IMMIGRATI: SINDACO POZZALLO, ACCOGLIENTI SI’, MA NON FESSI (2)

18:00 17 AGO 2013

(AGI) – Ragusa, 17 ago. – Lo sfogo del sindaco di Pozzallo contiene un appello al Ministro. “Siamo totalmente dimenticati dalle autorita’. Ogni giorno sentiamo parlare di Lampedusa, i riflettori sono accesi sempre li’, ma realta’ come Pozzallo o Portopalo, che sono i nuovi approdi, hanno bisogno di essere attenzionate. Invito il Ministro – sottolinea Ammatuna – a venire di persona, per rendersi conto di cio’ che accade. Il comune di Pozzallo vanta un credito di oltre 650 mila euro con lo Stato, eppure continuiamo ad anticipare soldi per i pasti e per gli indumenti di chi arriva qui da noi”. Parole dure del sindaco per alcuni atteggiamenti poco “civili” degli ospiti del CPA. “E’ giusto che escano durante il giorno dal centro, non sono e non devono sentirsi in carcere. Pero’ – denuncia il primo cittadino – la gente di Pozzallo, da sempre immensamente ospitale, e’ molto stanca. In questi giorni sta accadendo di tutto, tafferugli fra loro, atti osceni in citta’, entrano nei bar e non pagano, chiedono continuamente soldi ai cittadini.
  Siamo davvero stanchi. Si debbono criticare questi gesti e denunciare, noi li accogliamo civilmente, ma loro devono comportarsi in modo adeguato”. Al sindaco, in conclusione, piace ricordare cio’ che stanno facendo i pozzallesi per chi, come i 400 ospiti, arriva in citta’. “Li portiamo a Messa ogni domenica, li aiutiamo, cerchiamo di fare a gara, per non farli sentire ospiti; li offriamo persino le sigarette. A tutto c’e’ un limite – conclude -, siamo al collasso in tutti i sensi. E da Roma, appunto, nessuno si accorge di noi. Questa situazione, cosi’ com’e’, non puo’ continuare”. (AGI) rg2/Mal
http://www.agi.it/palermo/notizie/201308171800-cro-rpa1016-immigrati_sindaco_pozzallo_accoglienti_si_ma_non_fessi_2

La guerra civile in Egitto rivela il flop delle “primavere” sfuggite di mano agli Usa

di Mauro La Mantia – 18/08/2013

 Fonte: Barbadillo

 L’Egitto brucia e tutti i media italiani iniziano a rendersi conto che il bacino del Mediterraneo è ormai una pericolosissima polveriera che può esplodere da un momento all’altro. A parte la conta dei morti in pochi sembrano rendersi conto della partita geopolitica che si sta giocando a pochi chilometri dalle nostre coste. Forse dovremmo interessarci di più di quanto avviene nell’ormai ex Mare Nostrum piuttosto che dividerci tra berlusconiani e antiberlusconiani.

 Nel 2011 le Primavere Arabe (ormai tutti concordi nel declinare al plurale questo fenomeno) non esplodono improvvisamente. Soltanto gli ingenui o finti tonti potevano credere ad un “movimento spontaneo” che dalla Tunisia ha coinvolto progressivamente un numero impressionante di popolazioni di due continenti. Il giornalista Alfredo Macchi nel suo “Rivoluzioni Spa. Chi c’è dietro la Primavera Araba” spiega in maniera rigorosa il ruolo giocato dall’Amministrazione statunitense nella costruzione di una vasta rete di movimenti che ha innescato le rivolte. Attraverso il National Endowment for Democracy (NED), una società privata creata negli anni ’80 da Ronald Reagan per la “diffusione della democrazia” nel mondo, gli Usa hanno sostenuto e finanziato una grande quantità di associazioni, movimenti e fondazioni operanti nei paesi arabi del Mediterraneo. Tra i più attivi vanno segnalati Freedom House (all’avanguardia nell’utilizzo dei social media), l’Open Society Foundation dello speculatore finanziario George Soros ed il Movimento 6 Aprile assoluto protagonista della rivolta in Egitto contro Mubarak.

 L’influenza degli Usa nelle Primavere Arabe, quasi alla luce del sole, è stata confermata da un’inchiesta del New York Times dell’aprile del 2011. Non secondario è stato il ruolo del Qatar che attraverso la propaganda di Al Jazeera (determinante nella diffusione delle rivolte) ha tentato di destabilizzare la regione contesa da anni con l’Arabia Saudita. Proprio il Qatar è tra i maggiori sostenitori dei Fratelli Musulmani oggi al centro dello scontro in atto in Egitto.

 Perché gli Usa avrebbero favorito la caduta di regimi “amici”? La risposta va ricercata nel cambio di strategia della politica estera americana nel perseguimento, da parte delle Amministrazioni Bush e Obama, del medesimo obiettivo:esportare la democrazia (americana) nel mondo per favorire lo sviluppo del libero mercato nei paesi islamici. Dopo il fallimento della dottrina Bush e delle disastrose guerre in Afganistan e Iraq (l’esportazione manu militari) Obama ha portato avanti il concetto di Soft Power che consiste nel sostenere e finanziare i gruppi d’opposizione dei governi nemici (tipo Libia e Siria), i governi amici (Tunisia ed Egitto) ma anche i movimenti interni dissidenti. Sembra una contraddizione ma non lo è. Gli analisti della Rand Corporation, un centro studi di Santa Monica che collabora con il Pentagono, sostengono in un dossier del 2007 (attenzione alle date, quattro anni prima dell’inizio delle rivolte) che la crisi interna sociale ed economica dei paesi islamici, del Medio Oriente e del Nord Africa, avrebbe prima o poi modificato gli assetti politici e istituzionali.

 Davanti ad una possibile caduta dei regimi “amici”, scrive la Rand Corporation, meglio che essa avvenga per mano di oppositori “amici” (quindi sostenuti dagli Usa) piuttosto che ad opera di formazioni estremiste islamiche incontrollabili. Nel rapporto degli studiosi di Santa Monica non mancavano le controindicazioni: 1) queste società sono pervase da una grande ostilità verso gli Stati Uniti; 2) la loro struttura complessa, spesso non compresa pienamente dagli occidentali, rischia di rendere queste rivolte totalmente ingestibili e dagli esiti nefasti per gli interessi geopolitici degli Stati Uniti.

