Hashim Thaci a euronews: “Il Kosovo entrerà nell’UE”

la Ue annette il narcostato criminale della Nato, d’altronde hanno lo stesso padrone

13/02 20:29 CET

Un Paese piccolo, ma che ha ripercussioni a livello mondiale. Il Kosovo è emerso da un conflitto sanguinoso e brutale con la Serbia 15 anni fa e da allora si è avviato sul percorso accidentato delle riforme, con l’obiettivo di essere accettato da tutta la comunità internazionale come Stato sovrano. Ma molti ostacoli permangono. Parliamo di questo e molto altro con il premier del Kosovo Hashim Thaci.

Isabelle Kumar, euronews:
Quando il Kosovo sarà accettato come Stato sovrano – come Lei auspica – da tutta la comunità internazionale?

Hashim Thaci, premier del Kosovo:
Il Kosovo oggi ha rafforzato la sua posizione internazionale. come Paese indipendente e sovrano ed è stato riconosciuto da 105 Stati, tra cui 23 dell’Unione europea, gli Stati Uniti e molti altri. Il Kosovo si sta impegnando al massimo per diventare membro della Nato e dell’Unione europea. Speriamo inoltre di entrare presto a far parte delle Nazioni Unite.
Il Kosovo si sta consolidando e rafforza di giorno in giorno la sua posizione per diventare membro della famiglia dell’Onu e della famiglia euro-atlantica.

euronews:
La nostra intervista ha suscitato molto interesse nei social media e abbiamo ricevuto molte domande dai nostri telespettatori, tra cui questa di Seremb Giergi, che penso tocchi una questione chiave: “Quando la Serbia riconoscerà il Kosovo come Stato indipendente?”

Hashim Thaci:
Nell’aprile scorso abbiamo raggiunto, a Bruxelles, l’accordo di pace con lo Stato serbo. È stata la prima volta che abbiamo ottenuto un simile accordo tra il Kosovo e la Serbia per la normalizzazione dei rapporti, quindi questo è il primo passo. Ma sono convinto che la Serbia riconoscerà l’indipendenza del Kosovo. Quando accadrà? Dipende dalle autorità della Serbia riconoscere il Kosovo. Noi non possiamo definire una data.

euronews:
È una questione chiave, vero? Se la Serbia riconoscesse il Kosovo – allora anche la Russia, la Cina, l’India e i 5 Stati europei mancanti seguirebbero l’esempio?

Hashim Thaci:
Sono fiducioso che il riconoscimento del Kosovo da parte della Serbia aiuterà altri Paesi, che per il momento esitano. Ho la speranza e la convinzione che anche la Russia cambierà posizione. Il Kosovo e la Russia non sono nemici. La Russia non riconosce ancora l’indipendenza del Kosovo, a causa della Serbia, ma se lo farà, questo aiuterà anche la Serbia.

euronews:
Quando avete avviato i colloqui per normalizzare le relazioni con la Serbia, Lei si è trovato di fronte il premier serbo Ivica Dacic, che non molto tempo fa voleva vederla morto. Come si è sentito la prima volta che si è seduto davanti a lui per questi negoziati?

Hashim Thaci:
Quando ci siamo incontrati, non lo abbiamo fatto con l’obiettivo di entrare in conflitto, ma di lasciare da parte ciò che era accaduto in passato e aprire un nuovo capitolo, quello della collaborazione, della riconciliazione, della promozione dei valori europei tra i nostri popoli, per costruire una relazione di buon vicinato. Se si fosse aperto il capitolo del passato, non saremmo mai riusciti a raggiungere questo accordo. Al di là delle nostre emozioni legate al passato, hanno prevalso gli argomenti del futuro, per la pace, lo sviluppo e il progresso.

euronews:
Abbiamo ricevuto questa domanda da Albert Limani: “Qual è stato il momento più difficile nei negoziati col Premier serbo?”

Hashim Thaci:
Il momento più difficile è stato quello della firma dell’accordo di pace. I nostri popoli non sono abituati alla pace tra il Kosovo e la Serbia. E in generale, in tutta la regione non si è abituati a raggiungere la pace. Direi persino che ci avrebbero applaudito, a Pristina come a Belgrado, se l’accordo fosse fallito.
Abbiamo firmato questo accordo nella prospettiva europea dei nostri Paesi, anche se ci sono state molte critiche a Pristina e a Belgrado. Ma quale sarebbe l’alternativa? Dovremmo continuare con i conflitti, i problemi, le ostilità, le uccisioni, la violenza? Penso che su tutti questi elementi negativi abbia trionfato la ragione, la giusta decisione di firmare l’accordo.

euronews:
Al di là degli accordi internazionali, in Kosovo sta incontrando molte pressioni anche sul tema della corruzione e la comunità internazionale le ha chiesto di fare chiarezza. Lei ha dichiarato tollerenza zero sulla corruzione, ma non sembra stia funzionando, o sbaglio?

