La sinistra è il problema e si propone come la soluzione

mercoledì, agosto 14, 2013

di Luciano Del Vecchio

Ammesso che le denotazioni di destra e sinistra abbiano ancora un senso e siano ancora valide per definire i reali schieramenti sociali e politici in questa fase storica, assumiamole pure nel loro significato tradizionale che vede, grosso modo, l’una dare più importanza alla giustizia sociale e l’altra essere più attenta alle libertà individuali.

Ebbene, se questo è ancora il discrimine, allora va preso atto che la sinistra non denuncia più l’ingiustizia sociale, l’alienazione di massa, la speculazione, lo sfruttamento e la miseria. In questo Ventennio antiberlusconista, e forse ancor prima, la sinistra non ha più concepito queste storture come conseguenze fisiologiche del capitalismo, ma le ha spacciate come effetti dell’agire irresponsabile di un singolo individuo. Una sola persona, giudicata immorale e disonesta, sarebbe stata l’unico responsabile di una realtà sociale e politica di per sé accettabile se non fosse per la presenza del “malvagio” che la rende ingiusta. Con l’opposizione dirottata contro un’unica e demonizzata figura la sinistra, convertitasi al monoteismo mercatista, s’è riciclata agli occhi del popolo,

Perciò, il vero nemico da battere divenne, non la cricca degli eurotecnocrati, la troika, i poteri globalisti, lo strapotere finanziario, che umiliano popoli, distruggono democrazie, disintegrano stati, e cancellano le tutele sociali, no, un solo politico corruttore ha ostacolato l’avvento di una società più giusta. Una vile esecrazione moralistico-legalista ha consentito alla sinistra il lusso di non fare politica e di camuffare il conflitto politico-sociale. “Dalla questione sociale alla questione morale, da Carlo Marx alla signora Dandini” (Fusaro)

Che cosa è successo negli ultimi vent’anni, in Italia? L’elettorato di sinistra, rimbambito da un ventennio di antiberlusconismo, lo ignora; ormai non ha la minima idea di quale sia la realtà sociale, economica e politica dell’Italia; esso costituisce la parte ingenua di opinione pubblica che vota Monti o Bersani convinta nel contempo, con sorprendente candore, di tutelare le fasce popolari più deboli.

Distolto dai problemi sociali, l’elettorato di sinistra è spinto a riporre speranze di vago cambiamento, forse soltanto anagrafico, in qualche fighetto di rampante nullità politica che, dentro il partito, finge opposizione alle cariatidi. Appagato di anti-berlusconismo, questo elettorato si sazia infine di diritto-umanitarismo, intorno al quale la sinistra ha costituito la proposta politica complessiva nel Ventennio euro unionista. La lotta all’omofobia, alla sessuofobia, alla xenofobia, tutte più o meno esagerate, gonfiate, quasi desiderate, se non addirittura inventate, o presunte rinvenute in individui e gruppi dove non hanno mai allignato, sono state condotte in parallelo a un antifascismo raffermo contrapposto a un fascismo inesistente o di rarefatta inconsistenza.

L’assenza di principi e di ideali e il vuoto dei programmi sono stati colmati dalla politicalcorrettomania, espressione del bigottismo progressista di provenienza nordamericana. Un nuovo catechismo laico, un nuovo e Profano Uffizio mette all’indice parole ed espressioni tradizionali, di innocua semplicità e aliene da connotazioni oltraggiose, e  ci prescrive un lessico d’obbligo, preferibilmente anglofono, da quando la lingua inglese viene usata in pubblicità, in economia e in politica, come moderno latinorum di manzoniana memoria per infinocchiare i semplici.

E così, per merito massmediatico di questa sinistra, in Italia da decenni, l’opinione pubblica si scontra su matrimonio omosessuale, eutanasia, embrioni, coppie di fatto, e svariati temi che abbisognano di pacati dibattiti pubblici, ma non di conflitti politico-parlamentari e di risse televisive. Queste materie sono state trasformate in problemi da risolvere con vitalissima urgenza per l’intero popolo, o come uniche, esclusive, impellenti, grandi conquiste di civiltà.

La politicalcorrettomania sul piano dei costumi e l’antiberlusconismo sul piano politico, entrambi pensiero e azione della sinistra negli ultimi vent’anni, hanno consentito al suo ceto dirigente di occultare l’adesione supina al capitale, la mostruosità della moneta unica, la giungla dei mercati, la gestione diretta del potere politico da parte dei banchieri, l’approvazione e sottoscrizione silenziata dei trattati europei, come silenziato fu sui mass-media lo stravolgimento della Costituzione.

Ma è soprattutto sull’antiberlusconismo che la sinistra, ormai drogata, “fatta” e sfatta di dottrina economica liberista, ha fondato e mantenuto una faticosa e tragicomica identità. Sotto l’effetto dell’iperdose ha accettato il sistema produttivo e di scambio capitalista come incondizionatamente buono e incontestabile. S’è convinta e ha convinto il suo elettorato che esiste un unico modello economico, un unico modello di sviluppo, un solo modello di civiltà da perseguire, quello del mercato, e che l’euro e l’Unione europea realizzassero finalmente il paradiso promesso dal mercato. Ha fornito al capitalismo finanziario l’alibi culturale per riprodursi e legittimarsi a sinistra.

Da quando la sinistra ha firmato il trattato di pace con l’economia capitalista? Dalla caduta del muro di Berlino, sostengono alcuni; ancor prima, ritengono altri; forse da quando Napolitano, il primo comunista concessionario di visto americano, ha cominciato i suoi giri di conferenze accademiche negli USA. I giri sono diventati diplomatici e, poco alla volta, politici; e di recente la moda dilaga in una più larga cerchia del nostro ceto dirigente. Fatto sta che, in ogni campagna elettorale, ad ogni chiusura di urne, dopo ogni ottenimento di fiducia parlamentare, durante ogni ciclo di consultazioni per formare il governo, è tutto un continuo e servile viavai di esponenti politici di sinistra, eletti a cariche istituzionali, verso le capitali delle potenze eurocratiche e dell’impero USA, le stesse che hanno schiavizzato la patria e il popolo italiano. Il tour serve ai nostri vassalli per assicurarsi l’investitura, per elemosinare legittimità a governare: una indiretta ammissione che quella ottenuta dal popolo italiano non basta, è irrilevante, non serve e non conta nulla. Il sovrano è all’estero. Lo spettacolo è grottesco o drammatico? Questa sinistra è il problema e si propone come la soluzione.
http://cogitoergo.it/?p=23130

Presidente Pd: “Stuprate la Isimbayeva, è contro i gay”

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Il partito della tolleranza e del rispetto ISTIGA ALLO STUPRO. Complimenti a questo tizio del partito che ha votato la legge sul femminicidio.
Se la donna non si allinea, CHE SIA STUPRATA

16-08-2013

Gianluigi Piras, presidente del forum regionale Pd sui diritti, coordinatore regionale sardo dell’Anci Giovani, candidato sindaco a Jerzu e sostenitore di Matteo Renzi invita allo stupro di gruppo sull’atleta russa Isimbayeva. La colpa della ragazza? Non sostenere la propaganda omosessualista nelle scuole e negli asili, e avere appoggiato la legge russa che la vieta.

Il Pd espellerà questo cultore dei ‘diritti’. No, perché ha esattamente espresso quelli che sono i progetti del Pd, già delineati dal ‘suo’ gay Scalfarotto: insegnare l’omosessualità nelle scuole. A partire dalle elementari.

