Niente decreto Salva Roma, il M5S ha vinto!

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“Il governo ha deciso di far decadere il decreto “Salva Roma“. Abbiamo vinto. Noi del M5S abbiamo vinto. E’ una delle più grandi vittorie perché questo decreto era il decreto Salva casta“: un insieme di marchette con cui il governo Letta cercava di cementare la sua maggioranza attraverso provvedimenti che hanno nome e cognome in cui sono state inserite norme che aiutano i lobbisti delle slot machine e sacrificano sugli altari del lucro gli enti locali che si oppongono alla malattia del gioco. Un provvedimento a seguito del quale dopo una nostra iniziativa la maggioranza e il governo capitolavano. Il governo decideva poi di reinserire ilnostro emendamento che permetteva alle amministrazioni pubbliche italiane di poter tagliare e rinegoziare i costosissimi affitti d’oro. Nel decreto c’era anche un provvedimento che permetteva la vendita delle municipalizzate romane in contrasto con il referendum del 2011. Il governo deve accettare di aver perso. E’ ora che questo Parlamento sia finalmente organo legislativo come da Costituzione. Basta con l’arroganza dei decreti d’urgenza! Il governo deve smetterla di mandare in Parlamento decreti contenenti bustarelle per i partitini di maggioranza. Dobbiamo promuovere legge d’iniziativa parlamentare, siamo qui per questo. Avete capito che noi facciamo sul serio. Siamo persone coerenti. Non vi lasceremo scampo su alcun provvedimento. Saremo garanti del bene dell’Italia e ricordatevi che il M5S mantiene sempre le sue promesse.” Federico D’Inca, capogruppo M5S Camera

Torna a tremare il Monte Paschi di Siena: truffa da 90 milioni di euro

Perquisizioni in tutta Italia. L’accusa è associazione per delinquere. Nell’inchiesta ci sono 11 indagati Decine di perquisizioni sono state eseguite all’alba di stamattina da parte della guardia di Finanza nell’ambito di un’inchiesta su Mps.
Le indagini derivano dal filone principale dell’inchiesta che ha riguardato gli ex vertici dell’istituto senese che facevano parte della «banda del 5%» così detta perchè su ogni operazione significativa pretendeva tale percentuale.

La magistratura procede per associazione transnazionale a delinquere aggravata finalizzata alla truffa ai danni della banca senese, che è dunque parte lesa nel procedimento. L’inchiesta riguarda una truffa al Monte dei Paschi di Siena per 90 milioni di euro, 47 dei quali già sequestrati in diverse tranche tra gennaio e ottobre 2013. Il raggiro sarebbe avvenuto attraverso movimenti di denaro su vari conti correnti intestati a società e fiduciarie con sedi in Paesi offshore.

Le perquisizioni sono state disposte dalla magistratura di Siena e sono svolte in varie regioni d’Italia da militari del Nucleo speciale di polizia valutaria della guardia di finanza. Nell’inchiesta vi sono 11 indagati tra ex funzionari della banca e broker finanziari. Tra loro figurano Gianluca Baldassarri, ex responsabile dell’area Finanza di Mps, il suo vice Alessandro Toccafondi, l’ex responsabile della filiale di Londra della banca senese Matteo Pontone, e Antonio Pantalena, anche lui ex funzionario Mps.

I magistrati avevano già effettuato rogatorie internazionali nei confronti di San Marino, Svizzera, Gran Bretagna e dell’Isola di Vanuatu, nell’Oceano Pacifico. Secondo quanto si è appreso, ora una nuova rogatoria sarebbe stata chiesta anche a Singapore, dove sono state rintracciate delle somme: i soldi trovati sarebbero riconducibili a Mps e altri soggetti.

I pm avevano chiesto l’arresto per otto persone per inquinamento probatorio e pericolo di fuga reale e concreto, come ha scritto il gip Ugo Bellini e dissipazione o schermatura dei proventi della truffa. L’ordinanza con la quale il gip ha derubricato la richiesta d’arresto in divieto di espatrio è di 35 pagine. Le indagini partirono dalla «cresta», del 5%, che secondo l’accusa Baldassarri e gli altri avrebbero preteso da quanti volevano fare affari con Mps, che infatti risulta parte lesa.
fonte: http://www.lettera43.it/economia/aziende/monte-paschi-di-siena-truffa-alla-banca-da-47-milioni-di-euro_43675123171.htm

Sorgenia, le solite banche in soccorso di De Benedetti

Le banche corrono in soccorso dell’Ingegnere per salvare la sua Sorgenia. Secondo quanto ha rivelato Milano Finanza, infatti, gli istituti di credito sarebbero disposti a convertire buona parte dell’esposizione del gruppo energetico – oggi di proprietà di Cir e partecipato dall’austriaca Verbund – prendendone così il controllo. L’orientamento di massima sarebbe emerso da un vertice tenuto tra tutte le principali banche (Mps, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Ubi, Bpm, Portigon e altre) alle quali Sorgenia deve rimborsare complessivamente 1,9 miliardi e che sono attualmente concentrate su una manovra finanziaria da 600 milioni.

LE STESSE banche, assistite da Rotschild in qualità di advisor, hanno chiesto alla holding Cir un aumento di capitale di almeno 200-250 milioni, a fronte dei 100 che la cassaforte dei De Benedetti è pronta a mettere sul piatto (considerata anche la liquidità incassata con il Lodo Mondadori) in cambio appunto della conversione di 300 dei 600 milioni oggetto della trattativa. I restanti 150 milioni potrebbero essere stralciati o diventare oggetto di un prestito convertendo di media-lunga durata. Lo scenario che sembra profilarsi a questo punto, è che gli istituti possano convertire il loro debito in capitale, diventando così prime azioniste della società. C’è però da capire se Mps, la più esposta e primo creditore di Sorgenia, sia disposta ad entrare in un mercato difficile come quello energetico.

Secondo alcuni analisti, invece, a De Benedetti converrebbe azzerare il valore della controllata e non partecipare alla ricapitalizzazione, anche perché la quota in questione è iscritta nel bilancio della Cir per appena 196 milioni. Non a caso, del resto, l’azzeramento della partecipazione è stata la strada scelta dal socio austriaco che si è ritirato dalla partita svalutando il suo 46% e si è anche dichiarato indisponibile a partecipare all’aumento.

