Tagli di spesa per 10 miliardi – Nel mirino sanità e trasporti

Caccia alle risorse per la manovra. Le amministrazioni locali dovranno rispettare fabbisogni definiti per fare funzionare i servizi
di Barbara Corrao

ROMA – Si tratta di 4 miliardi «congiunturali», da trovare subito, tra l’abolizione del saldo Imu prima casa, il rinvio dell’aumento Iva, e il rifinanziamento di Cassa in deroga (Cigs) e missioni all’estero. E almeno di altri 4 o 5 miliardi per interventi strutturali sul 2014, come la nuova service tax legata agli immobili (2 miliardi), la deducibilità dell’Imu sui capannoni industriali (1,5 miliardi), la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, l’ulteriore revisione del patto di stabilità con i Comuni. Poi ci sono 2 miliardi per scongiurare l’aumento dei ticket sanitari e 4 miliardi se si volesse cancellare per sempre l’aumento Iva al 22% (più probabile una rimodulazione tra le diverse aliquote oggi al 4, 10 e 21 per cento).

Coperture da trovare comunque entro la legge di stabilità di metà ottobre, con un conto finale che secondo alcune stime potrebbe salire a 14 miliardi per rispettare alla lettera il vincolo del 3% di deficit/Pil. L’ipotesi è estrema ed è lontana dai 30 miliardi, tra tagli e nuove tasse, che servirono a Mario Monti per il Salva-Italia di fine 2011, ma comunque occorrerà reperire una cifra consistente verosimilmente intorno ai 10 miliardi. Tanto consistente che il ministero dell’Economia (Mef) è già al lavoro a pieno ritmo alla ricerca del menù da proporre tra un mese che rischia di essere ben più doloroso del previsto.

IL PIANO
In ballo ci sono sicuramente nuovi tagli selettivi come quelli da poco adottati (quasi 680 milioni) nel decreto Imu prima rata. Ma il piatto forte, questa volta, saranno l’introduzione dei costi standard e la revisione delle 720 agevolazioni fiscali del rapporto Ceriani. Queste ultime, però, sono già state utilizzate (per esempio, il taglio alle polizze vita) e richiedono un intervento di più lungo periodo. L’obiettivo del Mef è di dare un taglio strutturale alla spesa pubblica. Obiettivo complesso e difficile, anche perché le misure fin qui varate (esclusa l’Imu) hanno già richiesto coperture per 7 miliardi per il 2013-2015. Si raschia dunque il fondo del barile. «Serve un chiarimento politico – sintetizza a Radio 24 il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta – non si può continuare a discutere un problema alla volta, ci vuole un salto di qualità».

GLI ACQUISTI
Il primo punto da cui partire sarà dunque l’adozione di costi e fabbisogni standard da imporre soprattutto a Regioni e Comuni sull’acquisto di beni e servizi intermedi. Il piano per la nuova spending review punta a reperire almeno 3-3,5 miliardi nel 2014 che potrebbero diventare 4-5 miliardi l’anno a regime. «Oltre metà dell’analisi avviata su 6 voci dalla Copaff, la commissione tecnica per l’attuazione del federalismo fiscale, è stata già completata – spiega una fonte tecnica – e sarà conclusa entro fine anno per essere utilizzata, almeno in parte, nella legge di stabilità».

Nel mirino, per così dire, ci sono tutti i settori gestiti a livello di Comuni e Province: dalla polizia locale, ai rifiuti, agli asili el’istruzione. Ma la Ragioneria sta lavorando anche su sanità, trasporto locale, municipalizzate e le società inhouse. Chi sfora con le spese rispetto al costo standard rischierà tagli lineari o una riduzione dei trasferimenti dallo Stato. L’operazione prevede anche un rafforzamento del ruolo della Consip da cui passano oggi 30 miliardi sui 160 di spese per l’acquisto di beni intermedi delle Pa.

Martedì 03 Settembre 2013
http://www.ilmessaggero.it/ECONOMIA/tagli_spesa_sanita_trasporti/notizie/321469.shtml

Grandi imprese: aumenta la disoccupazione, diminuiscono i salari

Pubblicato da ImolaOggi ECONOMIA,

NEWSset 2, 2013

imprese2 set. – Occupazione e retribuzioni in calo nelle grandi imprese a giugno. L’indice calcolato dall’Istat segnala che l’occupazione scende, rispetto a maggio, dello 0,1% al lordo dei dipendenti in cassa integrazione guadagni e dello 0,3% al netto degli occupati in Cig. Nel confronto con giugno 2012 la diminuzione e’ invece dell’1,4% al lordo e dell’1,3% al netto dei dipendenti in Cig. Al netto degli effetti di calendario, il numero di ore lavorate per dipendente (al netto di quelli in Cig) aumenta, rispetto a giugno 2012, dello 0,6%.
L’incidenza delle ore di cassa integrazione guadagni utilizzate e’ pari a 34,1 ore ogni mille ore lavorate, in diminuzione di 2,9 ore ogni mille rispetto a giugno 2012. A giugno la retribuzione lorda per ora lavorata registra una diminuzione del 2,7% rispetto al mese precedente. In termini tendenziali l’indice grezzo aumenta dell’1,6%. Rispetto a giugno 2012 la retribuzione lorda e il costo del lavoro per dipendente (al netto di quelli in Cig) registrano rispettivamente una riduzione dell’1,7% e dell’1,3%. Considerando la sola componente continuativa, la retribuzione lorda per dipendente aumenta, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, del 2,5%.
http://www.imolaoggi.it/2013/09/02/grandi-imprese-aumenta-la-disoccupazione-diminuiscono-i-salari/

ALLARME FUKUSHIMA: “RADIAZIONI AUMENTATE,18 VOLTE. UCCIDONO UNA PERSONA IN 4 ORE”

