I parassiti dell’economia

Giovedì 29 Agosto 2013

di Mario Lombardo

 I compensi garantiti agli amministratori delegati più pagati delle grandi compagnie americane continuano a far segnare livelli da record nonostante la crisi economica di questi anni. Ad analizzare il divario sempre più marcato tra i redditi dei top manager d’oltreoceano e quelli dei loro sottoposti è stato uno studio pubblicato questa settimana da un “think tank” di Washington, nel quale viene messo in luce come la quantità di denaro incassata dai primi sia spesso svincolata dalle prestazioni delle aziende che dirigono.

 Il rapporto dell’Institute for Policy Studies (IPS) è intitolato “Executive Excess: Bailed Out, Booted, and Busted” e prende in considerazione le performance di oltre duecento “chief executives” compresi almeno una volta negli ultimi due decenni nella lista dei più pagati degli Stati Uniti. Secondo l’IPS, quasi il 40% di essi avrebbe visto incrementare il proprio conto corrente con cifre a sei zeri dopo avere prodotto risultati estremamente modesti o addirittura disastrosi alla guida di una determinata compagnia.

 L’esito dello studio conferma perciò come uno dei principi fondamentali del capitalismo – vale a dire l’ottenimento di gratifiche più o meno sostanziose in conseguenza di risultati positivi – venga in molti casi contraddetto proprio ai vertici del sistema stesso.

 In particolare, il gruppo di studio americano ha distinto tre categorie di “CEO” non particolarmente brillanti ma ugualmente ricoperti di dollari: quelli la cui azienda è stata salvata dall’intervento del governo federale (“bailed out”), quelli sollevati dal loro incarico (“booted) e quelli alla guida di compagnie che hanno dovuto pagare sanzioni per avere violato la legge (“busted”).

 Della seconda categoria, ad esempio, fanno parte amministratori delegati che in media hanno incassato buone uscite da 48 milioni di dollari, mentre le aziende implicate in procedimenti legali hanno sborsato qualcosa come 100 milioni ciascuna per liquidare i propri top manager.

 Secondo il campione analizzato dall’IPS, l’amministratore delegato meglio retribuito nonostante il licenziamento sarebbe Eckhard Pfeiffer, allontanato nel 1999 dalla compagnia informatica Compaq (acquistata nel 2002 da HP) con “stock options” pari a 410 milioni di dollari ed una liquidazione di 6 milioni dopo sette anni di profitti in declino. La testata Business Insider avrebbe successivamente inserito Pfeiffer nella lista dei 15 peggiori CEO della storia.

 Lo studio elenca poi 17 istituti finanziari – tra cui Morgan Stanley, AIG, JPMorgan, Wells Fargo e il defunto Lehman Brothers – che pur avendo ricevuto quasi 258 miliardi di dollari in fondi pubblici hanno complessivamente portato ben 112 dei loro dirigenti nella lista dei 25 CEO più pagati tra il 1993 e il 2012.

 Proprio l’ex CEO di Lehman Brothers, Richard Fuld, ha goduto per otto anni consecutivi di compensi tra i più generosi di Wall Street, toccando punte superiori ai 100 milioni di dollari nel 2001 e nel 2005, prima di contribuire nel 2008 a fare entrare la sua compagnia nella storia con il più clamoroso crack a cui il sistema finanziario americano abbia finora assistito.

 Gli autori dell’indagine hanno così concluso che “un numero allarmante di amministratori delegati si dimostra incapace di aggiungere valore all’economia americana, mentre da essa al contrario ne ricava somme ingenti”. In altre parole, i massimi dirigenti delle grandi compagnie d’oltreoceano non sono altro che una ristretta élite parassitaria che presiede e beneficia di un colossale trasferimento di ricchezza a discapito delle classi inferiori, senza creare quasi mai alcun beneficio per l’economia del proprio paese.

 Infatti, secondo i dati raccolti dal sindacato AFL-CIO, i compensi dei “CEO” americani sono aumentati del 5% solo tra il 2011 e il 2012, a fronte di una diminuzione del reddito medio complessivo dello 0,4% tra il 2009 e il 2011.

 Ancora più drammatiche sono poi le disuguaglianze di reddito prodotte negli ultimi vent’anni. Se nel 1993 i salari dei massimi dirigenti negli USA erano circa 195 volte superiori a quelli dei lavoratori medi, tale rapporto è salito nel 2012 a 354 volte.

 L’IPS indica infine alcuni provvedimenti bloccati al Congresso che dovrebbero servire a limitare i compensi eccessivi dei top manager americani. Alcuni di essi avrebbero dovuto essere già stati implementati in seguito all’approvazione della cosiddetta legge “Dodd-Frank” del 2010, definita dalla versione ufficiale come una “riforma” del sistema finanziario adottata per evitare altri tracolli simili a quello dell’autunno del 2008.

 Tra le misure che il think tank statunitense ritiene possano risultare utili a questo proposito vi sono l’obbligatorietà della pubblicazione del rapporto tra le retribuzioni dei CEO e degli altri lavoratori di un’azienda, la fissazione di limiti ai compensi garantiti ai manager dei grandi istituti finanziari e la drastica limitazione delle deduzioni fiscali sui costi dei compensi stessi che le grandi aziende possono ottenere dal governo.

 Queste ed altre leggi proposte da varie parti avrebbero in ogni caso un effetto limitato e, comunque, la loro mancata approvazione nonostante il larghissimo sostegno ad esse della popolazione americana dimostra ancora una volta come la politica di Washington risponda esclusivamente agli interessi della classe di cui gli stessi amministratori delegati multi-milionari fanno parte.

 L’allargamento della forbice dei redditi e il continuo aumentare dei compensi ai vertici delle grandi aziende di fronte al generale impoverimento di massa in atto non sono d’altra parte il risultato di forze impersonali o ineluttabili, bensì dell’azione deliberata di una classe politica che è espressione unica delle élite economico e finanziarie e alla quale l’Institute for Policy Studies, così come commentatori e intellettuali “liberal” negli Stati Uniti e non solo, continua a chiedere ingenuamente una riforma in senso progressista dell’intero sistema.

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Napolitano “Spende” 48.000€ al Mese per Salvare il Governo e Evi tare Eelezioni (mica sono i suoi, neh!)