Banche e cda si riuniranno lunedì prossimo anche perché il 5 marzo si terrà il cda decisivo per il futuro del gruppo che, dopo il blocco delle linee di credito da parte delle banche, ha un’autonomia finanziaria limitata, quantificata in circa un mese. Dalla galassia dell’Ingegnere sono arrivati ieri anche i conti del gruppo L’Espresso che chiude il 2013 con un utile netto pari a 3,7 milioni di euro, in netto calo rispetto ai 21,8 milioni registrati nel 2012. Mentre il fatturato, sceso in linea con le attese degli analisti del 12,4% a 711,6 milioni, ha risentito sia del calo dei ricavi diffusionali del 5,8% a 248 milioni (-10,1% la diffusione dei quotidiani) sia dei ricavi pubblicitari del 15,4% a 403 milioni. Invece i “ricavi diversi” sono rimasti pressoché stabili a 27 milioni (28,6 milioni nel 2012). Risultati che impongono una nuova dieta per gli azionisti: di fronte al calo dell’utile e dei margini, il cda proporrà infatti all’assemblea dei soci convocata per il 16 aprile di non distribuire dividendi. Anche il futuro resta incerto: “Crediamo che la società si stia preparando per un altro anno difficile con ulteriori risparmi sui costi, compresi i contratti di solidarietà e la riduzione dell’organico”, sostengono gli analisti di Banca Akros.

Marco Franchi
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
27.02.2014

Mare nostrum: oltre 10mila immigrati soccorsi in circa 4 mesi

non siamo accoglienti. Dovremmo ospitare un intero continente, anzi meglio, aumentare il tasso dei suicidi così liberiamo case. Ah giusto, noi non abbiamo disperati da aiutare. Non abbiamo nemmeno bisogno di un reddito di cittadinanza tanto siamo ricchi e benestanti. Solo ieri, ma ne avrete senz’altro sentito parlare in tv di loro, con offerte di aiuto e di una casa gratis. No vero?Avezzano: Tenta il suicidio dandosi fuoco, ma alcuni passanti lanciano l’allarme e la salvano

Varese: Difficoltà economiche, 34enne tenta suicidio con i gas di scarico

Preganziol: 30enne suicida sotto un treno, trovati biglietti in cui avrebbe giustificato i motivi

Schio: 40enne scomparso nei boschi, ritrovato morto, forse altro suicidio

Foggia: 270 lavoratori Metropol a rischio licenziamento

Bagheria: Senza paga da 2 mesi, 2 dipendenti della clinica ‘Villa Teresa’ su una gru
Una volta finita la cassa integrazione, quei pochi che ne hanno diritto, chi li ospiterà e pagherà loro da mangiare? La Littizzetto?

mercoledì, 26, febbraio, 2014
Si sono appena concluse le operazioni di soccorso di circa settecento persone arrivate a sud-est di Lampedusa a bordo di imbarcazioni fatiscenti. “Sono state 24 ore molto intense”, spiega all’Adnkronos il capitano di fregata Stefano Frumento, comandante di Nave Grecale, inserita nel dispositivo Mare Nostrum.
“Questi disperati – dice Frumento – si sono trovati in mezzo al mare in condizione disperate, buttati in mare da gente senza scrupoli”. Tra gli immigrati soccorsi 19 donne, 19 minori e un neonato. “Arrivano per la maggior parte dall’Africa subsahariana, sono tanti, stremati – racconta l’ufficiale di Marina – Bambini anche molto piccoli che arrivano in condizioni veramente pietose”.
“Per fortuna – rimarca – a bordo delle nostre navi abbiamo tutto ciò che serve per soccorrerli. Ci sono medici e infermieri pronti a fronteggiare tutte le situazioni”. Il problema “è che questi eventi non tendono a diminuire – sottolinea il comandante – Ora il tempo è peggiorato speriamo che non ci siano state ulteriori partenze”.
Ormai ammontano ad oltre diecimila quelli soccorsi dalle navi del dispositivo Mare Nostrum dal mese di ottobre, inizio dell’operazione, circa 6.500 ospitati nei centri organizzati sul territorio siciliano dove anche militari dell’Esercito italiano, impegnati nell’operazione ‘strade sicure’, collaborano all’accoglienza dei migranti anche con dei mediatori culturali capaci, attraverso la conoscenza della lingua araba, di interagire con i migranti.
A Mineo, dove c’è il Centro di accoglienza più affollato con 3823 immigrati ospitati, una pattuglia dell’Esercito vigila sulla sicurezza del paese, ma da quanto raccontano gli addetti ai lavori non si verificano casi di emergenza, hanno molto rispetto nei confronti dell’Esercito. L’altro centro con un folto numero di ospiti è Crotone, con 1593 presenze. A Milo, in provincia di Trapani, ce ne sono 164, a Salina Grande 297 e Pian del lago 566. (Adnkronos)
http://www.imolaoggi.it/2014/02/26/mare-nostrum-oltre-10mila-immigrati-soccorsi-in-circa-4-mesi/