 Quanto sta avvenendo in Egitto fa parte degli effetti collaterali delle Primavere Arabe. Gli Usa hanno perso il controllo delle rivolte scientificamente  sobillate nel 2011. E non vale solo per l’Egitto. Anche la Libia rischia di cadere in una guerra civile tra bande islamiste per il controllo dei pozzi petroliferi. Nella Tunisia del dopo Ben Ali la tensione è altissima dopo l’uccisione di alcuni membri dell’opposizione. In Siria gli Usa stanno accusando la più pesante sconfitta: nonostante il massiccio armamento delle milizie islamiche (anche straniere) l’esercito regolare di Assad procede nelle riconquista delle roccaforti dei terroristi.

 L’Amministrazione Obama sembra impotente davanti gli sviluppi delle Primavere Arabe. In gioco c’è il controllodel Middle East and North Africa (MEDA) dove si trovano il 60% delle riserve mondiali di petrolio e circa la metà di quelle di gas naturale. Una zona che gli Sati Uniti si contendono con la Russia e la Cina. Quest’ultima soprattutto, prima delle rivolte del 2011, era riuscita a conquistare importanti fette del mercato africano e mediorientale.  Gli Stati Uniti contavano nella caduta dei vecchi regimi, sostanzialmente ancora legati a concezioni stataliste e nazionaliste dell’economia, per assicurarsi il dominio di un grande mercato a favore delle imprese americane, minacciato dai fermenti islamici antiamericani.

 Davanti a questi epocali stravolgimenti geopolitici l’Europa targata Merkel, Hollande e Letta abdica a qualsiasi ruolo di protagonismo nello scenario mediterraneo. Quel mare non è più nostro.

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=45931

 

Allacci abusivi, la frode di ricchi e poveri

L‘ AVVOCATO,

il poliziotto, il disoccupato, il ristoratore e l’ impiegato dell’ Enel. C’ è la città disperata ma anche i professionisti e la cosiddetta “gente perbene” nell’ inchiesta più vasta degli ultimi dieci anni sui furti di energia elettrica in Sicilia. Le città nell’ occhio del ciclone sono Palermo e Catania, ma i controlli sono scattati anche a Ragusa, Siracusa, Trapani e Agrigento. Ieri in città c’ è stato l’ ultimo arresto, da parte dei carabinieri, di una donna. Aveva collegato il suo contatore a un condominio di corso Pisani.

L’ Enel ha istituito una task force con 20 ispettori arrivati da Roma e che da circa due anni stanno passando al setaccio gli impianti sospetti. Dal 2011 sono state migliaia le ispezioni a Palermo dei tecnici, al fianco degli investigatori della squadra mobile, coordinati dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e il sostituto procuratore Maurizio Agnello.

I denunciati per furto si contano a centinaia. Nei guai sono finiti anche una decina di impiegati dell’ Enel: alcuni sono stati licenziati, altri denunciati e altri ancora sono sotto procedimento disciplinare. L’ accusa: sono implicati nel sistema delle frodi. Un sistema che conterebbe, ma ancora è un’ ipotesi al vaglio degli investigatori, anche su contiguità tra la mafia e ditte compiacenti.

IL POOL ANTIFRODE.

In un anno, nel solo 2012, sono stati 3.981 i fascicoli aperti, contro persone già individuate, per furti di energia elettrica, gas e acqua. Di questi fascicoli, il 90 per cento è stato aperto per furti in danno dell’ Enel. Stessa percentuale per i 1.167 fascicoli aperti contro ignoti.

Sono questi i dati sui quali lavora il pool antifrode. In Procura, infatti, è nata l’ esigenza di creare un gruppo di pm esperti che si occupa di “furti domestici”, cioè di quei ladri che rubano acqua, luce e gas. A coordinarlo è il procuratore aggiunto Maurizio Scalia, a capo del terzo dipartimento, affiancato dal sostituto procuratore Renza Cescon. La mole di lavoro del pool antifrode della Procura, al netto dell’ inchiesta approdata al dipartimento “Pubblica amministrazione” di Agueci, è cresciuta in modo esponenziale. Ma come è nata l’ inchiesta sui furbetti degli allacci abusivi?

L’ AUTHORITY.

È il 2011 quando l’ autorità per l’ energia elettrica e il gas riscontra perdite nella rete siciliana che reputa non più fisiologiche ma sintomo di frodi di massa. All’ Enel arriva una multa consistente che determina un’ intensificazione dei controlli. Dai primi riscontri, la società per l’ energia elettrica si accorge che alcuni furti non possono essere stati messi in piedi dal singolo ladro in cerca di un taglio alle spese domestiche. Si tratta di un sistema ben più sofisticato e che avrebbe alle spalle la compiacenza di ditte specializzate negli allacci alla rete elettrica e pare l’ influenza della criminalità organizzata. Ma c’ è di più. I vertici dell’ Enel scoprono che alcuni impiegati infedeli fanno parte di questa filiera criminale.

È per questo, ma anche per mancanza di personale, che Enel si affida a tecnici specializzati che arrivano da Roma. A rotazione sono in venti, negli ultimi due anni, ad essere arrivati nei palazzi, nei negozi e anche nelle ville di alcuni noti professionisti. Il settanta per cento dei controlli, ad oggi, ha riguardato soprattutto negozi e ristoranti.

NEL MIRINO

Sono soprattutto tre le zone nelle quali le ispezioni hanno dato maggiori risultati, ma è giusto ricordare che tutta la città è interessata dai controlli della taskforce. Al Villaggio Santa Rosalia dalle abitazioni ai negozi sono stati trovati gli allacci abusivi per arrivare a pagare anche il 50 per cento in meno dei consumi. Ma c’ è chi è riuscito a evitare il pagamento da almeno dieci anni. Un dato incredibile se proporzionato al danno causato all’ Enel. Anche i quartieri di San Lorenzo e il centro storico si sono aggiudicati un posto sul podio della classifica che ogni giorno conta new entry. Attorno alla cattedrale gli investigatori antifrode hanno scoperto diverse attività con allacci fuorilegge, tra ristorantini turistici, bar e negozi di souvenir.

Di certo la sorpresa più grande per gli ispettori dell’ Enel è stata quella di trovarsi, durante un sopralluogo, davanti a un loro collega che abita proprio in uno dei palazzi finiti sotto accusa, e, in un’ altra occasione, è stata la polizia a denunciare un collega. «È giusto precisare – spiega un investigatore – che le posizioni dei denunciati sono al vaglio della Procura e non è escluso che alcuni cittadini siano ignari di quanto accade nel loro palazzo».