30 agosto 2013

 Di FunnyKing

Facciamo un pochino di matematica:

 Per avere una maggioranza al Senato fino a ieri ci volevano 158 voti.

  • Pd+SVP+SEL ne hanno 123
  • Scelta Civica ne ha 20

Fanno 143 ne mancano 15.

 Con i nuovi 4 senatori  a vita il quorum si alza a 160,  ma se per pura ipotesi (potete ridere), tutti e quattro i senatori, dopo attenta riflessione, fossero disposti a votare la fiducia ad un governo orfano del PDL_

 Si potrebbe arrivare a 147 voti su 160: solo 13 alla meta.

 In media un Senatore tra Indennità e diaria si mette in tasca 12.000€ al mese netti (le tasse sono una partita di giro), dunque lo scherzetto di Napolitano ci costa 48.000€ al mese ovvero 576.000€ all’anno fin che dimissioni (improbabili) o morte (certa, ma ha i suoi tempi) non li coglierà tutti.

 In pratica sarebbe possibile una nuova maggioranza senza PDL se:

  • Sel accettasse di andare al governo con Scelta Civica, il che è matematico, SEL ha scelto l’opposizione solo per convenienza tattica non potendo formare un governo di maggioranza anche con Scelta Civica.
  • Si trovassero non più 15 ma solamente 13 responsabili eletti nel PDL o nella Lega più qualche Senatore dissidente nell’M5S e il gioco è fatto.

Tredici potrebbe essere molto, ma molto meno di 15 in uno scontro al fotofinish.

 E poi i soldi mica ce li mette Napolitano noh?

http://www.rischiocalcolato.it/2013/08/napolitano-butta-nel-cesso-48-000e-al-mese-per-salvare-il-governo-e-evitare-eelezioni.html?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

SCANDALO SLOT: ECCO COME LO STATO HA CONDONATO 98 MILIARDI AI RE DELL’AZZARDO

30 AGO 2013 16:59

Cinque anno fa lo Stato chiese 98 mld € di danni alle 10 maggiori concessionarie delle slot machine – Molti apparecchi infatti sfuggirono al controllo dei monopoli – La cifra del risarcimento è spropositata che si sapeva non sarebbe mai stata incassata: nelle casse entreranno solo 700 mln €… – –

 Stefano Sansonetti per La Notizia

 In principio erano 98 miliardi di euro. Cifra stratosferica, già allora apparsa esagerata. Ma per la procura della Corte dei conti si trattava del giusto risarcimento che lo Stato avrebbe dovuto pretendere dai re delle slot machine, sui quali era piovuta un’accusa pesantissima.

Ebbene, dopo 5 anni di processo, e dopo l’ultimissimo decreto con cui il governo Letta spera di coprire l’abolizione dell’Imu con gli effetti di una precedente sanatoria dei contenziosi contabili, lo Stato rischia di incassare solo 700 milioni di euro. Ovvero lo 0,7% dei 98 miliardi originariamente contestati. Succede solo in Italia, verrebbe da dire.

 La storia

Alla fine del 2008 è iniziato un contenzioso contabile che, tra impugnazioni e appelli vari, si trascina ancora oggi. La procura della Corte dei conti, 5 anni fa, aveva contestato a 10 società concessionarie delle new slot e a tre dirigenti dei Monopoli di Stato un danno erariale monstre: 98 miliardi. Le 10 concessionarie erano Atlantis/B-plus (che fa capo all’ex latitante Francesco Corallo, figlio di Gaetano Corallo, sospettato di essere stato anni fa in affari con il clan Santapaola), Cogetech, Snai, Lottomatica, Hbg, Cirsa, Codere, Sisal, Gmatica e Gamenet. Tutti i big del settore.

 L’accusa? Semplice. Le slot, per funzionare correttamente ed essere controllate, si sarebbero dovute collegare a un cervellone centrale gestito dalla Sogei, la società di servizi informatici del ministero dell’economia. Questo collegamento sarebbe stato fondamentale per decifrare l’ammontare delle entrate derivanti dal gioco e le tasse da pagarci.

 Collegamenti e rete, però, secondo la procura hanno fatto acqua da tutte le parti. Secondo stime fatte all’epoca tra il 2004 e il 2006 su poco più di 200 mila apparecchiature da gioco quelle che non dialogavano in rete erano 130 mila. La vicenda, nel 2006, aveva attirato l’attenzione dell’allora governo Prodi, durante il quale venne istituita una commissione d’inchiesta presieduta dall’ex sottosegretario dell’economia Alfiero Grandi.

Da dove è spuntata la cifra

Inutile girarci intorno. La procura della Corte dei conti ha a dir poco esagerato nel chiedere 98 miliardi di euro di danno erariale. Una cifra spropositata, che sin da subito era chiaro non sarebbe mai stata incassata. La procura aveva in primis utilizzato il criterio delle penali previste dalla convenzione stipulata nel 2004 tra i Monopoli e le concessionarie, ovvero 50 euro per ogni ora di mancato collegamento delle slot alla rete.

 Penale poi letteralmente abbattuta nel marzo del 2008, agli sgoccioli del governo Prodi, quando venne fissata in 5 centesimi. Insomma, le enormi pressioni sul governo e i grandi interessi che ruotano intorno al settore del gioco fecero sentire i loro effetti. In più la procura spiegò che nei 90 miliardi bisognava considerare anche il cosiddetto danno erariale da disservizio, in pratica il valore economico del controllo pubblico non effettuato sul gioco d’azzardo. Tecnicismi e criteri discutibili, che hanno portato la procura a spararla grossa.

 La sentenza e il decreto

Sta di fatto che la sentenza è arrivata il 17 febbraio del 2012, quando la Corte dei conti ha condannato le concessionarie e due dirigenti dei Monopoli (Giorgio Tino, ex direttore generale, e Antonio Tagliaferri, tutt’ora direttore centrale) a risarcire 2,5 miliardi di euro.

Tanto, ma pur sempre poco rispetto alla richiesta iniziale. E qui si inserisce il decreto Imu approvato l’altro giorno dal governo di Enrico Letta. Tra le fonti di copertura dell’abolizione dell’imposta sulla prima casa, infatti, i tecnici del ministro dell’economia, Fabrizio Saccomanni, hanno fatto riferimento a circa 700 milioni di euro che dovrebbero arrivare da un condono contabile approvato dall’allora governo Berlusconi con la Finanziaria del 2006.

