GIU’ LE MANI DALLA NOSTRA TERRA – SU LE MANI SUI TORTURATORI DI NASSIRIYA

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” Istruitevi, perchè avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perchè avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perchè avremo bisogno di tutta la nostra forza”. 

(Antonio Gramsci)

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Stavo per finire un articolo su Renzi, Kiev, fracking e partita geopolitica sull’energia, che ora verrà posticipato a subito dopo questo qui, quando sono piombate sul blog due notizione. Una bella, l’altra orrida.

No Tav-Terzo Valico, un’altra casamatta

Partiamo dalla prima, così siamo attrezzati a sostenere la seconda. Sabato scorso è esploso a livello nazionale il bubbone Tav-Terzo Valico. Quello che contiene l’ennesima demenziale alta velocità, da Genova a Tortona. Un’idiozia ad alto profitto per i soliti lestofanti. Sarebbe come lanciare una Ferrari dalla camera da letto in cucina. Un bubbone cresciuto nel corso di anni, diventato nel 2013 grande questione politica, economica, sociale, ambientale, legale, ma confinata nel silenzio delle valli boscose dell’Appennino ligure-piemontese.Terra ancora integra, di lupi, caprioli e uomini liberi, poco frequentata dai consumatori di turismi stereotipati, trascurata dai cannibali delle risorse e della “crescita”, visto che ai suoi sentieri ostici e alle sue popolazioni riottose si pensava di poter sottrarre castagne, funghi e poco più.

E invece, grazie a quella popolazione che, da “riottosa” ed emarginata, è deflagrata in ribelle con visione rivoluzionaria, oggi ne sono costretti a parlare tutti. C’ero stato, l’inverno passato, avvisato dai maestri No Tav della Valsusa, e, tra Novi Ligure, Arquata e Genova, avevo scoperto il Terzo Valico, anzi i “No Tav-Terzo Valico”, fratelli minori, ma dello stesso letto, delle avanguardie nazionali dell’indomabile Valle. E avevo scoperto una realtà di presidi, assemblee, cortei, lotte, che andava avanti da quando lo stesso insano branco di licantropi mafio-istituzionali, intento a divorare genti e territori in tutto il paese, si era avventato su queste lande per sfasciarle, desertificarle e trarne bottino. Li avevo visti marciare, i No Tav Terzo Valico, cantare, impedire espropri, sfondare recinzioni, coinvolgere popolazioni e parlamentari (tra questi solo i consueti Cinque Stelle). Ma fin lì tutto era rimasto come in sordina. Ho tentato di fare un graffio alla blindatura del silenzio dei media complici affiancando questa vicenda alle altre – No Tav, No Muos, No tanti altri saccheggi e devastazioni – nel docufilm “FRONTE ITALIA – PARTIGIANI DEL 2000”, ora in uscita.

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Ma gli strepitosi compagni che sul Terzo Valico (che poi sarebbe il quinto, visto che ne esistono già altri tre, assolutamente sufficienti, sottoutilizzati, in perdita di traffico da decenni, che da sempre aprono il transito dal mare all’entroterra e all’Europa), mi hanno fatto prendere un bel buco. Il film l’ho chiuso pochi giorni fa ma, proprio ora, sabato scorso, questi miei amici hanno allestito a Radimero di Arquata Scrivia, con il concorso di tanti No nazionali collaudati, la migliore delle loro battaglie. Reti intorno alle voragini in corso d’apertura nel Basso Piemonte e nella ligure Valpolcevera, che dovrebbero squarciare montagne e valli per nessunissimo vantaggio logistico, ma per una rapina da 6,2 miliardi, destinata ovviamente a decuplicarsi, le avevo già viste e girate mentre venivano assaltate e rimosse. Ma la devastazione era passata sostanzialmente sotto silenzio, grazie anche all’astuta “moderazione” dei pali in uniforme, intesa ad evitare che fosse lacerato il velo della riservatezza e delle mistificazioni.

Sabato scorso, invece, a docufilm chiuso, ecco che i No Tav-Terzo Valico hanno saputo far risuonare alle orecchie di un’opinione pubblica narcotizzata la sveglia racchiusa in quel verso della famosa canzone “Valle Giulia” (1968):

 Le camionette, i celerini  ci hanno dispersi,

presi in molti e poi picchiati

ma sia ben chiaro che si sapeva

che non è vero, no, non è finita là

non siam scappati più, non siam scappati più.

Avevo già visto le reti arancione dello stupro tagliate a Radimero e gli alberi sterminati ripiantati, ma quella volta, per attutire l’eco, i pretoriani erano rimasti in occhiuta passività. Poi le recinzioni erano state rimesse, dalla plastica si era passati al metallo, invalicabile, indistruttibile. Invalicabile? Indistruttibile? Sabato scorso alcune migliaia di cittadini, evolutisi in militanti, hanno valicato, hanno distrutto. 200 metri di recinzioni metalliche saltate e si sono ripresi il bene tolto. E i silenziatori si sono visti deflagrare tra le mani un botto che ha risuonato ben oltre le creste dell’Appennino da violentare. Già, perché i furbi delle armi di distrazione di massa, di fronte a una violazione del disordine costituito, hanno obbedito al riflesso condizionato che il sistema non riesce a reprimere quando, confrontato da chi decide di resistere in piedi, anziché prenderle a mani alzate e morire in ginocchio. Quando a mafiosi, corrotti, prevaricatori, predatori, cioè al massimo della violenza illegittima, si risponde non tollerandola, quella violenza, si esprime il massimo del pacifismo, di pace da giustizia. E si sfonda la congiura del malaffare che si avvantaggia del silenzio.

