I fatti d’Egitto, risultato della politica estera degli USA in Medio Oriente

Gennadij Andreevich Zjuganov – KPRF

 Gennady Andreyevich, nei giorni scorsi l’attenzione del mondo si è concentrata sugli eventi in Egitto, dove è in atto un sanguinoso scontro tra l’esercito e il movimento dei “Fratelli Musulmani”. Per la Russia, questi avvenimenti  non sono semplice oggetto di curiosità, in quanto in Egitto si trovano, come turisti, fino a 50.000 nostri concittadini. Quali sono, a suo parere, le cause di fondo di questi fermenti?

– Per individuarne le radici, così come quelle dei disordini della “primavera araba” nei Paesi vicini, è necessario guardare al progetto del “Grande Medio Oriente”, lanciato dagli Stati Uniti molti anni fa. Il suo scopo è quello di sostituire i governi, riplasmare la mappa politica della regione,  estesa e ricca di risorse energetiche, in modo tale da sottoporla al controllo di Washington. Per raggiungere tale scopo, era necessaria una strategia di “caos controllato”. Fatti che all’esterno vengono presentati come spontanei, inaspettati, sono in realtà il risultato di un lavoro sistematico sulla mente dell’opinione pubblica, che è diventata l’ultima vittima della cosiddetta “democrazia”. Può sembrare paradossale, ma l’intenso fervore religioso dell’Islam è stato utilizzato per soggiogare gli stessi popoli che professano l’Islam. L’agitazione è iniziata in Tunisia, si è poi diffusa in Egitto, quindi la distruzione e il saccheggio si sono spostati subito in Libia, mentre la Siria è stata scelta come prossima vittima. Adesso, con una sorta di rimbalzo dalla Siria, dove il governo legittimo ha vinto la guerra contro i mercenari dell’Ovest, un’ondata di shock si è propagata di nuovo in Egitto.

 Perché, secondo lei, questa ondata è tornata in Egitto?

– Non dimentichi che il movimento dei “Fratelli Musulmani” è stato creato negli anni ‘30 del XX secolo, con il coinvolgimento diretto dei servizi segreti britannici. Gli esperti strateghi e i servizi di intelligence occidentali conservano ancora oggi, in una certa misura, un’influenza diretta sui leader di questo movimento. Per tale motivo, non è saggio sottovalutare il ruolo della longa manus dei nostri “partner” d’Occidente negli avvenimenti egiziani. Due anni fa, con l’appoggio degli Stati Uniti, in Egitto sono andati al potere per la prima volta i fondamentalisti islamici, rappresentati dal movimento dei “Fratelli Musulmani”. Questo movimento è stato attivo per decenni, ma non è mai stato in grado di ottenere la vittoria in uno qualsiasi dei paesi del Medio Oriente e Nord Africa. Successivamente alle dimissioni del presidente Hosni Mubarak, la gente ha dato fiducia ai “fratelli” per correggere gli errori del precedente governo, per risolvere i rilevanti problemi sociali ed economici presenti nel Paese, per ottenere un miglioramento del tenore di vita complessivo di milioni di persone. E cosa è successo? Invece di impegnarsi in maniera costruttiva in tal senso, i leader di questo movimento hanno cominciato a lavorare per l’affermazione della sharia – un rigoroso sistema di regole religiose, molto differenti dal diritto civile comune. I leader del movimento dei “Fratelli Musulmani”, in questo modo, hanno semplicemente perso il controllo del Paese. Essi hanno preferito impegnarsi in speculazioni dottrinali, in sproloqui sulla religione,  ma non hanno affrontato i nodi dell’economia. Il popolo d’Egitto ha sopportato pazientemente per quasi due anni, in attesa di sviluppi positivi portati dai nuovi leaders relativamente ai bisogni e ai problemi della gente comune. La pazienza, però,  ha avuto un limite. Hanno preso il via, così, manifestazioni e proteste, alle quali, secondo alcune stime, hanno partecipato fino ad un massimo di 20 milioni di persone, ovvero circa un quarto della popolazione dell’ Egitto.