 In essa si prevede la possibilità di sanare la posizione con il pagamento fino al 30% della somma contestata. Ora, a parte il fatto che nessuno sa se i concessionari aderiranno (nel frattempo hanno fatto tutti appello e stanno aspettando l’udienza). Ma se ciò dovesse accadere dei 98 miliardi contestati nel 2008 lo Stato incasserebbe solo 700 milioni. In ogni caso un’autentica farsa.

 

No Tav – Notte inquieta

http://www.tgvallesusa.it/?p=2166

Written By: valsusa report – Aug• 31•13

Sono da poco passate le 21 quando inizia la serata universitaria al cantiere del tunnel geognostico propedeutico alla realizzazione della linea TAV Torino-Lyon, la polizia giunta in forze si schiera all’esterno delle recinzioni, sul ponte del torrente Clarea. Alcune squadre si sparpagliano nei boschi alla ricerca di pericolosi No Tav. Sul ponte un muro contro muro, statico, le Ff.Oo. non intervengo, nessuna carica per questa notte; resta ai No Tav l’amarezza di non essere potuti arrivare alla solita battitura delle reti del cantiere.

Tutto dura alcune ore; le forze dell’ordine impegnate più che altro a capire che cosa possa accadere lungo la serata. Poco prima delle 23 il fronte del cordone di polizia e carabinieri esterno al cantiere vede allontanarsi gli oppositori che tornano verso i30-08-13 cantiere boschi. Inizia un pattugliamento dei sentieri; scatta l’ordine della caccia all’uomo, e i reparti si inoltrano nel bosco, magari per un altro bottino, come per lo scorso 19 luglio notte di scontri che fruttò nove fermati, decine di feriti soccorsi al presidio di Venaus trasformato in ospedale da campo,oltre un centinaio gli identificati e il caso di molestie sessuali a M.C. finito all’onore della cronaca. Come sempre i soliti presunti “feriti” tra le forze dell’ordine, incespicati nel bosco verranno usati come prognosi per attribuire lesioni ai fermati e procedere a nuovi arresti o perquisizioni, sequestri di materiali informatici come avvenuto di recente.

Nel frattempo, da ignoti, viene  danneggiato  in parte anche un capannone della Geomont di Bussoleno che lavora per il Tav; nel rogo sono andati distrutti una trivella e due generatori. Gli inquirenti indagano sull’incendio, avvenuto a distanza di chilometri dalla Val Clarea, luogo della manifestazione universitaria No Tav.

L’incendio, l’ennesimo in poco più di due mesi, sembra ripercorrere le linee dettate dal movimento in un’assemblea fuoco geomontpopolare in cui si dichiarava perseguibile il sabotaggio come lotta non violenta, sugli esempi di Gandhi e Mandela. Pare quindi che la Valle risponda più energica di prima e non si sia lasciata intimidire dagli arresti di agosto. Sempre che il dolo non sia imputabile a chi di questi messaggi può fare pretesto per fini propri, provocando danni facilmente attribuibili al movimento stesso.  Gli inquirenti, appunto, indagano.

Nella stessa sera prima ancora dell’iniziativa al cantiere del tunnel geognostico, carabinieri e agenti della Digos hanno effettuato posti di blocco con centinaia di perquisizioni a valsusini e non,  fermando nella zona di Venaus due attivisti poi arrestati – Davide Forgione e Paolo Rossi. Le Ff.Oo. hanno sequestrato nelle loro macchine 6 pneumatici, 5 molotov, 5 bottiglie di benzina, 6 mortai rudimentali, cento bombe carta, 63 bengala di due diversi tipi e di grosse dimensioni, 31 chiodi a quattro punte, 2 scatole di diavolina, 5 fionde, 4 cesoie, una matassa di corde, 22 paia di guanti, 12 bottiglie di Malox e limone e 18 tute nere, come riportato da diverse testate nella mattinata di oggi.

Service tax: rivolta degli inquilini. Previsto uno “tsunami” di sfratti

la Cgil quella che ha “ereditato” le sedi esentate dall’Imu non è contenta non per le modalità assai discutibili dell’abolizione e reintroduzione dell’Imu sotto altro nome, ma perché lo vede come cedimento ai ricatti del PDL.

Ecco come il sindacato difende i cassintegrati, i disoccupati, i precari, i pensionati che magari pagano ancora un mutuo O i disoccupati che magari ereditano un tetto, se hanno tale fortuna perché certo non ci pensa il Governo a dare loro un tetto. di Marta Panicucci – 30 Aug 2013 – 12:37

 A quanto pare l’abolizione dell’IMU, sostituita dalla Service tax, porta con sé problematiche e critiche. A scatenare l’ira delle associazioni di inquilini e sindacati è la natura della nuova tassa che graverà, non più solo sulle tasche del proprietario di casa, ma anche sull’inquilino che vi abita. La service tax è la nuova tassa federale, che a partire dal 2014 sopperirà il mancato gettito IMU, accorpando sia i costi della Tari, la tassa sui rifiuti, sia quelli della Tasi, i cosiddetti servizi indivisibili.

 Come stabilito in questi giorni dal Governo infatti, dal 2014 la tassa sulla casa sarà sostituita con la tassa sui servizi locali. La service tax sarà calcolata in base alle metrature e alle rendite catastali dell’abitazione e rischia di gravare per circa il 20% sugli inquilini, con conseguente stangata di circa 1000 euro in più all’anno.

 La rivolta degli inquilini

Secondo Walter De Cesaris, segretario nazionale dell’Unione inquilini la service tax comporterà l’abbattersi di un vero e proprio tsunami sulla categoria degli affittuari.

 La service tax quindi, ancora tutta da scrivere e definire, già preoccupa le associazioni di inquilini. La nuova imposta sarà infatti a carico sia del proprietario di casa, che dell’inquilino in percentuali ancora tutte da decidere. Ma secondo le associazioni di categorie

“saranno a carico degli inquilini la maggior parte degli oneri relativi alla nuova tassa che, di fatto, anche negli importi, sostituirà sostanzialmente l’Imu oggi pagata dai proprietari

 L’Unione inquilini attacca il Governo che

“fa finta di non sapere che l’80% degli inquilini ha un reddito lordo inferiore ai 30mila euro, che già oggi il 90% delle circa 70.000 sentenze annue di sfratto sono per morosità ed infine che in Italia sono 650mila le famiglie che hanno diritto ad una casa popolare avendone i requisiti certificati dai Comuni

 Sfratti per morosità

Sempre scagliandosi contro la service tax, Walter De Cesaris, denuncia che

più che un piano casa “sembra un piano sfratti che travolgerà oltre tre milioni di inquilini”.