Obama e la desertificazione della California

Posted By Miriam Lautan On 26 febbraio 2014
I candidati larouchiani prendono di petto la siccità e la negligenza criminale di Obama
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21 febbraio 2014 (MoviSol) – Michael Steger ha annunciato la scorsa settimana la sua candidatura alla nomina del Partito Democratico alle primarie per il Congresso in California. Coordinerà la sua campagna con quella di Kesha Rogers, candidata al Senato in Texas. Insieme, i due “LaRouche Democrats” hanno sottolineato l’urgenza di misure contro la siccità che sta colpendo gli stati dell’Ovest con gravi danni per l’agricoltura e la vita urbana, denunciando il cinico tentativo del Presidente Obama di sfruttare la catastrofe per imporre politiche anti-umane sotto il manto dell’ambientalismo.
Sia Steger che la Rogers conducono una campagna a favore del North American Water and Power Alliance (NAWAPA), un grande progetto infrastrutturale per l’energia e l’acqua che, se fosse stato attuato negli anni Sessanta quando fu proposto, avrebbe impedito la siccità attuale portando l’acqua dall’Alaska e dal Canada nord occidentale fino agli stati inariditi dell’America occidentale, aumentando del 20% la fornitura di acqua corrente agli Stati Uniti. Inoltre, avrebbe “modificato” il clima, inverdendo i deserti ed aumentando le precipitazioni.
In un’intervista, Steger descrive la situazione creatasi in California a causa della scarsità di precipitazioni, che alcuni esperti hanno descritto come la peggiore siccità da 500 anni. Quasi il 91% dello stato è in condizioni di “grave siccità” o peggio, e la carenza d’acqua ha portato a misure di emergenza. Un esempio: il Progetto Idrico Statale, che in passato forniva acqua a 25 milioni di persone ed irrigava quasi 1 milione di acri di terreno coltivato ad agricoltura intensiva, quest’anno fornirà lo ZERO per cento del proprio obbligo contrattuale. Questo significa che alcuni dei terreni agricoli più ricchi d’America, che producono oltre il 50% delle verdure a foglia verde consumate, quest’anno non pianteranno niente.
Sia in California che in Texas, colpito anch’esso da una “grave siccità” sono state ridotte le mandrie di bestiame, riducendo drasticamente la produzione di carne e prodotti caseari, e con la riduzione delle scorte i prezzi sono saliti alle stelle.
Di fronte a questa emergenza, il Presidente Obama ha offerto un misero aiuto di 300 milioni di dollari, annunciando invece un miliardo di dollari al “Climate Change Resilience Fund” per il 2015, un fondo che si limiterà a promuovere un mucchio di stupidaggini ambientaliste. Inoltre, durante la sua recente visita in California, ha insistito sull’uso dei prodotti agricoli, già scarsi, per la produzione di biocarburanti, e dell’acqua già scarsa per il fracking (fratturazione idraulica).
Sia la Rogers che Steger hanno citato la non risposta di Obama di fronte all’emergenza idrica come l’ennesimo esempio del suo totale disinteresse per il benessere del popolo americano.
Steger si candida contro Nancy Pelosi, capogruppo della minoranza democratica alla Camera dei Rappresentanti, originaria della California, da sempre sostenitrice di Obama e nota per i ricatti con cui ha costretto i democratici a votare a favore della legge Dodd Frank e della riforma sanitaria di Obama, due disegni di legge da cui traggono beneficio solo i cartelli finanziari delle assicurazioni e le grandi banche.

COLPO DI STATO IN TURCHIA IN STAND BY

Posted By Alessandra Drago On 25 febbraio 2014
 
febbraio 24, 2014
 
Mahdi Darius Nazemroaya, Global Research[2], 14 febbraio 2014
 
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[3]A prima vista, gli scandali turchi emersi nel dicembre 2013 sembrano essere casi di corruzione ordinaria, ma sotto la superficie si svolge una lotta per il potere. A differenza delle proteste del Parco Gezi, questo confronto è tra chi detiene il potere, non solo tra governo turco e una sezione dell’opposizione. I due antagonisti sono, in un angolo i gulenisti, gli accoliti dell’influente studioso statunitense Fethullah Gulen (il predicatore d’”oltre oceano”) nel partito Giustizia e Sviluppo (AKP) e nelle istituzioni statali turche, e i seguaci del primo ministro Erdogan e ciò che può essere definita la fazione nazionalista de AKP nell’altro angolo. L’Iran sembra essere stato incastrato nel fuoco incrociato tra le due cricche turchi rivali per via del coinvolgimento della Halkbank.
 
Vendetta, indagine per corruzione dell’AKP o operazione di cambio di regime?
  
[4]Le tensioni tra i gulenisti ed Erdogan e i suoi alleati si accumulavano da qualche tempo, ma il divorzio si è svelato in pieno quando il governo turco ha annunciato, nel novembre 2013, che chiudeva scuole e tutorati privati turchi. Un attacco ai gulenisti per indebolirli, perché gestiscono numerose scuole private in Turchia e nel mondo per i lucrosi profitti nonché per reclutare ed indottrinare nuovi membri. Già un precedente scandalo riguardo i colloqui segreti di pace con i separatisti curdi, nel 2012, vide lo scontro tra i due campi, la chiusura delle scuole è il punto di non ritorno. La decisione di Erdogan ha trasformato la silenziosa lotta di potere interna tra le due fazioni in una guerra aperta. La frattura è apparsa con le dimissioni del deputato Idris Bal dall’AKP, il 30 novembre, in segno di protesta per la chiusura delle scuole private. Le dimissioni di Bal sono state seguite dalle dimissioni del deputato Hakan Sukur, un gulenista, il 16 dicembre. Sukur ha anche ammesso pubblicamente di aver consultato Fethullah Gulen sulla decisione. Hasan Yildirim Hami è un altro associato al movimento gulenista che avrebbe dato le dimissioni il 31 dicembre 2013. Il giorno dopo il ritiro di Sukur dall’AKP, furono avviate ufficialmente le indagini contro i membri dell’AKP e le loro famiglie, per riciclaggio di denaro, frode, corruzione e vendita illegale della cittadinanza turca. Le basi per tali indagini furono segretamente preparate nel 2012, lo stesso anno della battaglia per i colloqui di pace curdi. Tre indagini anticorruzione provocarono uno grosso scandalo per il governo turco. Gulenista o no, il procuratore capo era Zekeriya Oz, responsabile dell’inchiesta Ergenekon contro i militari turchi che avrebbero pianificato un colpo di Stato contro l’AKP. I procedimenti giudiziari in stile McCarthy di Oz furono una caccia alle streghe sostenuta inflessibilmente e lodata dal governo dell’AKP, che definì Oz un eroe nazionale.
 
Le foto infamanti delle scatole da scarpe piene di dollari trovate a casa del CEO di Halkbank trapelarono sui media ad opera degli investigatori turchi. La reazione del primo ministro Erdogan fu  dura. Intervenne direttamente nelle indagini, creando tensioni con polizia e magistratura. Il governo AKP era offeso dal fatto che non fosse stato consultato prima dell’avvio delle indagini. Tutte le unità di polizia e delle forze dell’ordine ebbero l’ordine di informare d’ora in poi i loro superiori, in sostanza il governo, per l’approvazione di tutte le indagini. Centinaia di poliziotti e agenti delle forze dell’ordine, tra cui i capi della polizia di Istanbul e Turchia, furono licenziati e l’AKP presentò un piano di ristrutturazione del sistema giudiziario turco. Comunque, per ordine del governo, i giornalisti non furono più autorizzati ad entrare nei dipartimenti di polizia turchi. Infine, il governo turco eliminò cinquemila persone dai loro incarichi, anche dalla direzione delle Telecomunicazioni (TIB), e dall’agenzia di regolamento e vigilanza bancaria (BDDK). Le motivazioni erano che l’AKP ripuliva le istituzioni statali dai gulenisti che stavano creando uno Stato parallelo e collaboravano con interessi stranieri. Erdogan dimise anche Oz, rivelando quanto fosse corrotto e quante diverse vacanze lussuose in tutto il mondo facesse ogni anno. Indicando la profondità della lotta interna, i media iniziarono a ricevere le umilianti registrazioni delle telefonate private del premier Erdogan, che parlava del suo tentativo d’insabbiamento.
 