Domenica 1 Settembre 2013

TOKYO – Il livello di radiazioni nei pressi del serbatoio che contiene acqua contaminata nella centrale giapponese di Fukushima è 18 volte più alto rispetto al 22 agosto, ovvero 1.800 millisievert all’ora. Una quantità che uccide una persona esposta nel giro di 4 ore. Lo ha annunciato l’operatore Tepco.
Il 22 agosto il livello, presso lo stesso serbatoio, era di 100 millisievert/ora. La legge giapponese fissa la soglia massima di esposizione a 50 millisievert/ora per i lavoratori delle centrali.
Il mese scorso, l’operatore Tepco aveva annunciato che il serbatoio aveva una perdita, e l’agenzia per la sicurezza nucleare nipponica aveva successivamente elevato la gravità dell’incidente dal livello 1 (anomalia) al livello 3 (incidente grave). La centrale fu gravemente danneggiata dal sisma e dallo tsunami dell’11 marzo 2011, che provocò la fusione delle barre di carburante in tre reattori, contaminazione radioattiva di aria, terreno ed acqua e l’evacuazione di 160.000 persone.
http://www.leggo.it/NEWS/ESTERI/fukushima_radiazioni_allarme_tepco/notizie/320807.shtml

Scuola, due bidelle precarie assunte a Modena a 66 anni

fortuna che avevamo i tecnici presentabili competenti a far leggi

Scuola, due bidelle precarie assunte a Modena a 66 anni
Le collaboratrici scolastiche hanno firmato il contratto a tempo indeterminato ormai ultrasessantenni. Un altro caso simile si era verificato sempre in Emilia-Romagna. Il sindacato Anief: “Sono gli effetti della legge Fornero”
MODENA – Dopo un lungo precariato, “due collaboratrici scolastiche in servizio nella provincia di Modena, sono state immesse in ruolo a 66 anni”. Lo riferisce l’Anief-Confedir, secondo cui un altro caso si è verificato sempre in Emilia Romagna, dove una donna ha firmato l’assunzione a tempo indeterminato a 65 anni.

“Purtroppo siamo arrivati al punto che i tanti casi di ultrasessantenni assunti nella scuola, come quello della docente 62enne di educazione artistica del grossetano, tra l’altro costretta a rifiutare il ruolo perché la proposta su più scuole presentatagli dall’amministrazione era incompatibile con i suoi spostamenti, non dovrebbero più farci meravigliare”, afferma Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir.
 
Secondo Pacifico, grazie alla riforma Fornero “dal 1° gennaio 2012 tutte le dipendenti della scuola, che costituiscono oltre l’80% del personale docente e Ata, sono state costrette a rimanere in servizio fino a 66 anni e tre mesi di età”. Quest’anno – precisa l’Anief in un comunicato – sono stati collocati in pensione 10.860 docenti e 3.662 tra amministrativi, tecnici ed ausiliari. Appena 14.522 lavoratori, un numero che corrisponde alla metà dei dipendenti pensionati del 2102 (lasciarono in 27.754), suddivisi tra 21.114 docenti e 5.338 Ata. Per Pacifico, “la scuola continua ad essere il settore dove più degli altri si continua a derogare alla direttiva comunitaria, la 1999/70/CE, che da 13 anni impone ai Paesi che fanno parte dell’Ue di assumere tutti i lavoratori che hanno svolto 36 mesi di servizio nell’ultimo quinquennio”.
 
(01 settembre 2013)
http://bologna.repubblica.it/cronaca/2013/09/01/news/scuola_due_bidelle_precarie_assunte_a_modena_a_66_anni-65668632/?ref=HREC1-5

ll Comune di Genova privatizza tutto

La giunta del Comune di Genova, guidata da un Sindaco eletto con poco più di un quinto dei voti degli aventi diritto, ( http://il-main-stream.blogspot.it/2012/05/non-rappresentano-piu-nessuno.html ) ha proposto al Consiglio comunale una delibera  con cui, in buona sostanza, si delega l’amministrazione ad avviare percorsi di privatizzazione delle società partecipate dal Comune stesso; società che erogaoi servizi estremamente importanti, non enti inutili. La delibera avrebbe dovuto essere votata il 29 luglio, ma la mobilitazione dei lavoratori ha costretto il Consiglio al rinvio ( http://www.youtube.com/watch?v=JT08Aad7OL4 ) .
Pubblichiamo di seguito un appello di varie associazioni e sindacati per organizzare una qualche forma di resistenza, in vista dell’imminente votazione. Ecco un chiaro esempio di cosa intendiamo per anticapitalismo “concreto” (tesi 7 http://il-main-stream.blogspot.it/2013/06/28-tesi.html ). Una lotta spontanea e da appoggiare con ogni mezzo disponibiei. Una lotta che ci riguarda tutti.

L’appello http://il-main-stream.blogspot.it/2013/08/il-comune-di-genova-privatizza-tutto.html

Fonte: http://il-main-stream.blogspot.it
Link: http://il-main-stream.blogspot.it/2013/08/il-comune-di-genova-privatizza-tutto.html
29.08.2013

Chi paga le basi militari Usa in Italia? Noi, con le nostre tasse

1 settembre 2013

 VIDEO AL LINK ORIGINALE IN FONDO

 Mauro Bulgarelli, ex deputato verde, denuncia: ogni anno gli italiani versano in media 400 milioni di euro per mantenere ufficiali e soldati dell’esercito Usa sul nostro territorio, da Aviano alla Maddalena, da Ghedi a Camp Derby. Non solo: esistono in Italia, oltre alle oltre 120 basi dichiarate, più di 20 basi militari Usa totalmente segrete: non si sa dove sono, né che armi e che mezzi vi siano. Bulgarelli, promosse di un referendum per smantellare qualsiasi armamento nucleare sul territorio italiano, ha anche redatto una proposta di legge per la desecretazione dei documenti di Stato, per fare luce sulle troppe questioni che rimangono nascoste all’opinione pubblica, dalle basi militari alle stragi.