 E la cosa assurda è che l’introduzione della service tax, se davvero avesse queste ripercussioni sulla categoria degli inquilini, rischierebbe di vanificare l’altra parte del decreto quella che stanzia fondi a sostegno dei “morosi incolpevoli“. Infatti, oltre all’abolizione dell’IMU, gli inquilini che non riescono a saldare l’affitto perché licenziati o in cassa integrazione riceveranno aiuti dal piano casa che stanzia fondi per il loro sostegno.

 Sottolineando questa discrepanza l’Unione inquilini denuncia che la service tax

 avrebbe un effetto moltiplicatore del costo dell’abitazione, con il risultato di aumentare in maniera esponenziale gli sfratti per morosità che lo stesso decreto tenta di arginare

 Il problema degli sfratti per morosità non è questione da poco e guardando le statistiche si comprende subito l’entità del problema e l’incidenza che la crisi ha avuto sull’economia domestica degli inquilini. Infatti i dati del 2008, raccolti cioè agli albori della crisi, dicono che gli sfratti in Italia sono stati 264.835. Di questi più di 60.000 solo nel 2012 e i dati descrivono una situazione generale in costante peggioramento soprattutto considerando anche le richieste di esecuzione di sfratti arrivate a quota 611.833 dall’inizio della crisi.

 Tetto massimo: una soluzione possibile

La service tax graverà sui proprietari di casa e sugli affittuari; ma in che percentuale? E’ proprio su questo punto che si sta giocando la battaglia finale per la stesura definitiva del profilo della service tax.

 A commentare la questione è il Ministro per gli affari regionale Graziano Delrio, che propone un tetto massimo del 20% al gettito che i comuni potranno chiedere agli inquilini. Il restante 80% della service tax resterebbe quindi a carico dei proprietari di casa, così com’era per l’IMU.

 Questa ipotesi, ben vista anche dalle associazioni di categoria al momento sul piede di guerra, è all’esame del Ministero del Tesoro. Tutti gli aspetti tecnici, questo incluso, della service tax troveranno posto all’interno della legge di stabilità che il Governo dovrà presentare in Parlamento entro il mese di ottobre.

http://www.forexinfo.it/Service-tax-rivolta-degli?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

Non solo cavalli fiscali, ora nel Redditometro entrano anche cani e gatti

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Una volta, nel redditometro, negli studi di settore o in strumenti analoghi di accertamento induttivo del reddito, finivano i cavalli e non solo quelli con la coda e le balzane, ma anche quelli che rombavano sotto il cofano di Mercedes, Bmw e Lexus da 100.000 e passa euro. Adesso, oltre ai purosangue e ai cavalli motore, finiscono nel tritacarne dell’Agenzia delle Entrate anche cani, gatti e relative spese veterinarie. Non è bastato al Governo, applicare la quota massima d’Iva (21%) alle spese veterinarie, la stessa che grava su gioielli, aragoste champagne e riviste pornografiche, non è bastato ridurre la detrazione fiscale delle spese per curare Fido e Silvestro, no, non è ancora abbastanza.

 Non sono bastate le imposizioni (con relativo esborso) dell’anagrafe e del passaporto europeo per viaggiare, non sono bastate le imposte sulla vaccinazione antirabbica obbligatoria, non è bastato portare l’Iva sui loro alimenti al massimo (21%), non bastano mai quella pletora di lacci e lacciuoli che uno stato incapace di governare, senza un’esondazione di burocrazia, rende ormai invivibile questo paese, tanto da sognare di prendere un aereo ela valigia. Bigliettodi sola andata per qualche altra parte dove la vita non sia scandita ogni giorno da una scadenza. Trattati alla stregua di oggetti lussuosi, i nostri “esseri senzienti” e chi se ne prende cura, subiranno le attenzioni del fisco, come fossero yacht, ville a Porto Cervo o terreni fabbricabili a Cortina.

 La Federazione Nazionale degli Ordini Veterinari ha reso pubblico il caso di un uomo di Cremona, proprietario di un cane, che si è rifiutato di fare applicare il microchip al cucciolo per paura di finire nelle spire dei controlli fiscali dovuti al redditometro. “L’identificazione del cane con microchip è obbligatoria, ma l’Agenzia delle entrate vanifica gli sforzi di osservanza delle leggi di sanità animale. Uno strabismo istituzionale assurdo” conclude la Fnovi. Mentre in Europa il Parlamento incoraggia le misure veterinarie per combattere il randagismo, mentre il Trattato di Lisbona considera gli animali esseri senzienti e la Commissione europea legifera in favore della sanità animale e finanzia il benessere animale, noi mettiamo sotto la lente del fisco chi possiede il cane o il gatto, anzi forse anche il criceto e il canarino.

 Io ho due gatti: la Lulù, trovata spiaccicata su una strada con il bacino in mille pezzi a due mesi. Ora ha quasi 16 anni. E Pio (alias Hurricane) salvato dal sacchetto che la contadina stava immergendo nel fiume, come si faceva un tempo. Ora ha sette anni. Vero è che non ho speso molto di cure veterinarie, ma, vista la compagnia di cui mi onorano, mi sento almeno in dovere di a dargli da mangiare e confesso che non lesino sul vitto.  Quando Equitalia mi chiamerà contestandomi che l’acquisto di scatolette non corrisponde a quante ne possano mangiare Pio e Lulù, dovrò confessare il mio reato: ogni tanto compro uno scatolone di scatolette e le porto a una colonia felina dove centinaia di orecchiette pelose mi aspettano. So che è un crimine grave, ma il magistrato abbia pietà di me.