COSA NOSTRA

Al momento non ci sarebbero collegamenti diretti tra Cosa nostra e la gestione dei furti all’ Enel. Di fatto, però, più di un ispettore, in questi ultimi due anni, sarebbe stato avvicinato in diversi quartieri della città da alcuni personaggi che avrebbero consigliato di lasciar perdere i controlli in quel palazzo o in quel negozio «tanto caro» alla zona. Di certo allo Zen, lo ha svelato una delle ultime indagini antimafia della Dda nel febbraio scorso, gli uomini dei boss Lo Piccolo gestivano la fornitura dell’ energia elettrica ma anche quella dell’ acqua agli occupanti dei padiglioni. Bastavano 10 euro, consegnati nelle mani dei picciotti del boss, per avere in casa luce e acqua a volontà per l’ intero mese.


Egitto: cristiani torturati e sepolti in fosse comuni nelle piazze ‘islamiche’

16-08-2013
Le autorità egiziane hanno sgomberato le piazze occupate dai Fratelli Mussulmani «specialmente dopo che sono stati scoperti all’interno di questi accampamenti immensi arsenali di armi e fosse comuni per persone decedute da decine di giorni dopo essere state torturate». Lo dice all’Ansa l’ambasciatore egiziano a Roma Amr Helmy. L’Ansa evita di specificare che si tratta di cristiani copti.

Il dialogo inaugurato da Papa Francesco, prosegue.

Sono questi i manifestanti ‘pacifici’ ai quali si è detto vicino il deputato Pd Chauki? E’ questa anche la posizione del partito democratico sulla mattanza cristiana in Egitto?
Il Papa troverà, tra un incontro con Balotelli e l’altro, il tempo di dire una parola sulla strage dei cristiani?
http://voxnews.info/2013/08/16/egitto-cristiani-torturati-e-sepolti-in-fosse-comuni-nelle-piazze-islamiche/

Egitto: per i media l’assalto ai cristiani ‘non esiste’

Mentre i media occidentali si concentrano sui raid militari contro i suprematisti islamici in Egitto, ignorano il loro uso della violenza e quello di donne e bambini come scudi umani. Dopo tutto, i “manifestanti” si dicono ‘pacifici’.

Completamente ignorata l’aggressione ‘razzista’ islamica contro i cristiani, che una caratteristica importante dei Fratelli Musulmani.

I Fratelli Musulmani, a cui appartengono un paio di nostri parlamentari e quasi tutti i cosiddetti Imam delle moschee ‘italiane’, incendiano le chiese copte e di altre confessioni cristiane, ma questi vengono definiti dai media di distrazione di massa come attacchi “di rappresaglia”.

Ma Fratellanza non sta facendo alcuna “rappresaglia” contro i cristiani. I suprematisti islamici stanno perseguitando i cristiani. Che è quello che avviene in tutti i paesi a maggioranza islamica.

Nella sola giornata di ieri, sono state 22 le chiese cristiane date alle fiamme. Ma il nostro pseudo-ministro della Difesa dice:

“L’Italia deve fare tutto il possibile per evitare all’Egitto il flagello della guerra civile. La capacità dell’Ue e degli Usa di parlare alla classe dirigente egiziana e toccare le corde giuste con i militari egiziani è la strada obbligata per la riconciliazione”. Lo ha detto il ministro della Difesa,Mauro
in collegamento dalla Maddalena dove se la spassa al mare con i contingenti italiani di pace nel mondo.

Forse non se ne è accorto, ma in Egitto la guerra civile è già iniziata.

http://voxnews.info/2013/08/15/egitto-per-i-media-lassalto-ai-cristiani-non-esiste/

Tav, a opporsi non sono solo 30 manifestanti

http://www.lettera43.it/cronaca/tav-a-opporsi-non-sono-solo-30-manifestanti_43675105615.htm

Un lettore ricorda che l’intera popolazione della Val Susa è unita contro la ferrovia.

Aumenta la tensione in val di Susa per la protesta No Tav.

(© Getty images) Aumenta la tensione in val di Susa per la protesta No Tav.

Prendo lo spunto dalla locandina di un giornale e riporto testualmente: «Marcia No Tav. 64 denunciati. C’è anche il leader Alberto Perino». Questa è la notizia. Se volete anticipo anche il contenuto della prossima: «Marcia No Tav. 128 denunciati, c’è anche il macellaio di San Didero».
Poi, come per la memoria ram del computer, saliremo a 256 e via dicendo in modo esponenziale.

INFORMAZIONE DI STATO.

Questa è l’informazione di stato: mai approfondire, cercare il sensazionalismo e dare i numeri. In tutti i sensi. Se avessero detto che la maggioranza di quei 64 erano anziani over 60 che rivendicavano il legittimo diritto a entrare nelle loro proprietà che erano state appena militarizzate sarebbe stato troppo pericoloso, soprattutto per il senso critico dei sudditi di questa nazione.
Non dobbiamo farli pensare, creerebbero troppi problemi.
Allora sarà sempre questa la notizia: «Razzi e pietre sul cantiere, allargata la zona rossa». Notizie ufficiali danno per certo che l’80% delle forze dell’ordine piemontesi e qualche povero alpino sono impegnate a difendere il nulla in un cantiere: poco meno di un migliaio di uomini. Se dunque un migliaio di uomini in divisa non riesce a neutralizzare una trentina di scalmanati violenti (…) io li adibirei subito ad altre mansioni, che so, a dirigere il traffico nei piccoli paesi, a far attraversare i bambini davanti alle scuole.
Insomma, lavori socialmente più utili. Oppure posso pensare che, tutto sommato, la “notizia” che si vuole perseguire sia proprio quella, e faccia anche piuttosto comodo per mascherare all’opinione pubblica una realtà scomoda che va al di là di 30 manifestanti.

Un’intera popolazione coesa e unita contro l’opera

La contestazione del movimento No tav in Val Susa.

La contestazione del movimento No tav in Val Susa.

Devo dire che in questi ultimi anni il martello mediatico ha fatto un buon lavoro, finalmente ora, (…) l’Italia intera assimila i contrari all’opera come pericolosi terroristi.
Dunque anch’io, figlio di partigiano e figlio di questa terra, mi fregio della nomea di terrorista, anarcoinsurrezionalista, antagonista, black bloc e quant’altro la fantasia folcloristica del potere possa inventare anche se in vita mia non ho mai tirato una pietra contro nessuno, al contrario invece di alcuni pasdaran della Tav del calibro del signor Agostino Ghiglia, condannato nel 1986 a nove mesi di carcere senza condizionale per aver aggredito un gruppo di liceali ferendo uno studente e un amico, e il signor Roberto Maroni, condannato in via definitiva a quattro mesi e 20 giorni per resistenza a pubblico ufficiale.
Lui i poliziotti li mordeva proprio, e siccome sono più facili da risolvere i misteri di Marte che non quelli d’Italia, il morsicatore pazzo è anche diventato ministro dell’Interno, incaricato di comandare le sue divise blu e combattere i comunisti cattivi dimenticandosi che, fino al 1979, anche lui militava in un gruppo marxista-leninista di Varese.