 Siamo una colonia del complesso militare industriale imperialista degli Stati Uniti d’America.

http://www.oltrelacoltre.com/?p=17084

 

Siria: Damasco, anticamera per Teheran o per Tel Aviv?

Ragazzi vietnamiti geneticamente modificati dalle bombe USA

L’avventurismo di Obama è fuori  luogo –  USA e vassalli d’Europa hanno un’egemonia relativa – Con le guerre ha prosperato l’industria militare, non la nazione nordamericana – Europa nemica del mondo non-industrializzato?

 Tito Pulsinelli – Il governo degli Stati Uniti possiede le prove delle armi chimiche, fornite dalle sue molteplici agenzie di spionaggio ma -per ovvie ragioni di sicurezza- non saranno di dominio pubblico. Bisogna fidarsi dell’integrità morale dei funzionari della nazione prediletta in modo speciale da Dio (al pari della Germania fino al 1945, ed Israele a tuttoggi). Le pretese dei barbari delle lontane province dell’impero e le repentine riluttanze dei vassalli d’Europa non hanno nessuna ragion d’essere. Volgari appigli pretestuosi per cincischiare e tirarsi indietro. Un presidente USA non ha bisogno di nessun vaglio, nè autorizzazione dell’ONU perchè è consustanziato con la purezza morale. E’ l’etica fatta persona, sempre concretizzata nel “destino manifesto” del suo popolo, che si sacrifica per portare la luce nel mezzo delle tenebre.

 Fino a giovedì scorso, questo era l’orizzonte mentale dentro il quale si muovevavo a Washington, con automatico eco di fondo della mascotte inglese, intrappolata nel nazionalismo razziale anglosax. Poi, il venerdì c’è una battuta d’arresto imprevista. Obbligati a passare per i parlamenti, e misurarsi con i rappresentati ancora eletti nel corso di elezioni. La Punizione decisa in segreto in sedi extra-istituzionali, è frenata. I “governi” occidentali devono fare i conti con l’opinione pubblica e i parlamenti nazionali. Gli apocalittici di Washington e le loro fallimentari  terapie belliche, sono rimasti con il cerino acceso. Stavolta anche lburocrazie nazionalidell’Europa vassalla che ha ceduto su tutto -finanza, economia, sovranità, mercati, egemonia culturale- si defila, dubita, si divincola.

 L’avventurismo di Obama è fuori luogo, esterno al presente contesto storico: appare come l’atavico riflesso condizionato di dissotterrare l’ascia di fronte a qualsiasi problema, reale o immaginario. Eppure il decennio terribile in Afganistan, la reiterazione ostinata in Iraq, parlano di un insuccesso solare degli USA e della NATO, contro un paese agricolo e uno dissanguato da una lunga guerra  persa contro l’Iran. E’ dificile assimilare che le uniche imprese belliche vinte dagli USA sono l’invasione dell’isola caraibica di Grenada e quella di Panama. Nonostante la NATO, tutte le altre sono state un fiasco, non hanno spostato equilibri decisivi, e in Yugoslavia si è trattato di un autogol europeo .

 E’ difficile, per gli imperi e i vassalli maggiori, assimilare che dispongono ormai di una egemonia relativa, non assoluta, non idonea per dettare le proprie condizioni in ogni luogo terracqueo. Con le guerre ha prosperato il complesso militar-industriale ma non hanno apportato benefici tangibili alla nazione e al popolo nordamericano.

 La globalizzazione ha spinto il polo occidentale a questo, e per sopravvivere va verso scenari di guerra multifocale all’esterno, e all’interno regimi a democrazia ridottao governi di neoassolutismo dell’economia.

 L’elite dell’euro è decisa a rinnovare il patto di sangue con “l’alleato”, continuando a versare il 2% del PIL annuale alle casse della NATO, per dotarsi di armamento made in USA, e non disporre di nessuna difesa concreta e sovrana.

Il trionfalistici  proclami su di un Trattato Transatlantico nel giro di un anno, o il sogno ad occhi aperti degli Stati Uniti Occidentali, presentato come nuovo el dorado, testimoniano che sono disposti a seguire gli anglosax nell’assalto e depredazione alle materie strategiche del mondo non industrializzato. La fittizia o ammaestrata classe dirigente atlantista vive il miraggio di una fusione con un “alleato”, proprio nella fase del suo declino e dell’approdo notorio all’egemonia relativa.

 

La Siria non è l’anticamera dell’Iran. A Teheran non nascondono che il lato positivo dell’aggressione a Damasco è che permetterà di arrivare a Tel Aviv. La Siria è una “linea rossa” che la Cina, Russia, Iran renderanno invalicabile. E’ tempo che l’Europa ricordi che si è suicidata con le sue guerre di auto-sterminio -per la maggior gloria degli USA- e ricominci a scrutare ed agire anche verso il sud, l’oriente e soprattutto verso l’est della pensisola europea. L’Italia, dopo la spedizione catastrofica in Libia, è un corpo estraneo espulso dal Meditarreneo; è tempo che riprendi a tessere una trama con i Balcani e la riviera marina. Le declinanti condizioni materiali delle genti d’Europa impongono di non dilapidare risorse, vite e beni per i diktat dell’oligarchia di Washington. Il 1945 è alle spalle e l’Europa ha già dato.

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Siria, le verità nascoste

Lunedì 02 Settembre 2013

 di Michele Paris

 La frenata del presidente Obama sull’aggressione militare contro la Siria, in attesa dell’autorizzazione del Congresso americano, è la diretta conseguenza della totale illegalità della nuova guerra in Medio Oriente che si prospetta e del crollo repentino della credibilità delle accuse rivolte al regime di Assad circa l’attacco con armi chimiche avvenuto nei pressi di Damasco il 21 agosto scorso.