 Fonte: notizie.tiscali.it

http://www.signoraggio.it/non-solo-cavalli-fiscali-ora-nel-redditometro-entrano-anche-cani-e-gatti/?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

 

MPS, FINALMENTE LE CARTE! DAGLI INTERROGATORI DI SIENA SPUNTANO I “PADRINI” DELLA BANCA: BERSANI, D’ALEMA, AMATO E BASSANINI

30 AGO 2013 10:59

Il verbale di Ceccuzzi è una bomba: “Agli inizi del gennaio 2012 ho avuto alcuni colloqui con l’on. Bersani e con l’on. D’Alema aventi ad oggetto la situazione della banca e del la Fondazione” – Su Profumo: “L’incontro con D’Alema si svolse a Roma nella sede della fondazione Italianieuropei…”

1 – COSÌ LA SINISTRA DECIDEVA LE NOMINE AL MONTE DEI PASCHI

C. A. per “Libero

 

BERSANI E DALEMA SBIRCIATINA ALLUNITA

BERSANI E DALEMA SBIRCIATINA ALLUNITA

 È il 2006 l’allora sindaco di Siena Maurizio Cenni si riunisce con l’onorevole Alberto Monaci, il presidente della provincia Fabio Ceccherini e il segretario provinciale della Margherita Graziano Battisti. Strategie politiche? No. Trovare un accordo sulla governance di Mps? Sì. L’opera va a buon fine. E con l’ok della Margherita guidata da Battisti, Giuseppe Mussari va a guidare la banca e Gabriello Mancini prende il suo posto in Fondazione.

D’altronde Ceccuzzi da un lato e Mussari dall’altro erano diventati due uomini forti per aver detto no all’operazione Bnl sostenendo i veltroniani contro i dalemiani. Ma è sbagliato pensare che equilibri siano definitivi. Il lavoro di sintesi della politica prosegue al giro successivo e diventa ancora più complesso.

 «Nel 2009 si decise di portare i componenti del consiglio di Mps da 10 a 12 per rispettare le proporzioni del consiglio regionale e di quello provinciale» racconta l’allora segretario Ds Franco Ceccuzzi (e sindaco di Siena dal maggio 2011 al maggio 2012) mentre viene sentito dai pm senesi nell’ambito dell’inchiesta sull’acquisizione di Antonveneta. «I componenti del cda indicati dalla Fondazione erano uno dell’opposizione, due dell’ex Margherita e tre dell’area ex Ds.

 Comunicai queste scelte a Walter Veltroni e lui si limitò a prendere atto. In quel periodo si parlava molto di un ampliamento della banca e su questo presero pubblicamente posizione Fassino, D’Alema e Chiti». Come dire, se il manuale Cencelli non si riesce ad applicare alla realtà è meglio cambiare la realtà. A gennaio del 2012 Ceccuzzi telefona a D’Alema e a Bersani (segretario del Pd) di quest’ultimo riferisce: «Ho detto che avevo una posizione di rottura con il passato e ho chiesto il sostegno per l’operazione che avrei dovuto fare. Bersani mi disse che avevo il sostegno del partito».

 Notare che è lo stesso Bersani (non un omonimo) di quello che dichiarò di voler sbranare tutti coloro che avessero osato accusare i democratici di interessarsi al Monte Paschi. E D’Alema è lo stesso che ha preso il telefono per chiamare Alessandro Profumo e sondare la sua disponibilità per la presidenza e che in passato esprimeva le proprie idee di governance bancaria a Ceccherini e che si confrontava con Franco Bassanini sulle opportunità di crescita dell’istituto. Insomma, lo stesso schema Cencelli applicato in questi giorni per il dopo Mancini.

 2 – «D’ALEMA PARLÒ CON PROFUMO PER CONVINCERLO AD ACCETTARE»

Da “Libero”

Il giorno 5.10.2012 al Palazzo di giustizia di Siena è comparso Franco Ceccuzzi (sindaco di Siena dal maggio 2011 al maggio 2012). «Quale segretario provinciale dei DS nel 2006 ho partecipato a diverse riunioni nel corso delle quali si è raggiunto un accordo concernente la governance della banca e della Fondazione. Ricordo che il presidente della banca Fabrizi non poteva essere riconfermato… Si aprì una discussione su chi doveva essere il successore.

 Le ipotesi sul tavolo erano due: la prima vedeva Mancini presidente della banca e un esterno alla città amministratore delegato, ma fu subito accantonata. La seconda prevedeva, invece, la nomina dell’avv. Mussari a presidente della banca e di Gabriello Mancini a presidente della Fondazione.

 Questa seconda ipotesi fu quella che raccolse i maggiori consensi(…)Vi furono anche alcune prese di posizione da parte di uomini politici quali Fassino, D’Alema e Chiti che auspicavano un ampliamento della banca (…)».

 «Conosco Graziano Costantini. All’epoca era rappresentante della Confesercenti ed era persona vicina al Pd. Fu nominato nel Cda della banca. Nel 2009 ci fu una discussione sul numero dei componenti del Cda di Mps che venne portato da 10 a 12. Fu aumentato tale numero per rispettare le proporzioni esistenti in Consiglio comunale e in Consiglio Provinciale.

 Non ricordo chi propose il nome di Costantini quale componente del Cda: ero comunque d’accordo con la sua nomina. Alle riunioni in cui si discusse del rinnovo erano presenti l’onorevole Monaci, Ceccherini, Cenni, Bezzini e Alessandro Piccini. All’esito i componenti del Cda indicati dalla Fondazione erano così ripartiti: un componente dell’opposizione, due componenti dell’area ex Margherita e tre componenti dell’area ex Ds». (…)«Comunicai a Veltroni, che si limitò a prendere atto, le scelte effettuate». (…)

 «Agli inizi del gennaio 2012 ho avuto alcuni colloqui con l’on. Bersani e con l’on. D’Alema aventi ad oggetto la situazione della banca e del la Fondazione. Ho rappresentato loro la vicenda e la mia presa di posizione, che era di rottura con il sistema passato. Ho chiesto loro sostegno politico per l’operazione che da lì a qualche mese sarebbe stata fatta. L’on. Bersani mi disse che avrei avuto il sostegno del partito» (…)

 «Con l’on. D’Alema parlai anche della nomina del presidente della banca. Avevamo già avuto un primo abboccamento con Profumo, il quale, però, aveva delle remore.