Hashim Thaci:
In Kosovo ci sono state battaglie contro la corruzione, il crimine organizzato e altri fenomeni negativi. Manteniamo la tolleranza zero e continuiamo a collaborare con tutte le autorità internazionali. I risultati sono incontestabili, ma sono consapevole che bisogna fare di più e in questo senso non faremo compromessi.

euronews:
Ma questa tolleranza zero non sembra funzionare molto. Secondo l’Indice di Percezione della Corruzione pubblicato recentemente da Transparency International, il 75% dei kosovari pensa che i partiti politici siano corrotti o molto corrotti. E l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine afferma che la corruzione è l’ostacolo principale per lo sviluppo imprenditoriale in Kosovo. Hanno torto?

Hashim Thaci:
In base alle cifre e ai fatti, naturalmente dobbiamo far meglio, anche nel modo di presentare questa battaglia, per cambiare la percezione che le persone hanno in Kosovo e nella regione. Con azioni concrete possiamo cambiare questa percezione. Prendo sul serio ogni osservazione, ogni critica e ogni opinione, ma la realtà è che in Kosovo stiamo combattendo la corruzione, il crimine organizzato e altri fenomeni negativi.

euronews:
La corruzione sta ovviamente frenando l’economia e il Kosovo è uno dei Paesi più poveri d’Europa. Oltre il 50% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Abbiamo ricevuto questa domanda da Besnik Kallaba: “Si sente responsabile, come premier, della povertà in Kosovo?”. Come vede questa responsabilità?

Hashim Thaci:
In Kosovo ci sono stati cambiamenti e si notnno dappertutto, a cominciare dalla costruzione delle autostrade più moderne della regione dei Balcani e di un aeroporto moderno. Abbiamo investito nelle infrastrutture, nell’agricoltura, nell’istruzione. Come premier sono consapevole che bisogna fare di più. Purtroppo il Kosovo è ancora il Paese più povero d’Europa. Ma lo era anche prima. Pian piano stiamo progredendo verso l’eliminazione di questa povertà, che risale a un secolo fa e alla dominazione serba. Per la prima volta siamo responsabili di noi stessi, ma solo da 6 anni. Non si possono fare miracoli in 6 anni, ma stiamo costruendo le basi per il Kosovo del futuro, stabile e produttivo.

euronews:
Quindi nessun miracolo in 6 anni, ma il 2014 sarà un anno importante in Kosovo. Ci saranno elezioni. Si candiderà ancora ad essere premier?

Hashim Thaci:
Il partito democratico del Kosovo, partito che dirigo, vincerà le elezioni del 2014. Io continuerò a dirigere la campagna del partito come capo del governo della Repubblica del Kosovo.

euronews:
Lei darà battaglia in campagna elettorale. Mi interessa capire se combattere è una cosa che ha nel sangue. Lei era il capo politico dell’Esercito di Liberazione del Kosovo. Come si associano queste due personalità, quella che combatteva sul campo e ora quella che dà battaglia alle elezioni?

Hashim Thaci:
Sono battaglie politiche diverse, circostanze diverse, piuttosto complesse. Non è stato facile dirigere politicamente la guerra del popolo del Kosovo. Io ero il dirigente politico, quindi mi sento fiero di questo successo, della resistenza del popolo, ma anche della conferenza internazionale di Rambouillet nel 1999, in cui siamo riusciti a ottenere l’appoggio politico della comunità internazionale, della comunità europea e della Nato. Penso che questo abbia permesso un’esperienza eccezionale di “leadership”, che mi ha molto aiutato a creare il profilo del partito. Per me la campagna elettorale è un privilegio perché mi permette di comunicare con i cittadini.

euronews:
Quando combatteva sul campo, se non sbaglio, la chiamavano “il serpente” per la sua abilità nello sfuggire alla cattura. Le sue abilità in guerra l’hanno aiutata anche a governare e come le sono state utili?

Hashim Thaci:
Ogni leader ha le sue competenze, le sue tattiche, le sue strategie in battaglia. In situazioni diverse, ho tattiche e strategie diverse nel dirigere il partito, ma la cosa più importante per me è la totale trasparenza. Naturalmente c‘è differenza tra convincere un cittadino a combattere contro la Serbia o a darci fiducia per dirigere il Paese. Ora assumiamo le responsabilità che ci sono state affidate dal popolo.

euronews:
Il ricordo dei tempi dell’Esercito di Liberazione del Kosovo la tormenta, ora che quel periodo è finito? Immagino che Lei abbia ucciso persone o ordinato di ucciderle.

