiettivi particolarmente attraenti. Sono contento che questo sia ‘sotto esame’. Vi prego di riferirmi domani che cosa sta per essere fatto”.
 
“Obiettivi particolarmente attraenti”: la città di Dresda – “Wunderstadt”, città delle meraviglie – lo era sicuramente..
 
 [4]
 
Nel Settecento, Dresda fu definita da Johann Wolfgang von Goethe “Scrigno delle meraviglie”, mentre il filosofo Johann Gottfried Herder, amico di Goethe,  le tributò il titolo di “Firenze sull’Elba”.  Già capitale medievale degli Elettori di Sassonia, Dresda custodiva nel cuore della città vecchia piccole case dai tetti aguzzi in legno e mattoni fulvi risalenti all’epoca di Albrecht Dürer e Lutero, vicoli punteggiati di taverne e birrerie. Sotto impulso di sovrani come Federico Augusto I il Forte e di suo figlio Federico Augusto, Dresda si trasformò in uno scrigno di tesori, collezioni d’arte, gioielli architettonici unici, fiabeschi palazzi barocchi (fra questi lo Zwinger) e rococò, chiese adorne di pinnacoli, guglie, cupole, parchi magnificamente coltivati che invitavano i residenti a lunghe passeggiate.
 
Altre città tedesche conobbero l’orrore del Feuersturm: la già citata Amburgo,  Essen,  Kassel, Darmstadt,  Brunswick. Altre come Wuppertal furono spazzate via dalla faccia della terra nel giro di una notte.
 
Cosa distingue allora il bombardamento di Dresda?
 
Dresda era una città culturale, una città artistica, non un sito industriale, checché taluni ne dicano. Nel 2005, in occasione del 60° anniversario della distruzione della città, il sindaco di Dresda Ingolf Roßberg, appartenente al Freie Demokratische Partei, partito politico tedesco di orientamento liberale, rilasciò una dichiarazione sconcertante, riportata dal quotidiano Die Welt in  data 12 febbraio: ”Dresden war im Februar 1945 das größte noch existierende Zentrum der deutschen Rüstungsindustrie. Deshalb müssen wir uns von der Formel der ‘unschuldigen Stadt’ lösen.“ (Nel febbraio 1945, Dresda era il più grande centro esistente dell’industria tedesca degli armamenti. Pertanto, dobbiamo abbandonare lo schema della “città innocente”). Non soltanto tale dichiarazione non corrisponde al vero, ma va ricordato che – com’è ampiamente documentato e documentabile – il bombardamento non inflisse danni significativi agli stabilimenti industriali (peraltro di scarso interesse strategico) situati nei sobborghi della città. Le bombe ad alto esplosivo e gli oltre seicentomila ordigni incendiari sganciati dalla Royal Air Force caddero sui quartieri centrali, ovvero su aree residenziali.
 
Prima di allora, la città  aveva conosciuto due soli bombardamenti nell’arco di tutta la guerra: il 17 ottobre 1944, trenta velivoli dell’ottava armata aerea avevano bombardato edifici industriali nei sobborghi di Dresda-Loebtau e Dresda-Friedrichstadt, causando la morte di quasi 500 persone, per la gran parte lavoratori e prigionieri alleati adibiti come manodopera nelle fabbriche. Nuovamente, il 16 gennaio 1945, gli scali ferroviari di Dresda-Friedrichstadt erano stati colpiti ed i morti erano stati 376, ma anche questa volta nessuna bomba era caduta  sul centro della città.
 
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Dresda, una tra le più belle e romantiche città d’Europa, si considerava privilegiata. A tal punto era radicata nei suoi abitanti la convinzione che potesse uscire relativamente indenne dalla guerra che era dotata di una difesa contraerea assai limitata. Una sola squadriglia di caccia notturni Messerschmittera stanziata nell’aeroporto di Dresda-Klotzsche e poteva decollare solo su precisa autorizzazione dell’Alto comando della Luftwaffe.
 