 Sapendo di un rapporto di conoscenza con l’on. D’Alema gli chiesi di potere parlare con Profumo per convincerlo ad accettare l’incarico. L’incontro con D’Alema si svolse a Roma nella sede della fondazione Italianieuropei. Ricordo che, mentre tornavo a Siena, D’Alema mi telefonò dicendomi che aveva parlato con Profumo, il quale mostrava ancora alcune perplessità».

 Il giorno 4.10.1012 al Palazzo di Giustizia di Siena è comparso Cenni Maurizio (sindaco di Siena dal 2001 al 2011). «Ricordo di avere avuto colloqui relativi alle nomine di Mancini e Mussari con il Presidente della Provincia, con il segretario provinciale dei Ds che, se mal non ricordo, all’epoca era Franco Ceccuzzi, con il segretario cittadino dei Ds. Non ricordo, ma non posso escludere, di avere avuto incontri con l’on. Alberto Monaci o con Graziano Battisti della Margherita. Non ho avuto incontri con esponenti della politica nazionale e non mi fu riferito se vennero informati (…)».

 «Devo dire che le diverse anime dei Ds erano fortemente interessate alla gestione di Banca Mps» (…) «Per quanto concerne le nomine del 2009 e, in particolare, le conferme di Mancini alla Presidenza della Fondazione e di Mussari alla Presidenza della banca devo dire che avevo espresso l’idea che si dovesse azzerare tutto e che dovessero essere cambiati i vertici della Fondazione.

Fui tacciato, anche sulla stampa, da esponenti del Pd locale, tra cui ricordo Elisa Meloni, di non fare gli interessi della città. Mi trovai isolato. Con le diverse interlocuzioni avute con Ceccuzzi, Bezzini e con altri esponenti del PD, di cui al momento non ricordo il nome, avanzai questa proposta che fu bocciata».

Il giorno 4.10.2012 alle ore 9.45 al Palazzo di Giustizia di Siena è comparso Ceccherini Fabio (Presidente della Provincia di Siena dal 1999 al maggio 2009). «Nel 2006 il Presidente di Mps Fabrizi non è stato riconfermato alla presidenza della banca. Ricordo che vi furono alcune riunioni nelle quali si discusse a chi affidare la presidenza della banca e, conseguentemente, quella della Fondazione. Avanzai la proposta di nominare amministratore delegato della banca Stefano Bellaveglia indicando Gabriello Mancini quale presidente.

 Ritenevo che l’avv. Mussari dovesse ancora per un mandato mantenere la presidenza della Fondazione. La mia proposta fu bocciata e si decise di nominare Mancini presidente della Fondazione e Mussari presidente della banca. Devo dire che non fui contrario a questa soluzione » (…)

 FASSINO E BAZOLI IN BARCA

FASSINO E BAZOLI IN BARCA

 «Ricordo di avere avuto dei colloqui, concernenti tali nomine, con Maurizio Cenni, Sindaco di Siena, con Franco Ceccuzzi e con l’on. Franco Bassanini, eletto nella circoscrizione di Siena. So, per averne parlato con l’on. Bassanini, che delle nomine erano stati informati i responsabili nazionali dei Ds, anche se non sono in grado di indicare chi fu informato. Se mal non ricordo medesima informazione mi diede Ceccuzzi.

 Anche in tal caso non ricordo se mi disse chi era stato informato a livello nazionale »(…) «Vi era certamente interesse, ma non ingerenza da parte dei responsabili nazionali dei Ds, in ordine alle scelte riguardanti la banca. Posso dire che coloro che maggiormente erano attenti al territorio e alla banca erano l’on. Bassanini e l’on. Giuliano Amato. Ricordo di avere avuto in più occasioni dei colloqui anche con l’on. Massimo D’Alema.

 Egli esprimeva le sue perplessità sulle modalità di governance della banca, affermando che il sistema di nomine della Fondazione e, conseguentemente della banca, era di tipo medievale, perché troppo legato agli enti locali. Auspicava un’apertura della banca, un suo maggiore rendimento sul territorio nazionale e una politica industriale che fosse più attenta alle esigenze del mercato. In tali colloqui facevo presente all’on. D’Alema che, invece, era opportuno che la banca rimanesse legata al territorio. I colloqui con l’on. D’Alema li colloco in un periodo sia antecedente sia successivo al 2006»(…)

 «Ho saputo dell’acquisizione di banca Antonveneta da parte di Banca Mps direttamente dall’avv. Mussari. Ricordo di avere ricevuto una telefonata con cui Mussari mi informava che stava per firmare o che aveva appena firmato il contratto per l’acquisto di Antoneveneta. Ricordo che quel giorno, dopo alcune ore, la notizia divenne di dominio pubblico».

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/mps-finalmente-le-carte-dagli-interrogatori-di-siena-spuntano-i-padrini-della-banca-bersani-61877.htm

 

IMU, la finta abolizione porta in dote 3 tasse sulle seconde case

 di ALTRE FONTI


La si potrebbe definire l’altra faccia dell’abolizione dell’Imu, ed è quella che riguarda le seconde case, circa 6 milioni e mezzo di abitazioni (la stima è del Sole24Ore) su cui graveranno d’ora in poi ben 3 imposte: Imu, Irpef (pure retroattiva dal 1 gennaio 2013) e Service Tax. L’altra faccia, una faccia oscura. Oscura perché né il governo nè Pdl e Pd hanno detto chiaramente che un miliardo di tasse dei quattro di Imu che non si pagano più in realtà si paga. E lo pagano appunto le seconde case. Oscura perché il governo ci ha provato e poi, scoperto in flagrante da Sole 24 Ore e Corriere della Sera, ha negato con apposita “nota” di Palazzo Chigi. Però nero su bianco non c’è nulla e non ci sarà almeno fino al 15 di ottobre.

Quindi, se da una parte il governo sbandiera  la cancellazione delle imposte sulla prima casa, per il 2013, il conto per le seconde non solo non cala, e fin qui ci si poteva anche stare. Ma diventa più salato e questo è un “magheggio” fiscale, aggravato dalla pessima circostanza del retrodatare il ritorno dell’Irpef seconda casa sull’imponibile 2013. Cioè si paga anche per il 2013, nonostante due terzi dell’anno in questione siano già alle spalle. Palazzo Chigi emette “nota” di smentita, però in nessuna “nota” di Palazzo Chigi si legge dove il governo troverà i due miliardi e mezzo per abolire la rata di dicembre dell’Imu prima casa. A pensar male, a pensare alle tre tasse sulla seconda casa ci si indovina. D’altra parte o quelle, le seconde case, o la benzina.