E nessun magistrato aprirà un’indagine. La sportiva non è nera.
http://voxnews.info/2013/08/16/presidente-pd-stuprate-la-isimbayeva-e-contro-i-gay/

Elena Isinbaeva sostiene la legge anti-gay della Russia
RIAN 15/08/2013

ds_isinbayeva_20130814063253294414-620x349La primatista mondiale del salto con l’asta Elena Isinbaeva difende veementemente la legge anti-gay della Russia, dicendo che teme per il futuro del suo Paese, se non venisse applicata. Isinbaeva, la più nota star dell’atletica attiva della Russia, sarà il sindaco onorario del villaggio degli atleti di Sochi per i giochi invernali del prossimo anno, mentre alcuni gruppi vogliono boicottare il Paese per la controversa legge che vieta di promuovere l’omosessualità presso i minori. “Se permetteranno di promuovere e diffondere per le strade tutta questa roba, avrò molta paura per la nostra nazione“, ha osservato Isinbaeva, nota sostenitrice del Presidente Vladimir Putin.
Il ministero degli Interni russo ha confermato, la settimana scorsa, che avrebbe applicato la legge,  che molti attivisti considerano un assalto alla libertà di parola, nella città olimpica del prossimo anno. “Ci riteniamo un popolo tradizionale, con uomini che convivono con donne. Questo deriva dalla Storia. Spero che tale problema non interessi i Giochi di Sochi“, ha aggiunto Isinbaeva, parlando due giorni dopo aver vinto il suo terzo titolo mondiale nella capitale russa. “Il movimento olimpico e cose come i rapporti non tradizionali, sono due cose diverse e non devono essere mescolate.” Gli appelli al boicottaggio delle Olimpiadi invernali della Russia “non sono cose per gli atleti“, ha detto Isinbaeva. Poco prima che Isinbaeva vincesse la medaglia d’oro a Mosca, il mezzofondista statunitense Nick Symmonds ha dedicato la sua medaglia d’argento ai suoi amici gay e lesbiche, diventando il primo atleta a criticare la legge sul suolo russo. La saltatrice in alto svedese Emma Green Tregaro ha gareggiato con le unghie arcobaleno a sostegno della comunità gay della Russia, una sottile forma di protesta. Il pattinatore apertamente gay Blake Skjellerup della Nuova Zelanda, ha già detto che avrebbe indossato una spilla arcobaleno in segno di protesta contro la legge quando si qualificherà per Sochi. Isinbaeva ha detto che non ha problemi con eventuali atleti gay concorrenti alle Olimpiadi di Sochi. “ovviamente tutti possono competere“, ma è contraria a che la discussione sullo stile di vita gay colpisca i Giochi. “Noi non siamo contro la scelta del singolo. Sono la sua vita e sue scelte. Ma  sono contro la pubblicità di ciò nel nostro Paese, e sostengo il nostro governo“, ha detto.
La legislazione anti-gay è stata firmata da Putin a giugno e impone una multa fino a 3.000 dollari per chi la viola. Il Comitato Olimpico Internazionale ha detto la settimana scorsa che, prima di prendere una posizione ufficiale, voleva chiarimenti su ciò che la legge impone e come sarà attuata a Sochi. Il CIO ha insistito sul fatto di aver ricevuto rassicurazioni da funzionari di alto livello che la legge non sarà applicata ad atleti e spettatori ai Giochi, ma il ministero degli Interni della Russia ha smentito, confermando che la “Promozione di relazioni sessuali non tradizionali presso i minori” è illegale per chiunque. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e il primo ministro inglese David Cameron respingono gli appelli al boicottaggio. Mentre i sostenitori della legge sostengono che essa è volta a tutelare i bambini da influenze dannose, i critici sostengono che la mossa è parte di un grande giro di vite verso la comunità gay di Russia. La Russia è oggetto di critiche internazionali, anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, per il trattamento verso i gay.

Traduzione di Alessandro Lattanzio
http://www.statopotenza.eu/8527/elena-isinbaeva-sostiene-la-legge-anti-gay-della-russia

Transunion Petroleum decisa a trivellare il Mar Jonio

di Ola (Organizzazione lucana ambientalista)

La Ola (Organizzazione lucana ambientalista) rende noto che, dopo l’annuncio delle presentazioni delle osservazioni da parte del Comune di Rotondella al Ministero dell’Ambiente, la compagnia Transunion Petroleum avrebbe presentato al Ministero dell’Ambiente integrazioni al progetto di ricerca idrocarburi a mare “d 68 F.R.-TU”. Il permesso di ricerca interessa le Regioni Basilicata, Calabria, Puglia; le Province di Cosenza, Crotone, Lecce, Matera, Taranto; i Comuni di Albidona, Alliste, Amendolara, Bernalda, Calopezzati, Cariati, Cassano allo Ionio, Castellaneta, Castrignano del Capo, Cirò, Cirò Marina, Corigliano Calabro, Crosia, Crucoli, Galatone, Gallipoli, Ginosa, Leporano, Lizzano, Mandatoriccio, Manduria, Maruggio, Massafra, Montegiordano, Morciano di Leuca, Nardò, Nova Siri, Palagiano, Patù, Pietrapaola, Pisticci, Policoro, Porto Cesareo, Pulsano, Racale, Rocca Imperiale, Roseto Capo Spulico, Rossano, Rotondella, Salve, Sannicola, Scala Coeli, Scanzano Jonico, Taranto, Taviano, Torricella, Trebisacce, Ugento e Villapiana.

I nuovi termini fissati dal Ministero dell’Ambiente, Ufficio VIA per la presentazione delle osservazioni /opposizioni al Ministero dell’Ambiente è spostato dal 13 luglio 2013 al 3 settembre 2013 . La nuova istanza è visionabile sul sito ufficiale del Ministero dell’Ambiente, a questo link. L’area in istanza di ricerca – ricorda la Ola – è situata nel Golfo di Taranto, di fronte alle coste della Basilicata e della Calabria, tra Policoro (Matera) e Trebisacce (Cosenza). Il limite occidentale dell’area si trova ad oltre cinque miglia nautiche (9,3 km) dalla costa e la profondità dell’acqua va da un minimo di 45 metri – nel margine occidentale dell’area – ad oltre 1300 metri nella zona più orientale.

Dopo le ricerche con la tecnica dell’airgun – evidenzia la nostra Organizzazione – con più di 200 chilometri di linee sismiche 2D in aree marine e terresti di grande interesse ambientale del Golfo di Taranto, lo studio VIA prevede che si “procederà alla perforazione di un pozzo esplorativo all’interno dell’area in oggetto la cui profondità finale sarà indicativamente di 2700 metri, e comunque in funzione delle caratteristiche geologiche identificate soggetta ad una nuova procedura di valutazione di impatto ambientale, nonché a specifica autorizzazione da parte del Ministero dello Sviluppo Economico“.

La Ola chiede ai Comuni interessati di far sentire la propria voce nelle sedi opportune mobilitando i cittadini e le categorie economiche legate al mare.

fonte: Ola
http://www.oltrelacoltre.com/?p=16871

LE “FONDAZIONI” DEI POLITICI? DEI VERI PARADISI FISCALI. RICEVONO CONTRIBUTI DALLE AZIENDE (ANCHE PUBBLICH E, SOLDI NOSTRI) MA NON HANNO OBBLIGHI DI RENDICONTAZIONE

Posted on agosto 12, 2013

 Il paradiso fiscale delle fondazioni politiche

 È curioso questo strano strumento giuridico. Stiamo combattendo l’evasione fiscale, stiamo facendo accordi internazionali per fare sparire i paradisi fiscali. Poi manteniamo degli istituti giuridici che danno privilegi a pochi. Privilegi che non ha nessun negoziante o dipendente. Stiamo facendo la guerra allo IOR perché renda pubblici i propri conti, ma non nessuna guerra per sapere chi dà i soldi a una fondazione politica.

 Il Passaparola di Filippo Barone

Salve a tutti, sono Filippo Barone, giornalista. Sono con voi perché parleremo di fondazioni politiche. Si tratta di fondazioni di diritto privato che esistono da sempre.

 L’istituto della fondazione, l’istituto giuridico, nasce con il concetto stesso di tutela di una eredità per il pubblico. Un esempio per tutti è la fondazione Nobel, quella che serve per amministrare il patrimonio di Nobel, utilizzato per assegnare l’omonimo premio.

La fondazione nasce con un principio semplice: quando una persona sa di dovere morire e desidera lasciare un patrimonio a beneficio della collettività futura, ci si è posti il problema di come fare sì che questo patrimonio non venga depauperato da eredi o da terzi. Allora si è creato un sistema che è tutto concentrato sulla difesa di quel patrimonio, una disciplina che serve a tutelare dei beni destinati a un determinato fine benefico.

Ora, come si sia arrivati dalle fondazioni di diritto privato alle fondazioni politiche è un tassello fondamentale.

 

Nel 1997 la legge Bassanini, chiamata della semplificazione, ha cambiato il regime delle fondazioni.

Le fondazioni prevedevano un fortissimo regime di controllo, da parte addirittura del ministero dell’economia. Serviva un controllo preciso del patrimonio e di come veniva tutelato. Con la semplificazione, la fondazione perde questo regime di controlli. È più facile costituirle, anche con un patrimonio minimo e continua a non esserci una esigenza di pubblicità dei bilanci. L’unico controllo è che non venga depauperato questo patrimonio. Ma la cosa fondamentale è che la fondazione non si preoccupa dei capitali che arrivano all’interno, come istituto si preoccupa che non vengano sciupati quei soldi. Quindi il regime delle fondazioni non prevede i controlli su chi versa i soldi, e questa semplificazione, insieme a quella delle associazioni, ha fatto sì che accanto alle fondazioni tipiche legate a una eredità fiorissero delle fondazioni a ispirazione culturale o politica, sempre con fini umanitari.