La leadership delle forze armate, forte del mandato morale ricevuto di fatto dal popolo, si è allora incaricata della rimozione dal potere del Presidente Mursi. Ciò era assolutamente necessario, in quanto i disordini promossi dai “Fratelli“ miravano a distruggere la coesione nazionale e sociale. Questi disordini hanno portato a centinaia di morti e a decine di migliaia di feriti. Pertanto, quello che è avvenuto non è stato il classico colpo di Stato militare. I militari, in Africa e in Medio Oriente, continuano a rappresentare la forza più organizzata della società, e talvolta debbono assumersi la responsabilità del destino del loro Paese. L’Esercito avrebbe potuto usare la forza per salvare il potere del Presidente Mubarak, ma allora l’umore del Paese non pendeva a favore di questa soluzione. Nell’ultimo caso, invece, le masse stesse hanno dimostrato contro il governo dei “Fratelli musulmani” e la rimozione dal potere di Mursi è stata solo un atto formale, il suggello ad un processo che già si era compiuto di fatto. La forza militare è stata usata contro coloro i quali avevano deciso di imporre la loro volontà sulla maggioranza della popolazione. Io credo che questo sia il secondo atto, dopo la vicenda siriana, della sconfitta  della strategia del “caos controllato”.

 Tuttavia, la quantità di raduni e manifestazioni  dei”Fratelli musulmani”, dimostra che essi hanno abbastanza sostenitori.

-Attenzione : le dimostrazioni sono iniziate in maniera pacifica, ma quasi subito si è passati ad una fase violenta, contro la Polizia e l’Esercito. Ciò significa che a scendere in piazza sono state non solo persone in disaccordo con le azioni dei militari, ma anche combattenti bene addestrati, capaci di assaltare stazioni di polizia e anche ben fortificate installazioni militari. Secondo molti osservatori, l’Egitto ha visto giungere all’interno dei propri confini dei mercenari che hanno prima combattuto contro il legittimo governo della Siria. Essi, dispersi ed espulsi dall’Esercito siriano, che ha saldamente in pugno la situazione, sono accorsi sul nuovo campo di battaglia come “cani da guerra“, nella speranza di trarne profitto. Questa gente ha portato in Egitto la sua furia distruttiva. Nel Paese, durante il periodo degli scontri i sostenitori di Morsi hanno distrutto decine di chiese cristiane e scuole, monasteri e ospedali gestiti dalle suore. La maggior parte dei malcapitati pazienti che si trovavano là erano musulmani! La presa della moschea di Al-Fateh al Cairo, è stato il culmine degli eventi. La resistenza organizzata dei “Fratelli Musulmani” è stata infranta. L’Esercito e la Polizia stanno gradualmente prendendo il controllo della situazione nelle città. Le Istituzioni statali, le banche, la borsa funzionano regolarmente. Per quanto riguarda i molti sostenitori di Morsi, che supportano sinceramente il movimento dei “Fratelli musulmani”, i militari sono pronti a dialogare con loro. I capi dell’Esercito hanno proposto ai leaders di questo movimento di entrare a far parte del governo di coalizione, ma l’ala estremista dei  “fratelli” ha puntato invece sull’uso della forza, sperando di poter vincere la battaglia. Questo piano è palesemente fallito.

 Comunque, il gran numero di morti e feriti negli scontri tra l’Esercito, la Polizia e i manifestanti ha suscitato una vasta attenzione internazionale e la condanna da parte di alcuni importanti Paesi, portando alla convocazione di una riunione urgente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

– Si deve prestare attenzione a chi ha sostenuto con particolare zelo l’abolizione dello stato di emergenza e, di fatto, ha appoggiato le azioni degli estremisti. Questo qualcuno sono gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia (quelli che gridano più forte per la minaccia del terrorismo internazionale), così come il loro più fedele alleato in Medio Oriente, la Turchia. Dai paesi del Golfo, che hanno recentemente contribuito alla diffusione della “primavera araba”, la condanna alle azioni dei militari egiziani è venuta unicamente del Qatar. I più potenti (economicamente e politicamente parlando) Stati della regione, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, hanno preso posizione a favore dell’azione dell’Esercito dell’Egitto. Inoltre, il Medio Oriente ha cominciato a rendersi conto che tutti questi avvenimenti “spontanei” sono parte di un piano strategico degli Stati Uniti e dei loro alleati che prevede la manipolazione del fervore religioso islamico per raggiungere obiettivi in contrasto con gli interessi delle stesse persone che praticano l’Islam. Pochi giorni fa, il re dell’Arabia Saudita ha messo un punto fermo molto importante: ha parlato contro la politicizzazione dell’Islam.

 Come valuta gli interessi della Russia e la linea adottata dalla Federazione Russa rispetto all’Egitto?