Le indagini mirano a colpire i rapporti turco-iraniani?
  
[5]Ci fu uno scandalo corrispondente ma meno esplosivo in Iran, con rissa al Parlamento iraniano e molti parlamentari che denunciarono il governo. A Teheran fu arrestato il miliardario iraniano Babak Zanjani, il capo di Reza Sarraf/Zarrab in Turchia. Zanjani fu incaricato dal governo del Presidente Mahmud Ahmadinejad di eludere le sanzioni USA contro l’Iran. Lo scandalo Halkbank mise le operazioni di Zanjání sotto stretta sorveglianza delle autorità di Teheran. Dopo che lo scandalo in Turchia divenne pubblico, le autorità iraniane probabilmente si resero conto che Zanjani e i suoi soci intascavano molto più denaro del dovuto nel commercio segreto che dovevano favorire per conto di Teheran. Zanjani fu quindi accusato dalla polizia iraniana di essersi appropriato di circa due miliardi di dollari di fondi governativi. I media iraniani non unirono i puntini o discussero seriamente dei collegamenti tra Zanjani e Halkbank. Comprensibilmente, il governo e i suoi partner non volevano andare troppo in profondità sul modo con cui usarono Turchia e altri Paesi, tra cui la Cina, per aggirare il regime delle sanzioni USA. Il ministro dell’Intelligence iraniano Mahmud Alavi chiese persino, parlando all’agenzia Mehr, che i media iraniani non seguissero la faccenda della corruzione di Zanjani, per via degli effetti che potrebbe avere sugli investimenti nell’economia iraniana.
È importante essere consapevoli che lo scandalo in Turchia scoppiò quando il governo turco cercava di distanziarsi silenziosamente dalla politica neo-ottomana adottata all’esplodere della primavera araba del 2011. Mentre i legami politici di Ankara con Teheran e Mosca sono costantemente degenerati per via dell’abortito piano neo-ottomano del governo dell’AKP di ritagliarsi una sfera d’influenza nel mondo arabo, i funzionari turchi sempre più dolorosamente furono consapevoli che i legami turchi con Iran e Russia sono indispensabili. Ankara aveva ottimisticamente previsto che il governo siriano sarebbe crollato e che avrebbe poi riassunto i suoi legami con l’Iran e la Russia, ma lentamente comprese che l’ordine regionale neo-ottomano, originariamente previsto, è irrealizzabile. Perciò, negli ultimi mesi del 2013, il governo turco sembrò ammorbidire la posizione su Damasco, almeno pubblicamente, cominciando ad intraprendere un percorso per ricostruire i legami con l’Iran e la Russia. Vi furono anche numerosi rapporti che suggerivano che Ankara abbia chiesto a Teheran trattative a porte chiuse per riallacciare i rapporti con il governo siriano. Nel contesto dell’avvicinamento verso l’Iran e la Russia, il primo ministro Erdogan chiese al Presidente Vladimir Putin e ai funzionari russi, nel corso della conferenza stampa tenutasi a San Pietroburgo nel novembre 2013, di far entrare la Turchia nella Shanghai Cooperation Organization come membro a pieno titolo, promettendo che la Turchia avrebbe dimenticato ogni idea di adesione all’UE se entrava nella SCO. Non era la prima volta che Erdogan parlava dell’adesione della Turchia alla SCO, l’ultima volta fu durante un’intervista a Kanal 24 nel gennaio 2013. Questa volta, però, chiese anche che la Turchia aderisse all’Unione Eurasiatica che la Russia e le repubbliche alleate Kazakhstan e Bielorussia formano. Circa due mesi dopo la conferenza stampa di San Pietroburgo con Putin, Erdogan giunse a denunciare ed abbandonare la politica neo-ottomana dell’AKP, mentre  visitava il Giappone nel gennaio 2014. Dichiarò, in presenza dei suoi ospiti giapponesi, che Ankara aveva l’ambizione che la Turchia diventasse una potenza regionale e globale. Una posizione piuttosto diversa da quella che il ministro degli Esteri Davutoglu e Erdogan avevano sposato nel 2011. I turchi inoltre chiesero agli iraniani di partecipare alla seconda conferenza internazionale per la pace in Siria, in Svizzera, e che l’Iran fosse ospitato nella conferenza del 17 gennaio a Sanliurfa, dei Paesi confinanti con la Siria. Ankara iniziò ad allinearsi alle posizioni iraniane e russe sulla Siria coordinandosi su alcune questioni prima di Ginevra II a Montreux. Inoltre, il primo ministro Erdogan visitò Teheran alla fine di gennaio, nonostante l’avvertimento di Washington, forgiando un terreno comune sulla Siria.
 
L’ingerenza di Stati Uniti e Israele in Turchia?
 