 

Una di quelle è proprio la Astrid, che è gestita dallo stesso Bassanini. Nascono con il fine di non produrre utili, come qualsiasi associazione non profit, però prendono il vestito della fondazione che invece deve tutelare un patrimonio.

Il combinato disposto ha fatto sì che da un lato abbiamo questi istituti che sono associazioni e organizzazioni legate squisitamente alla politica, dall’altro abbiamo un regime che è un vero e proprio paradiso fiscale, perché non esiste un controllo della Guardia di finanza non essendo obbligatorio un controllo da parte delle prefetture, se non del patrimonio. Il deposito del bilancio è facoltativo, mentre la redazione interna è obbligatoria. Sta alle fondazioni decidere cosa rendere pubblico.

Non so se ciò sia stato un mordente che ha portato tutti i politici a avere una fondazione, certo è che si tratta di una schermatura molto efficace sui finanziamenti ai politici. Non c’è un politico che sia obbligato a dire chi dà i soldi, quanto e come a una fondazione.

Non abbiamo fatto un conteggio, però grande parte dei parlamentari sono a capo di una fondazione. Alcune inchieste hanno mostrato come le fondazioni siano diventate la destinazione di finanziamenti da parte di imprese che avevano come unico obiettivo l’ottenimento di appalti. Questo non vuole dire che tutte le fondazioni siano macchiate di questo stesso aspetto, però resta comunque un fenomeno abbastanza curioso. Ci sono state inchieste che hanno coinvolto Finmeccanica, che curiosamente fa pubblicità sulle riviste di molte fondazioni e partecipa effettivamente a molte fondazioni. Stessa cosa fanno molte banche. È curioso questo strano strumento giuridico. Stiamo combattendo l’evasione fiscale, stiamo facendo accordi internazionali per fare sparire i paradisi fiscali, e poi manteniamo degli istituti giuridici che danno privilegi a alcuni. Privilegi che non ha nessun negoziante o dipendente. Stiamo facendo la guerra allo IOR perché renda pubblici i propri conti, però nessuna guerra per sapere chi dà i soldi a una fondazione politica.

 

Ho potuto raccogliere informazioni grazie al fatto che alcune aziende dichiarano i soldi che danno alle fondazioni per poter ottenere gli sgravi fiscali. Altra cosa interessante è che queste fondazioni senza fini di lucro possono partecipare a delle società di capitali. La fondazione Italiani Europei di D’Alema, ad esempio, è proprietaria per una percentuale di una srl. Ora queste srl invece hanno un bilancio e operano nel mercato come tutte le società e quindi si crea una stranezza, per cui da un lato ci sta una riserva sulle informazioni per queste fondazioni, però nulla vieta che queste agiscano nel mercato. Se non ci fosse l’obbligo di interferenza per le srl non sapremmo nulla neanche della fondazione Italiani Europei, o sapremmo comunque molto meno di quello che sappiamo.

Formuliamo una ipotesi positiva, che cioè la fondazione non venga utilizzata per riciclare denaro, per ottenere finanziamenti illeciti ai partiti, ma che serva solo per poter mostrare una capacità di influenza del politico, cioè io che dentro il partito devo sottostare alle regole del partito e il sistema elettorale fa sì che ci sia una piramide per cui io devo sottostare al vertice, per crearmi una nicchia di potere mi apro una fondazione e ti faccio vedere all’interno del partito quanti soldi riesco a beccare e quanta gente riesco a fare iscrivere o quanto riesco a essere influente.

Questa cosa in teoria non è negativa, perché è un modo per crearsi una sfera di influenza, se una fondazione diventa un polo di attrazione culturale, per cui i maggiori esperti e scrittori scrivono gratis nella rivista della fondazione, negli eventi proposti si creano platee. Vuole dire che quel politico ha dimostrato di avere un certo peso. Il problema è che quei finanziamenti possono essere rilevati oppure no. Il problema è che in una situazione di crisi economica vedere imprese che investono soldi non per fini pubblicitari reali, – i lettori delle riviste delle fondazioni si contano su una mano – ma soltanto per ottenere la simpatia dei politici in un sistema come quello italiano dove il lobbying non è curato legalmente, dove in teoria sfocia nel reato di corruzione o concussione, è una stortura.

L’impresa paga il parlamentare perché vuole che passi una legge e il parlamentare lo rivela, quindi io rischio di trovarmi una legge fatta ad hoc sul profilo di una lobby o di una singola impresa, ma non lo so, quindi mi ritrovo a accettare una legge che vale per tutti che è frutto di un compenso economico di una singola impresa. E questo non si può fare.

In America invece è disciplinata, lo sai, e puoi partecipare a modo tuo e fare la tua attività di lobbying. Quindi se io sono un consumatore, mi metto insieme a altri duemila consumatori, facciamo una colletta e ci paghiamo la legge fatta per noi. Stessa cosa per i pensionati. Può piacere o meno, ma almeno è trasparente. In Italia se una azienda paga una fondazione e ottiene una legge a proprio vantaggio è reato.

Non sono un avvocato o magistrato, però come cittadino non mi fa piacere.

Un esempio tanto discusso politicamente è la fondazione Vedrò, semplicemente perché è bipartisan, come questo governo. A capo c’è Letta, che è il Presidente del consiglio, ma c’è anche Alfano. Ci sono figure sia di destra che di sinistra. Quando altri hanno fatto inchieste sulle fondazioni, hanno aperto le porte e fatto vedere tutte le carte, senza sollevare un ciglio.

Ci sono altre fondazioni che ti chiudono il telefono in faccia, quella di D’Alema ad esempio, che è anch’essa una fondazione sulla quale c’è una guerra aperta da parte dell’informazione di ogni genere e tipo perché ostentano trasparenza ma poi rifiutano qualsiasi domanda.

Una fondazione che nasce in modo più trasparente, semplicemente perché è di origine americana è la Aspen Institute, che si professa come centro di potere, lobby che va al di sopra della politica e che raccoglie tutti. Fanno a gara per farvene parte. Ci sono anche giornalisti, amministratori delegati, politici e però in questo caso parliamo di un gruppo di interesse sovranazionale filoamericano. Si può provare o meno simpatia per gli americani, è una questione personale, però è trasparente, così come funziona negli Stati Uniti.

Essendo luoghi per pensare e fare cultura organizzano eventi, pubblicano riviste, organizzano gruppi di studio.

Non mi sembra di avere visto studi apprezzabili in quasi nessuna di queste fondazioni, salvo appunto quella che fa capo a D’Alema, che ha una struttura molto, molto ampia e può contare anche storicamente su grandi intelligenze, che quindi si prestano offrono materiali curiosi; così come Aspen Institute fa ricerche assolutamente apprezzabili.

Ma tolti i “big”, la maggior parte ha uno statuto ricco di buoni propositi e basta.

Le fondazioni non sono un male necessario, nel senso che possono trasformarsi in associazioni culturali. Se io e uno qualsiasi di voi decidessimo di fare la associazione del “Burraco” c’è una legislazione che lo prevede. Avremmo un obbligo di trasparenza di bilanci non vedo perché le fondazioni politiche non debbano darsi uno statuto analogo a quelle di qualsiasi altra associazione culturale!

E invece utilizzano un istituto giuridico che è proprio delle fondazioni patrimoniali che hanno tutta un’altra origine e logica.

Quindi la possibilità di inserire trasparenza nelle fondazioni non richiede neanche un grosso lavoro giuridico, basta cambiare la legge o assimilare le fondazioni politiche alle associazioni culturali e quindi permettere alla Guardia di finanza di entrare e chiedere le stesse documentazioni che vengono richieste alle associazioni culturali.

Tra l’altro le fondazioni politiche riescono pure a ottenere fonti pubblici, sono spiccioli: il cinque per mille.

Un’iniziativa che richiede uno sforzo di trasparenza non sarebbe sbagliata, soprattutto laddove si sta parlando di trasparenza e finanziamento ai partiti. In questo caso le fondazioni possono rappresentare un oggetto pericoloso, perché nel momento in cui dovessero diminuire i soldi dati ai partiti necessariamente questi si rifarebbero attraverso le fondazioni, quindi inserire da subito un elemento di trasparenza nelle fondazioni è una cosa che dal punto di vista parlamentare si può fare, basterebbe anche una iniziativa parlamentare per mantenere alta la attenzione.