Che l’Imu sia scomparsa, o meglio scomparirà con la prossima legge di stabilità, e non colpirà più le prime case non è un mistero. Come non è un mistero, anche se gode di decisamente minor appeal mediatico, il fatto che la tanto contestata Imu rimarrà tale e quale a come era sulle seconde case, peraltro quelle che hanno garantito la maggior parte del gettito complessivo dell’Imu già nel 2012. Ma sarà questa solo la prima delle tre imposte che d’ora in poi peseranno sui conti degli italiani che possiedono più di un immobile.

Nel 2014 infatti, ma in realtà già dal 2013 visto che, come spiega Gianni Trovati sul quotidiano di Confindustria: “Come da (pessima) abitudine degli aumenti di tasse, la norma è retroattiva e vale già per tutto il 2013, anche se otto mesi su dodici se ne sono già andati: con tanti saluti allo Statuto del contribuente”, le seconde case che non sono abitazioni principali e non sono concesse in affitto saranno nuovamente gravate dall’Irpef. Irpef da cui erano state sgravate quando arrivò l’Imu ma che ora tornae, in un certo senso, torna alla grande.

La nuova/vecchia imposta andrà calcolata partendo dalla rendita catastale dell’immobile interessato, rendita che andrà rivalutata e che si sommerà quindi all’imponibile del contribuente in questione. Spiega ancora Trovati: “Per ogni proprietario non è troppo difficile calcolare l’effetto ad personam. Bisogna prendere la rendita scritta nei rogiti, aggiornarla con l’aumento lineare del 5%, gonfiarla del 33% come previsto dal Testo unico delle imposte sui redditi nel capitolo immobiliare, e dividere il tutto per due: sul risultato bisogna applicare la propria aliquota Irpef, comprensiva di addizionali, e si scopre il costo della novità”. Costo che, a conti fatti, spesso e volentieri sfiorerà il beneficio derivante dalla cancellazione dell’imposta sull’abitazione principale e, in alcuni casi limite, lo supererà persino.

Facciamo un caso concreto: rendita catastale 1000 euro più aggiornamento del cinque per cento fa 1.050 euro. Se la seconda casa è data in affitto o in uso al figlio l’imponibile Irpef del proprietario sale di 525 euro oltre tutti gli altri suoi redditi. A questi 525 euro viene applicata l’aliquota Irpef dello scaglione di reddito di riferimento, insomma dal 3o al quaranta per cento. E questo è quello che il proprietario di seconda casa paga di Irpef seconda casa, più l’Imu per l’importo che ha già pagato, più una Service tax da definire. Diciamo che se su questa casa rendita catastale 1.000 l’Imu è stata e resta 1.300, l’Irpef sarà 200 e la Service vallo a sapere, però altri 200 almeno ci puoi scommettere. Da 1.300 a 1.700 almeno, così impara ad avere una seconda casa.

Questo se la seconda casa è affittata o se è residenza di un familiare. Se invece la seconda casa è vuota (il fisco non fa differenza se è una villa al mare o una casa in città che non si riesce ad affittare) i 1.050 euro di rendita catastale (mille più rivalutazione 5%) diventano 1.050 più 33,3% di penalizzazione casa sfitta. Divide per due e l’imponibile aggiuntivo diventa di 698 euro. Su questo imponibile l’aliquota Irpef di riferimento, quindi da 200 circa a 300 euro circa. Su questa seconda casa sfitta le tre tasse: l’Imu di prima e cioè 1.300, quasi 300 di Irpef e la Service che fa probabilmente 300. Risultato 1.900 euro. Attenzione, in entrambi i casi abbiamo dimenticato di conteggiare le addizionali regionali e comunali sull’imponibile Irpef, fanno qualche altra decina di euro tanto per gradire.

Oltre al peso della reintrodotta Irpef un altro aspetto di questa nuova/vecchia imposta merita di essere sottolineato e lascia, ad onor del vero, alquanto perplessi: le nuove regole sopra descritte colpiranno tutti gli immobili non principali sfitti, che si tratti di case al mare, di appartamenti in città rimasti senza inquilino o di case date in uso ad esempio ai figli. Un mare magnum privo di distinzioni che applicherà quindi medesime regole e medesimi costi a realtà estremamente differenti e che porterà, si stima, circa un miliardo di euro nelle casse dello Stato.

Ma non è tutto, i sei e passa milioni di seconde case italiane pagheranno, dall’anno prossimo, anche la Service Tax. La nuova tassa che ingloberà la vecchia Tares, l’imposta sui rifiuti, il costo dei servizi comunali e una quota di imposta sugli immobili, si applicherà infatti a tutte le abitazioni, principali o meno che siano.

Ecco quindi che dall’anno prossimo, e non da questo solo perché la Service Tax, almeno quella, non sarà retroattiva, le seconde case si troveranno a pagare tre imposte a fronte dell’una e mezza (la vecchia Tarsu-Tares) che pagavano con la legislazione appena superata: Imu, Irpef e Service Tax. Non certo un affare, specie per chi la seconda casa l’ha concessa in comodato gratuito a parenti o figli.

TRATTO DA: http://www.blitzquotidiano.it

Napolitano nomina 4 nuovi Senatori a vita.. se ne sentiva la mancanza

agosto 30, 2013

 Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha deciso di nominare quattro nuovi senatori a vita: sono Claudio Abbado, Elena Cattaneo, Renzo Piano, Carlo Rubbia. Rispettivamente un musicista tra i più illustri del panorama internazionale, una scenziata specializzata nei temi medici e della genetica, un architetto ricercatissimo in tutto il mondo e un premio Nobel per la fisica. Tutte grandi personalità del nostro Paese, provenienti dai mondi della cultura, della ricerca e della scienza. I decreti sono stati controfirmati dal Presidente del Consiglio Enrico Letta

Claudio Abbado. “Nato nel 1933, claudio abbado si è diplomato al conservatorio di Milano. Ha acquisito meriti artistici nel campo musicale attraverso l’interpretazione della letteratura musicale sinfonica e operistica alla guida di tutte le più grandi orchestre del mondo. A tali meriti si è congiunto l’impegno per la divulgazione e la conoscenza della musica in special modo a favore delle categorie sociali tradizionalmente più emarginate. Ha avuto la responsabilità della direzione stabile e musicale delle più prestigiose istituzioni musicali del mondo come il teatro alla scala e i berliner philharmoniker; ha ideato istituzioni per lo studio e la conoscenza della nuova musica”.