 Se gli ostacoli incontrati dalla Casa Bianca nella programmazione dell’ennesima avventura bellica oltreoceano hanno ritardato l’inizio delle operazioni, la risolutezza di Washington nel colpire obiettivi in territorio siriano non sembra essere venuta meno, nonostante stia emergendo più di un indizio sulla possibile responsabilità degli stessi “ribelli” nei fatti di Ghouta che hanno causato centinaia di morti.

 L’indagine giornalistica più circostanziata in questo senso è stata finora quella pubblicata dalla testata americana Mint Press News (MPN) con sede a Minneapolis, nel Minnesota, e condotta da Dale Gavlak – già corrispondente della Associated Press, ma anche di BBC e della National Public Radio americana – e Yahya Ababneh, un reporter giordano che ha raccolto interviste e testimonianze sul campo in Siria.

 Secondo quanto riportato qualche giorno fa, alcuni gruppi “ribelli” avrebbero ricevuto le armi chimiche utilizzate il 21 agosto dai servizi segreti sauditi, guidati dal principe Bandar bin Sultan, per decenni ambasciatore di Riyadh negli Stati Uniti dove ha coltivato strettissimi rapporti con l’apparato militare e dell’intelligence americano. Bandar è uno più accesi sostenitori dell’opposizione anti-Assad in Siria e, recentemente, è stato protagonista di una visita a Mosca dove, tra l’altro, avrebbe prospettato alla Russia futuri attentati terroristici nel caso il Cremlino continuasse a rifiutare uno sganciamento dal regime di Damasco.

 Tra le interviste pubblicate da MPN spicca quella con il padre di un “ribelle” siriano ucciso assieme ad altri 12 compagni all’interno di un “tunnel utilizzato per lo stoccaggio di armi fornite da un guerrigliero saudita a capo di un battaglione” anti-Assad. I decessi sarebbero avvenuti il giorno del presunto attacco a Ghouta in seguito all’impiego forse involontario di queste armi che i “ribelli” non sapevano fossero equipaggiate con sostanze chimiche. Secondo un anonimo “ribelle”, infatti, alcuni guerriglieri avrebbero “maneggiato impropriamente le armi, scatenando una serie di esplosioni”.

 Se tale versione dovesse corrispondere al vero, sarebbe confermata l’ipotesi di molti – tra cui il governo russo – secondo la quale i “ribelli” appoggiati dall’Occidente e dalle dittature sunnite del Golfo Persico avrebbero inscenato un attacco con armi chimiche o, quanto meno, erano sul punto di mettere in atto un’azione di questo genere quando ha avuto luogo un’esplosione inavvertita, incolpando poi dell’accaduto il regime di Damasco.

 Se il resoconto di MPN è stato messo in dubbio da qualche commentatore che ha sottolineato come il fondatore della testata di Minneapolis abbia “simpatie sciite”, questa ricostruzione proposta per i fatti di Ghouta appare del tutto plausibile visti i precedenti dei “ribelli” e la posta in gioco in Siria.

 Non solo. Anche il giornale tedesco Die Tageszeitung ha collegato in qualche modo l’uso di armi chimiche ai “ribelli”, come dimostrerebbe una conversazione telefonica intercettata e postata su Facebook tra un membro del cosiddetto Fronte al-Nusra, affiliato ad Al-Qaeda, ed un suo finanziatore residente in Qatar. In essa, il militante integralista in questione cerca di dare rassicurazioni circa la capacità del suo gruppo di sferrare un attacco per riprendere la città di Homs, informando ad un certo punto il proprio interlocutore come i suoi uomini abbiano “usato armi chimiche”. Dopo una pausa, quest’ultimo afferma di essere già a conoscenza dei fatti e chiede le informazioni necessarie per effettuare un trasferimento di denaro all’organizzazione estremista.

 Come facilmente prevedibile, nessun organo di stampa ufficiale ha provato a fare chiarezza su queste notizie, preferendo invece allinearsi alla tesi sostenuta dagli Stati Uniti e dai loro alleati in Occidente e nel mondo arabo, secondo la quale esisterebbe la certezza pressoché assoluta della responsabilità del regime di Assad o, per lo meno, di una fazione al suo interno. Secondo questa versione, inoltre, i “ribelli” non avrebbero le capacità o i mezzi per condurre un’operazione con armi chimiche, nonostante sia ben documentata l’assistenza fornita loro da esperti militari americani e gli armamenti sofisticati che provengono dai governi dei paesi mediorientali alleati di Washington.

 La scorsa primavera, oltretutto, erano già stati segnalati alcuni episodi nei quali veniva ipotizzato l’uso di armi chimiche, soprattutto in un’occasione nei pressi di Aleppo in seguito alla quale lo stesso regime di Assad aveva chiesto alle Nazioni Unite di indagare. Una speciale commissione sulla Siria aveva successivamente lasciato intendere di avere individuato i responsabili proprio nei “ribelli” stessi e, in particolare, un suo autorevole membro – l’ex giudice del Tribunale Penale Internazionale Carla Del Ponte – aveva affermato in un’intervista che erano emerse prove “quasi certe” dell’uso di armi chimiche da parte dei gruppi armati dell’opposizione.

 Queste dichiarazioni sarebbero state in grandissima parte occultate dalla stampa ufficiale, assieme ad un’altra notizia che contraddice coloro che sostengono come i “ribelli” non abbiano alcuna disponibilità di armi chimiche. Nel mese di maggio, infatti, la stampa turca aveva riportato dell’arresto di alcuni militanti del Fronte al-Nusra in una località di confine con la Siria nelle cui abitazioni era stata rinvenuta una certa quantità di gas sarin.

 Ad alimentare i sospetti circa di fatti di Ghouta sono infine alcuni resoconti che in questi giorni descrivono come le forze dell’opposizione anti-Assad siano state informate nei giorni immediatamente precedenti al 21 agosto di una imminente escalation militare nei confronti del regime di Damasco in seguito a sviluppi che avrebbero determinato un cambiamento degli scenari del conflitto in corso da oltre due anni nel paese mediorientale.