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Dalla Valsusa, dai siciliani del No Muos, dai greci per anni in rivolta, dagli Indignados e primaverili arabi autentici, s’è recuperata l’antica verità che, se una lotta non vuole essere soffocata dall’ignavia dell’informazione e raggiungere cuori e menti di milioni, miliardi, devi reagire, infliggere un costo al nemico che, sommato al costo subito, faccia massa critica e sfondi verso l’opinione generale, vuoi ostile, vuoi amica. Mutando i rapporti di forza. Sono i manifestanti spintonati, pestati e insanguinati, tra anziani, giovani, donne e parlamentari Cinque Stelle (il senatore Marco Scibona), sono le centinaia che non sono arretrati  e hanno costretto i pretoriani a rivelare il lato terroristico del loro Stato. Sarà ora la resistenza di massa  all’inevitabile ondata repressiva di autorità ed apparati al soldo dei devastatori, a continuare a far risuonare quella sveglia. “non siam scappati più”.che ha trillato per dieci anni, mutando il corso delle correnti nella struttura carsica della Storia.

Insieme agli altri, qui è in giro per il mondo in guerra contro il Nuovo Ordine Mondiale, i No Tav-Terzo Valico sono entrati  a pieno titolo tra i partigiani del 2000 del Fronte Italia. Brutta notizia per il saltimbanco zannuto che la criminalità organizzata, la massoneria, le mafie, l’Opus Dei, i banchieri, il serial-masskiller Obama, i Tecoppa di Bruxelles e Francoforte, hanno installato sul ponte di comando. Finirà come Schettino.

Sono soddisfazioni.

Nassirirya tortura

Nassiriya

Le canaglie che si sono succedute al Quirinale, a Palazzo Chigi e a Via XX Settembre durante le varie guerre Nato sappiamo tutti con quale proterva disonestà e prosopopea hanno elevato i loro sicari in divisa a eroi nazionali. Ultimo episodio quello dei due marò, assassini di  due inermi pescatori indiani in un mare che non aveva mai visto l’ombra di un pirata. Le “Jene”, unica trasmissione guardabile, insieme al programma di Paragone, “La gabbia” – e lo dico a quegli asceti, ecologisti dell’informazione, che hanno buttato la tv ritenendo che è meglio non vedere – nella puntata di mercoledì scorso, 30 aprile, hanno inciso nel carcinoma degli “italiani brava gente”. E ne hanno tirato fuori uno dei pezzi più purulenti: il mito degli “eroi martiri di Nassiriya”, 17 tra violentatori militari e civili dell’Iraq periti nell’attacco di partigiani iracheni.

Un coraggioso eversore della menzogna, inviato nella città irachena, ha riferito le testimonianze di chi nella base italiana aveva lavorato e operato al tempo in cui la resistenza l’aveva fatta saltare in aria, a rivalsa contro chi l’intero paese aveva raso al suolo. Già avevamo saputo, in pochi, ma con la certezza delle immagini e dell’audio, come questi nostri portatori di democrazia e diritti umani solevano spassarsela tirando su civili di passaggio e sui pullmini che li trasportavano, prorompendo in grida di giubilo – “annichilito!” – a ogni vittima colpita (vedi il mio “Iraq, un deserto chiamato pace”). Ora abbiamo potuto visitare le tre tende segrete, collocate ai margini della base, a distanza di sicurezza da urla di raccapriccio, dolore e morte, in cui i nostri eroi torturavano ed eliminavano, con le più raffinate tecniche apprese dai maestri Usa, soggetti sospettati di intralcio alla nostra missione di civiltà. Carabinieri e militari della stessa scuola che ha bruciato con elettrodi i testicoli di somali e infilato bottiglie nella vagina di somale, che oggi opera in Afghanistan e in qualsiasi parte d’Italia dove gli strumenti polizieschi, giudiziari e mediatici del terrorismo globale affermano di individuare ostacoli alla strategia neoliberista della devastazione e del saccheggio. Mele marce? Un convoglio di container di mele marce.

Nassiriya

Questa “nostra” Nassiriya non è stato lo spunto perché giornali e televisioni illustrassero e denunciassero, indignati e rivoltati, degrado e ferocia di questi subumani. Anzi, è capitata a fagiolo la morte in Afghanistan, per mano di un taliban, della celebrata fotografa tedesca, premio Pulitzer, Anja Niedringhaus. Embedded, anche stavolta, tra le truppe di occupazioni e i loro ascari poliziotti, come era stata in tutte le sue missioni di guerra, cosa che segna il suo lavoro al di là della qualità delle sue foto, da noi la giornalista era divenuta quasi santa per aver immortalato un soldato italiano afflitto tra le macerie della base di Nassiriya.

Così, una volta di più, l’italiano medio ha potuto placare eventuali perplessità su missioni di guerra, F-35 e Muos, con la dolente figura del nostro soldato che piange i compagni caduti nella lotta al terrorismo. E magari ribollirà di sdegno patriottico e voglia di giusta rappresaglia. Succede quando le sedicenti sinistre e centrosinistre coltivano “profonde sintonie” con terroristi che danno del terrorista alle proprie vittime, con despoti che danno del despota a governanti da abbattere, con populisti alla massima potenza che danno del populista a chi insiste a fare politica dalla parte del “torto”.

Bravi le Jene. Sono soddisfazioni, anche se torcono le

GIU’ LE MANI DALLA NOSTRA TERRA – SU LE MANI SUI TORTURATORI DI NASSIRIYAultima modifica: 2014-04-07T20:32:24+02:00da davi-luciano
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