Per lo storico inglese David Irving, Dresda era da considerarsi città indifesa secondo i termini della convenzione internazionale dell’Aja, in quanto dall’ ottobre 1944 ebbe inizio la dispersione della sua contraerea. Aumentando l’offensiva dell’Armata Rossa sul fronte orientale e la penetrazione delle divisioni corazzate alleate all’interno della Germania occidentale, la contraerea fu richiesta in altre zone ove ve n’era più bisogno.
 
Molti piloti britannici rimasero sorpresi dal silenzio assoluto della contraerea, testimoniandolo in vario modo. Dal giornale di bordo del puntatore a bordo dell’aereo del comandante Le Good: “13-14 febbraio 1945, Dresda. Niente contraerea”.
 
La contraerea rimase silenziosa semplicemente perché la città ne era sguarnita, ritenendosi al riparo da attacchi aerei massicci.
 
Fu così che Dresda divenne la meta di centinaia di migliaia di profughi, la maggior parte dei quali donne e bambini, in fuga dall’Armata Rossa, giunti nella città sull’Elba perché avevano sentito dire che si trattava di un luogo sicuro, che non sarebbe stato preso di mira dai bombardamenti in quanto privo di fabbriche di munizioni e di installazioni militari significative. Gli alleati sapevano della presenza in città di una grande quantità di rifugiati.
 
Secondo lo storico tedesco  Götz Bergander, autore del saggio “Dresden im Luftkrieg: Vorgeschichte – Zerstörung – Folgen” (Flechsig Verlag, 1998) gli sfollati presenti in città in quei giorni di febbraio ammontavano a duecentomila.  Altre fonti stimano  a mezzo milione il numero dei rifugiati. In città vi erano ben 25 centri ospedalieri messi a disposizione dei soldati feriti e della popolazione civile. Dresda ospitava inoltre non meno di 26.000 prigionieri alleati, per la massima parte inglesi, i quali godevano di una libertà di movimento altrove inconcepibile.
 
David Irving sottolinea questo particolare perché in base all’articolo 9 della convenzione internazionale di Ginevra (27 luglio 1929) i prigionieri di guerra “non dovevano essere tenuti in luoghi scelti in modo da rendere certe zone strategiche immuni dai bombardamenti”. I tedeschi si erano sempre attenuti scrupolosamente a questa norma, come confermato dalla neutrale Svizzera.
 
Tra i prigionieri di guerra presenti in città figurava lo scrittore Kurt Vonnegut, tedesco di origine, americano di quarta generazione, il quale si salvò trovando rifugio nei sotterranei del mattatoio. In seguito fu adibito assieme ad altri, prigionieri e non, al recupero dei cadaveri dalle macerie delle abitazioni. Tornato a casa dopo la guerra, Vonnegut iniziò a scrivere racconti e nel 1969 mise mano ad un’opera incentrata sulla sua esperienza di prigioniero di guerra e testimone oculare del bombardamento incendiario di Dresda. Il libro, “Mattatoio n. 5 o La crociata dei bambini”, fu messo al bando in diversi stati americani per la denuncia fattavi del massacro compiuto dalla R.A.F.
 
In un’intervista rilasciata a The Independent, 20-12-2001, p.19, Vonegut dichiarò senza mezzi termini: “Voi, ragazzi [gli inglesi, ndr], l’avete ridotta in cenere, trasformata in un’unica colonna di fuoco. Sono morte più persone lì, nella tempesta di fuoco, in quell’unica grande fiamma, che a Hiroshima e a Nagasaki messe insieme”.
 
Quando si accenna all’orrore di Dresda, la replica sovente è il più odioso di tutti i cliché: “E’ la guerra” oppure “Hanno iniziato loro, se la sono cercata”.
 
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In un articolo apparso sul National Journal  nel 2008, Thomas Brookes sottolinea che “fu l’Inghilterra ad iniziare i bombardamenti terroristici contro la popolazione civile tedesca, ben due giorni dopo la dichiarazione di guerra. I primi raid terroristici vennero effettuati il 5 settembre 1939 contro Wilhelmhaven e Cuxhaven; il 12 gennaio 1940 venne bombardata Westerland/Sylt. Il 20 marzo vennero attaccate Kiel e Hoernum/Sylt, con bombe incendiarie che distrussero un ospedale. Nell’aprile 1940, i bombardieri inglesi attaccarono altre città prive di importanza militare”.
 