 

L’intelligence di paesi come Turchia e Qatar avrebbe quindi assicurato ai comandanti delle brigate attive in Siria l’imminente arrivo di ingenti forniture di armi per mettere in atto un’offensiva contro le forze regolari. L’attacco con armi chimiche a Ghouta, dunque, potrebbe essere stata un’azione programmata tra i “ribelli” e i loro sponsor occidentali e arabi, da utilizzare poi come pretesto per giustificare un intervento militare contro Assad. Questo modus operandi volto a fuorviare l’opinione pubblica, d’altra parte, in passato è stato utilizzato dall’imperialismo a stelle e strisce in svariate occasione, dal Vietnam all’Iraq.

 A fronte di tutti i dubbi sulle reali responsabilità dell’attacco con armi chimiche a Ghouta e dell’assenza di prove certe presentate da Washington a sostegno della propria tesi, il dibattito in corso sui media ufficiali continua ad essere incentrato su altre questioni, come l’efficacia di un’azione militare “limitata” in Siria oppure i rischi di natura politica a cui Obama andrebbe incontro con un intervento condotto senza la collaborazione dei tradizionali alleati o, addirittura, in assenza di un voto favorevole del Congresso di Washington.

 Fuori dal dibattito rimangono invece regolarmente le vere motivazioni di natura strategica che stanno alla base dell’iniziativa americana, così come la totale mancanza di autorità morale degli Stati Uniti nel decidere di punire un paese che si sia reso eventualmente responsabile di un attacco con armi chimiche contro il proprio popolo.

 Se anche ciò fosse accaduto in Siria – e i fatti emersi finora non sembrano confermarlo – gli USA si assumerebbero il compito di colpire i presunti responsabili pur essendo di fatto i principali trasgressori del diritto internazionale, essendo stati protagonisti solo nell’ultimo decennio dell’invasione illegale e della distruzione di un paese sovrano, dell’uso di fosforo bianco e uranio impoverito contro popolazioni civili, di torture e rendition su vastissima scala e, come è stato rivelato in questi mesi, della messa in atto di programmi di sorveglianza di massa per tenere sotto controllo ogni minaccia contro i propri interessi sia sul fronte domestico che su quello globale.

http://www.altrenotizie.org/esteri/5644-siria-le-verita-nascoste.html

Napalm in Siria. Complimenti BBC!

la-settimana-enigmistica

Aguzzate la vista! (come consiglia anche la cara Settimana Enigmistica) E guardatevi il video della BBC. Potete anche saltare i primi 34 secondi (anche se il tono politically correct della giornalista che introduce è la cosa più oscena del video) l’importate è osservare con attenzione.  Pronti? Via.

 OK. E ora l’articolo.

 Solo commiserazione per i  tanti disperati della guerra che – con familiari, parenti e, spesso, con un cellulare – improvvisano falsi video “shock” da vendere. Tutt’altro giudizio per gli strapagati “corrispondenti di guerra” che questi video comprano per imbottire i loro, altrimenti indigeribili, reportage e per quei network che, forti di un pubblico ormai completamente assuefatto, questi video diffondono con il “prestigio della loro “autorevolezza”. È il caso dell’ormai arcinoto video del “Bombardamento con il napalm  su una scuola nel nord della Siria”,  lanciato dalla BBC  – e subito ripreso, in Italia, da ANSARAInews,  La Stampa,Corriere della Sera, il Fatto quotidiano – che riferisce di almeno 10 bambini uccisi e molti altri feriti (“molti lamentano ustioni su oltre il 50% del corpo, il che rende incerta la prognosi dei medici”) per “una bomba al napalm, lanciata da un caccia dell’aviazione di Assad, su una scuola” (…) “come riferiscono numerosi testimoni”.

 Ma prima, due parole sul napalm una sostanza gelatinosa che sviluppa un calore altissimo (fino a 1.200 gradi) e che si appiccica alla cute bruciando (anche irrorandola con acqua) per 10-15 minuti. Non a caso, tranne qualche rarissima eccezione, non sono mai state trovate vive persone colpite direttamente da napalm (che tra l’altro, determina bruciature assolutamente caratteristiche) ma solo quelle colpite da fogliame e altri oggetti arsi da questa sostanza. Fogliame, appunto. In quanto il napalm (tra l’altro, oggi in disuso, anche nella sua variante Napalm-B) è un’arma fatta per colpire terreni sommersi da vegetazione (come i boschi dell’Appennino nel 1944 o le campagne vietnamite); non certo aree urbane (dove il suo effetto sarebbe minimo) e dove oggi si preferisce usare (Falluja,Gaza)  fosforo bianco: formalmente, un dispositivo illuminante, sì incendiario, ma prevalentemente tossico e che lascia sul terreno evidentissime tracce.

 Inverosimile, quindi, che l’aviazione di Assad abbia impiegato una bomba al napalm per colpire una scuola. Ma poi, perchè uccidere degli inermi scolaretti? Per ingraziarsi l’Occidente? Ma, poi, siamo sicuri che fosse una scuola? È la prima domanda che ci si pone vedendo nel video la piscina posta a fianco dell’ingresso. Una scuola? Senza nessun banco, lavagna, zainetti e libri abbandonati…  e via dicendo? I corrispondenti della BBC – Ian Pannell e Darren Conway – ci assicurano di si. E, per attestarlo, ci mostrano un dondolo di plastica, un paio di scarponi invernali (ad agosto?) e una scarpa da donna:  tutti miracolosamente intatti, dopo i 1200 gradi del napalm. Per fortuna le nostre perplessità vengono spazzate via da quanto riportato da RaiNews “Coperto dall’anonimato nel timore di rappresaglie, il preside della scuola (e meno male che era protetto dall’anonimato! N.d.r.) ha dichiarato di “non aver mai visto nulla di simile prima”(…) “La cosa peggiore nella vita è guardare qualcuno morire proprio davanti a te senza poterci fare niente“.”

