L’anti-politica della politica

Il presidente della Repubblica tuona contro l’anti-politica nel pieno dello scandalo di “Mafia Capitale”, sorvolando sulle responsabilità dei partiti così abili nel determinare lo scollamento tra Palazzo e società civile, tra cittadini e onorevoli.

DI LUCA GIANNELLI –

11 DICEMBRE 2014

«La critica della politica e dei partiti, preziosa e feconda nel suo rigore, purché non priva di obiettività, senso della misura e capacità di distinguere è degenerata in anti-politica, cioè in patologia eversiva». Le parole del presidente della Repubblica arrivano nel pieno delle polemiche sulla cosiddetta inchiesta “mafia capitale” ma non sono contro i partiti. Sono contro l’anti-politica, terreno di coltura della corruzione, la cui onda è cresciuta su “rappresentazioni distruttive del mondo della politica”. Come se la corruzione, prima che scoppiasse il fenomeno dell’anti-politica, fosse un fenomeno sconosciuto, come se l’anti-politica  fosse termine di per sé negativo equiparato ormai -per convenzione e superficialità giornalistica- a qualunquismo; come se  -soprattutto- l’anti-politica fosse nata dal nulla e non dalla manifesta incapacità di un sistema partitico tanto proclive a invocare la responsabilità civile dei magistrati, ma nemmeno per sbaglio disponibile a ragionare sulla responsabilità civile dei politici, parlamentari o amministratori locali che siano. Eppure, è lì che si annida il ventre molle di uno Stato in cui sono ormai saltati -gli scandali Expo, Mose e ora il sistema romano sono qui non a dimostrarlo, ma a confermarlo per l’ennesima volta- tutti i sistemi di controllo.
E’ lo stupore, in questi giorni il sentimento più diffuso e propagandato. Lo stupore di tutti quelli che  con i personaggi indagati o arrestati hanno avuto fino a ieri rapporti se non stretti almeno continui e ora si sentono retroattivamente raggirati; lo stupore di quelli che prima non si stupivano affatto che una cooperativa (forma di associazione teoricamente aliena da ogni spirito di lucro) finanziasse partiti e comitati elettorali né che circolassero liberamente per uffici e consiglio comunali o che personaggi condannati e dal passato quantomeno controverso potessero comparire in liste elettorali. E’ la forma tutta italica di un passato che non passa. Ma le ideologie, stavolta, non c’entrano un bel nulla. C’entrano solo i soldi, e i soldi come si sa non hanno colore. Dopo Tangentopoli, ci dissero che era tutta colpa del sistema proporzionale, ci dissero che era colpa di un sistema di appalti poco funzionante, ci dissero che era solo colpa dei socialisti. Piuttosto che ragionare su se stessi e aprire un confronto interno su cosa significasse la parola “rappresentanza”, i partiti preferirono arretrare per un momento, sull’onda dell’emozione popolare, ritrarsi, lasciando spazio a non professionisti della politica, ai cosiddetti “professori” ben contenti di prestarsi a fare da foglia di fico di un sistema che aveva mostrato tutte le sue magagne.
Fu approvato il maggioritario, furono moltiplicati i sistemi di “controllo”, fu introdotto il “certificato antimafia”, molto simile per efficacia e deterrenza a quello di anti-fascismo nell’immediato dopoguerra, furono istituite la famose “Authority”, chiamate a vigilare anche sui politici, ma i cui membri sono nominati dagli stessi politici, secondo il più perverso dei circoli viziosi. I risultati ce li abbiamo sotto gli occhi. Ora -per l’ennesima volta- si sente l’ex rottamanda Rosy Bindi dire che la politica deve alzare la testa, si sente l’ex rottamatore Matteo Renzi diventato presidente del Consiglio urlare come al bar che è “uno schifo” e annunciare un giro di vite anti-corruzione,  sperando che nessuno  ricordi che finora il suo governo non è riuscito nemmeno ad aggravare la pena per quel falso in bilancio che pure era in cima alle richiesta di Cantone, o che lui stesso, all’indomani degli arresti Expo e Mose, aveva detto che il problema non erano le leggi, ma solo gli uomini. Si sentono le solite accuse alle solite “mele marce”…
Ed ecco, in più,  il presidente della Repubblica dirci che la critica della politica di per sé “preziosa e feconda” è degenerata in anti-politica, dirci che auspica «una larga mobilitazione collettiva volta a demistificare e mettere in crisi le posizioni distruttive ed eversive dell’anti-politica», sorvolando sulle responsabilità di queste nostre organizzazioni chiamate partiti, così abili, così efficaci nel determinare lo scollamento tra Palazzo e società civile, tra cittadini e onorevoli così arroccati nelle loro liste bloccate e nel gioco congiunto condotto all’insegna del riformismo da ignorare prima e sottostimare poi la crescita di un movimento come quello a Cinque stelle, ancora una volta indicato (pur senza citarlo esplicitamente) come espressione più compiuta di questa pericolosa deriva, ancora una volta scambiato per causa invece che per effetto…Paradossalmente -con tutte le sue difficoltà e i suoi difetti- proprio l’unico che possa dirsi davvero estraneo al consolidato sistema corruttivo che ha infettato le nostre istituzioni a ogni livello. L’unico infatti a non stupirsi affatto di quel che le inchieste dei magistrati continuano a far venire a galla….
http://www.lintellettualedissidente.it/inevidenza/lanti-politica-della-politica/

L’anti-politica della politicaultima modifica: 2014-12-12T13:26:21+01:00da davi-luciano
Reposta per primo quest’articolo