Fu solo in seguito a tali incursioni che il governo tedesco ordinò alla Luftwaffe di colpire la capitale britannica. L’incursione su Coventry, che provocò ottocento vittime, non avvenne prima del 14 novembre 1940.
 
L’attacco aereo su Dresda fu un crimine odioso, accuratamente pianificato a tavolino e condotto contro una popolazione civile inerme. A distanza di anni il generale d’aviazione Sir Robert Saundby, nella sua prefazione al libro di David Irving, sentirà il bisogno – quasi per rimuoversi un peso dalla coscienza – di sottolineare che, pur avendovi preso parte, non era in alcun modo responsabile di quella decisione, esonerando anche il suo comandante in capo, Sir Arthur Harris, e adducendo a mo’ di giustificazione la tesi secondo cui essi avevano obbedito a un ordine ricevuto dal Ministero dell’Aria che, a sua volta, rispondeva ai più alti rappresentanti del Governo.
 
Una tesi ritenuta non ricevibile quando viene addotta da ex militari tedeschi: basti citare i casi dell’ultranovantenne Alfred Stork o, prima ancora, di Erich Priebke.
 
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Quante furono le vittime del massacro di Dresda?
 
Non vi è accordo in merito tra gli studiosi.
 
Secondo Hermann Knell, autore di “ToDestroy a City: Strategic Bombing and Its Human Consequences in World War II” (Da Capo Press, 2003) le vittime identificate sarebbero 35.000, mentre rimarrebbe difficile da accertare il numero delle vittime non identificate e non identificabili.
 
Nel febbraio del 2005, fu insediata a Dresda una “Commissione di storici per l’ accertamento del numero di vittime dei raid aerei sulla città di Dresda il 13-15 febbraio 1945”.  Dopo quattro anni di lavoro tale commissione arrivò alla conclusione che la cifra vada compresa tra i 22.700 e i 25.000 morti.
 
Nel 1955, l’ex Cancelliere della Germania Ovest, Konrad Adenauer dichiarò: “Il 13 febbraio del 1945 l’attacco alla città di Dresda, che era sovraffollata di profughi, provocò circa 250.000 vittime” (Deutschland Heute, edito dall’ufficio stampa e informazioni del Governo Federale, Wiesbaden, 1955, p.154).
 
Negli ultimi decenni la tragedia di Dresda si è trasformata in un caso politico. Essa del resto rappresenta, sin dalla primavera del 1945, una vera e propria spina nel fianco per i propagandisti della “Crociata in Europa” (come recitava il titolo del libro di memorie del generale Dwight Eisenhower). L’assassinio mediante il fuoco di decine di migliaia di civili nella città sull’Elba è una macchia indelebile sull’ “albo d’onore” dei Vincitori, più che mai decisi a preservare – e ad eternare – la propria reputazione di paladini del Bene e salvatori dell’umanità dal Male assoluto incarnato dal Terzo Reich.
 
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Trascorso un mese dal bombardamento, le autorità tedesche vietarono le sepolture collettive e per scongiurare il rischio di epidemie fu presa una decisione drastica. Nella piazza dell’Altmarkt furono allestiti giganteschi roghi utilizzando le putrelle d’acciaio rimosse dalle macerie dei magazzini Renner e blocchi di mattoni. Su queste pire furono accatastati centinaia e centinaia di corpi, tra cui quelli di numerosi bambini.
 
L’insofferenza dei Vincitori e dei loro supporter in Germania si è andata accrescendo a dismisura negli ultimi anni, per la precisione da quando la città di Dresda è divenuta la meta di migliaia di europei decisi a commemorare con compostezza, nell’anniversario della strage, le vittime del bombardamento incendiario.
 
La stampa borghese (Die Zeit e Der Spiegel su tutti) ha sbrigativamente bollato come “neonazisti” i partecipanti alla Trauermarsch. Dal canto loro, ogni anno Linke e antifà al grido di “Deutsche Täter sind keine Opfer!” (I carnefici tedeschi non sono vittime) mettono in atto iniziative di boicottaggio volte ad impedire lo svolgimento della pacifica Marcia commemorativa.
 