 Ma dove sono i corpi dei dieci bambini uccisi e degli altri di “incerta prognosi”? Il video (pur preceduto nelle sue versioni italiane da un minaccioso “Attenzione! Video non adatto a persone sensibili.”) non li mostra. E non mostra nemmeno genitori che verosimilmente sarebbero dovuti accorrere in gran numero nell’ospedale (e nemmeno le loro macchine, come dimostra il parcheggio semivuoto davanti l’ospedale). Bisogna, quindi, accontentarsi dell’esibizione di questo bambino che, seduto su una sedia, con una pelle assolutamente intatta (per non parlare dei capelli) ricoperta da una crema, senza togliersi nemmeno l’orologio da polso, ce la mette tutta per convincerci. Certamente, meno avvincente la tizia con il velo in testa (ovviamente intatto, come il vestito) ma sempre ricoperta dalla stessa crema che, non potendo essere un lenitivo antiustione (la tizia sta entrando nell’ospedale) dovrebbe rappresentare il famigerato napalm. Poco convincente, come le donne urlanti e il tizio con i baffi accanto a lei.

 Ma quello che resta davvero il “top” del video è questa scena – girata in una stanza che tutto può essere tranne un pur improvvisato ricovero ospedaliero (considerando la presenza di uno specchio, una tenda ma di nessun letto o branda) – dove cinque ragazzi stesi per terra (tre con i vestiti intatti, ça va sans dire‎), ce la mettono tutta ad improvvisare (anche se il ragazzo, in fondo, con la camicia bianca, evidentemente scocciato, ad un certo punto si alza e dichiaraforfait). Sovrasta la scena un uomo con una canottiera sbrindellata e macchie sulla pelle. che, (al pari del ragazzo con la maglietta  gialla) potrebbero pure essere vere ustioni (non certamente da napalm, visto che entra nell’edificio con le sue gambe) se non fosse per i due “soccorritori” (senza guanti, ma bardati con mascherina e maglietta blu dell’organizzazione “umanitaria”  Hand-in-hand-for-Syria) che si direbbero ignorarli, concentrando le loro “cure” su altri due ragazzi stesi a terra a improvvisare. Soccorritori che, tra l’altro, insistono a bardarsi in maniera forse “scenografica” ma francamente sospetta come questo tizio con maschera antigas che esce dall’ambulanza o questa che, in un cortile, con una maschera a filtro per polveri sottili, concede una intervista.

 Tutte costruite le scene del video? Probabilmente no. Alcuni spezzoni potrebbero rappresentare autentici ustionati (non certo da napalm). Ma le ustioni non sono rare in Italia (100.000 trattati in strutture ospedaliere), figuriamoci oggi in Siria. E quelle verosimili, rappresentate nel video, riguardano due uomini e un ragazzo, non già bambini. Già, i bambini. Dove sono i bambini?

 Fosse successo quello che racconta la BBC, state pur certi che i “ribelli” (o anche i genitori) non avrebbero avuto remore ad allinearne i corpicini, riprenderli con cura e realizzare video da lanciare su internet . Così non è stato e, questa volta, alla “mitica” BBC non è restato che raccattare spezzoni vari, condirli (tra le centinaia di persone che avrebbero dovuto essere coinvolte nella tragedia) con testimonianza anonime; aggiungerci quella di tale Mohammed Abdulatiff – presentato dalla BBC come “testimone oculare” – anche se nel video si limita a maledire le Nazioni Unite, declamare quattro parole di circostanza… e realizzare un ennesimo scoop destinato a fomentare una guerra. Complimenti, BBC.

 Francesco Santoianni

 Articolo pubblicato contemporaneamente sul sito www.francescosantoianni.it

http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1942

 

Israele: il pezzo mancante del puzzle siriano

settembre 2, 2013

 Adrian Salbuchi, RussiaToday, 2 settembre 2013 – CounterPsyops

 Finiscila
              di lamentarti,

Finiscila di lamentarti, mi avrebbero dato il Nobel per la Pace se non sapessi quel che faccio?

 Mentre il mondo trattiene il fiato, chiedendosi quando gli Stati Uniti e i loro alleati attaccheranno la Siria, i governi occidentali e i suoi ben oliati media mainstream sembrano ignorare un giocatore chiave rimasto stranamente silenzioso durante la crisi: Israele. Oggi, il potere degli Stati Uniti si basa pesantemente sul loro terrificante potere militare, il loro complesso industriale-finanziario e la loro influenza globale mediatica. Ma è un potere in rapida erosione, perché nell’era di internet il potere si basa sempre più su prestigio, credibilità e fiducia, settori in cui gli Stati Uniti sono a pezzi.