Hashim Thaci:
La guerra in Kosovo era una guerra giusta, una guerra per la libertà, per la nostra esistenza. L’abbiamo vinta con l’aiuto dele forze internazionali. La Serbia – con la sua polizia, il suo esercito, il suo governo – ha lasciato il Kosovo. Non abbiamo fatto la guerra ai serbi del Kosovo, ci siamo battuti per liberarci della Serbia. Questo l’abbiamo ottenuto e ne sono fiero.

euronews:
Ma sul piano personale, quel periodo la ossessiona? Ha dovuto uccidere?

Hashim Thaci:
Io ero lontano dal fronte. La vittoria del Kosovo è più una vittoria politica che militare, è una vittoria comune del Kosovo e della comunità internazionale, è una vittoria della giustizia contro l’ingiustizia, del bene contro il male. L’abbiamo ottenuta in stretta collaborazione con i nostri partner internazionali e sono contento della collaborazione politica che ho costruito nei vari momenti, sia di quella avuta nel periodo della guerra cui Lei fa riferimento, sia della stretta collaborazione che abbiamo con gli Stati Uniti e la comunità europea. Quindi è una storia di successo, una storia comune. E la nostra battaglia mirava alla vittoria del Kosovo, non ad uccidere.

euronews:
Il 2014 è anche l’anno in cui è attesa un’inchiesta guidata dall’Unione europea sulle accuse contro di Lei per complicità in omicidio e traffico di droga e secondo cui i membri dell’Esercito di Liberazione del Kosovo sarebbero stati coinvolti anche nel traffico di organi. È preoccupato perché lei e i suoi assistenti potrebbero essere prosciolti così come incriminati?

Hashim Thaci:
Abbiamo dato pieno sostengo agli inquirenti. Le istituzioni della Repubblica del Kosovo hanno totale fiducia nella giustizia, non abbiamo niente da nascondere. Preciso, in risposta a quanto mi ha chiesto Lei prima, che non ho fatto né ordinato nulla che vada contro il diritto internazionale. Sì, non abbiamo rispettato le leggi della Serbia, e abbiamo fatto bene a non rispettare le leggi di Slobodan Milosevic, perché non erano leggi di giustizia, ma di repressione, di genocidio, di segregazione. Appoggiamo pienamente la giustizia, abbiamo fiducia in essa e continueremo a collaborare strettamente con la giustizia.

euronews:
Può affermare categoricamente che nessun membro dell’Esercito di Liberazione del Kosovo è stato coinvolto nel traffico d’organi?

Hashim Thaci:
Lo affermo con grande convinzione. Ne ho sentito parlare per la prima volta nel rapporto di Dick Marty (del Consiglio d’Europa). Quindi mai in vita mia potrò credere che qualcuno l’abbia fatto e che un combattente per la libertà possa fare una cosa simile. Ma dobbiamo dare alla giustizia tutto il tempo, lo spazio e i mezzi necessari per chiarire questi dubbi. È una storia di fantascienza, nessuno ci crede. Sono convinto che non sia successo.

euronews:
Abbiamo ricevuto questa domanda da Stephen Christie: “Col senno di poi, cosa avrebbe fatto diversamente?”

Hashim Thaci:
Se all’epoca avessi potuto, avrei voluto cambiare l’opinione della comunità internazionale, perché intervenisse prima del 1999 per evitare la deportazione di un milione di cittadini dal Kosovo, soprattutto a partire dall’estate 1998. L’intervento internazionale avrebbe dovuto avvenire prima, ma evidentemente avevano altri impegni. Avrei voluto comunicare meglio con l’opinione pubblica internazionale e con le Nazioni Unite, per convincerle che in Kosovo la Serbia stava compiendo un genocidio, mentre a questa convinzione si è arrivati solo nel 1999.

euronews:
Lei – e questa è una grande differenza rispetto alle accuse nelle quali è coinvolto e all’inchiesta in corso – è anche stato candidato al Premio Nobel per la pace assieme al premier serbo Ivica Dacic e al capo della diplomazia europea Catherine Ashton. Questo come la fa sentire? Pensa di aver meritato questa candidatura?