ZONA ROSSA ALLARGATA.

Considerato dunque che la massa di forze dell’ordine presente a Chiomonte non è in grado di neutralizzare 30 persone, lo stato decide di allargare ulteriormente la “zona rossa”. Forse dal Frais alle Ramats, facendo contenti contadini, vignaioli, turisti e anche semplici cercatori di funghi. Questa, comunque, sarà l’unica “notizia” che potremo leggere sui giornali.
Già, perché le altre centinaia di valligiani che, indipendentemente dall’età, dal ceto, dal sesso, da una stupida ideologia di partito, sfidano l’arrogante diktat militare per entrare nei loro possedimenti, quelli non fanno “notizia”.
Non è una “notizia” che un’intera popolazione sia così coesa e unita contro il malaffare dello Stato e che resista a mani nude da oltre 20 anni contro l’arroganza delle oligarchie colluse.
Quando apriranno i cantieri di Susa e di Bussoleno istituiranno due nuove “zone rosse”? Forse da Meana alla punta del Rocciamelone? E a Bussoleno? Tutto il parco dell’Orsiera-Rocciavrè fino alla Val di Lanzo? Dicono che i No Tav siano una minoranza, forse perché alla “maggioranza” hanno raccontato un sacco di bugie, ma ora che, grazie alla rete e fonti alternative di informazione, anche gli imbevuti di tivù si stanno rendendo conto della verità, il castello si sta incrinando.

DIPENDE DALL’USO.

 Dicono che i No Tav sono contro il progresso. Un treno ad alta velocità è come una pistola, di per sé non è né buona né cattiva. Dipende da come la si usa. Se un treno ad alta velocità è utile, non danneggia il territorio, non danneggia la salute e non è soggetto a speculazioni e compravendite di stampo mafioso, allora è una cosa buona. Peccato che il treno di cui stiamo parlando non risponda a nessuna di queste caratteristiche.

La linea attuale è ben lontana dall’essere satura

La marcia dei No Tav da Susa a Bussoleno, che si è tenuta il 23 marzo 2013.

(© Ansa) La marcia dei No Tav da Susa a Bussoleno, che si è tenuta il 23 marzo 2013.

È pleonastico ma indispensabile ripetere che i volumi di traffico sono in continua discesa, la linea attuale è ben lontana dall’essere satura, già da adesso i camion possono viaggiare sui carri Modalhor, il costo di gestione del tunnel (500 milioni di euro all’anno) vanificherebbe ogni risparmio derivante dal tragitto in pianura, meno costoso l’utilizzo di una terza motrice sul percorso attuale.
Per chi ha un minimo di onestà intellettuale e senso critico esiste una letteratura infinita sul tema sviluppata da ingegneri, geologi, tecnici, economisti di tutta Europa.
Per amore di oggettività sarebbe opportuno leggere anche le tematiche di chi è a favore dell’opera, peccato che esista solo un libretto dell’architetto Mario Virano (che comunque consiglio caldamente) che però si esprime in maniera fortemente emozionale, “di pancia” come si suol dire, glissando sui dati e ricorrendo ai consueti mantra di sapore vetero-comunista: ingresso in Europa, il progresso, per finire con unanew entry di pochi mesi fa per la quale il Tav s’ha dda  «senza se e senza ma».

DANNEGGIA IL TERRITORIO.

 A prescindere dai 500 alberi d’alto fusto abbattuti in Val Clarea sappiamo che un cantiere che si rispetti ha bisogno di elettricità, per cui è già prevista un’ulteriore devastazione per un nuovo elettrodotto. La valle, nei suoi punti più stretti, è larga meno di un chilometro. Il cantiere ha una larghezza minima di 150 metri e deve letteralmente incastrarsi in mezzo a un fiume, un’autostrada, due statali e una ferrovia. Tutte infrastrutture grazie alle quali ci dicono comunque che «siamo tagliati fuori dall’Europa».

METTE A RISCHIO LA SALUTE.

 Le diatribe sull’esistenza o meno della presenza di uranio e di amianto si sono sprecate. I Si Tav sostengono che non sia vero nulla.
A Sauze d’Oulx è stata bloccata la costruzione di uno skilift per la presenza di emissioni di radon superiori a sei volte il minimo consentito dalla legge e lo svincolo in galleria di Clavière è fermo da otto anni per bonifica da amianto. Ma questa non è una “notizia”, così come non lo è la circostanza che la stessa Ltf ammette che, durante i lavori e soprattutto nella zona di San Giuliano, si prevede un aumento delle malattie circolatorie e cardiovascolari pari al 10/15% soprattutto tra le fasce più deboli della popolazione: anziani e bambini. Anche questa non è una “notizia” e sicuramente non la si leggerà mai sui giornali.

SPECULAZIONI MAFIOSE.

 Inoltre, è soggetto a speculazioni di stampo mafioso. Le prime ditte di valle chiamate a effettuare i lavori sono state inquisite per associazione di stampo mafioso dopo 15 giorni. Et voilà!
Ma l’aspetto più buffo ed eclatante di questa linea che continuano ostinatamente a chiamare Lisbona-Kiev, è che:
– il Portogallo ha rinunciato
– la Spagna (che ha uno scartamento più largo rispetto alle ferrovie europee) aggiungerà semplicemente un binario tra Algeriras e i Pirenei.
– la Francia ha bloccato il progetto fino al 2030 ed è di questi giorni la notizia che probabilmente verrà definitivamente affossato. Ma anche questa, per i quotidiani di Stato, non è una “notizia”
– tra Italia e Slovenia non esiste un collegamento ferroviario e la Slovenia non pensa minimamente di costruirlo
– oltre la Slovenia credono che la Tav sia una marca di prosciutti romeni. «Mi dà un paio di etti di Tav, per favore?» «Sì, aspetti che le tolgo il grasso».
Ma non basta. Pur di costruire questo enorme buco l’Italia si è caricata metà della spesa quando, su 57 chilometri di tunnel, la parte italiana è solo di 12. Ma anche questa non è una “notizia”.
Consoliamoci, dunque, aspettando la prossima locandina del quotidiano torinese: «I No Tav irrompono nella zona rossa ai Quattro Denti. 512 denunciati. C’era anche il bergé del Moncenisio»

Riccardo Humbert

Lunedì, 19 Agosto 2013

Rimini. Abusivi impediscono a bimbo di giocare: quasi rissa in spiaggia. Il Resto del Carlino

civiltà ed integrazione, un esempio pratico

Mario Gradara, Il Resto del Carlino: ABUSIVISMO RISSA SFIORATA AL BAGNO 85. LA RABBIA DEL TITOLARE / Bambini scacciati dai vu’ cumprà / Preso a spintoni anche il vigilantes

 RIMINI. Rissa sfiorata in spiaggia, al Bagno 85A ‘Luca e Dea’, dopo che i venditori abusivi, disposti intorno alle 10,30 già in doppia fila, hanno impedito ad alcuni bambini di costruire castelli di sabbia sulla riva, e a una giovane animatrice di intrattenere sul bagnasciuga un gruppo di piccoli di 4-5 anni.