L’interventismo degli Stati Uniti è diventato fin troppo palese negli ultimi 20 anni. La guerra nei Balcani, alla fine degli anni ’90, con il bombardamento di Belgrado, ha allarmato soprattutto i Paesi non alleati, perché insieme alla guerra di Bush padre del 1991, è diventato chiaro che l’egemonia  globale statunitense s’imponeva sul mondo intero, in particolare dopo l’uscita di scena dell’ex Unione Sovietica. Ma ciò che ha fatto lampeggiare subito l’allarme fu l’Iraq. Le false accuse di baby Bush sulle “armi di distruzione di massa”, come scuse per aggredire un intero Paese solo per poter “stanare” il suo scomodo ex-socio Saddam Hussein, erano palesemente oscene e dimostravano a molti che la potenza egemone globale statunitense era ufficialmente fuori controllo. Allora, gli USA avevano ancora la scusa degli orrendi attacchi dell’11/9 a New York e a Washington per giustificare il loro massiccio bellicismo. Ma la credibilità statunitense ebbe un forte calo quando George W. stesso ammise che: A) non vi era alcun legame tra il brutto e cattivo Saddam e Osama, il  presumibilmente responsabile del 11/9 (ahimè non lo sapremo mai, perché Obama ha gettato in mare Osama…) e B) sicuramente, certamente ed inequivocabilmente non c’erano armi di distruzione di massa in Iraq… si aggiunga che aumentano le prove che l’11/9 possa essere stata una false flag…  Quindi, gli USA hanno dovuto pianificare una nuova guerra, o meglio, un nuovo sistema per creare una guerra contro i suoi bersagli scelti, gli “Stati canaglia”. Bastava andare in TV e accusare questo o quel Paese di essere un “pericolo per la pace mondiale”, o che “non ha il tipo di democrazia che vogliamo vedere”, come Hillary Clinton disse durante la sua visita in Egitto lo scorso anno… No.

Qualcosa di nuovo doveva essere inventato: “La primavera araba”, nome in codice per istigare, innescare e pianificare la guerra civile nei Paesi oggetto, che poteva poi essere trasformata, se necessario, in una vera e propria guerra sociale, e se la leadership persisteva non cogliendo il messaggio e restando aggrappata al potere, allora Stati Uniti, Regno Unito, Israele e altre agenzie d’intelligence aumentavano il danno nazionale pianificando una vera e propria guerra civile, come in Libia, Siria, Egitto, Afghanistan, Iraq…

Per pianificare guerre in tutto il Medio Oriente, è fondamentalmente necessario:

A) identificare i “combattenti per la libertà”, per lo più criminali, terroristi, guerriglieri, soldati di ventura e un vasto assortimento di mercenari violenti;

B) armarli con armi letali sofisticate (ma non troppo), finanziarli per assicurarsi che facciano quello che vogliono nel Paese preso a bersaglio, e

C) scatenarli sulle città di Egitto, Libia, Siria e altrove, proprio come hanno fatto (e ancora fanno) in Iraq.

E se tutto questo non funziona, basta ordinare a diverse squadriglie di caccia della NATO di bombardare il luogo maledetto, facendolo in mille pezzi e fornendo intelligence satellitare ai “combattenti per la libertà” locali, in modo che possano eseguire operazioni hollywoodiane, come ad esempio l’assassinio in diretta TV di Muammar Gheddafi e della sua famiglia, accompagnati da una Hillary Clinton che ridacchia sulla CBS TV. Ma il caso della Siria è diverso. Gli USA non potranno più gettare fumo negli occhi del Mondo. Settori crescenti della comunità internazionale capiscono che quelle bande di assassini violenti, stupratori e criminali, i freedom fighters siriani, sono stati armati, addestrati, finanziati e mediaticamente supportati al massimo dagli Stati Uniti e dai loro alleati.

Il reparto trucchi sporchi degli USA esplode entusiasta da quando cerca di attribuire i recenti attacchi chimici al governo di Bashar al-Assad, ma tutto ciò ottiene scarsissima credibilità. Il buon senso impone che sarebbe un suicidio, per il Presidente Bashar Assad, uccidere i civili, tra cui  bambini, in un quartiere di Damasco, quando i suoi veri nemici sono i terroristi filo-occidentali e i delinquenti che cercano di occupare il Paese. Perché Assad darebbe ai suoi nemici la “scusa perfetta” per un attacco contro la Siria? Il buon senso ci dice che Assad sicuramente dice la verità quando accusa quegli stessi terroristi dell’attacco “false flag”, per portare la NATO dalla loro parte, con i suoi jet, bombe a grappolo e napalm. Ogni volta che sentiamo parlare di questi terribili attacchi terroristici, dobbiamo capire due questioni fondamentali: 1) chi beneficia di tali attacchi, e 2) seguire la pista dei soldi…

Oggi, la credibilità degli USA, la loro fiducia e il loro prestigio sono caduti così in basso che perfino il Parlamento inglese ha sconfessato qualsiasi intervento armato da parte del Regno Unito, almeno fino a quando l’ONU o qualche entità indipendente e veramente affidabile, sfornerà prove inconfutabili su chi ha perpetrato le odiose atrocità chimiche in Siria della settimana scorsa. Così, David Cameron non può che agire in “modalità barboncino” di Obama, come il suo predecessore Tony Blair obbediva a George W., per l’Iraq, dieci anni fa. Ma diamo un’occhiata a tre fattori che mancano all’analisi sulla crisi siriana:

 1) Israele

Dalle due guerre del Golfo, gli USA hanno combattuto guerre per conto degli israeliani. Nel caso dell’invasione del 2003 e della distruzione dell’Iraq, ciò era così evidente che gli stessi neocon nel 1996-97 pianificarono la guerra contro l’Iraq, secondo il loro think-tank “Progetto per un Nuovo Secolo Americano (PNAC)”, Paul Wolfowitz, Richard Perle, Dick Cheney, Condoleezza Rice, Bush, Douglas Feith, David Wormser e altri, che avrebbero poi eseguito con la guerra del 2003, da alti funzionari del regime di George W. Bush. La ragione principale: Saddam Hussein era allora la più grande minaccia al “favorito alleato democratico”, Israele. Molti di quei neocon, Douglas Feith, David Wormser, Richard Perle e altri bushiti, si erano già spinti, nel 1996, a preparare un rapporto strategico per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, chiamato “A Clean Break: Una nuova strategia per la protezione del reame” che, ancora una volta, indicava l’Iraq quale nemico fondamentale di Israele in quel momento. Così, la guerra in Iraq fu in gran parte una guerra per procura che avvantaggiò solo Israele, divenendo un’afflizione enorme per gli USA, che vi perse migliaia di loro figli. Come l’ex primo ministro della Malesia, Mahathir bin Mohammed, una volta  sottolineò: “Gli ebrei governano il mondo per procura. Mandano gli altri a combattere e a morire per loro.”