Hashim Thaci:
Ho firmato tutti gli accordi del mio Paese con la comunità internazionale che hanno portato pace e libertà e indipendenza al Paese. Penso che raggiungendo l’accordo di pace tra Kosovo e Serbia abbiamo contribuito alla pace, alla stabilità, alla comprensione reciproca dei nostri popoli e delle generazioni future. Questo è stato riconosciuto dal Congresso statunitensi, dall’Unione europea, dai parlamenti di molti Paesi del mondo. Se vinciamo questo premio, lo dedicherò al popolo del Kosovo, cui va il merito della libertà, dell’indipendenza e della pace.

euronews:
Per concludere, una domanda più leggera che abbiamo ricevuto da qualcuno di nome Dardan: ‘Da bambino cosa sognava di diventare?’

Hashim Thaci:
Ho studiato la storia, ma studiandola ho capito che non dovevo fermarmi agli archivi della storia, perché facendo così non avrei mai potuto cambiare le cose nel mio Paese. Quindi ho deciso di uscire dagli archivi, dal passato, e di occuparmi dei problemi attuali, guidando la battaglia del mio popolo per la libertà e l’indipendenza.
Ho avuto tre obiettivi politici nella mia vita. Due sono stati raggiunti: ottenere la libertà e l’indipendenza del mio Paese. Il terzo è far entrare il Kosovo nella Nato, nell’Unione europea e nell’Onu. Non è una cosa facile, né accadrà a breve, ma sono convinto che raggiungeremo il terzo obiettivo per i cittadini del Kosovo.

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Ucraina: smantellate le forze speciali di polizia “Berkut”

ma che fretta……

26/02
L’Ucraina si libera dei suoi reparti anti sommossa.
Le formazioni denominate “Berkut”, le “Aquile dorate”, tra le più temute del passato governo sono state ufficialmente smantellate su ordine del ministro dell’interno ad interim.
Gli agenti anche nelle ultime settimane sono stati tra i protagonisti piú efferati della repressione nei confronti dei manifestanti anti governativi.
“I Berkut non esistono più. Ho firmato l’ordine 144 per l’abolizione delle unità speciali di polizia” ha scritto stamattina, il ministro Arsen Avakov, sul suo seguitissimo blog.
Un passo atteso ma che non cancella le responsabilità delle unità speciali. I Berkut furono creati nel 1992 sulla base dei preesistenti Omon, i reparti anti sommossa russi. In Ucraina erano circa 4.500 agenti, presenti in tutte le regioni. Pagati quasi il doppio di un poliziotto ordinario, si sono macchiati secondo le denunce di numerosi abusi, come pestaggi e torture, oltre ad aver aperto il fuoco durante le proteste di Kiev.

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Islanda: ha detto no alla Ue, e questa le prepara una riv colorata

e la Ue non sarebbe una dittatura????? Ora cominciano anche lì con la rivoluzione colorata. Si ce li vedo gli islandesi a desiderare di fare la fine dei greci.
Han lottato contro i banchieri ed ora vorrebbero essere loro PREDA???

Islanda, in piazza per chiedere referendum pro Ue

Il governo ha deciso di rinunciare ai negoziati senza consultare il popolo.

Reykjavík, proteste di fronte al parlamento.
(© Gettyimages) Reykjavík, proteste di fronte al parlamento.

Venti di tensione anche nell’Europa dell’estremo Nord.
In Islanda infatti oltre 3.500 persone sono scese in piazza a Reykjavik per protestare contro i partiti del governo. La maggioranza ha infatti deciso di rinunciare alla richesta di adesione all’Ue senza indire un referendum per capire l’umore dei cittadini.
FOLLA CHE NON SI VEDEVA DAL 2009. Si è trattata di una grande manifestazione, una scena che non si era più vista dai tempi della crisi finanziaria nel 2009, quando l’isola stava per essere spazzata via dalla bancarotta dei suoi istituti finanziari.
L’accordo annunciato dai partiti della destra antieuropea al governo da maggio era stato avviato dal precedente esecutivo di sinistra per cercare di dare un’ancora al paese nel pieno della tempesta finanziaria, e non era mai stato ben visto dagli islandesi orgogliosi della propria indipendenza e delle tradizioni della pesca.
PRIMO NO PER ACCORDO ICESAVE. Il precedente governo aveva già dovuto incassare un no al referendum sull’accordo che questo aveva trovato con Londra e L’Aja sul rimborso di quasi 4 miliardi di euro per il caso del crack Icesave.
Gli islandesi hanno votato nel 2013 per il Partito del progresso e per il Partito dell’indipendenza, euroscettici, che avevano promesso un referendum sull’adesione all’Ue.
I politici hanno però bloccato i negoziati e venerdì 21 febbraio è stata approvata una legge che ha sotterrato l’entrata nell’Ue, ma senza consultazione popolare.
«DEVE VOLERLO IL POPOLO». L’Islanda, spiega uno dei partigiani pro-Bruxelles, deve abbandonare i negoziati «solo quando la maggioranza del popolo l’avrà voluto».
Intanto Bruxelles osserva la situazione e ribadisce che «la decisione sull’adesione o meno all’Ue spetta all’Islanda».
Martedì, 25 Febbraio 2014
http://www.lettera43.it/politica/islanda-in-piazza-per-chiedere-referendum-pro-ue_43675123352.htm