 «Io cerco sempre di avere un profilo basso e molto tollerante con i venditori abusivi — spiega Luca Salvatori, titolare dello stabilimento balneare — anche perché questi sono molto politicizzati, pagano la tessera sindacale, non sono clandestini, e se gli dici qualcosa reagiscono in malo modo». (…)

 Cosa le ha detto il commercianti irregolare quando è arrivato?

 «Mi ha detto ‘se me lo chiedi il passaggio forse te lo concedo’. Io ho pensato che il mondo si è capovolto. Una volta se li mandavi via ti chiedevano scusa. Adesso ti aggrediscono, dicendo che gli italiani emigrano in mezzo mondo e non li può vedere nessuno, dalla Svizzera all’America». (…)

Comunisti razzisti (?)

“Per ovvie ragioni, le aziende più redditizie assumono lavoratori stranieri per pagarli di meno e ricevere favolosi profitti derivanti dallo sfruttamento del loro lavoro, … Di conseguenza, un certo numero di cittadini stranieri crea ulteriori problemi: peggioramento della situazione della criminalità, distruzione dello spazio culturale e storico, enclavi che creano ulteriori problemi nel sistema sanitario”.

PARTITO COMUNISTA DELLA FEDERAZIONE RUSSA
http://kprf.ru/party-live/cknews/121914.html

Cota “spaventato” da Grasso: “Non si è mai occupato di Tav, non venga strumentalizzato”

http://www.nuovasocieta.it/torino/cota-spaventato-da-grasso-non-si-e-mai-occupato-di-tav-non-venga-strumentalizzato.html

Roberto CotaRoberto Cota

 

di A.D.

Come era prevedibile le parole del presidente del Senato Piero Grasso non sono passate sotto traccia. L’affermazione di oggi che sul Tav forse sarebbe stato meglio agire in maniera diversa preoccupa non poco i politici bipartisan Si Tav. Il primo a cercare di correre ai ripari è il presidente della regione Roberto Cota.

Il rappresentante della Lega Nord attraverso il suo profilo di Facebook cerca di mettere una pezza alle parole di Grasso: «Con riferimento alla dichiarazioni del presidente del Senato Grasso va assolutamente evitato che le stesse, fatte da chi fino ad oggi non si è mai occupato di Tav, vengano strumentalizzate».

«Sappiamo tutti – continua Cota – che da noi quando si parla di opere pubbliche non c’è mai stata l’abitudine a spiegare bene il perché si facevano. A questo proposito, segnalo come presidente della Regione di essermi già attivato per coinvolgere da subito i sindaci e le popolazioni interessate al Terzo Valico».

Poi Cota conclude il suo lungo post scrivendo che sulla Tav «meno si parla per fare dibattito e meglio è. Il tracciato è stato rivisto, l’osservatorio ha fatto migliaia di riunioni. Adesso basta! L’opera va fatta nei tempi più brevi possibili».

Intanto anche il senatore Stefano Esposito, Pd e fervente sostenitore dell’opera, interviene sulla vicenda e consiglia al collega di chiedere direttamente al procuratore «Giancarlo Caselli o ai sindaci di Chiomonte e Sant’Antonino a che livello sia arrivato il clima di intimidazione in Valle di Susa».
«La sua lunga esperienza di grande magistrato antimafia – continua Esposito – gli consentirà di comprendere che la violenza non è opera dei cittadini valsusini, ma di anarcoinsurrezionalisti di altre regioni italiane e da altri paesi d’Europa».

 

Però questo Al-Sisi: sembra Assad

Un altro interessante contribuito a capire la situazione in Egitto, da parte di Maurizio Blondet (Effedieffe).

Personalmente confesso che, quella situazione alquanto complessa è di difficile interpretazione nelle sue specificità interne. Soprattutto mancandomi informazioni di prima mano dal posto. Fermo restando, infatti, il progetto oramai chiaro degli Usa Israel di trasformare tutta l’area in una selva di stati e statrelli, a macchia di leopardo, divisi da rivalità tribali e religiose, per il resto si naviga a tentoni. Neppure i parametri della geopolitica aiutano molto, perché qui e  c’è necessità di capire l’attualità e i suoi sviluppi immediati, non in termini di decenni.

Comunque sia io vado a “radar”, ovvero tendo a simpatizzare e schierarmi con quelle forze che intuisco o vedo apertamente, che sono criminalizzate e boicottate dai mass media. Quelle forze che vengono criticate dai nostri pennivendoli e linguivendoli, almeno fino ad un certo punto, si può sperare che prevalgano, perché si intuisce che sono invise o non sono utili per i progetti Usa Israel. In mancanza di meglio il mio modo empirico è INFALLIBILE.

Maurizio

 Questo articolo mira a completare quello precedente sul bagno di sangue in Egitto, ascoltando altre voci. Stavolta è quella di un Tarek Ezzat che appare su sul francese Afrique Asie. L’autore si auto-dichiara «militante rivoluzionario egiziano», dunque onestamente di parte. Se qualcuno ha informazioni in grado di smentirlo, ne sarò grato.

 Tarek Ezzat nega che i Fratelli Musulmani abbiano vinto le elezioni in modo democratico, come i media continuano a ripetere. E descrive dei fatti avvenuti ai seggi: «Agli anti-Morsi, e soprattutto ai cristiani, è stato impedito di votare. A volte sotto minaccia di bruciare le loro case o botteghe e di ammazzare i loro figli».

 «La confraternita e il suo partito hanno falsificato le liste elettorali; gli elettori del suo partito avevano più schede. Il caso più stupefacente è stato un elettore che disponeva di 60 schede diverse, utilizzabili in seggi diversi. La magistratura ha è stata appellata per indagare su questa frode prima della deposizione di Morsi».

 La giustizia è stata interpellata anche per una frode che riguarda il poligrafico dello Stato, che ha stampato centinaia di migliaia di schede in più, rimesse nelle mani dei partigiani di Morsi.