Le istituzioni, dal canto loro, hanno pensato bene di “calare l’asso” insediando la già citata Commissione di storici. Ridurre a ventimila le vittime dell’incursione, negare che esistano prove della presenza di masse di sfollati in città e che siano stati compiuti mitragliamenti ai danni dei civili che avevano trovato scampo sulle rive del fiume: guarda caso, tutto ciò era esattamente quanto i Vincitori – e i loro supporter in Germania – desideravo ratificare ed imporre come la “verità” sui fatti di Dresda. Non per nulla, il citata Commissione di storici. Ridurre a ventimila le vittime dell’incursione, negare che esistano prove della presenza di masse di sfollati in città e che siano stati compiuti mitragliamenti ai danni dei civili che avevano trovato scampo sulle rive del fiume: guarda caso, tutto ciò era esattamente quanto i Vincitori – e i loro supporter in Germania – desideravo ratificare ed imporre come la “verità” sui fatti di Dresda. Non per nulla, il 10 febbraio 2008, sullo pagine dello Spiegel lo storico britannico Frederick Taylor, autore del saggio “Dresden: Tuesday, February 13, 1945” (Harper Perennial, 2005)  levava un peana alle risultanze della Commissione. Quello stesso Frederick Taylor che ha basato tutto il suo libro sulla tesi secondo cui Dresda ospitava un importante snodo ferroviario e industrie belliche di rilievo e poteva rappresentare, pertanto, un bersaglio legittimo.
 
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Lo scenario apocalittico di Dresda dopo il criminale bombardamento anglo-americano. Edifici sventrati, polverizzati, corpi dilaniati dalle esplosioni, carbonizzati dal fuoco, inceneriti dal calore, asfissiati dai gas di combustione e dalla mancanza d’aria nelle cantine e nei rifugi. La “città ospedaliera che mai sarà bombardata”- da un articolo scritto da Dennis Brock per la rivista Clarion-  avrà quasi tutti gli ospedali distrutti dal bombardamento ma la macchina organizzativa del partito si metterà alacremente in moto per sopperire ai bisogni urgenti dei sopravvissuti. Furono prontamente istituiti centri di soccorso gestiti dal Bund Deutscher Mädel e dalle Frauenschaften, i servizi ausiliari femminili del partito.
 
Letture consigliate:
 
G. Bonacina, Comando Bombardieri, Milano, Longanesi, 1975.
 
Piero Buscaroli, Paesaggio in rovine, Milano, Camunia, 1979.
 
Jörg Friedrich, La Germania bombardata. La popolazione tedesca sotto gli attacchi alleati. 1940-1945, Milano, Mondadori, 2004.
 
David Irving, Apocalisse 1945. La distruzione di Dresda, Brescia, Settimo Sigillo, 2004.

ARRUOLATEVI NELLE GUERRE AMERICANE ADESSO NEL MENU C’E’ ANCHE LA PIZZA

Michelle Richardson, ricercatrice al centro Natick Soldier dell’ U S Army, un laboratorio di ricerca con sede nel Massachusetts, ha dato,  con l’ annunzio di aver creato una pizza che resta commestibile, tre anni tre, la prova di cosa possa  realizzare la scienza e a quali estremi  possa giungere quando non si tiene nel debito conto il fattore umano.
Dal punto di vista scientifico, pare che il risultato sia stato ottenuto con l’aggiunta di sali, zuccheri ed altri ingredienti a me sconosciuti che hanno la proprietà di impedire l’inumidimento – fonte di batteri –  provocato dal pomodoro ed altri umori.         A parte la temperatura ambiente a cui viene servita, pare che abbia tutte le caratteristiche organolettiche di una pizza almeno come la intendono gli yankee.
Che qualcosa non funzionasse nelle menti dei burocrati del Pentagono l’avevo intuito (buon ultimo ?) quando, dopo aver segnalato l’aumento di suicidi tra i militari dell’aeronautica USA per due anni di fila con post su questo blog, ho visto che il rimedio apportato è consistito in uno sviluppo di tecnologie atte a portare attacchi aerei con i Drone, gli aerei senza pilota che consentono a trattare gli omicidi mirati in Pakistan come una pratica amministrativa da espletare con una punta di fastidio dalla poltrona del videogioco situato a Tampa ( Florida).
Per poi andare a farsi una pizza alla mensa e un bagnetto a Miami beach.