Propongo a chi è dotato di buona volontà di attivare una petizione per introdurre dal punto di vista legislativo degli elementi di trasparenza all’istituto delle fondazioni politiche.

Passate parola.

 

https://www.facebook.com/pages/Politici-che-non-hanno-MAI-lavorato-ELENCO-UFFICIALE-MANDIAMOLI-A-CASA/274354875910343

 FONTE:

 http://www.beppegrillo.it/2013/08/passaparola_-_il_paradiso_fiscale_delle_fondazioni_politiche_barone.html

Agli statali stipendi bloccati, ai magistrati aumento del 5%

La crisi c’è per tutti, ma non è per tutti uguale. Dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco degli stipendi dei magistrati, aumenta del 5 per cento lo stipendio dei giudici, circa 8 mila euro all’anno in più. Le Toghe, dunque, non conoscono crisi. Nel 2010 Berlusconi tentò invano di congelare anche la loro remunerazione per 5 anni, ma l’intervento della Consulta fu categorico e fulmineo, gli stipendi dei magistrati non si toccano. Ad esempio, un magistrato della Corte dei Conti, come riporta una tabella del Sole 24 Ore, nel 2011 ha guadagnato 174.690 euro. Con l’aumento retroattivo dal 2012 nel 2014 incasserà 182.287 euro. Pare insomma che il salario “togato” sia sacro mentre quello dei dipendenti pubblici può essere tranquillamente profanato a dispetto della specificità decantata di alcune categorie, di importi stipendiali ridotti all’osso, di turni di lavoro usuranti. Insomma, alla faccia della crisi, qualcuno è più statale degli altri. Eppure il governo non più tardi di una settimana fa, ha prorogato il blocco per gli statali di serie B, nonostante la Corte costituzionale abbia calendarizzato per il 5-6 novembre 2013, 17 ordinanze di remissione per la violazione di nove articoli della Costituzione. Ora pretendiamo giustizia, non possono essere congelati gli stipendi dei magistrati? Allora devono essere sbloccati anche gli stipendi, di insegnanti, medici, militari, forze di polizia. Attenderemo fiduciosi l’esito della Corte, nella speranza che la Giustizia possa premiare l’attesa anche di chi, evidentemente di second’ordine, non indossi una toga.
http://guidolanzo.blogspot.it/2013/08/agli-statali-stipendi-bloccati-ai.html?spref=fb

 

ITALIA: IL LAVORO CHE NON C’E’. DISOCCUPAZIONE AI MASSIMI STORICI

estrapolo questo gravissimo dato:

Si può dire, a grandi linee, che su circa 40 milioni di italiani in età lavorativa, ne lavorano solo 22,6 milioni

A qualcuno dei tanto diritto umanisti INTERESSA SAPER COME CAMPA IL 50% DELLA FORZA LAVORO DISOCCUPATA ITALIANA o è disgustoso interessarsi dei connazionali nonché razzista?
A Napolitato e Miss Boldrini interessa?
Se non è chiaro lo ripeto, lo dicono i numeri LA DISOCCUPAZIONE E’ AL 50% Ma si dai chiamiamo “risorse” dall’Africa che qui non sappiamo come rigirarsi dal tanto lavoro che c’è no?

ITALIA: IL LAVORO CHE NON C’E’. DISOCCUPAZIONE AI MASSIMI STORICI

3 giugno 2013

 La crisi economica si ripercuote con violenza sul mercato del lavoro, che fa registrare numeri mai così gravi. La disoccupazione batte nuovi record ed è ormai endemica nel Mezzogiorno e fra i giovani, sono  realmente occupati a tempo pieno solo la metà degli italiani in età lavorativa. Urgono misure di riforma di tutto ciò che possa favorire la creazione non artificiosa di lavoro: il caso dei centri per l’impiego.

 I dati Istat sulla disoccupazione riportano in primo piano quello che è il sintomo più forte della crisi strutturale che l’economia italiana sta attraversando da quasi un quinquennio: il lavoro scarseggia e quel poco che c’è non genera occupazione a causa di un mercato a dir poco inefficace.

 RECORD STORICO

 Nel primo trimestre del 2013 l’Italia ha toccato il suo nuovo record di disoccupazione: l’Istat definisce il dato “massimo storico” da 36 anni. In realtà il dato potrebbe essere il peggiore di sempre (da quando esiste la Repubblica), visto che i livelli attuali sono statisticamente comparabili solo con le serie storiche mensili rilevate dal gennaio 2004 e con quelle trimestrali avviate nel primo trimestre 1977.

 Vediamo i numeri. Il tasso di disoccupazione ufficiale è asceso al 12,8%, rispetto all’11% di 12 mesi prima: nel primo trimestre 2013 si è accentuata la diminuzione su base annua del numero di occupati (-1,8%, pari a -410mila unità). Al calo degli occupati più giovani e dei 35-49enni (rispettivamente -421.000 e -220mila unità) si è contrapposta la crescita degli occupati over 50 (+231mila). Uomini (-2,5%, pari a -329mila unità) e donne (-0,9%, -81mila unità) sono associati nella discesa: la componente femminile di senza lavoro è in aumento per l’ottavo trimestre consecutivo, quella maschile per il sesto. Il Pil, del resto, si contrae da sette trimestri consecutivi.

 Nell’industria è proseguita la flessione dell’occupazione, con un calo tendenziale del -2,5% (-116mila unità) concentrato nelle imprese di media e grande dimensione; si è accentuata la contrazione di occupati nelle costruzioni (-11,4%, pari a -202mila unità). Dopo la tenuta dei trimestri precedenti, l’occupazione si è ridotta anche nel terziario (-0,4%, -60mila unità).

 L’Italia risulta spaccata in due tronconi. Nel Nord i disoccupati toccano il 9,2% (dal 7,6% di un anno fa) e nel Centro salgono all’11,3% (dal 9,6): percentuali tutto sommato in linea con la media dell’Eurozona, visto che secondo l’Eurostat in aprile la disoccupazione si è attestata al 12,2% (dall’11,2% dell’aprile 2012). Peraltro anche in Eurolandia la disoccupazione è ai massimi storici (le rilevazioni partono dal 1995). La vera polveriera occupazionale italiana è il Sud, dove si raggiunge il 20,1% (dal 17,7% di 12 mesi fa) di disoccupati. Non è record storico (nel 1999 la percentuale aveva toccato anche il 20,5%), ma rimane il fatto che un lavoratore meridionale su cinque non riesce a trovare lavoro!

 QUANTI NON LAVORANO E QUANTI LAVORANO

 I numeri assoluti sono ancor più impressionanti: al termine del primo trimestre del 2013 ben 3 milioni 83mila italiani erano in cerca di lavoro, con un aumento di 373mila in dodici mesi. Cifre ingiustificabili in un paese che si ritiene una delle economie più avanzate al mondo.

 I ragazzi che non studiano e non cercano lavoro (Neet, ovvero “not in education, employment or training”: quindi non rientranti ufficialmente fra i disoccupati) sono ormai più di 2,2 milioni secondo l’Istat, il più elevato spreco di capitale umano tra i paesi europei. Il numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni è aumentato dello 0,2% sul mese precedente (+25mila unità): il tasso di inattività è al 36,2%.

 Gli occupati, in aprile, erano 22 milioni 596mila (-0,1% su marzo): il tasso di occupazione è ormai crollato al solo 56,0% (solo 56 italiani su 100 tra i 18 e i 64 anni lavorano). Quel che dovrebbe far riflettere è che anche chi ufficialmente risulta occupato sempre più frequentemente di fatto non lavora o lavora parzialmente: impressionano, infatti, i numeri sulla cassa integrazioneNel 2012 sono state autorizzate 1,09 miliardi di ore di cassa (+12,1% sul 2011), equivalenti secondo la Cgil a 522mila posti di lavoro (con una perdita annua di salario media di 8mila euro/lavoratore e corrispondenti ad una perdita di reddito netto per 4,2 miliardi di euro); sono stati coinvolti oltre 2 milioni di lavoratori. Il costo della cassa integrazione per il 2012, il secondo peggior anno dal 1980 (dopo il 2010), è stato di poco superiore ai 5,6 miliardi per lo Stato. Il 2013 si avvia a battere un record anche in questo campo se il trend registrato nei primi quattro mesi dell’anno verrà mantenuto. In aumento anche i part timegli occupati a tempo pieno sono scesi di 645mila unità rispetto al primo trimestre 2012 (-3,4%), per circa la metà dipendenti a tempo indeterminato (-2,8%, -347mila unità); di contro gli occupati a tempo parziale sono cresciuti in misura sostenuta (6,2%, +235mila unità), ma è salito esclusivamente il part time involontario.