Islanda, la piazza contro il ritiro della candidatura all’Unione europea
25/02
Manifestazione di massa in Islanda contro il ritiro della candidatura di adesione all’Unione europea. I cittadini sono scesi in piazza per chiedere che tale scelta venga sottoposta a referendum e non si risolva in un accordo tra i due partiti euroscettici al governo.

“Questo esecutivo non ha mantenuto nessuna promessa, questa non è una cosa bella da fare”, afferma un manifestante.
“Vogliamo che il dibattito sull’adesione continui, così potremo votare un documento finale, ottenendo forse migliori condizioni. E credo che possiamo arrivare a questo anche se non abbiamo i migliori rappresentanti”.

Il Partito del progresso, di centro e dell’indipendenza, di destra, si sono messi d’accordo venerdì per l’abbandono della richiesta di adesione depositata dal paese nel 2010.
http://it.euronews.com/2014/02/25/islanda-la-piazza-contro-il-ritiro-della-candidatura-all-unione-europea/

Gli Usa annunciano un ridimensionamento del proprio esercito

Chuck Hagel, segretario Usa alla Difesa, ha annunciato una serie di tagli per l’esercito statunitense, andando così incontro ai desiderata del presidente Obama in termini di politica estera e austerity. La proposta prevede, infatti, in controtendenza rispetto alle strategie Usa post 11 settembre 2001,una riduzione degli effettivi nelle forze armate, sia per ciò che concerne i riservisti e la Guardia nazionale che per i soldati impiegati nelle missioni internazionali.
Le truppe dovrebbero subire un’ulteriore discesa fino a 440/450mila unità grazie alle proposte di Hagel, numero che significherebbe un ritorno delle forze armate ad un assetto simile a quello pre-seconda guerra mondiale, lontano dall’impeto ‘guerrafondaio’ nato dopo l’attentato alle Torri Gemelle da cui sono poi scaturite le estenuanti (e dispendiose, tanto in termini di vite quanto in termini economici) missioni in Afghanistan e Iraq. Stando ai funzionari del Pentagono, infatti, il lavoro del segretario della Difesa è proprio incentrato e in vista degli annunciati ritiri dai due fronti ‘caldi’ del Medio Oriente, guardando ad un prossimo futuro dove l’esercito sarà decisamente ridotto e quindi non in grado di sostenere occupazioni in territori stranieri per periodi di tempo prolungati, mantenendo comunque la capacità di contrastare qualsiasi avversario.

Il piano di Hagel, com’è ovvio, prevede riforme anche per quanto riguarda gli armamenti (stando ai funzionari del Pentagono i soldi risparmiati dal taglio al personale servirebbero ad investire in moderni sistemi di guerra, dando vita così ad un esercito ridotto ma addestrato meglio e dotato delle armi migliori): secondo quanto riporta il NYT, infatti, nelle intenzioni del segretario della Difesa ci sarebbe quella di eliminare un’intera flotta di caccia Air Force A-10, la dismissione dell’aereo spia U-2 e il trasferimento degli elicotteri d’attacco Apache in dotazione alla Guardia Nazionale alle truppe ‘attive’ dell’esercito, mentre rimarrebbe invariata, invece, la spesa per i tanto discussi F-35. In questo modo, Hagel dovrebbe riuscire a far rientrare la spesa delle forze armate (che rimane comunque la più alta a livello mondiale) nel tetto di spesa (496 miliardi di dollari per il 2015) imposto dalla legge di bilancio voluta dal presidente Obama.

Ovviamente, in un Paese dove è storicamente molto forte l’attaccamento all’esercito, e dove regnano sovrani i grandi interessi dei produttori di armi, le possibili riforme che il segretario della Difesa presenterà lunedì troveranno sicuramente non pochi malumori politici, tanto che alcuni membri del Congresso starebbero già ‘affilando i coltelli’ per dare battaglia al provvedimento.   