La follia  burocratica si era spinta fino al punto di varare un decreto per l’attribuzione di apposite  decorazioni per questi Guerrieri da Balestra   il cui tasso di errori – ossia di omicidi delle persone sbagliate – giunge al 50%.
La reazione degli ex combattenti americani pare sia riuscita a scongiurare   almeno questo  grottesco risvolto che andava ad aggiungersi alla  disonorevole aberrazione di ammazzare  tavolino le persone sbagliate. Le razioni di combattimento non sono mai state piatti da gourmet, tanto che le  RBE ( così l’acronimo) furono ribattezzate dai soldati della prima guerra del golfo come Refused By Ethiopians , perciò, qualcuno deve aver  pensato che una buona pizza avrebbe potuto essere il giusto conforto per i soldati  in zona di operazioni.
L’ex colonnello  ed ora P.R. del laboratorio, David Accetta – ci informa Le Figaro – ha dichiarato che un buon pezzo di pizza caldo può dare un senso di comfort che ricorda ai militi il calore di casa.

A Napoli è sempre esistito uno strumento finanziario chiamato ” pizza a sette giorni” : la mangiavi il giovedì e la pagavi il giovedì successivo.  Adesso abbiamo la “pizza a tre anni” del laboratorio  Natick Soldier da usare come strumento di motivazione umana.
Complimenti allo chef.

Antonio de Martini
Fonte: www.corrieredellacollera.com
20.02.2014

Nave cargo si schianta contro una diga: rischio disastro ambientale in Francia

Di Agnese Tondelli su febbraio 18, 2014
Ancora una volta, un incidente in mare che coinvolge una nave che trasporta gasolio. Scongiurato, per poco, il disastro ambientale in Francia dove un’imbarcazione spagnola ha urtato una diga nelle acque dell’Atlantico, spezzandosi in più parti.
Scongiurato per poco, in Francia, il disastro ambientale. Lo scorso 5 febbraio, infatti, una nave cargo spagnola, di nome “Luno”, si è scontrata contro una diga, vicino alla costa della città di Anglet, spezzandosi in 3 tronconi.

Per fortuna, hanno reso noto fonti ufficiali, la stiva dell’imbarcazione era vuota al momento dell’incidente. Sembra che la nave fosse diretta verso un porto vicino per caricare le merci, quando a un tratto il motore si è guastato. Le onde avrebbero così spinto l’imbarcazione  contro la diga. Nell’impatto, è rimasto ferito un uomo e, secondo le autorità francesi, solo una piccola quantità di carburante sarebbe stata riversata in acqua.
In questi giorni, le agenzie stampa hanno diffuso la notizia che, durante l’impatto, il mercantile spagnolo aveva disperso in mare “Verosimilmente 20 tonnellate di carburante, anche se le autorità francesi minimizzano sui rischi ambientali, che sono limitati e non dovrebbero avere conseguenze dirette sul litorale”.
Patrick Dallennes, vice-prefetto, durante una conferenza stampa a Parigi ha parlato di una “forte perdita” avvenuta a causa delle mareggiate e che poi, in un secondo momento, si sarebbe diluita.
Dopo un primo tentativo fallito, esperti incaricati dall’assicuratore del mercantile, accompagnati da tecnici, pompieri, e membri del centro di expertise anti-inquinamento (Ceppol), sono penetrati nel pomeriggio nella parte anteriore del relitto accertando che, dei tre serbatoi anteriori della nave, uno solo conteneva gasolio ed è comunque risultato “intatto”.
Così, la prefettura competente ha dichiarato che “la quantità e la natura del carburante contenuto nei serbatoi della nave naufragata non sono tali da provocare una marea nera”.
Le operazioni per pompare il gasolio contenuto nell’imbarcazione sono state effettuate nel pomeriggio stesso, da una società olandese specializzata nel salvataggio di mercantili in difficoltà. L’allarme inquinamento è così rientrato.
Restano però ancora da determinare le circostanze dell’incidente sulle quali sta indagando la magistratura e i mezzi per recuperare e rimorchiare quel che resta del cargo.
http://ambientebio.it/nave-cargo-si-schianta-contro-una-diga-rischio-disastro-ambientale-in-francia/