 2) Israele

Il ruolo eccessivo e travolgente che il sionismo gioca nella politica, nella finanza, nelle università, nei media statunitensi, tra cui l”industria dell’intrattenimento” di Hollywood, e nella politica estera statunitense, è del tutto provato. La questione fondamentale oggi è al centro di un dibattito sempre più ampio nell’intellighenzia statunitense, ovviamente taciuto sui media mainstream. Una delle sue pietre miliari la posero due prestigiosi accademici statunitensi, Stephen Walt, ex-preside della John F. Kennedy School of Government della Harvard University, e il suo collega John Mearsheimer, professore di Scienze Politiche presso l’Università di Chicago, che pubblicarono un libro rivoluzionario: “La lobby israeliana e la politica estera degli Stati Uniti”, nel 2007. In esso, mostrano in maniera molto convincente e ben documentata la lunga portata e la potente influenza che la lobby “Israele prima di tutto” esercita sui media, le banche, il Congresso, il dipartimento di Stato e il Pentagono statunitensi, per cui è sistematicamente in grado di far pendere la bilancia a favore d’Israele, non importa quale ne sia il costo. Non importa se sia giusto o sbagliato. E il costo per gli USA è stato estremamente caro per il loro interesse nazionale. Qui si trova una delle radici della grande mancanza di rispetto, diffidenza e persino di odio che crescenti settori dell’opinione pubblica mondiale sentono verso gli Stati Uniti ed i loro alleati chiave.

 3) Israele

Il problema del presidente Barack Obama in questo momento, è che la struttura militare statunitense è ben consapevole della posta in gioco in un qualsiasi “attacco preventivo” contro la Siria e, molto più importante, contro l’Iran. L’intervento contro uno o entrambi i Paesi, senza dubbio, porterà a una grande guerra in Medio Oriente. Guardate la mappa: la Siria e l’Iran si trovano esattamente all’interno della vitale sfera d’interesse geopolitico della Russia, che è già sotto una pesante invasione occidentale. Leggete le labbra, la Russia dice: “Non un passo avanti!” Gli USA farebbero bene a pensarci due o tre volte prima di fare qualcosa di avventato… Ma ecco il problema: da quando Israele è stato cacciato dal sud del Libano, nel luglio 2006, dalle forze ben armate e addestrate (da Iran e Russia) di Hezbollah, comandata da Nasrallah, Israele si lecca le ferite e vendetta ed oscuro furore bruciano nel cuore del sionismo. Da quando Bibi Netanyahu è tornato al potere, nel 2011, Israele è in modalità da guerra preventiva, utilizzando l’inesistente programma nucleare iraniano come pretesto. Per questo, negli ultimi quattro o cinque anni, Israele ha minacciato l’Iran di un attacco militare quasi ogni giorno, con Washington, Londra e Parigi nervosamente obbligati…

L’esercito statunitense, però, è dolorosamente consapevole che c’è una parte di verità nelle parole dell’ex Primo ministro Mahathir. Non vuole combattere un’altra guerra israeliana, questa volta in Iran. Così, frena riflettendo la crescente “cautela” di Obama riguardo l’Iran, arrivando al punto d’inviare i suoi vertici militari in Israele a calmare Netanyahu, cercando di assicurarsi che Israele non lanci un “attacco preventivo” unilaterale contro l’Iran, che trascinerebbe gli Stati Uniti in un enorme conflitto in Medio Oriente, i cui risultati sarebbero tutt’altro che chiari. In realtà, una sconfitta di USA-UK in Medio Oriente potrebbe benissimo significare l’inizio della fine degli USA come superpotenza globale. Russia (e Cina) si oppongono con forza sul Medio Oriente… Non tentennano… La strategia militare degli Stati Uniti dice che se la Casa Bianca deve attaccare l’Iran,  deve prima eliminare la Siria. Almeno questo sembra essere la promessa degli USA per tenere a bada i cani della guerra di Netanyahu. Ma le settimane sono diventate mesi, i mesi anni e i sionisti in Israele, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e altrove sono sempre terribilmente impazienti. Vogliono che il loro D-Day sia adesso! Se la strada per Teheran deve passare per Damasco, allora gli USA colpiscano Damasco ora!

Per tre anni gli Stati Uniti hanno pianificato la guerra civile della “primavera araba” in Siria, ma Bashar Assad è ancora lì. E la Russia è con lui. Un voto unanime del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite contro la Siria non è più un’opzione. Il Parlamento della Gran Bretagna ha appena detto di no a David Cameron, e il sostegno del presidente francese Hollande agli Stati Uniti manca di peso: purtroppo per i francesi, sono passati decenni da quando la Francia poteva decidere il risultato di una guerra, ovunque… Ora, molti nel Congresso degli Stati Uniti mugugnano…

Quindi, signor “CEO” degli Stati Uniti d’America Barack Obama: tocca a voi ora! Quindi, o attacchi la Siria oggi, adesso, avendo il plauso unanime dei sionisti d’Israele, del Congresso, delle banche e dei mercati globali, dei media mainstream di tutto il mondo, o desisti e il vostro prestigio, “signor Presidente”, finisce nello sciacquone. Sarà il vostro un bluff. E un presidente che bluffa non è un presidente per nulla. Putin lo sa fin troppo bene, ed è per questo che mantiene una potente flotta russa ad incrociare nelle acque del Mediterraneo al largo delle coste della Siria…

Ancora una volta, vergognatevi USA! Siete finiti in un altro bel pasticcio del cavallo di Troia israeliano…!

 Adrian Salbuchi è un analista politico, autore, speaker e commentatore radio/TV in Argentina.

 

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

http://aurorasito.wordpress.com/2013/09/02/israele-il-pezzo-mancante-del-puzzle-siriano/