 «Per legge, il presidente del seggio elettorale deve essere un magistrato. La magistratura ha rifiutato questa supervisione, perché i fratelli musulmani si accalcavano in massa nei seggi per intimidire i votanti ed obbligarli a votare Morsi». Un’altra tattica era, da parte degli attivisti pro-Morsi, quella di «organizzare file d’attesa interminabili ai seggi, che quasi non si muovevano; si votava lentissimamente, al punto che gli altri elettori finivano per stancarsi e se ne andavano».

 Tendo a crederci, perché mi ricordano da vicino le tattiche dei comunisti anni ’50, i loro attivisti minacciosi, freschi reduci dalla «lotta partigiana» (non pochi ancora lordi di sangue fresco, in certe zone) con il distintivo falce-martello a presidio dei seggi. Secondo Ezzat, «è stato appurato a livello giudiziario, e prima della destituzione di Morsi, che è stato il generale Shafik [l’avversario di Morsi, ritenuto vicino a Mubarak, ndr] a vincere le elezioni presidenziali. Ma i Fratelli Musulmani hanno minacciato di mettere il Paese a ferro e fuoco (…) Il voto dell’assemblea nazionale è stato annullato e l’assemblea disciolta per via delle frodi di cui sopra. Ma il giorno in cui la Corte Costituzionale doveva decidere la validità del voto sulla costituzione, le orde pagate dagli islamisti hanno assediato l’edificio della Corte e impedito ai magistrati di riunirsi». Se questo è anche solo in parte vero, scade alquanto l’argomento con cui gli europei fanno la lezione ai militari egiziani: bisogna partire dal fatto che Morsi, con tutti i suoi difetti, è stato votato democraticamente…

 Ma non basta. «Appena preso il potere, i “deputati” islamisti hanno proposto una legge per sopprimere l’età minima matrimoniale, onde permettere il matrimonio di minorenni e di bambine. Col motivo che il Profeta sposò Aisha [la sua moglie favorita] quando aveva 9 anni».

 Un’altra legge dei Fratelli mira a «sopprimere l’insegnamento obbligatorio e gratuito elementare. Con la motivazione che non c’è bisogno di scuole, poiché il Profeta stesso era analfabeta».

 L’autore inoltre accusa Morsi e il suo governo di aver lanciato subito una campagna di odio contro i cristiani, denominati «crociati» nemici dell’Egitto e dell’Islam (i cristiani sono in Egitto prima dei musulmani, come noto). Chiese sono state incendiate, cristiani assassinati. Ezzat denuncia che «centinaia di fanciulle cristiane» sono «rapite, convertite e sposate a forza» dai più estremisti, senza che il governo Morsi abbia non solo impedito, ma deplorato in alcun modo i fatti. Denuncia anche «un vero pogrom» avvenuto nel maggio 2013, «dove degli islamisti hanno trucidato degli sciiti in preghiera». Ezzat parla di «una coppia di innamorati ammazzati in strada perché la sharia vieta ai giovani di uscire insieme, di una bambina delle elementari andata in classe senza velo e rapata in classe dalla direttrice scolastica: questi incidenti si ripetono ogni giorno, dall’insediamento di Morsi gli islamisti facevano regnare il terrore». Piacerebbe conoscere i particolari. O ricevere una smentita.

 Il nostro ricorda che Morsi aveva nominato come governatore della zona turistica di Luxor un esponente della stessa organizzazione terroristica che, proprio a Luxor, nel novembre 1997, massacrò ben 58 turisti (svizzeri e giapponesi) davanti all’antico tempio di Atsheput, atrocità che devastò l’attività turistica del Paese e dunque la sua economia. Verissimo: il tizio nominato da Morsi si chiama Adel ek-Khayat, è dirigente del gruppo clandestino Gamaat Islamiya responsabile della strage (alle elezioni ha avuto13 seggi), ed è stato costretto alle dimissioni dalle proteste dell’opinione pubblica.

 Ultimo tocco: «Morsi ha nominato ministro della cultura uno che, appena insediato, ha chiuso il teatro d’opera del Cairo, vietato il ballo e la danza e imposto delle serie televisive “senza attrici”».

 Che dire? Come minimo questo: l’Egitto necessita di provvedimenti più urgenti che una legge che consenta il matrimonio delle bambine e l’abolizione dell’obbligo scolastico (1). Decisamente, almeno da questa descrizione, i Fratelli Musulmani mi ricordano molto i comunisti anni ‘50, totalmente in preda ai loro dogmi ideologici e ai più schematici. Trinariciuti dell’Islam che impongono i loro dettami ideologici ad una società che non conoscono, che è più complessa e plurale di quella che loro credono, e che dopo piazza Tahrir non ha certo scosso da sé il regime di Mubarak per cadere sotto una dittatura più ottusa, ignorante e retriva.

 In fondo, anche loro hanno perso la partita per gli stessi motivi dei nostri trinariciuti di allora, perché pensavano di trascinarci a forza nel paradiso socialista – noi occupati dagli americani «liberatori», sede del Papato, eccetera. Per nostra (e loro fortuna) i nostri trinariciuti dell’epoca avevano capi più acuti, o almeno più machiavellici di loro. Quando nel 1947 Giancarlo Pajetta, con centinaia di partigiani prese d’assalto la Prefettura di Milano e telefono trionfante a Togliatti: «Compagno, la Prefettura di Milano è nostra», si sentì rispondere un sarcastico: «Bravi, ed ora che ve ne fate?». Se ne tornarono a casa, ma in fondo la doppiezza del Pci, falsamente democratica, lo ha sempre danneggiato, il popolo italiano non s’è mai fidato tanto da dargli la maggioranza, e non avrebbe mai governato se la DC – o quella parte il cui ultimo triste rimasuglio è Rosi Bindi – non avesse raccolto voti di centro e destra per portarli a sinistra, in consociativismi, convergenze parallele e compromessi storici: tutti succedanei furbeschi della maggioranza che al Pci è sempre mancata. C’è una doppiezza anche nei Fratelli Musulmani; non hanno appoggiato le folle di piazza Tahrir e poi, quando quelle hanno fatto cadere il vecchio regime, ne hanno approfittato impadronendosi della rivoluzione, per riportare il Paese all’indietro, ai fellahin credenti che sono il suo nerbo elettorale.