Europa pronta a imporre il mais OGM nonostante il parere contrario degli stati membri

vedete perché i governi nazionali sono “obsoleti”? A Bruxelles bastano due lobbysti e gli affari vanno a gonfie vele….questi governi che ostinano a voler l’ultima parola sono un ostacolo…..

Di Agnese Tondelli su febbraio 17, 2014
 
La maggior parte degli stati membri dell’Europa è contraria ma, con molta probabilità, la coltivazione del mais geneticamente modificato 1507, prodotto dal gruppo americano Pioneer sarà autorizzata in tutto il continente. Ecco perché.
Lo scorso 11 aprile, in Consiglio Ue una ventina di Paesi si era detta contraria all’autorizzazione a coltivare nel continente una nuova specie di mais geneticamente modificato, denominato “Ogm Pioneer 1507”. In quel contesto, la presidenza greca ha deciso di interrompere la procedura di voto, per l’assenza di una maggioranza qualificata. Così, la “patata bollente” è stata rinviata alla Commissione europea che, con tutta probabilità e in base alle regole attuali, senza un voto favorevole o contrario, può adottare automaticamente il via libera al mais 1507. Possibilità su cui il commissario maltese Borg si sarebbe mostrato favorevole.
Così, nel disperato tentativo di bloccare una decisione che assume a tutti gli effetti i tratti di un’imposizione, l’Italia e altri 11 Paesi membri hanno chiesto formalmente alla Commissione Ue di ritirare la proposta di autorizzazione.

Durante il dibattito in Consiglio, i Paesi che si sono detti contrari all’introduzione del mais 1507 sono stati una ventina.  A favore solo 5 Stati: Spagna, Regno Unito, Finlandia, Estonia e Svezia. Quattro, invece, avevano manifestato l’intenzione di astenersi: Germania, Belgio, Portogallo, Repubblica Ceca.

Nella lettera si legge: “La discussione di ieri al Consiglio ha reso chiaro che nella sensibile questione di autorizzare il mais Ogm Pioneer 1507, la soluzione è nelle mani della Commissione. Che è ancora nella posizione di ritirare la sua proposta”.
Già a gennaio, la maggioranza degli eurodeputati si era espressa in maniera contraria alla richiesta della Pioneer, sollecitando la Commissione Ue a non proporre o rinnovare le autorizzazioni di qualsiasi varietà di Ogm, fino a un miglioramento dei metodi di valutazione del rischio. Al momento del voto, infatti, i parlamentari hanno sottolineato come questo particolare tipo di mais possa rappresentare un rischio concreto per farfalle e falene, a causa di un gene che esprime la tossina insetticida Bt. Il mais 1507, inoltre, sarebbe resistente all’erbicida Glufosinato Ammonio, rischioso per la biodiversità.
Eppure, nonostante tutti questi dubbi e pareri contrari, Tonio Borg avrebbe già annunciato che l’approvazione sarà automatica, questo perché la “Corte di Giustizia ha stabilito il principio secondo cui l’esecutivo di Bruxelles, in assenza di indicazione politica dai governi, debba omologarsi al parere dell’Efsa, che non ritiene esistano abbastanza prove per bocciare il supermais”.
I 12 Paesi firmatari della lettera si dicono convinti che la Commissione non potrà ignorare le “preoccupazioni legali, politiche e scientifiche di così tanti Stati e del panorama politico”.