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[6]Il governo turco accusa Stati Uniti e Israele dello scontro con i gulenisti, ripetendo le accuse del governo dell’AKP sulla mano straniera responsabile delle proteste del Parco Gezi. Tali affermazioni possono essere liquidate come tattiche diversive, ma hanno un certo peso. Sfruttando l’azione dell’Iran tramite la Turchia per aggirare le sanzioni, il governo degli Stati Uniti ha vietato le esportazioni di oro in Iran nel luglio 2013, forse nello stesso momento in cui gli investigatori turchi scoprirono che il CEO di Halkbank riceveva soldi da Sarraf/Zarrab, il che significa la possibilità che fossero stati informati dai canali statunitensi o viceversa, informando il governo USA attraverso il movimento gulenista o altri canali. Stati Uniti e Israele erano anche sconvolti dal fatto che Halkbank fosse utilizzata dall’India per comprarsi il petrolio dell’Iran. Il gruppo del primo ministro Erdogan denuncia un complotto internazionale contro la Turchia, mentre la fazione gulenista sostiene che Erdogan e i suoi alleati mentono per nascondere la loro corruzione. Una fazione molto più piccola dei media riferisce che la corruzione del governo è stata denunciata dai gulenisti per motivazioni politiche e per un cambio di regime. I gulenisti vengono dipinti come, consapevolmente o inconsapevolmente, agenti statunitensi e israeliani, pedine degli interessi di Washington e Tel Aviv. Il ruolo dei gulenisti nel rivelare servizi di Halkbank con Teheran supporta tale idea, perché colpisce gli interessi di Erdogan e dell’Iran. Vi sono anche altri fattori che rendono credibile l’idea che i gulenisti siano legati a Stati Uniti ed Israele. Questi fattori sono: l’opposizione di Fethullah Gulen agli sforzi turchi per inviare la flottiglia di aiuti ai palestinesi della Striscia di Gaza nel 2010, il riconoscimento di Gulen d’Israele quale autorità di Gaza, in linea con la sua posizione pro-israeliana, Gulen e la sua oscura aggressiva opposizione a una soluzione pacifica nella Turchia-Kurdistan settentrionale o nel sud-est della Turchia. Indipendentemente dalla natura dei loro legami con Washington e Tel Aviv, i gulenisti perseguono ulteriori obiettivi statunitensi e israeliani con le loro pretese sul Kurdistan. È una coincidenza che le stesse persone che negli Stati Uniti e in Israele parlano di dividere Siria, Iraq, Libano e Iran, parlano anche di dividere la Turchia. L’opzione militare nella Turchia/Kurdistan settentrionale che i gulenisti desiderano, avrebbe effetti negativi sulla Turchia e i Paesi confinanti. Destabilizzerebbe la Turchia polarizzandone i cittadini curdi e ampliando la frattura etnica tra turchi e curdi, catalizzando i curdi di tutta la regione contro il loro governo e dividendo la Turchia, uno scenario favorevole a Stati Uniti e Israele.
Non ci s’inganni nel pensare che il movimento di Fethullah Gulen sia sano. È un’organizzazione ombra con molti soldi e beni nel mondo, e nessuno sa come tutto ciò sia stato acquisito. Potrebbe benissimo essere finanziata dalla CIA per aumentare la propria influenza nel Caucaso e in Asia centrale. Il movimento ebbe anche chiuse le scuole in altri luoghi. Il vecchio Gulen può anche non avere alcun controllo sull’organizzazione. Funzionari governativi turchi inoltre evitano di menzionarne il nome, usando costantemente un linguaggio criptico. Le purghe mostrano che vi è una reale paura di loro. Le indagini sulla corruzione avviate dai gulenisti non hanno nulla a che fare con la legge. Le indagini sono una ritorsione di Gulen nella lotta per il potere con il primo ministro Erdogan ed i suoi alleati. I gulenisti non hanno mai avuto problemi con la corruzione del governo precedente. Ne fecero parte e invariabilmente guardarono dall’altra parte durante gli scandali precedenti, come ad esempio lo scandalo di Deniz Feneri, che la stessa magistratura insabbiò. Non va dimenticato che Erdogan stesso ha permesso ai gulenisti d’accedere a posizioni importanti. Non aveva nessun problema finché erano soci. Né va dimenticato che il suo governo è anche intimamente legato a Stati Uniti e Israele, sia apertamente che clandestinamente.
 
Il Jinni dell’incertezza esce dalla bottiglia?
 
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[7]La base dell’AKP si divide, essendovi crescenti mormorii sul primo ministro Erdogan. Vi sarebbero  tensioni tra lui e il presidente Abdullah Gul. Uno dei ministri dimessi, Erdogan Bayraktar, ha anche detto che Erdogan era pienamente consapevole di tutto ciò che accadeva chiedendogli provocatoriamente di dimettersi. Una rivolta nell’AKP contro Erdogan e i suoi luogotenenti potrebbe eventualmente erodere politicamente l’AKP. Le elezioni comunali turche di marzo 2014 attizzeranno tali fiamme. Forse come segnale del panico dell’AKP per le prossime elezioni comunali, i funzionari turchi hanno ordinato che le attività del Partito Repubblicano del Popolo (CHP), principale oppositore ad Istanbul, siano confiscate per un prestito inesigibile del 1998. La mossa sarebbe un modo per assicurare che l’AKP d’Istanbul resti al governo. Probabilmente vi sono ancora dei gulenisti nell’AKP che probabilmente mostreranno il loro vero volto con il tempo, forse quando scoppierà una rivolta nell’AKP contro Erdogan e i suoi alleati. La Turchia è stata danneggiata in diversi modi. La lira turca è caduta e la speculazione colpisce l’economia, per non parlare dei vertici del Tesoro degli Stati Uniti, responsabili delle sanzioni USA contro l’Iran, giunti  in Turchia per discutere della Halkbank. La magistratura turca ora è al centro della lotta nel governo. Mentre l’AKP sostiene di voler rimuovere elementi sovversivi, i suoi critici sostengono che cancella l’indipendenza del potere giudiziario subordinando ufficialmente i giudici al governo. I vertici militari turchi fanno coraggiose dichiarazioni nell’arena politica, chiedendo nuovi processi per i militari condannati. C’è il timore legittimo nell’intellighenzia turca del ritorno della tutela militare. La domanda che nasce da tutto ciò è se lo scontro tra Erdogan e i gulenisti sia volto ad impedire alla Turchia, danneggiata o meno, d’avere una politica estera indipendente che permetta ad Ankara di orientarsi verso Iran e Russia.
 
Articolo originariamente pubblicato da Russia Today, il 10 febbraio 2014.
Copyright © 2014 Global Research
 
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora[8]
 
 
Proteste pro Ocalan in Turchia
 
Le famigerate ONG non governative alimentano la protesta
 
 
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giornalettismo.com
 
24 Febbraio 2014 11:02:07
 
di Alberto Sofia – 24/02/2014 – Decine di manifestanti sono stati arrestati a Istanbul nel corso delle manifestazioni antigovernative per l’entrata in vigore della controversa normativa restrittiva su InternetDecine di manifestanti turchi sono stati arrestati a Istanbul nel corso delle proteste antigovernative per l’entrata in vigore della controversa normativa restrittiva su Internet.
 
La legge, ribattezzata come «liberticida» dalle opposizioni, dall’Unione Europea e dalle maggiori organizzazione non governative internazionali, rafforza il controllo dell’esecutivo sul web, mettendo a rischio la libertà d’espressione. Le manifestazioni di protesta sono sfociate in disordini con le forze dell’ordine, che hanno utilizzato idranti e gas lacrimogeni per disperdere i contestatori.LE PROTESTE PER LA NORMATIVA ANTI-INTERNET IN TURCHIA – Come riporta il New York Times,  i social network sono stati una fonte d’irritazione per il governo negli ultimi mesi, utilizzati come veicolo di diffusione per le informazioni sui funzionari governativi accusati di corruzione. Allo stesso modo sono stati pubblicate decine di fotografie e filmati sulla repressione da parte della polizia delle proteste, attraverso l’utilizzo di gas lacrimogeni e cannoni ad acqua. Gli scontri più accesi con le forze dell’ordine sono stati registrati nella via Istiklal,famosa passerella pedonale nel centro di Istanbul.
 