Fonte: Luca Lampugnani http://it.ibtimes.com/
http://www.signoraggio.it/usa-annunciano-un-ridimensionamento-del-proprio-esercito

Esplosione presso il Parlamento della Crimea

25 febbraio 2014, 16:16

Si è verificata un’esplosione presso il Parlamento di Crimea. Un gruppo di manifestanti sta cercando di fare irruzione nell’edificio del Consiglio Supremo della Repubblica Autonoma di Crimea a Simferopoli, dove sta per iniziare una sessione straordinaria per discutere della situazione politica nel Paese.
Presso l’edificio si erano radunate circa 7.000 persone per partecipare a due manifestazioni distinte. In una sono scanditi slogan come “La Crimea non è la Russia” e “Ucraina, Ucraina.” Molti dei partecipanti appartengono alla comunità tartara della Crimea.
I dimostranti dell’altra manifestazione, sventolando le bandiere della Russia e della Crimea, gridano ” Russia, Russia”. Dalla folla volano bastoni e pietre.
“La situazione è molto preoccupante,” – ha riferito l’ufficio stampa del Parlamento di Crimea.
http://italian.ruvr.ru/news/2014_02_26/Esplosione-presso-il-Parlamento-della-Crimea-5027/

La ricetta serba per l’Ucraina

25 febbraio 2014, 16:16
La disgrazia dei presidenti dell’Ucraina e della Serbia, Viktor Yanukovich e Slobodan Milosevic, e’ stata di aver detto no all’Occidente. Dopodiche’ sono diventati criminali. Il primo ha concluso i suoi giorni all’Aia, mentre non si sa ancora cosa attende l’altro.
 
Il 12 febbraio l’europarlamentare sloveno, nell’intervista alla Bosanskohercegovačka televizija, la TV della Bosnia-Erzegovina, ha intimidito:
 
Se seguirete l’evoluzione degli avvenimenti in Ucraina, vedrete come ci comporteremo nei confronti dell’irresponsabile élite politica nel giro di una settimana o due. Sara’ anche un segnale per la vostra compagine politica.
 
Bisogna riconoscere la buona competenza di questo politico, che può non essere molto influente negli ambienti politici di Bruxelles, ma, avendo gia’ preso parte attiva al crollo di un paese, la Jugoslavia, sa come si fa.
Quando si e’ aggravata la situazione a Kiev? Una settimana dopo le dichiarazioni di Elko Katsina e il giorno in cui la Russia ha annunciato la disponibilità a pagare una nuova tranche all’Ucraina di 2 miliardi di dollari. Sembra questo il segnale per poter intraprendere un’azione decisiva. Il centro decisionale del movimento “pravyj sector” ha lanciato l’appello a mobilitarsi attraverso il social network “VKontakte”, mentre il leader di “Svoboda”, Oleg Tyagnibok, ha incitato alla marcia su Kiev.
La firma dell’accordo tra l’opposizione e Viktor Yanukovich, casualita’ o meno, non e’ stata annunciata dal Presidente o da qualche altro politico ucraino, ma dal Ministro degli esteri polacco, Radoslaw Sikorski. La stessa sera il Presidente e’ fuggito da Kiev e nel suo Partito delle Regioni si e’ verificato un collasso.
 
Il partito non ha riconosciuto il proprio leader. A suo tempo Slobodan Milosevic ando’ incontro allo stesso destino all’interno del partito socialista serbo, anche se, in quel caso, fu lui stesso a cedere il potere senza un chiaro intervento delle forze straniere.
 
Yanukovich ha detto che durante le trattative gli avevano dato garanzie di sicurezza. Forse l’avevano fatto, ma gia’ il giorno successivo il Ministro polacco degli Affari esteri, Radosław Sikorski, ha smentito. Ora minacciano Yanukovich con il tribunale internazionale dell’Aia. Anche il nuovo Presidente, Vojislav Kostunica, aveva promesso a Slobodan Milosevic che non avrebbe concesso l’estradizione all’Aia, e cosa ne e’ venuto fuori? Dopo nove mesi e’ stato quasi segretamente trasferito all’Aia, da dove e’ tornato nella bara.
 
E cosa sara’ dell’Ucraina? Uscita fresca di prigione, Yulija Timosenko ha dichiarato alla folla raccolta al Maidan che l’Ucraina entrera’ nell’UE e tutti i problemi si risolveranno. Gli ucraini, prima di sognare un tale futuro, devono guardare all’esempio della Serbia e al suo percorso europeo. I politici serbi (allora c’era ancora la Jugoslavia), dopo la rivoluzione del 2000, avevano promesso che la Serbia sarebbe entrata a far parte dell’Unione Europea gia’ nel 2004. Siamo nel 2014 e la Serbia e’ solo all’inizio del cammino. In quel periodo, con l’aiuto degli “amici” statunitensi e europei, la Jugoslavia fu divisa in due parti e la Serbia perse il 15% del suo territorio.
 