Il Paese in questione è uno dei leader del mondo arabo, un caposaldo significativo nei rapporti di forza del Mediterraneo. Quindi, l’importanza strategica di buone relazioni con l’Egitto è difficile da ignorare. Il nostro rapporto si è evoluto in tempi diversi in modi diversi, ma le relazioni sono state generalmente amichevoli. L’Egitto è, nell’area, il nostro principale partner politico e commerciale. Credo che gli egiziani ricordino l’assistenza sovietica nel respingere l’aggressione di Israele, nonché nella costruzione della diga di Assuan sul Nilo. Questo è uno dei luoghi preferiti dai nostri connazionali che si recano laggiù da turisti. La Russia è interessata ad un pacifico, stabile, prospero Egitto. Penso che la politica della Russia nei confronti degli eventi egiziani nel loro insieme sia equilibrata e soddisfi gli interessi del nostro Paese.

 Traduzione di Luca Baldelli

http://www.statopotenza.eu/8589/i-fatti-degitto-risultato-della-politica-estera-degli-usa-in-medio-oriente

Colonizzati dal dollaro, dopo che l’euro ci avrà rovinati?

L’anno diplomatico 2013 ha visto come primo significativo evento il comunicato congiunto di Washington e Bruxelles del 13 febbraio sul comune proposito di avviare dei negoziati per dar vita al Ttip, cioè ad una partnership per il commercio transatlantico e per gli investimenti. Si tratterebbe di una vera e propria unione finanziaria e commerciale delle due sponde dell’Atlantico. Il comunicato congiunto però non ha avuto alcuna risonanza sui media ufficiali, anzi sembrerebbe che ci sia stata una vera e propria congiura del silenzio. Ha fatto parzialissima eccezione la testata online “Wall Street Italia”; ma il fatto davvero strano è che una testata specializzata in notizie economico-finanziarie per procurarsi del materiale a riguardo abbia dovuto far ricorso al rilancio di un articolo di Michel Collon, che era stato tradotto e pubblicato su un sito di opposizione, “Come Don Chisciotte”.

L’articolo di Collon metteva in guardia contro la prospettiva di una “Nato economica” che comporterebbe la nascita di un governo mondiale svincolato da qualsiasi controllo. L’espressione “Nato economica” per definire questo partenariato commerciale-finanziario a livello transatlantico non è affatto arbitraria, poiché è la stessa che viene usata nel dibattito interno al Consiglio Atlantico, l’organo supremo della Nato. Il 12 marzo scorso la Commissione Europea ha deciso di chiedere luce verde agli Stati membri per condurre in porto le trattative con gli Usa. In realtà le trattative erano state avviate da tempo, in quanto sul sito della stessa Commissione Europea risulta già una dovizia di studi di fattibilità e di possibili protocolli di intesa. Allo scopo di rassicurare i possibili perplessi, la Commissione fa anche sapere che il contenzioso attuale tra Europa ed Usa non riguarda più del 2% del totale degli scambi commerciali.

Sempre dal sito dell’Unione Europea, si viene inoltre a sapere che un Consiglio Economico Transatlantico, incaricato di porre le condizioni di un vero partenariato, era già stato costituito nel 2007, cioè ben un anno prima dello scoppio della bolla speculativa che ha aperto la strada alla crisi finanziaria ed all’attuale depressione economica. Le firme in calce al documento costitutivo, che porta la data del 30 aprile 2007, sono quelle dell’allora presidente Usa, George W. Bush, dell’allora presidente del Consiglio Europeo, Angela Merkel, e del presidente della Commissione Europea, Manuel Barroso. Non si può quindi inquadrare la “Nato economica” come una risposta della presidenza Obama all’attuale crisi economico-finanziaria. Visti i tempi lunghi che hanno preparato il Ttip, sembrerebbe infatti che la prospettiva di un’unione commerciale e  finanziaria tra le due sponde dell’Atlantico, in realtà, sia lo sbocco preordinato di un’emergenza economica artificiosa.

Infatti soltanto una gravissima depressione economica potrebbe essere in grado di giustificare un passaggio epocale di questa portata, e di superare le resistenze sociali a quella che si configura sfacciatamente come una totale annessione coloniale dellEuropa ai dettami commerciali e finanziari di Washington. Alla luce di questo documento del 2007, anche l’ormai proverbiale ottusità della Merkel e di Barroso potrebbe essere riletta come pedissequa obbedienza alle direttive di Washington. Quindi, anche questo trascinare oltre i limiti di ogni buon senso l’ormai irreversibile crisi dell’euro, potrebbe trovare come provvidenziale soluzione tutt’altro che un ritorno alle valute nazionali, bensì un’adozione del dollaro come moneta unica europea.