 Si può dire, a grandi linee, che su circa 40 milioni di italiani in età lavorativa, ne lavorano solo 22,6 milioni; ma fra questi oltre 500mila posti di lavoro equivalenti sono mantenuti artificialmente in vita (statisticamente) dalle varie forme di cassa integrazione e circa 3,8 milioni di posizioni sono a tempo parziale.In sintesi in Italia lavorano realmente e a tempo pieno solo la metà di coloro che potrebbero! Questi numeri, tra l’altro, dovrebbero generare (nella classe dirigente nazionale) anche serissimi dubbi sulla sostenibilità prospettica del sistema previdenziale, al di là delle proiezioni contabili che danno la previdenza pubblica italiana in equilibrio tendenziale di lungo termine (equilibrio ottenuto grazie all’espediente di riconoscere pensioni neanche di sussistenza ai giovani d’oggi…).

LA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE

Il dato più inaccettabile rispetto ad un contesto generale di per sé molto critico è quello relativo alla disoccupazione giovanile: il 40,5% dei giovani tra i 15 e 24 anni in cerca di occupazione è senza lavoro (il 6% in più rispetto ad un anno prima). Sono ben 656 mila i giovani in cerca di occupazione:  il peggior dato dell’Eurozona dopo Grecia, Spagna e Portogallo (tutti paesi più piccoli, senza un vero sistema industriale e sottoposti all’austerity dei piani di salvataggio Ue/Fmi). Nel Mezzogiorno essere donne e giovani comporta che nel 52,8% dei casi la ricerca di lavoro è infruttuosa.

 L’Italia ha impostato le politiche del lavoro da ben oltre un decennio sulla flessibilizzazione. Oggi scende anche il numero complessivo dei precari, che sono sostanzialmente i lavoratori più giovani: nel primo trimestre 2013 si sono registrati oltre 100mila contratti in meno. La riduzione ha riguardato in particolare i contratti a termine non  rinnovati (69mila lavoratori in meno, -3,1%): in particolare la flessione  interessa, secondo l’Istat, “esclusivamente i giovani fino a 34 anni” e interrompe la precedente dinamica comunque positiva nei contratti a tempo determinato. Scendono del -10,4% i contratti di collaborazione (45mila in meno in un anno), l’altro contratto escogitato dal legislatore per dare flessibilità al mercato del lavoro italiano.

 IL SISTEMA DEL LAVORO E’ DA RIFORMARE

 La dinamica della disoccupazione sta suscitando un diffuso senso critico verso la riforma del lavoro varata nell’estate 2012: la riforma Fornero non è stata in grado di contrastare minimamente l’impatto della crisi economica, prevedendo meccanismi di accesso al lavoro (in particolare per i giovani) rivelatisi alla prova dei fatti poco appetibili per le imprese. La aziende quindi licenziano (o non rinnovano i contratti a termine) quando c’è da ridurre il costo del lavoro, ma non assumono in attesa di verificare come evolverà la crisi economica. Anche se  la congiuntura attuale non è il miglior banco di prova e sebbene siano passati pochi mesi dall’adozione della riforma, appare evidente che la recente riforma non sta funzionando. Tale argomento non può costituire, tuttavia, un paravento a ciò che sta accadendo in Italiala disoccupazione giovanile non l’ha creata il governo Monti né l’ha accentuata la riforma Fornero (peraltro ampiamente modificata dal Parlamento), ma tanti anni di interventi sul mercato del lavoro tesi a precarizzare i nuovi lavoratori e decenni di assenza di una politica di formazione professionale orientata al lavoro.

 Secondo noi di Economy2050 una seria riforma del lavoro (che in Italia non è stata fatta) deve toccare quantomeno i punti della formazione scolastica professionale e del raccordo formazione/mondo del lavoro, degli ammortizzatori sociali (sostegno al reddito e formazione/riqualificazione continua) e del sistema di collocamento (in particolare pubblico). Formazione, avviamento al lavoro e ammortizzatori socialisettori vitali per il buon funzionamento del mercato del lavoro, ma in Italia controllati e sviliti dal peso dell’inefficienza pubblica e di fatto oggi fattori di distruzione di opportunità di lavoro.

 Peraltro, per creare lavoro è imprescindibile che il sistema produttivo cresca, ovvero sia competitivo ed efficiente: la riforma del lavoro dovrebbe accompagnarsi urgentemente ad una ridefinizione complessiva dei rapporti fra impresa e lavoratore, basata sul concetto di produttività, ma anche sul principio della condivisione di responsabilità e benefici fra imprenditore e lavoratore nella gestione aziendale. Se il sistema produttivo nazionale non riprende forza (e rapidamente), a chi si applicheranno le nuove regole sul mercato del lavoro?

 Un ulteriore aspetto non può essere sottovalutato: finora in Italia si è provato a riformare tutto sul lavoro (peraltro non riuscendoci), ma partendo dal postulato le casse pubbliche non hanno le risorse per favorire la riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro. Tale impostazione poteva avere una sua logica durante il periodo del governo tecnico, esecutivo creato dal nulla dai partiti per mettere in sicurezza i conti pubblici con manovre talmente indigeste (ma necessarie) che nessuna parte politica ne ha voluto assumere la responsabilità diretta (pur votando le nuove tasse in Parlamento). Ma oggi il governo politico in carica ha il dovere categorico di ridurre da subito le tasse sul lavoro in misura significativa, magari stornando risorse da altri capitoli di spesa pubblica meno essenziali nell’immediato o aumentando l’imposizione fiscale su determinate fasce della popolazione (tenendo ben presente che il carico fiscale per almeno i tre quarti degli italiani è oggi difficilmente espandibile). Unici vincoli al reperimento della copertura per la riduzione della tassazione sul lavoro: il tetto al deficit pubblico e l’impossibilità di aumentare la pressione fiscale complessiva.

 GLI INDIRIZZI DEL NUOVO GOVERNO

 Va dato atto al governo Letta che sin dall’insediamento ha posto l’argomento del lavoro in cima alla sua azione politica, in particolare chiedendo ai partner europei che il prossimo Consiglio Ue di fine giugno sia incentrato sul tema della disoccupazione (in particolare giovanile) dilagante in tutto il continente. E, probabilmente, nel prossimo vertice europeo verranno definite nuove misure di contrasto e destinate risorse comunitarie per ridurre la disoccupazione.

 Fatto sta che l’Italia deve risolvere i problemi interni che la affliggono da decenni con le proprie forze.

 Un esempio: i centri per l’impiego (Cpi) pubblici. Nella recente bozza di bilancio l’Ue ha destinato 6 miliardi di euro (spalmati su 7 anni) alle iniziative per rilanciare l’occupazione: il piano Youth Guarantee ha l’obiettivo di aumentare l’occupabilità dei giovani fino a 26 anni puntando su tutti gli strumenti possibili, dal recupero scolastico alla formazione, alla mobilità, all’apprendistatoCirca 400 milioni è la quota di competenza italiana: poca roba per un serio piano di rilancio dell’occupazione, ma l’Italia rischia di non riuscire ad utilizzare proficuamente neanche tali risorse. Infatti i contributi dovrebbero transitare attraverso i 529 centri per l’impiego provinciali, che (mediamente) non funzionano pur impiegando circa 6.600 operatori (erano 10mila cinque anni fa): oggi solo il 19% dei disoccupati si rivolge a un Cpi e solo il 2,7% dei lavoratori dipendenti ha trovato il lavoro attuale tramite un Cpi.

 Come faranno i Cpi a garantire ai giovani fino a 26 anni (per l’Italia probabilmente l’età sarà estesa fino a 29-30 anni) un’offerta “qualitativamente valida di lavoro, di proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio” entro 4 mesi dall’uscita dal sistema di istruzione o dalla perdita di un impiego (visto che non l’hanno mai fatto)?Per l’Italia, in sostanza, allo stato attuale il rispetto delle condizioni operative contenute nel piano Youth Guarantee sembra una chimera. A meno che non si proceda ad un’ennesima riforma (cosa che il governo ha annunciato di voler fare a brevissimo) dei centri per l’impiego: ma per rendere efficienti gli uffici (peraltro  oggi non dipendenti direttamente dallo Stato) o per aggirare ai limiti di assunzione di personale pubblico imposti dalla spending review?