A seguito della crisi finanziaria ucraina il Ministero delle finanze e la Banca nazionale del paese hanno richiesto ai partner internazionali, in particolare alla Polonia e agli Stati Uniti, entro la prossima settimana o due, di concedere all’Ucraina un prestito di 35 miliardi di dollari per il periodo 2014-2015, convocando per questo una conferenza di finanziatori. Il 29 giugno 2001 si svolse la stessa conferenza in Jugoslavia, nella quale il paese “ricevette” circa 1,2 miliardi di dollari. L’allora primo ministro Zoran Djindjic scrisse di questo “aiuto “:
 
La prima tranche doveva essere costituita di circa 300 milioni di euro. Ma improvvisamente ci hanno detto che 225 milioni sarebbero andati per pagare i vecchi debiti rimasti dall’epoca di Tito. Due terzi di questa somma e’ andata per le multe e le sanzioni, poiche’ Milosevic si era rifiutato per dieci anni di pagare i prestiti . Rimasero solo 75 milioni.
 
Nei 13 anni di cammino verso l’UE la Serbia ha ricevuto dall’Europa 15 miliardi di dollari di investimenti, tuttavia nello stesso periodo se ne sono andati dal paese piu’ di 60 miliardi di dollari. Durante questo cammino la Serbia ha perso mezzo milione di posti di lavoro, mentre il debito pubblico e’ aumentato di tre volte. In questo periodo abbiamo fatto tutto quello che ci era stato richiesto dagli USA e dall’UE. Ecco il bilancio della nostra politica pro-Occidente.
 
Dunque, benvenuti a bordo del nostro Titanic europeo, fratelli ucraini!
 

Russia, esercitazione militare al confine con Ucraina

Mercoledì, 26 Febbraio 2014 15:01

Mosca – Il presidente russo, Vladimir Putin, ha ordinato un’esercitazione urgente per testare la prontezza delle forze armate in tutta la Russia occidentale, in una fase di tensione con l’Occidente sugli ultimi eventi in Ucraina. A occidentale sono state messe in allerta alle 14 (11 ora italiana) di oggi”, dice il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, secondo quanto riporta Interfax.

http://italian.irib.ir/featured/item/155039-russia,-esercitazione-militare-al-confine-con-ucraina

In Grecia ripresa senza occupazione

è uguale anche da noi. Bella l’Europa dei popoli no?Quanto sta accadendo in Grecia rischia di anticipare nuovamente futuri scenari comuni a quei paesi dell’Europa meridionale e mediterranea, Italia compresa,  maggiormente colpiti dalla crisi. Ad un tiepida ripresa economica, infatti, non si accompagna alcuna ripresa occupazionale, col rischio che l’uscita dalla crisi si accompagni ad un’ulteriore aumento nel divario della ricchezza tra ricchi e poveri.

Una crescita economica senza aumento dell’occupazione? E’ quanto sta accadendo in Grecia dove, dopo anni di tagli indiscriminati e crisieconomica, gli indicatori raccontano di un ritorno della ripresa economica. 
 
Tale ripresa però rimane solo sulla carta dal momento che non ha, per il momento, alcuncorrispondente nell’aumento dell’occupazione. Si chiama ”jobless recovery’ ovvero ripresa senza lavoro, e rischiamo di conoscerla ben presto anche qua in Italia, dove in molti parlano di “crisi passata”, senza che la vita degli italiani migliori in qualsiasi modo. 
 
Ad Atene raccontano che l’economia crescerà dello 0,6% quest’anno, ma il mercato del lavoro conosce solamente i licenziamenti.  E intanto la disoccupazione nel paese ellenico ha raggiunto il 28%, il che tradotto significa che [B]una persona su tre in Grecia non ha lavoro  Non pensiate che in Italia la situazione sia poi così differente, anzi. In Grecia comunque tra gli under 25 va anche peggio, bastipensare che in meno di 12 mesi il tasso di disoccupazione è salito dal 26% al  28%. In totale, i disoccupati  in Grecia sono 1 milione e 380mila, dicui 630mila vivono sotto la soglia di povertà.
 