In risposta, Borg avrebbe commentato che nella lettera non c’è “nessun nuovo argomento”.
Per la Commissione, quindi, l’autorizzazione alla coltivazione del nuovo mais transgenico probabilmente sarà inevitabile. In barba alla libertà di scelta.
http://ambientebio.it/europa-pronta-a-imporre-il-mais-ogm-nonostante-il-parere-contrario-degli-stati-membri/

Anche Moody’s boccia la Svizzera: «Esito referendum negativo per le banche»

se sciacalli speculatori come le ag di rating confermano che l’immigrazione serve alle banche…altrimenti perché questa minaccia? Non è il caso di farsi domande? Gli speculatori sono interessati alla libera circolazione del capitale umano per pura compassione umanitaria? E chi sostiene la libera circolazione quindi sostiene le banche e i loro giri?

18 febbraio 2014

L’esito del referendum del 9 febbraio in Svizzera che ha visto l’approvazione con una piccola minoranza dell’iniziativa mirante a porre delle quote sull’immigrazione, é negativo per il profilo di credito della stessa Svizzera (Aaa Stabile) e delle sue banche. È quanto osservano oggi gli analisti di Moody’s secondo cui «limitare l’immigrazione avrà probabilmente effetti negativi sul potenziale di crescita del paese, sulla sua ricchezza e sulla sua forza economica complessiva».
Nel corso dell’ultima decade, prosegue Moody’s, la Svizzera «ha beneficiato di forti influssi di lavoratori altamente qualificati». Moody’s ritiene che «questo abbia aiutato a mitigare gli effetti contrari dell’invecchiamento della popolazione e della mancanza di manodopera specializzata, contribuendo di conseguenza in maniera positiva all’occupazione e alla crescita economica». L’esito é negativo anche per la qualità degli asset delle banche elvetiche e, «potenzialmente, per la loro capitalizzazione».
«L’introduzione di quote sull’immigrazione dei lavoratori – osserva l’agenzia di rating – potrebbe ridurre la domanda di alloggi, creando di conseguenza pressioni al ribasso sui prezzi delle abitazioni a uso residenziale». Inoltre «ripercussioni negative sui rapporti commerciali tra Svizzera e Unione Europea potrebbero mettere sotto pressione le attività orientate all’export, portando a un indebolimento della qualità degli asset aziendali».
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-02-18/anche-moody-s-boccia-svizzera-esito-referendum-negativo-le-banche-184357.shtml?uuid=ABK06Sx

ssssh dobbiamo goderci San Remo

Reggio Calabria: 22enne senza lavoro si toglie la vita. Padre tenta suicidio, in coma.
18 febbraio 2014
Era una famiglia normale e tranquilla, come tante altre, fino a stamattina quando Bruno Mazzitelli, da poco 22enne, s’è suicidato lanciandosi dal cavalcavia dell’A3 a Pentimele: un colpo durissimo per i genitori che mai si sarebbero aspettati un simile gesto da una persona che tutti raccontano come tranquilla e serena. Il padre, un apprezzato carrozziere della città, dopo l’interrogatorio con i Carabinieri è andato a salutare per l’ultima volta il figlio ma evidentemente dopo aver visto il cadavere non ha resistito ed ha provato a uccidersi a sua volta, tagliandosi le vene di entrambi i polsi. Adesso è ricoverato in coma nel reparto di rianimazione degli Ospedali Riuniti della città dello Stretto. Intanto gli inquirenti non riescono ad individuare il movente del folle gesto di Bruno: non aveva lavoro.(…)

Leggi tutto su net1news
http://www.crisitaly.org/notizie/reggio-calabria-22enne-senza-lavoro-si-toglie-la-vita-padre-tenta-suicidio-coma/

Palermo: Arriva lo sfratto 57enne minaccia il suicidio
18 febbraio 2014
Ha ricevuto lo sfratto e una donna di 57 in via Ausonia a Palermo ha minacciato di buttarsi giù dal quarto piano. Sono intervenuti carabinieri e vigili del fuoco al civico 150 per cercare di fare desistere la donna in preda ad una crisi. L’inquilina non aveva alcuna intenzione di lasciare l’appartamento.(…)
Leggi tutto su palermo.blogsicilia
http://www.crisitaly.org/notizie/palermo-arriva-lo-sfratto-57enne-minaccia-il-suicidio/