Elena Cattaneo. Nata nel 1962, è si laurea in farmacia all’università di Milano, dove dal 2003 insegna come professore ordinario. “Ha operato come ricercatrice per tre anni al Mit di Boston – ricorda il comunicato del Quirinale – dove ha avviato studi su cellule staminali cerebrali. Rientrata in italia, ha fondato e dirige il laboratorio di biologia delle cellule staminali e farmacologia delle malattie neurodegenerative del dipartimento di bioscienze dell’università di Milano”, e “da ottobre 2013, coordinerà il progetto neurostemcellrepair nell’ambito del 7° programma quadro della ricerca europa”.

Renzo Piano. Nato nel 1937, si laurea al Politecnico di milano nel 1964 e dal 1994 è ambasciatore di nuona volontà dell’Unesco per la città. Nel corso della sua carriera, “ha costruito spazi pubblici per le comunità, musei, università, sale per concerto, ospedali. Tra i suoi più importanti progetti il centro culturale Georges Pompidou a Parigi, l’aeroporto Kansai in giappone, l’auditorium Parco della musica a roma, il museo dell’Art Institute a Chicago, il nuovo campus della Columbia University a New York. Nel 2004 istituisce la fondazione renzo piano, con sede a genova, organizzazione no-profit dedicata al supporto dei giovani architetti, che accoglie a bottega”.

Carlo Rubbia. E’ nato nel 1934, si è laureato alla Normale di Pisa e ha svolto il suo dottorato alla Columbia University. Ricercatore al Cern di ginevra dal 1961, ne è stato direttore generale dal 1989 al 1993. Per diciotto anni ha svolto l’attività di professore di fisica ad Harvard. Nel 1984 ottiene il premio nobel insieme a Simon Van Der Meer per la scoperta dei particelle w e z, responsabili delle interazioni deboli. “Membro delle più prestigiose accademie scientifiche – conclude il Quirinale – detiene 32 lauree honoris causa. Attualmente svolge le sue attività di ricerca fondamentale al Cern e ai laboratori nazionali del Gran Sasso.

 

 Commento: se ne sentiva la mancanza. In un paese che ha gia’ 947 parlamentari (contro i 535 degli USA, nazione 5 volte piu’ grande), senza dubbio nominarne altri 4 e’ un atto lungimirante. In una paese che ha spese politiche enormi, e’ senza dubbio essenziale incrementarle un’altro po’ regalando opportune retribuzioni a costoro, senza dubbio bisognosi. In una nazione dove al Senato si gioca una partita essenziale e si parla ogni giorno di legge elettorale, e’ senza dubbio utile nominare 4 teste, non elette da nessuno, che un domani potrebbero essere determinanti nel far star in vita un qualche governo.

Il messaggio mandato da Napolitano e’ antitetico a quello che servirebbe. In Italia piu’ che nominare nuovi senatori, bisognerebbe mandarli a casa tutti e 321, chiudendo il Senato, inutile doppione della Camera, istituzione che oggi come oggi non solo non ha senso logico, ma complica il quadro ed e’ motivo di instabilita’ (puo’ evere maggioranze diverse rispetto alla Camera), costa 1 miliardo (cifra non proprio trascurabile), e’ un danno per il timing decisionale (i continui inutili palleggi di leggi e decreti tra le 2 camere costano al paese enormemente).

Cavallerescamente, suggerisco alle 4 personalita’ nominate da Napolitano, di “non accettare” la nomina: risulterebbero ancora piu’ grandi.

 By GPG Imperatrice

http://www.scenarieconomici.it/napolitano-nomina-4-nuovi-senatori-a-vita-se-ne-sentiva-la-mancanza/

No Tav, attentato incendiario a Chiomonte e due arresti

http://torino.repubblica.it/cronaca/2013/08/30/news/no_tav_attentato_incendiario_e_arresti_a_chiomonte-65587952/?ref=HREC1-3

Durante la manifestazione No Tav incendiato un capannone a Bussoleno di un’azienda che lavora nel cantiere. Poco prima arrestati due esponenti di Askatasuna nella zona di Venaus
di ERICA DI BLASI

No Tav, attentato incendiario  a Chiomonte e due arresti

Incendiato nella notte un capannone della Geomont di Bussoleno che lavora per il Tav. Nel rogo sono andati distrutti una trivella e due generatori: danneggiato, seppur in parte, anche il capannone che li ospitava.

L’attentato, l’undicesimo in poco più di due mesi, è avvenuto in concomitanza con la manifestazione No Tav tuttora in corso a Chiomonte. I manifestanti, un’ottantina per lo più incappucciati e vestiti di nero, è arrivata poco prima delle 23 di fronte al cordone di polizia e carabinieri fuori del cantiere. Dopo pochi minuti si sono però allontanati tornando verso i boschi. Non hanno ancora abbandonato la zona dei sentieri che costeggiano il cantiere: al momento però non si sono verificati problemi di ordine pubblico.

Poco prima dell’iniziativa di lotta notturna, i carabinieri, insieme alla Digos, hanno fermato e poi arrestato nella zona di Venaus due esponenti di Askatasuna, tra cui Davide Forgione, che avevano a bordo della loro auto armi e materiale esplosivo. I militari hanno sequestrato l’arsenale che sarebbe dovuto essere utilizzato per l’iniziativa di lotta di questa sera: 6 pneumatici, 5 molotov, 5 bottiglie di benzina, 6 mortai rudimentali, cento bombe carta, 63 bengala di due diversi tipi e di grosse dimensioni, 31 chiodi a quattro punte, 2 scatole di diavolina (dello stesso tipo di quella usata per l’attentato alla Geomont), 5 fionde, 4 cesoie, una matassa di corde, 22 paia di guanti, 12 bottiglie di malox e limone (per contrastare l’effetto dei lacrimogeni) e 62 tute nere.

(30 agosto 201