 Alla Fratellanza manca evidentemente un Togliatti. I trinariciuti di Maometto hanno preteso di governare l’Egitto, un Paese levantino di 85 milioni di abitanti, basato sul turismo, con legami continui con i vicini mediterranei, un esercito che dipende dagli Usa, come i Talebani governarono l’Afghanistan culturalmente medievale, politicamente isolato e geograficamente imprendibile sull’Hindukush. Così, l’economia basata sul turismo è collassata, la disoccupazione è aumentata del 30%, i prezzi sono cresciuti del 40, per comprare un euro oggi ci vogliono 13 lire egiziane mentre prima ne bastavano 7, le riserve di valuta sono quasi a zero, il governatore della banca centrale ha dato le dimissioni… e di tutto questo la responsabilità è accentrata sulla Fratellanza accentratrice.

 Nello scorso articolo, sulla base di una valutazione israeliana, ipotizzavo una quasi cessione del Sinai, da parte dell’esercito egiziano, alla Israeli Defense Force, per farne una base sionista-americana. Ora, pare che fosse Morsi a preparare il tradimento: aveva introdotto nella costituzione (oggi abolita) un articolo che gli permetteva, in quanto presidente, di vendere una parte del territorio nazionale, a suo giudizio, a chiunque. anche ad una potenza straniera. Non pare lontana dal vero la voce che dipinge Morsi (altra doppiezza) come «americano» sul libro paga della NSA. Fra l’altro, c’è il sospetto che Morsi e il governo della Fratellanza abbiano lasciato il Sinai a gruppi islamisti armati fratelli (alcuni dei quali hanno massacrato i soldati egiziani mesi orsono) e ad Hamas, forse come base per una soluzione del conflitto israeliano-palestinese che contemplerebbe l’espulsione dei palestinesi, appunto, nel Sinai. Quando poi Morsi ha rotto le relazioni diplomatiche con la Siria incitando a battere Hezbollah, i gallonati egiziani – che hanno i loro privilegi ed interessi da difendere – hanno catalogato la Fratellanza come organizzazione terrorista ed anti-nazionale. Ed hanno agito.

 Anche la descrizione del generale Al-Sisi, ministro della Difesa nel governo militare e artefice della repressione, come obbediente creatura degli americani va corretta. Mentre a Washington giungevano le notizie del massacro, Chuck Hagel (Pentagono) ha telefonato «almeno 15 volte» al generale egiziano per ammonirlo che «gli Usa restano impegnati a lavorare con tutte le parti per arrivare ad una via d’uscita pacifica e inclusiva». Ma quelle telefonate «ed altre ancora da membri della amministrazione Obama, fra cui il segretario di Stato John Kerry, non sembrano aver influenzato le decisioni di Al-Sisi dall’altro capo della linea». Così il sito americano specializzato in affari delle difesa, DefenseOne.(The Pentagon Has Lost Its Leverage with Egypt. Now What?)

 DEBKA File racconta di una telefonata dello stesso Obama. Il presidente Usa «voleva dare al generale una lavata di capo come quella che fece al presidente Hosni Mubarak nel febbraio del 2011»: la telefonata dopo la quale Mubarak dovette lasciare. Stavola invece «il generale Al-Sisi non ha accettato la chiamata del presidente Obama», insomma ha fatto dire di non essere in ufficio. «I funzionari egiziani che hanno risposto hanno informato educatamente il presidente Usa che la persona giusta a cui rivolgersi era il presidente ad interim Adli Mansur, a cui sarebbero stati lieti di trasferire la chiamata. Dalla Casa Bianca hanno declinato». Crederci o no? Direi di sì, anche perché DEBKA cita «nostre fonti», e la capacità di intercettazione dei servizi israeliani non deve aver avuto difficoltà ad ascoltare Cairo e Washington. (Saudi King Abdullah backs Egypt’s military ruler, warns against outside interference)

 Al-Sisi non solo ha rifiutato la «lavata di capo», ma ha dato lui una lezione umiliante ad Obama, di fatto schernendolo. Mai è apparsa più comicamente palese la perdita di autorità e prestigio degli usa in Medio Oriente.

 Da militare, Al-Sisi, impegnato in una lotta per la vita o per la morte, capisce che l’azione una volta intrapresa deve andare fino in fondo, e se desse retta al repertorio di consigli americani, si troverebbe di nuovo alla mercé dei Fratelli Musulmani che invece vuole eliminare. Ma è anche vero che, se ha dato questo schiaffo, è perché sa di poterlo fare. La minaccia americana (del resto non esplicitata) di sospendere alle forze armate egiziane l’aiuto di 1,5 miliardi di dollari l’anno ha poco peso, dal momento che l’Arabia Saudita di miliardi ne ha promesso 13 (gli Emirati altri 3), purché i militari continuino l’eliminazione dei Fratelli Musulmani. La monarchia saudita wahabita li detesta. Re Abdullah ha emanato un saluto ai militari egiziani dove taccia la Fratellanza di «terrorismo» islamico. Senti chi parla, ma il testo è chiaro e rimbombante: «Il Regno d’Arabia, il suo popolo (sic) e il suo governo si ergono al fianco dei loro fratelli in Egitto contro il terrorismo. Faccio appello agli onesti in Egitto, e nelle nazioni arabe e musulmane di levarsi come un sol uomo e con un solo cuore contro il tentativo di destabilizzare il paese che è all’avanguardia della storia araba a musulmana». (Saudi king calls on Arabs to stand with Egypt)

 Re Abdullah «lavora» ancora per gli americani? Non è più cosa sicura. Come saprete, il 13 luglio scorso, il principe saudita Bandar (capo dei servizi e di tutti gli arcana imperii) è volato a Mosca per un colloquio con Putin, durato 4 ore. Secondo quel che i russi hanno fatto filtrare, ha offerto di acquistare 15 miliardi di armamento russo, purché Mosca smettesse di sostenere Assad in Siria, assicurando per giunta che la posizione russa di fornitrice dominante di gas all’Europa non sarebbe state messa in pericolo dagli stati del Golfo. Vladimir ha rifiutato, ovviamente. Restava la sensazione che Bandar avesse fatto quell’offerta con il consenso, se non addirittura su suggerimento di Washington. Non sembra sia così: appena uscita dall’incontro con Putin, il principe Bandar è stato invitato a Washington per un incontro col presidente Obama, evidentemente sorpreso. «Bandar non ha fino ad oggi risposto all’invito», sottolinea DEBKA con tipica Schadenfreude. Sembra che anche i Sauditi ormai giochino in proprio, come già pronti per un Medio Oriente post-americano.