Il disegno di legge approvato in Parlamento la settimana scorsa – che istituisce un organismo di nomina governativa per la censura dei contenuti su Internet – è stato oggetti di forti contestazioni nelle ultime settimane e considerato come una nuova prova del potere autoritario del primo ministro Recep Tayyip Erdogan, da circa un decennio al potere. Nonostante gli inviti ad esercitare il suo potere di veto, era stato il presidente turco Abdullah Gul a promulgare lo scorso 19 febbraio la nuova normativa. Gul aveva giustificato la sua decisione con l’intenzione dell’esecutivo retto da Erdogan di modificare le parti più controverse del testo. Se nella prima versione la legge restrittiva conferiva alla nuova Autorità governativa per le telecomunicazioni il potere di bloccare un sito in caso di violazione della privacy o per contenuti discriminatori e offensivi senza bisogno di consultare l’autorità giudiziaria,  l’esecutivo ha poi accettato di modificare questa parte, obbligando l’authority a consultare un magistrato entro 48 ore per ottenere la conferma del provvedimento. Un emendamento che non ha però soddisfatti i detrattori della normativa, considerata soltanto un tentativo per frenare la diffusione degli scandali sulla corruzione. Circa 80mila persone, dopo la promulgazione della legge, hanno protestato in modo simbolico contro il presidente turco cancellandosi dall’account twitter di Gul. Per poi tornare per le strade di Instanbul.
 
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LA LEGGE SUL CONTROLLO DEL WEB E LO SCANDALO CORRUZIONE – Il ministro degli Interni turco ha annunciato ieri la rimozione di un migliaio di ufficiali di polizia,dopo lo scandalo corruzione che aveva travolto i vertici dell’esecutivo. Avviata anche una rimozione di massa di poliziotti e pubblici ministeri, ritenuta però dall’opposizione come un tentativo di allontanare «gli stessi funzionari che stanno combattendo la corruzione». Sempre sabato scorso, intanto, il Parlamento ha iniziato a discutere anche un altro controverso disegno di legge: in caso di entrata in vigore, darebbe ai servizi segreti turchi nuovi poteri, compreso l’accesso illimitato a tutte le informazioni private.
 
RISCHIO CENSURA – Diverse sono state le campagne on line lanciate per informare i cittadini turchi sui rischi dell’entrata in vigore della normativa restrittiva sul web. Il quotidiano Radikal ha cancellato alcuni contenuti dal suo sito ogni quattro ore, per drammatizzare l’impatto potenziale del limite di quattro ore che la nuova legge impone per la rimozione di contenuti considerati impropri da parte della nuova autorità. Altri due portali web, Bianet.org e Sosyalmedya.com, hanno utilizzato dei banner neri come simbolo della censura in atto. Cagil Omerbas, che scrive per Bianet, ha invece pubblicato un manuale  per aggirare sul web le restrizioni, attraverso l’utilizzo di server proxy e reti private virtuali. Come ha spiegato il Nyt, si stima che più di 30mila siti web siano già stati bloccati in Turchia.
 
 
Mercoledì, 26 Febbraio 2014 12:50
Turchia: tangentopoli, manifestazioni per dimissioni Erdogan
 
ANKARA – Nuove manifestazioni di protesta in diverse città della Turchia per chiedere le dimissioni di Recep Tayyip Erdogan dopo la pubblicazione su internet di telefonate compromettenti fra i premier e il figlio Bilal.
 
La polizia è intervenuta per disperdere con la forza i manifestanti. L’opposizione turca ha chiesto le immediate dimissioni di Erdogan dopo l’uscita su Youtube di registrazioni di telefonate nelle quali il premier chiede al figlio di nascondere ingenti quantità di danaro dopo l’esplosione della tangentopoli del Bosforo. Il leader dell’opposizione Kemal Kilicdaroglu ha invitato Erdogan “a dimettersi o lasciare il Paese”. Il premier ha reagito denunciando le registrazioni come “un montaggio” e parlando di un “odioso attacco” contro di lui.
 
La notte scorsa i manifestanti hanno fra l’altro cantato, scrive Cumhuriyet, ‘Tutto è menzogna, la corruzione è ovunque’, e hanno fatto sentire in piazza le registrazioni delle telefonate del premier.
 
 
Turchia: Governo prepara nuova legge tracciabilita’
 
Il Governo turco sta lavorando ad un duplice pacchetto di riforme economiche finalizzate a rafforzare i meccanismi di regolamentazione del mercato ma anche a introdurre nuovi incentivi per gli investimenti privati. La prima parte del pacchetto prevede interventi per tracciare tutti i movimenti di capitale, includendo anche le donazioni ed altre forme di trasferimento, con l’obiettivo di condurre una lotta efficace contro la corruzione ed i crimini finanziari. Verra’ anche costituito un board di magistrati specializzati in questa materia. La seconda parte del pacchetto consisterebbe invece in nuovi incentivi al settore privato diretti ad alleviare la pressione determinata dal recente rialzo dei tassi di interesse deciso dalla Banca Centrale.
 
(Il Sole 24 Ore Radiocor)

SALVA ROMA: SEL, OSTRUZIONISMO LEGA E M5S, INTERESSI ELETTORALI SULLA PELLE DEI CITTADINI

curioso, per lungo tempo era il clientelismo la malapolitica che ricadeva sulle spalle dei cittadini ma per il partito che difende i deboli come dimostra il decreto Bankitalia Boldrini non è dello stesso avviso. Sarebbe il 5 stelle a fare demagogia??????