 

 

La Cgil: 3000 sedi in tutta Italia e neppure un euro di Ici

Altro che Vaticano. I sindacati vantano un patrimonio immobiliare immenso, ma non pagano un solo euro di Ici. Questo grazie ad una legge, la numero 504 del 30 dicembre 1992 (in pieno governo Amato), che di fatto impedisce allo Stato italiano di avanzare richieste ai sindacati. E i soldi sottratti, o meglio non percepiti, dalle casse statali sono davvero tanti: la Cgil, ad esempio, sostiene di avere circa 3mila sedi in tutta Italia, ma si tratta di una specie di autocertificazione, in quanto i sindacati non sono assolutamente tenuti a presentare i loro bilanci. Solo un altro dei tanti privilegi dell’”altra Casta”, come è stata brillantemente definita dal giornalista dell’Espresso Stefano Liviadotti, che con tale formula ha dato il titolo al suo libro/inchiesta sulla Triplice.
Se la Cgil dichiara 3mila sedi, la Cisl addirittura 5mila. E la Uil sarebbe in possesso di immobili per un valore di 35 milioni di euro.
La legge, però, paragona in modo del tutto immotivato i sindacati alle Onlus, ossia alle organizzazioni di utilità sociale senza scopo di lucro.
Senza scopo di lucro? I sindacati? Un paradosso.
Ma c’è di più. Cgil, Cisl, Uil, Cisnal (poi diventata Ugl) e Cida hanno ereditato immobili dai sindacati del Ventennio fascista, senza dover pagare tasse. Tutto secondo legge, in questo caso la 902 del 1977, che con l’articolo 2 disciplina la suddivisione dei patrimoni residui delle organizzazioni sindacali fasciste.

Non c’è da stupirsi: soltanto nella scorsa legislatura, 53 deputati e 27 senatori, quindi 80 parlamentari in totale, provenivano dalla Triplice. Logico che in parlamento si facciano leggi “ad personam”, o meglio ad usum sindacati.
I regali più importanti, inutile dirlo, arrivano però sempre quando al governo c’è una coalizione di centro-sinistra.
Eccone alcuni: nel maggio 1997 il governo Prodi, per iniziativa del ministro della Funzione pubblica, Franco Bassanini, ha tirato fuori dal cilindro la legge 127, la quale grazie all’articolo 13 libera le associazioni dall’obbligo di autorizzazione nelle attività e nelle operazioni immobiliari. Con la finanziaria del 2000 vengono invece istituiti fondi per la formazione continua gestiti da sindacati e associazioni degli imprenditori. Ancora con il governo Amato, nel 2001 è fissato l’importo fisso per i patronati calcolato su tutti i contributi obbligatori versati da aziende e lavoratori agli enti.
Attraverso i patronati, i Caf (Centri di assistenza fiscale) e le deleghe sindacali sulle pensioni giungono fiumi di denaro nelle casse dei sindacati. Un meccanismo infallibile: i patronati si occupano di previdenza, richieste di aumento e pratiche di invalidità. E per ogni pratica l’Inps rimborsa. L’assistito del patronato è però logicamente anche un potenziale cliente dei Caf: i Centri di assistenza fiscale, nati ovviamente con la sinistra al governo (Amato, anno 1992), compilano le dichiarazioni dei redditi e le spediscono via internet all’Inps. Ad ogni spedizione corrisponde un rimborso, anche se i costi sono pressoché azzerati.
In soccorso dei Caf è arrivato persino il decreto legislativo 241 del 1997, governo D’Alema, che concedeva loro l’esclusiva sulla verifica dei dati inseriti sui 730. Costringendo il Ministero delle Finanze a elargire un rimborso per ogni 730 inviato dai Caf.
Peccato che tale decreto sia stato “bastonato” nel 2006 dalla Corte di Giustizia Europea, senza che nessun quotidiano nazionale sempre attento alle sanzioni europee ne abbia dato notizia. Ma su internet la notizia si trova.
Alla fine le entrate che derivano dai tesseramenti, la cui revoca è pressoché impossibile, sono quelle meno importanti.
Allora, i sindacati davvero meritano agevolazioni fiscali?
http://www.qelsi.it/2011/tremila-sedi-in-tutta-italia-non-un-euro-di-ici-altro-che-vaticano-e-la-cgil/

Te lo do io l’Egitto

L’intervento di Beppe Grillo sulla situazione egiziana (http://www.beppegrillo.it/2013/08/egitto_massacri_e_democrazia.html ) è la dimostrazione patente dell’incapacità di tale soggetto (e di conseguenza della forza politica di cui è capo) di “filtrare” e rielaborare criticamente le notizie che giungono dal mainstream. Non ci concentriamo sugli strafalcioni (come quello di definire Morsi “Primo Ministro”; era Presidente della Repubblica), né sulle prese di posizione più discutibili, ma che rimangono nel campo delle opinioni (come quella per cui i militari egiziani dovrebbero essere deferiti immediatamente ad un tribunale internazionale; richiesta mai avanzata su quel blog nei confronti di Bashar Assad, responsabile del genocidio siriano).

 Quel che si contesta è, appunto, l’incapacità di valutare criticamente le notizie. Beppe Grillo legge il mondo attraverso schemi concettuali rigidi e stantii. C’è un golpe in un paese del terzo mondo? Allora il golpista è per forza un Pinochet, ci sono dietro gli USA, la comunità internazionale tace e ignora il crimine che si sta consumando. Eppure il golpe egiziano, in sé, non ha prodotto nessuna vittima: i capi dei fratelli musulmani sono vivi e vegeti; nessuno ha torto un capello al preteso Allende, cioé Mohammed Morsi; la repressione è cominciata soltanto dopo che le milizie dei Fratelli Musulmani hanno attaccato, armi in pugno, le postazioni dell’esercito. Gli USA, che avevano puntato tutto sul governo dei Fratelli, sono rimasti spiazzati dal golpe, e ora meditano di eliminare il programma di aiuti all’esercito egiziano. Quasi tutti i governi del mondo condannano a gran voce la violenza dei militari, dall’Iran al Qatar alla Turchia fino alla Unione Europea (http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/16/egitto-oltre-630-morti-polizia-puo-sparare-sui-manifestanti-moschea-come-obitorio/685412/ ) (un bel parterre, non c’è che dire).

 Il post accetta in toto la narrazione dei media occidentali, per cui i militari egiziani hanno fatto strage di civili innocenti. Ma l’esercito egiziano non ha colpito solo pacifici e inermi dimostranti, come è avvenuto in Siria due anni fa; è intervenuto su miliziani armati, i quali avevano occupato un intero quartiere del Cairo, terrorizzandone gli abitanti, rapendo e seviziando in apposite camere di tortura i loro oppositori, e di lì sparando su tutto quello che si muoveva. I “pacifici dimostranti” hanno attaccato la Biblioteca di Alessandria, incendiato il ministero delle Finanze, devastato la facoltà di Ingegneria dellìuniversità del Cairo. I Fratelli hanno assaltato stazioni di polizia, linciandone gli occupanti, hanno assaltato diverse chiese copte spesso incendiandole, con danni culturali notevoli, hanno disperso le manifestazioni dei sostenitori del governo a colpi di bastone e machete. Certo, la reazione dell’esercito è stata spaventosa, ma gli unici a rallegrarsi del numero dei morti sono proprio i capi dei Fratelli Musulmani, che adesso hanno dei martiri da sventolare di fronte alla telecamere dei media di tutto il mondo.

 Si dice spesso che Morsi è stato eletto democraticamente. Ci si scorda di dire che un Presidente eletto con il 25% dei voti ha interpretato il suo ruolo come accentratore di tutti i poteri costituzionali; che ha emanato decreti che lo trasformavano in un soggetto legibus solutus; che il golpe è avvenuto al seguito di manifestazioni molto più grandi di quelle che hanno rovesciato Mubarak; che altri quattro anni di Morsi averebbero distrutto l’Egitto.