NAPOLI: OPERAIO DA 6 ANNI IN CIG SI COSPARGE DI BENZINA E MINACCIA DI DARSI FUOCO
Home  > Degrado sociale >  Napoli: Operaio da 6 anni in cig si cosparge di benzina e minaccia di darsi fuoco
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18 febbraio 2014
Si cosparge di benzina e minaccia di darsi fuoco davanti allo stabilimento, esasperato per la mancanza di lavoro che lo costringe da sei anni in cassa integrazione: è accaduto alla Magneti Marelli di Napoli (che fino a qualche anno fa produceva componentistica in plastica per lo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco), dove un operaio ha minacciato di darsi fuoco, ma è stato salvato dal tempestivo intervento dei colleghi che lo hanno dissuaso dal compiere il gesto. Secondo quanto si è appreso, l’uomo oggi si era recato nello stabilimento per cercare di parlare con il capo del personale, per verificare la possibilità di effettuare qualche trasferta in altri stabilimenti del gruppo. Ma il superiore era assente e l’uomo, una volta uscito dalla fabbrica, si è cosparso di benzina minacciando di appiccare il fuoco. Subito raggiunto da alcuni colleghi, l’operaio è stato dissuaso dal compiere il folle gesto, ma ha avuto un malore ed è stato portato in ospedale in codice verde per gli accertamenti del caso. «Ormai siamo disperati – spiegano alcuni colleghi dell’operaio – siamo in cig dal 2008, ed a luglio scadrà la cassa integrazione, dopodichè non sappiamo cosa ne sarà di noi. Dei circa 700 lavoratori in organico, oltre 200 dovrebbero andare nello stabilimento Fiat di Pomigliano, una cinquantina saranno accompagnati alla pensione, ed altrettanti potrebbero essere assunti dall’Adler. Ed il resto?». Sull’episodio la Fiom lancia l’allarme «sociale». «Dopo il suicidio dell’operaio in cig del reparto logistico Fiat di Nola, avvenuto qualche settimana fa – afferma Francesco Percuoco, responsabile settore auto per la Fiom di Napoli – oggi un altro operaio ha minacciato di uccidersi. Segnale che il disagio sociale è forte, e che bisogna interrogarsi su cosa sta accadendo per trovare soluzioni che permettano il rientro di tutti i lavoratori ancora in cig della Fiat e dell’indotto».

Fonte Ansa
http://www.crisitaly.org/notizie/napoli-operaio-da-6-anni-cig-si-cosparge-di-benzina-e-minaccia-di-darsi-fuoco/

Reggio Emilia: Crisi, imprenditore voleva soldi per curare figlia, tenta rapina
18 febbraio 2014
Era proprietario di due aziende di costruzioni che, a causa della crisi, sono inattive, l’imprenditore edile di origine calabrese che questa mattina ha sequestrato e tentato di estorcere denaro a un notaio di Reggio Emilia. La Beretta calibro 38 che aveva in mano era pronta per sparare. C’erano sei colpi nel caricatore di cui uno in canna, pronto a essere esploso, e il ‘canè dell’arma era alzato. L’allarme è stato dato alla polizia oggi verso le 9.30 da una parente del professionista. Sul posto sono intervenuti gli agenti della squadra mobile di Reggio Emilia, diretti da Domenico De Iesu, che con molta attenzione sono riusciti ad entrare nello studio. Il professionista era seduto dietro alla scrivania e davanti c’era il 47enne con l’arma pronta a sparare tra le gambe. I poliziotti lo hanno bloccato e disarmato. Condotto in questura, ha spiegato le ragioni del suo gesto. La crisi della aziende ha creato un grave disagio economico alla famiglia, tanto da non avere nemmeno i soldi per curare la figlia. Una situazione che lo ha portato alla disperazione. Ora il 47enne è stato ristretto nella casa circondariale di Reggio Emilia a disposizione del sostituto procuratore di turno Valentina Salvi. Il professionista, vista anche la sua conoscenza con l’imprenditore, ha preferito non fare denuncia.

Fonte Ansa
http://www.crisitaly.org/notizie/reggio-emilia-crisi-imprenditore-voleva-soldi-per-curare-figlia-tenta-rapina/