(AGENPARL) – Roma, 26 feb – Il ritiro del decreto Salva Roma è un episodio preoccupante, soprattutto per il danno enorme che ciò significa per i servizi ai cittadini, per le aziende e per tanti lavoratori della Capitale. E’ quanto dichiarano i deputati Ileana Piazzoni, Sergio Boccadutri, Filiberto Zaratti e Celeste Costantino del gruppo Sinistra Ecologia e Libertà.
“All’atteggiamento di chi cerca di sovvertire l’esito delle elezioni amministrative romane sul piano programmatico attraverso, ad esempio, la privatizzazione di Acea, si aggiungono le vergognose azioni di ostruzionismo della Lega Nord e del Movimento 5 Stelle, che stanno usando i bilanci della Capitale come campo di battaglia per uno sterile scontro mediatico, prima ancora che ideologico.
Ricordiamo che il provvedimento ha come unica finalità quella di mettere la nuova Amministrazione capitolina nelle condizioni di risanare le casse comunali non con l’erogazione di fondi dello Stato ma solo concedendo tempi adeguati per un piano di rientro che sarà in ogni caso a carico dei cittadini romani”.
“E’ ormai insopportabile la demagogia del M5S – sottolinea Ileana Piazzoni -, che già in occasione del primo decreto aveva sottoscritto e votato al Senato emendamenti che costringevano di fatto alla vendita di quote di società che gestiscono beni pubblici, tra cui l’acqua, salvo poi inscenare alla Camera uno show in difesa dell’acqua pubblica; e ancora di più lo è quella della Lega, corresponsabile di quel “pasticcio” sui debiti di Roma che oggi denuncia, in quanto frutto delle soluzioni adottate dall’allora Ministro Tremonti e della malagestione dell’Amministrazione capitolina di centrodestra, coalizione di cui la Lega stessa è sempre stata fidato e sostanziale alleata”.
 
“Invitiamo Lega e M5S – proseguono infine i quattro parlamentari di SEL – a risparmiarci le solite rappresentazioni teatrali in Aula, ad uso e consumo delle telecamere, per i loro ridicoli interessi elettorali, ed evitare di giocare sulla pelle dei cittadini. Ci auguriamo, infine, che vengano prese tutte le misure necessarie per evitare che ulteriori atti ostruzionistici continuino ad ostacolare la messa in sicurezza dei bilanci di Roma, a seguito dagli errori madornali commessi da precedenti Governi e Amministrazioni bocciati dagli stessi cittadini”.
http://www.agenparl.it/articoli/news/politica/20140226-salva-roma-sel-ostruzionismo-lega-e-m5s-interessi-elettorali-sulla-pelle-dei-cittadini

Renato Accorinti, sindaco di Messina. Sindaco degli ultimi

http://www.tgvallesusa.it/?p=5883

Posted on 27 febbraio 2014 da  

di Daniela Giuffrida

Nasce la Casa di Vincenzo, centro di accoglienza per senza fissa dimora. Nessuna autorità a tagliare il nastro. E Il sindaco inaugura a modo suo.

«Siamo gli innumerevoli, raddoppia ogni casella di scacchiera.

Lastrichiamo di corpi il vostro mare per camminarci sopra.

Non potete contarci; se contati, aumentiamo, figli dell’orizzonte che ci rovescia a sacco.

Nessuna polizia può farci prepotenza più di quanto già siamo stati offesi.

Faremo i servi, i figli che non fate.

Nostre vite saranno i vostri libri di avventura.

Portiamo Omero e Dante, il cieco e il pellegrino – l’odore che perdeste, l’uguaglianza che avete sottomesso. Da qualunque distanza, arriveremo. A milioni di passi.

Noi siamo i piedi, e vi reggiamo il peso.

Spaliamo neve, pettiniamo prati, battiamo tappeti, raccogliamo il pomodoro e l’insulto.

Noi siamo i piedi e conosciamo il suolo passo a passo. Noi siamo il rosso e il nero della terra, un oltremare di sandali sfondati, il polline e la polvere nel vento di stasera.

Uno di noi, a nome di tutti, ha detto: “Non vi sbarazzerete di me.

Va bene, muoio….  ma in tre giorni resuscito e ritorno”».

Con queste parole, riprese da un lavoro di Erri De Luca, si era aperta la “Notte Bianca” di Messina il 12 ottobre  scorso, notte dedicata al Muos di Niscemi  ma troppo vicina nel tempo a una tragedia della miseria  avvenuta nel Mediterraneo, nei pressi delle coste siciliane: in quelle acque quasi 200 migranti provenienti dalla Libia, erano stati lasciati annegare da sistemi di avvistamento italiani che non avevano funzionato a dovere.

Quella “sala della Comunità Europea” di palazzo Zanca, sede del Municipio messinese era stata la location “perfetta”, il luogo adatto per parlare di diritti umani violati, di integrazione e smilitarizzazione.

In quella sala, nel giugno del 1955, a poco meno di un anno dalla scomparsa di Alcide De Gasperi, si era svolta  una conferenza destinata a creare un “pezzetto” di storia europea.  Fra quelle pareti era stata abbozzata e, aveva  preso il via, l’idea della creazione di un Mercato comune e di una Comunità europea dell’energia atomica (Cee ed Euratom), di fatto sancite poi, il 25 marzo 1957, con la firma dei trattati di Roma.

In quella sala, grande emozione aveva destato l’ingresso di un gruppo di immigrati libici che avevano regalato ai presenti la loro testimonianza di quanto accaduto “la notte dei 200 morti accertati”: loro precedevano di poco quel barcone miseramente affondato.

Il loro portavoce, aveva ringraziato la Città di Messina e il sindaco Accorinti, che si stava battendo perché venisse  loro riconosciuto lo stato di “rifugiato politico”, il portavoce aveva affermato di riconoscere sicuramente la loro fortuna nell’essere arrivati sani e salvi sulle coste siciliane, ma di non essere sicuro che per loro fosse stato meglio sopravvivere al mare, per poi ritrovarsi accatastati dentro fatiscenti centri di “accoglienza” o rischiare l’arresto se trovati a “circolare” fuori dagli stessi. Erano seguite altre testimonianze e momenti di vera commozione. Poi il discorso del sindaco..

Tentare la via dell’integrazione economica come uno strumento per realizzare l’unione politica, in un’Europa in cui diversi Paesi vivono situazioni di profonda crisi, certamente non è facile: un concetto di unità politica, non può basarsi su idee astratte e dovrebbe sicuramente partire da un’idea di integrazione “umana” nei confronti dei meno fortunati, da qualunque parte del mondo essi giungano.

Integrazione umana, dunque, prima di ogni altra cosa.

Questo  era stato il senso del discorso tenuto durante quella notte bianca da Renato Accorinti, sindaco di una Messina, città di confine di una Sicilia assetata di giustizia sociale.

renato-accorinti

Coerente con se stesso, il sindaco che si presenta alla festa delle forze armate, il 4 novembre scorso, “armato” di una bandiera arcobaleno simbolo di pace, creando imbarazzo e disagio negli alti ufficiali presenti davanti al “monumento ai caduti”, quel  “sindaco speciale” a cui Vauro ha dedicato due bellissime vignette, che si reca in bicicletta al suo posto di lavoro… quell’uomo “umile” con alle spalle i suoi precedenti di attivista “No Ponte”, con il suo trattenere per sé, del suo stipendio, solo la cifra corrispondente a ciò che percepiva da insegnante di educazione fisica, quello stesso sindaco,  che al mattino si ferma a chiacchierare, come un vecchio amico, con i suoi  concittadini che lo fermano per strada, quel sindaco qualche giorno fa ha inaugurato  la “Casa di Vincenzo”.