 Obama chiama e l’uno non risponde al telefono, l’altro non si fa vivo. Patetico e sconsolato, il portavoce della Casa Bianca ha detto sull’Egitto: «Stiamo osservando per sapere cosa accadrà nel Paese». Al Pentagono, danno voce al timore: se noi smettiamo di fornire l’armamento all’esercito egiziano (i famosi aiuti da 1,5 miliardi), le armi gliele vendono i russi

 I russi che non fanno prediche sulla democrazia e – fanno sapere – rispettano «la sovranità e la non-interferenza degli Stati» (sottinteso: mica come quelli che sapete). E l’ambasciata del Cairo a Mosca ha pubblicamente detto di «fare contro» sulla assistenza della Russia «in tempi di prova, come fu in passato». In passato, prima cioè che Anwar Sadat espellesse dall’Egitto 5 mila esperti e consiglieri militari sovietici per aderire al processo di pace con Israele e mettersi sotto l’ala di Washington. Il ministro degli Esteri Lavrov h avuto una lunga telefonata con il collega egiziano, Nabil Fahmy: nulla è trapelato sul tema della conversazione; ma va’ notato che in quel caso, ai telefoni egiziani c’è chi risponde. Insomma, dal punto di vista dei russi, il generale Al-Sisi e la giunta eradicatrice del Cairo paiono una forza laica che lotta contro gli islamisti; anche in Siria, essi aiutano Assad come forza laica minacciata dalla legione straniera di jihadisti.

 Sempre più appare che Assad aveva ragione a resistere, che Mosca ha ragione ad assisterlo, e che Al-Sisi somiglia sempre più ad Assad, e si sente meglio al sicuro coi russi. «Una eccezionale finestra d’opportunità per Mosca», dice Asia Times.

 1) Come idiozia ideologica, bisogna riconoscere che il varo urgente delle leggi contro l’omofobia in Italia, e i matrimoni omosessuali in Europa, non sono da meno. Ma noi non scendiamo in piazza a strapparli dal potere… Nella sua atrocità, la vicenda egiziana ci ricorda almeno che la politica è faccenda pericolosa e tragica, al fondo della quale scorre il sangue di chi sbaglia, non di «diritti umani», nozze gay e «interventi umanitari». E che richiede coraggio; i pagliacci si astengano.

 

Maurizio Blondet – 19 Agosto 2013

http://www.frontediliberazionedaibanchieri.it/article-pero-questo-al-sisi-sembra-assad-119618351-comments.html#anchorComment

Di sopruso in abuso e viceversa

Una delle cose angoscianti delle crisi economiche-finanziarie (e in particolare di questa)è la perdita dei diritti civili e sociali. E’ la raffica di soprusi e di abusi che si rovesciano addosso al cittadino inerme e privo d’ogni protezione sociale e civile. Chi lo aiuta? I partiti fanno comunella insieme in nome della cosiddetta “stabilità”. I sindacati si riempiono la bocca di futili tormentoni come la “lotta all’evasione”. Nel mentre l’Agenzia delle Entrate la fa da padrona: spia conti correnti, spese effettuate, viaggi, spostamenti ecc.

Mentre tutta la gente è assopita (il nostro tormentone) è arrivato il Redditometro 2. Ovvero la Vendetta. Befera ci riprova per la seconda volta, dopo la bocciatura della Consulta sul primo Redditometro.

Sentite questa:
Se le prove prodotte dal contribuente non fossero sufficienti, il fisco deciderà di andare più a fondo e chiederà conto anche delle spese più comuni, come quelle per il vitto ed i trasporti, che vengono stimate sugli indici Istat. (fonte Corsera)

Non è finita. Ora Befera accorpando l’Agenzia delle Entrate all’agenzia del Territori, diventerà il signore assoluto, l’imperatore del Catasto con poteri mai visti in nessun paese di Eurolandia. Tutto il potere ai Soviet? Macché! Tutto il potere a Equitalia (L’immenso potere di Befera: ora controllerà l’agenzia del territorio). Ovvio quindi che il riaccatastamento delle case e l’IMU saranno di sua pertinenza : 

 

È da lì che il nostro irradia il suo potere sull’Agenzia delle Entrate, su cui regna dall’ormai lontano 2008, ed è sempre da quella comoda posizione che discende il suo nuovo potere sull’Agenzia del Territorio e la presidenza di Equitalia: insomma Befera contemporaneamente accerta, impone e riscuote e ora governerà pure la fondamentale partita della riforma del catasto in una confusione di ruoli e poteri che non ha eguali in Europa. I ministri del Tesoro vanno e vengono, solo “Artiglio” resta imperterrito al suo posto controllando il rubinetto delle Entrate: dei risultati si può discutere , ma è inarrivabile come presenza sui media e rapporto alla pari con i politici.

I frutti velenosi delle Agenzia delle Entrate non si sono fatti attendere dato che, il fisco non va mai in vacanza. Avete sentito che estate rovente per le boutiques di Portofino e di Capri coi blitz della GdF? Vogliono che quel che resta della Bella Italia faccia baracca e burattini e  se ne vada. Che si trasferisca via, all’estero. I found my love in Portofino?Vecchi ritornelli! Ora a Portofino vi si trova solo la Guardia di Finanza. Capri c’est fini. Ma ovviamente anche per il resto d’ Italie c’est fini.

Meno male che poi si riempiono la bocca di termini come “crescita”, “ripresa”, “stabilità”  “uscita dal tunnel”  “rilancio dell’economia” e via con le panzane…

Intanto  per gli utenti  c’è la faccenda delle prescrizioni. Cartelle esattoriali con notifiche datate di sei, sette anni che in prescrizione non ci vanno mai, anche se dovrebbero. Era, fino a poco tempo fa,  buona usanza recapitare a mezzo raccomandata le notifiche. Ma attenzione! Ora il fisco sa che si può anche non firmare la ricezione di una delle sue raccomandate. Perciò ecco un’altra pesante angheria: recapitare a mezzo posta ordinaria, così non c’è nemmeno bisogno della presa visione. Ai sensi della legge 544 del 24 dicembre 2012 comma 1 (legge di stabilità 2013) , non importa che il destinatario firmi o non firmi la raccomandata:  ora c’è il plico ordinario senza manco il timbro. Ergo, l’utente “non poteva non sapere”. O meglio “non poteva non leggere la notifica”. E tanto peggio se era in ferie, se ha cambiato residenza o domicilio. Le more vanno avanti, gli aggi esattoriali, pure. Il salasso è garantito,

Hanno deciso di trasformarci in schiavi e di farci vivere nell’eterna paura. Primavera, estate, autunno, inverno.

Argomento correlato: “Vogliono soldi. I tuoi” di Debora Billi dal blogCrisis? What crisis? 

http://sauraplesio.blogspot.it/2013/08/di-sopruso-in-abuso-e-viceversa.html