 Tutto questo Beppe Grillo non lo vede, e forse non può vederlo, intrappolato nella retorica populista che vede dappertutto, e solamente, masse in rivolta contro poteri dispotici. I Fratelli hanno vinto le elezioni e sono stati rovesciati da un golpe; tanto basta a Grillo. Non importa che quella organizzazione abbia di fatto dichiarato guerra all’Egitto, che non si arrenderà finché i suoi referenti internazionali non le avranno restituito il potere, che se l’esercito non riuscirà a prevalere l’unica prospettiva è il baratro della guerra civile. Anzi, forse in quest’ultimo caso Grillo si accorgerà di quanto è avvenuto: ondate migratorie di egiziani disperati si abbatteranno sulle nostre coste, i movimenti xenofobi denunceranno l’invasione, e il capo del M5S sarà alla loro testa.

 C.M.

Fonte: http://il-main-stream.blogspot.it

Link: http://il-main-stream.blogspot.it/2013/08/te-lo-do-io-legitto.html

127.08.2013

Quel che Obama non ha detto

Posted By Redazione On 16 agosto 2013 

 Quel che Obama non ha detto

di Patrick Boylan.

Alla sua conferenza stampa del 9 agosto 2013, il Presidente statunitense Barack Obama ha liquidato come criminale comune Edward Snowden, l’analista della NSA (National Security Agency) che ha denunciato lo spionaggio illecito dell’ente nazionale per la sicurezza;

ha rimproverato Vladimir Putin di voler tornare alla Guerra Fredda dando asilo a Snowden e rifiutando la sua estradizione; infine, ha rassicurato i giornalisti e i telespettatori sulle buone intenzioni della NSA nello spiare le telecomunicazioni del mondo intero.  Il tutto snocciolando mezze-verità con tanto candore e franchezza da ispirare subito fiducia in quanto da lui affermato..

Eppure le mezze-verità ― proprio perché tacciono volutamente i fatti capaci di invalidare quanto viene affermato ― sono da considerarsi bugie a tutti gli effetti. Anzi, sono qualcosa di peggio: consentono di fuorviare e di abbindolare l’ascoltatore ― esattamente come le bugie ― ma lo fanno in maniera più subdola e meno compromettente. Bush jr. ricorreva alle bugie, anche grosse, e quindi era facile smascherarle e denunciarlo. Obama invece usa le mezze verità, cioè affermazioni incontestabili in sé ma che ci obbligano poi, prima di accettarle, a scervellarci per immaginare (e poi verificare) tutto quello che andava detto ma non è stato detto e che potrebbe invalidare quanto sostenuto. Un lavoro estenuante.

Nella sua conferenza stampa, dunque, il Presidente Obama si è dimostrato maestro delle mezze-verità. Segue perciò una lista parziale delle cose che NON ha detto ― ma che andavano dette per avere un quadro veritiero dei temi trattati ― con i relativi documenti di appoggio. I documenti sono quasi tutti in lingua inglese, ma cliccando sulle parole “in italiano“, apparirà la traduzione automatica Google (molto approssimativa).

I.

Cominciamo con il preteso torto commesso da Putin nel non riconsegnare Snowden agli Stati Uniti e nell’accordargli asilo temporaneo in Russia.

Obama, da giurista che è, avrebbe potuto informarci che la normativa internazionale imponeva alla Russia di accordare asilo, almeno temporaneo; invece ha taciuto questo fatto. Ha taciuto anche il fatto che il capo di accusa formulato dal governo statunitense (spionaggio politico), proprio perché è politico, preclude la possibilità di estradizione, anche in presenza di specifici accordi al riguardo (che nemmeno ci sono, nel caso dei rapporti USA-Russia). Vedi la dichiarazione dell’emerito professore di diritto internazionale dell’Università Princeton e consulente ONU Richard Falk:  documento [2] (initaliano [3]).

Obama ha dimenticato altresì di informarci, a proposito delle estradizioni, che gli stessi Stati Uniti spesso le negano, anche in presenza di specifici accordi al riguardo. Per esempio, esistono accordi di estradizione tra gli USA e l’Italia, eppure l’anno scorso, quando l’Italia ha richiesto l’estradizione dei 26 agenti della CIA condannati per un sequestro con tortura da loro commesso sul suolo italiano, il governo americano ha respinto la richiesta. Anzi, aveva già dichiarato, all’inizio del processo di primo grado, che non avrebbe in nessun caso riconsegnato gli agenti (scappati negli Stati Uniti prima del processo). Vedi la dichiarazione di John Bellinger, consulente legale ufficiale del Dipartimento di Stato: documento [4] (in italiano [5]).

Quest’anno uno dei 26 agenti, in viaggio a Panama, incautamente si è fatto arrestare per una banalità. Facendo i controlli di routine, la polizia ha scoperto il mandato di estradizione internazionale spiccato dall’Italia; perciò ha incarcerato l’agente e si è messa in contatto con l’Italia per la riconsegna.  Ma il governo americano, venutone a conoscenza, ha esercitato pressione sul Presidente del Panama che ha fatto prelevare l’agente dalla sua cella per rispedirlo in un aereo speciale negli Stati Uniti. Il ministro della Giustizia Cancellieri non ha potuto far altro che esprimere il suo vivo “rammarico” per la non avvenuta estradizione. Vedi il servizio del Fox News, vicinissimo al Dipartimento di Stato USA:  documento [6] (in italiano [7])

Non solo. Ma nel 2012 gli Stati Uniti hanno rifiutato di riconsegnare l’ex presidente boliviano, scappato negli USA per non essere arrestato per i crimini contro l’umanità da lui commessi durante il suo mandato. Vedi il servizio del Guardiandocumento[8] (in italiano [9]). Nel 2005 gli Stati Uniti hanno rifiutato di riconsegnare al Venezuela un terrorista, reo di aver fatto esplodere in volo un aereo passeggeri cubano con a bordo dei diplomatici venezuelani; anzi, gli USA hanno concesso al terrorista asilo politico. Vedi la voce “2005 nel resoconto Wikipedia: documento [10] (già in italiano).

In una parola, se tutti i non detti fossero stati detti, i rimproveri fatti dal Presidente americano al Presidente russo sarebbero risultati giuridicamente non validi e, visto il pulpito da cui provenivano, persino ipocriti.

II.

In quanto a Edward Snowden, l’informatore che ha osato rivelare le attività dubbie della NSA (pur sapendo di rischiare una persecuzione a vita), Obama ha negato il valore di questo suo sacrificio. “Non è stato un atto patriottico, il suo”, ha commentato Obama, “è stato soltanto un reato.”  Mentre lo spionaggio dell’intera popolazione da parte della NSA non sarebbe per Obama un reato, in quanto autorizzato (a suo dire) da un’apposita legge.

Ma Obama ha omesso di precisare che lo spionaggio dell’intera popolazione è palesementeanticostituzionale negli Stati Uniti (l’art. IV vieta le perquisizioni senza mandato nominale, cioè igeneral warrant), com’è anticostituzionale, dunque, la stessa legge invocata da Obama per giustificare quello spionaggio. Se questa legge non è stata ancora cassata dalla Corte Costituzionale, è soltanto perché le attività della NSA sono state finora tenute segrete e nessuna causa è stata intentata.   In questi giorni, invece, grazie alle rivelazioni di Snowden, è partita la prima causa. Sarebbe stato opportuno menzionare anche il fatto che diversi impiegati della NSA avevano in passato, seguendo i canali interni dell’ente, cercato di denunciare l’incostituzionalità delle mansioni a loro affidate, ma sono stati inascoltati, emarginati e zittiti. Vedi l’esposizione del prof. J. Kavanagh sull’art. IV della Costituzione statunitense (documento [11] , in italiano [12]) e le testimonianze degli impiegati NSA inascoltati (documento [13], in italiano [14]).

Obama ha anche dimenticato di dire che lui stesso, durante la sua campagna elettorale, ha dichiarato di voler difendere, come “atto patriottico” (parole sue), la denuncia di qualsiasi misfatto governativo da parte di un impiegato dello Stato. Perché, ha aggiunto Obama, solo così si riesce a rompere l’omertà e a ripulire la pubblica amministrazione. Vedi il brano in questo documento [15], in italiano [16]. Malgrado questa promessa, durante il suo mandato Obama ha dato la caccia a più informatori di tutti i presidenti prima di lui, messi insieme. E con una severità verso gli imputati senza precedenti (basta pensare alle condizioni iniziali di prigionia di Bradley Manning, giudicate dall’ONU una forma di tortura.)  Vedi l’entità della persecuzione in questo documento [17], in italiano [18].

III.

Infine, per tranquillizzare i suoi concittadini (e il resto del mondo), Obama ha illustrato, nella sua conferenza stampa del 9 agosto, alcuni rimedi parziali contro l’invadenza del programma di spionaggio della NSA.