Vincenzo era un vecchio “amico” e con lui Accorinti aveva trascorso tante volte le sue festività natalizie, il nome di un vecchio clochard morto dieci anni fa, dunque, per il primo dormitorio pubblico di Messina.

Foto: Di Giacomo

Foto: Di Giacomo

La struttura ricavata in una porzione “abbandonata” degli ex magazzini generali ubicati in prossimità del porto si avvale della collaborazione della Caritas locale e dell’aiuto di volontari reclutati anche fra i collaboratori del sindaco. Venticinque posti letto distribuiti in due sezioni, una da otto posti occupata da quattro donne e l’altra per gli uomini che sono in numero maggiore.

“Acqua calda e lenzuola di tessuto – ci racconta Giampiero, giovane ma attento e attivissimo collaboratore del sindaco Accorinti – lenzuola e tovaglie che ogni giorno vengono cambiate per permettere un riposo sereno e un po’ di igiene ad uomini e donne che fino ad una settimana fa dormivano all’addiaccio.

All’inaugurazione, la scorsa settimana, poche autorità religiose e nessuna pubblica o militare, il nastro è stato tagliato da Lucio, uno dei senzatetto ospitati nella “casa di Vincenzo”  e all’ingresso una foto del vecchio clochard”.

Senza clamori e senza pubblicità di sorta Accorinti, il sindaco degli ultimi ha trascorso la prima “notte di vita” della casa di Vincenzo, dormendo accanto ai suoi ultimi…

Oggi pomeriggio era a Catania, anche lui presente ai festeggiamenti per la presenza del presidente Napolitano nella città etnea… ma non stava sul palco delle autorità… sfilava in corteo, insieme ai 128 dipendenti della Micron che protestavano per i tagli al personale voluti dalla multinazionale che ha acquistato la loro società.

Ci torna in mente per un istante ancora la notte bianca messinese… quando fiero e orgoglioso, “Renato” aveva tirato fuori da un armadio una cinquantina di magliette, donate in segno di stima da altrettanti attivisti passati per il suo ufficio, ne aveva presa una e l’aveva mostrata fiero a Massimo Zucchetti, anche lui relatore sul Muos in quella magica notte siciliana… Sulla maglietta una scritta: “Siamo realisti, vogliamo l’impossibile”.

Lavoro in Val Susa. La7, pochi minuti per un grave problema

http://www.tgvallesusa.it/?p=5876Posted on 26 febbraio 2014 da 

 

Lucchini, Beltrame, Alcar, Semat, Vertek. Garantire visibilità e comprensione del problema lavoro in quattro minuti.

Altri 1500 posti di lavoro in Valsusa rischiano di essere spazzati via dalla crisi che investe il mondo del lavoro, quelli delle ditte della Lucchini S.p.A. di Condove, della Beltrame di S. Didero, dell’Alcar di Vaie e della Selmat di S. Antonino. Questo quanto ricordato martedì sera sul piazzale adiacente lo stabilimento condovese dal delegato della Fiom Edi Lazzi nel corso della trasmissione de La7 “Linea Gialla”, condotta da Salvo Sottile e che  si è occupata di crisi, rabbia e ingiustizie.

Centottanta minuti di trasmissione, quattro minuti scarsi di collegamento condotti da Roberta Rei, con  in piazza anche alcuni sindaci di Condove, Sant’Ambrogio, Caprie, Venaus, amministratori e soprattutto lavoratori con indosso le magliette portate anche nel corso dell’ultima manifestazione No Tav a Chiomonte e lavoratori con molte aspettative da una trasmissione che poteva dare visibilità alla valle, più segnata di altre da crisi e devastazioni del territorio.

“Così non si può andare avanti, non sappiamo come arrivare a fine mese, le tasse le paghiamo ma impossibile chiedere prestiti alle banche, siamo cassaintegrati, siamo emarginati…qui si parla di tav e si sciupano soldi indispensabili per interventi sul territorio…” da più parti queste parole si sono alzate intorno al microfono nel corso delle dirette, intervallate da lunghi interventi in studio, tra i quali quello dell’europarlamentare Lara Comi, che ha ribadito di essere ben a conoscenza della questione tav, ma che intanto un solo comune ora era contrario all’opera…” Queste affermazioni hanno suscitato risentite prese di posizione, immediatamente spente dalla chiusura della diretta.

Così, partita con tante speranze e poi conclusa con gli sguardi seri di persone che ogni giorno devono fare i conti con l’instabilità della vita, con le responsabilità da portare avanti all’interno delle tante famiglie, la trasmissione si è chiusa, con il no ad un ultimo intervento conclusivo.

Sedotti ed abbandonati, verrebbe da dire. Vittime insomma di un giornalismo di facciata, che vuol essere vetrina ma non spazio per portare in luce i problemi veri, per suscitare possibilità di diversi obiettivi da ricercare. Di questo la valle non ha veramente bisogno.

Gabriella Tittonel

26 febbraio 2014

Il Fmi detta all’Italia la riforma della Giustizia

una riforma a misura di crescita, la giustizia non importa che sia giusta, ma che sia adatta agli investimenti…roba d matt
giovedì, 13, febbraio, 2014
Allarme del Fmi sulla giustizia italiana: “L’inefficienza del sistema giudiziario italiano ha contribuito a ridurre gli investimenti e rallentare la crescita”. In un working paper sul sistema italiano il Fondo punta il dito contro “gli eccessivi ritardi nei procedimenti in tribunale che comportano un numero molto alto di casi pendenti”, l’alto numero di tribunali, di avvocati (350 ogni per 100mila abitanti).
Il governo, afferma il Fmi, ha preso negli ultimi anni delle misure per migliorare la situazione misure che “vanno nella giusta direzione”, il riferimento è ad alcune disposizioni in merito contenute nel decreto ‘Fare’ e in ‘Destinazione Italia’, tuttavia “bisogna fare di più”.
In cima alle priorità indicate dal Fondo, tra le altre, la riforma del sistema d’appello; l’aumento le sanzioni; schemi di conciliazione obbligatori; riduzione del numero dei tribunali, accelerazione degli iter processuali.
http://www.imolaoggi.it/2014/02/13/il-fmi-detta-allitalia-la-riforma-della-giustizia/