Una situazione dovuta non solo ad anni di recessione, ma anche e soprattutto ai lucidissimi [B]tagli allo Stato sociale[/B][B] [/B]imposti dal programma di aiutiinternazionali. Insomma tagliare la spesa sociale e rendere precarizzato illavoro non serve in alcun modo a far riprendere l’economia reale: senza unacrescita dell’occupazione che accompagni un ritorno del segno + dalla parte delPIL[B], [/B][B]il rischio è che la ripresa consista solo nell’aumento dei profitti[/B][B] [/B]enon nel miglioramento generalizzato del benessere sociale. Una ripresa deiricchi, dunque, con una dilatazione enorme della forbice delle disuguaglianze.Nonostante questo però i vertici dell’Ue sembrano avere, tragicamente, altre idee.
 
Fonte: oltremedianews.com

VENETO DISTRUTTO / SOFFERENZE BANCARIE: +337% A VERONA, +303% A PADOVA. +362% A VENEZIA, +420% A TRIESTE, +236% A ROVIGO

non c’è crisi in Veneto. Sono tutti ricchi ed evasori. Simulano la crisi così per scoraggiare l’ingresso delle “risorse”

venerdì 21 febbraio 2014

 Dall’inizio della crisi al 30 novembre scorso, le sofferenze bancarie delle imprese del Nord Est sono letteralmente esplose: +420,6 % a Trieste, +362% a Venezia, +337,8% a Verona e +303,6% a Padova. E’ quanto emerge da un’analisi della Cgia di Mestre.
 
Più contenuti, ma lo stesso particolarmente significativi, gli incrementi registrati a Pordenone (+248%), a Rovigo (+236,7%), a Udine (+ 216,6%), a Vicenza (+201,6%) a Belluno (+198,2%) e a Treviso (+100%). In termini assoluti, segnalano gli artigiani mestrini, nel Triveneto l’aumento è stato esponenziale. Se al 31 dicembre del 2008 le sofferenze ammontavano a 4,2 miliardi di euro, al 30 novembre scorso sono salite a 15,2 miliardi (+263,1%).
 
“La crescita delle sofferenze bancarie – dichiara Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre – è la manifestazione più evidente dello stato di crisi in cui versano le nostre imprese. La cronica mancanza di liquidità e la prolungata fase di crisi economica che ha fatto crollare i consumi interni sono tra le cause che hanno fatto esplodere l’insolvibilità”.
 
“Inoltre – prosegue Bortolussi – in questi ultimi cinque anni di difficoltà economica si sono ulteriormente allungati i tempi di pagamento nei rapporti commerciali tra le imprese, mentre tra le imprese e la pubblica amministrazione sono rimasti pressoché gli stessi. Pertanto, dobbiamo mettere fine a questo malcostume tutto italiano che sta gettando sul lastrico tantissimi piccoli imprenditori che si trovano a corto di liquidità, anche perché non riescono a recuperare i propri crediti”.
 
Se le difficoltà nel restituire i prestiti ricevuti sono letteralmente esplose, gli impieghi erogati alle aziende nordestine sono diminuiti. Sempre in questi ultimi cinque anni, le province più ‘colpite’ sono state quelle di Belluno (- 18,9%), di Trieste (-15,5%) e di Pordenone (-10,1%). In valori assoluti la contrazione nel Triveneto è stata pari a 6,4 miliardi di euro (-4,3%). Al 31 dicembre 2008 l’ammontare dei prestiti alle imprese era pari a 148,8 miliardi, alla fine dello scorso mese di novembre sono scesi a 142,4 miliardi di euro.
 
VENETO
            DISTRUTTO / SOFFERENZE BANCARIE: +337% A VERONA, +303% A
            PADOVA. +362% A VENEZIA, +420% A TRIESTE, +236% A ROVIGO
 

Più di 5.000 euro al mese non bastano all’assessore Bonafede

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Troppo pochi 5.440 euro al mese per un assessore regionale. A lamentarsi è l’assessore al Lavoro Ester Bonafedeche sembra non gradire gli effetti della delibera applicativa della spending review in vigore dal primo gennaio che ha ridotto anche le indennità.
Il paradosso – secondo l’assessore – è che “un assessore regionale guadagni meno del suo capo di gabinetto, meno di un deputato e, in certi casi, perfino di un commesso”.
“Oltre ai tagli orizzontali – afferma Bonafede – gli assessori subiscono la tassazione dell’unica indennità percepita per intero. Così per quanto mi riguarda, il mio stipendio netto, con la tassazione al 44%, è di 5.440 euro mensili. L’attività di assessore – conclude – non prevede pause e vacanze, meriterebbe un riconoscimento economico proporzionato al lavoro svolto, ai risultati ottenuti e all’assunzione delle responsabilità connesse”.