Ma ha omesso di menzionare il rimedio principale che intende mettere in pratica, perché altri “casi Snowden” non succedano in futuro: invece di eliminare le attività anticostituzionali della NSA, Obama eliminerà il 90% degli impiegati dell’ente. Essi verranno sostituiti con dei computer (che sono meno versatili degli esseri umani ma che non faranno denunce, non avendo una coscienza).  In quanto al 10% di impiegati che rimarrà per gestire il lavoro di analisi svolto dai computer, essi verranno sottoposti ad un programma di controllo totale: verranno indotti a denunciarsi a vicenda per qualsiasi atteggiamento contestatario (o comunque sospetto) lasciato trapelare durante una conversazione. Vedi questo documento [19] (in italiano [20]) sul 90% e questo documento [21] (in italiano [22]) per il 10%.

Allo scopo di “dare speranza” (Hope) ai suoi concittadini e al mondo, Obama ha poi prospettato l’arrivo di innovazioni tecnologiche nel prossimo futuro, che potrebbero proteggerci contro l’invadenza di un governo. Egli si è espresso più o meno in questi termini: “La tecnologia stessa potrà in futuro fornirci alcune protezioni supplementari. Così, se tu non credi che la legge ti tuteli sufficientemente, se tu temi che i controlli reciproci tra i diversi rami del governo non siano sufficienti per impedire che il governo ficchi il naso nei tuoi affari, ebbene forse in futuro potrai incorporare delle nuove tecnologie nei dispositivi che usi per comunicare, che impediscano al governo di origliare le tue conversazioni, anche se ce la mette tutta per cercare di spiarti.” [Detto per inciso, questo è un esempio tipico del linguaggio franco, candido e senza fronzoli del Presidente Obama, così diverso dai periodi forbiti e sfumati del Presidente Napolitano e dei politici italiani colti.  Somiglia semmai al linguaggio di Bossi, di Berlusconi, di Grillo e di Renzi, i quali, esattamente come i presidenti e anche i politici comuni americani, cercano di dare (ingannevolmente) l’impressione di parlare “dalla pancia” e “a tu per tu” con gli elettori — ognuno a modo suo, naturalmente.]  Per la trascrizione integrale della conferenza stampa, vedi questo documento [23] (in italiano [24]).

Invece Obama NON ha detto ― e ne vedremo dopo il motivo ― che le tecnologie future che ci salveranno dallo spionaggio, in realtà esistono già da tempo e funzionano benissimo.  Ad esempio, la casa Lavabit produce un programma email simile a Hotmail e Gmail ma assolutamente inviolabile; le email vengono criptate sul computer dell’utente, al momento dell’invio, con un codice unico che neanche la CIA e la NSA riescono a decriptare. Mentre era rinchiuso nell’aeroporto di Mosca, Edward Snowden usava Lavabit per comunicare con Julian Assange e con i suoi avvocati. Mentre la casa Silent Circle offre un servizio criptato di telefonia e di chat in Internet simile a Skype, ma anch’esso inviolabile da parte delle agenzie governative. La tecnologia Silent Circle può essere usata anche sui telefonini cellulari, garantendo conversazioni assolutamente riservate.

Ma se Obama ha omesso di dare questi esempi, è perché, causa le tremende pressioni esercitate su queste due aziende da parte del governo americano, entrambe hanno cessato di esistere proprio in questi giorni: Lavabit l’8 agosto e Silent Circle il 9 agosto, ossia il giorno prima e il giorno stesso della conferenza stampa di Obama. Nella lettera che ha inviato ai suoi azionisti e ai suoi sottoscrittori, il Presidente di Lavabit ha dichiarato che non intendeva spiegare quali pressioni siano state esercitate. Ma ha precisato che “se il Congresso americano o i tribunali non cambiano l’attuale assetto del sistema di spionaggio negli USA, è altamente sconsigliabile affidare i propri dati e le proprie comunicazioni ad una azienda qualsiasi statunitense”. Ciò vuol dire niente Facebook, Twitter, Skype, Gmail, Hotmail; niente Internet Explorer, Firefox, Chrome; niente iCloud, ecc.. Perché tutte queste aziende ― almeno questo è ciò che si desume ― forniscono le loro chiavi di accesso alla NSA. E l’azienda che non le fornisce?  Non ha altra scelta che chiudere. Vedi la lettera del Presidente di Lavabit in questo documento [25] (in italiano [26]).

A questo punto le speranze per un futuro di comunicazioni libere, non controllate dalla NSA, sembrano piuttosto magre.

Ecco perché, piuttosto di riporre la nostra speranza in Obama o nelle nuove tecnologie che verranno, conviene sperare nelle nuove generazioni (e contribuire a formarle): cittadini con la coscienza retta e con il coraggio indomito che hanno contraddistinto Julian Assange, Bradley Manning, Edward Snowden e tanti altri testimoni della verità.

Anche l’Italia ha i suoi protagonisti, in particolare se pensiamo a tutti i testimoni di giustizia, a partire dalla diciasettenne Rita Atria [27], che hanno osato denunciare i soprusi commessi dalla mafia.

Il 7 agosto 2013, due giorni prima della conferenza stampa di Obama, il giornale The Guardian ha intervistato John Lewis, uno dei luogotenenti di Martin Luther King (nei cinegiornali lo vediamo accanto a King durante il discorso “I have a dream”) ed ora 73enne deputato della Georgia. L’intervistatore ha chiesto a Lewis la sua opinione su Edward Snowden. Egli sta continuando ― è stata la risposta ― la tradizione di disubbidienza civile teorizzata da Thoreau e messa in pratica da Gandhi e dallo stesso King. Tutti quanti, facendo appello ad una legge “più alta di quella umana”, hanno deciso di compiere atti di rottura con le norme esistenti.

“Se sei capace di riconoscere un’ingiustizia, se capisci quando qualcosa non va fatto”, ha spiegato Lewis nell’intervista, “e se tu hai la determinazione poi di sfidare, quando serve, le abitudini, le tradizioni e le leggi inique ― allora vuol dire che tu hai una coscienza. E ciò ti dà il diritto di sfidare quelle leggi inique, anche se devi pagare di persona il prezzo della tua disubbidienza.” Vedi ildocumento [28] (in italiano [29]).

Ecco il grande non detto, la frase mai pronunciata, durante tutta la lunga conferenza stampa di Barack Obama.

 Fonte: http://www.peacelink.it/pace/a/38840.html [30]br>

 http://www.stampalibera.com/?p=65781

Cig, subito 1,5 miliardi o saltano in 500mila

Cassa integrazione, risorse 2013 in esaurimento. Allarme Cgil: per il 2014 servono altri 3 miliardi
FOTO ANSA
11:10 – Cinquecentomila lavoratori a rischio. Per il 2013 servono 1,5 miliardi per gli ammortizzatori in deroga e almeno altri 3 per il 2014, altrimenti altro che autunno caldo. Sono dati che emergono da uno studio della Cgil su risultati e prospettive del mondo del lavoro riportato dal Messaggero. Se si aggiunge il boom dei sottooccupati part-time e l’allarme della Cna che vede 3,5 milioni di disoccupati entro fine anno, la situazione sul fronte del lavoro è a dir poco incandescente
Rispetto al 2012 tutti i settori dell’industria registrano un aumento delle ore di Cig autorizzate con un picco per l’edilizia (quasi 14%). Solo il commercio e settori vari evidenziano cali, il primo del 12%.
Nell’artigianato, nei primi sei mesi, le ore autorizzate di Cig sono state 46,1 milioni con un incremento vicino al 10% rispetto al 2012. Nel settore, dice la Cna, l’utilizzo effettivo di queste ore si tradurrebbe in una perdita potenziale di altri 28mila posti di lavoro.

Nella tabella elaborata dal Centro Studi Cna su dati Inps, il totale ore di Cig autorizzate nei primi sei mesi dell’anno, la ripartizione per settori, il numero dei lavoratori a zero ore per i diversi settori.

Industria     368.935.810          +6,4             223.597

Edilizia       64.720.663              +13,7            39.225

Artigianato    46.096.687          +9,8               27.937

Commercio      67.304.281      -12,0             40.790

Settori vari      957.309              -43,3                   580

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Totale        548.014.750            +4,6             332.130

http://www.tgcom24.mediaset.it/economia/articoli/1112179/cig-subito-1-5-miliardi-o-saltano-in-500mila.shtml

e basta con sti soldi per la CIG, dobbiamo spenderli per valorizzare la figura del migrante