A riconferma del nuovo ruolo imperialistico che svolgono le fondazioni private, sul sito del Consiglio Atlantico si sottolinea il contributo fornito nell’operazione Ttip da una fondazione privata come la Bertelsmann Foundation. Che il Consiglio Atlantico e la Bertelsmann Foundation agiscano in un rapporto pressoché alla pari è una cosa che dovrebbe far riflettere. Le notizie ufficiali su questa fondazione privata ce la presentano come una creatura dell’editore tedesco Reinhard Mohn; manco a dirlo, uno di quelli entrati varie volte nella lista degli uomini più ricchi del mondo. La fondazione agisce su un piano internazionale, con sedi a Berlino, Bruxelles e Washington. 

 Il Dizionario di Economia e Finanza dell’Enciclopedia Treccani si sofferma sul ruolo della fondazione nei progetti di politica estera.

L’azione svolta dalla Bertelsmann Foundation a favore della conservazione della moneta unica europea conferma che il calice dell’euro debba essere bevuto sino alla feccia, in modo da consentire un aggravarsi dell’emergenza economica, tale da giustificare soluzioni drastiche che oggi potrebbero apparire del tutto impensabili per l’opinione pubblica. Sul sito della stessa fondazione si trovano le notizie su questa sua opera di “persuasione”. La Bertelsmann Foundation ci fa sapere anche di aver ottenuto nel 2010 un generoso finanziamento (definito, con incredibile faccia tosta, una “borsa di studio”!) dalla Rockefeller Foundation, per attuare i propri progetti di politica internazionale. Questa informazione è utile sia per sapere chi ci sia davvero dietro la Bertelsmann Foundation e dietro il Ttip, sia per capire che fine facciano le grandi quantità di denaro maneggiate da queste fondazioni no-profit.

Il “mercato” è soltanto uno slogan, il “capitalismo” è un’astrazione analitica, mentre il crimine affaristico è un dato di fatto. In nome dell’assistenzialismo per ricchi, le fondazioni private infatti si finanziano l’una con l’altra, attuando così riciclaggi finanziari e investimenti che sono del tutto esenti da tasse. Rockefeller ha finanziato la fondazione della famiglia Mohn; ma, dato che chi è generoso viene premiato, un’altra delle fondazioni di Rockefeller, la Philanthropy Advisors, ha ricevuto a sua volta un ricco premio in denaro dalla Bill & Melinda Gates Foundation, come riconoscimento per un suo progetto. Le fondazioni private assorbono così molte delle funzioni affaristiche del sistema bancario, sotto l’ombrello di nuovi privilegi.

Un articolo del “Washington Post” dell’aprile del 2005 avvertiva che il no-profit stava diventando la nuova frontiera dell’evasione fiscale. L’articolo riferiva di un’allarmata lettera del capo dell’Agenzia delle Entrate statunitense di allora, Mark W. Everson, che invocava dal governo misure per contrastare la gigantesca evasione fiscale che si verificava, già a quei tempi, all’ombra del no-profit delle fondazioni private. Non risulta che queste misure invocate da Everson siano mai arrivate; anzi, a distanza di otto anni, non si vede quale funzionario governativo possa essere in grado di alzare la voce contro fondazioni private che gestiscono più potere e denaro di un ministero. Alla fiaba del dittatore pazzo, corrisponde la fiaba del miliardario filantropo, alibi mitologico di un potere sovranazionale del tutto incontrollato. Mentre i dittatori pazzi come Assad, Ahmadinejad e Kim Jong-un minacciano il mondo, i miliardari filantropi alla Rockefeller, alla Soros ed alla Gates lo proteggono, come Batman.

(“L’euro sostituito dal dollaro?”, daComidad” del 30 maggio 2013).
http://www.libreidee.org/2013/06/colonizzati-dal-dollaro-dopo-che-leuro-ci-avra-rovinati/

PCN-TV – sarin un crime djihadiste Asl (2013 08 25) FR

PCN-TV / GAZ SARIN : C’EST BIEN UN CRIME DJIHADISTE DE L’ASL !

 PCN-TV avec RT – AL ALAM TV – PCN-SPO /

2013 08 25 /

https://www.facebook.com/PCN.NCP.TV

 

Le gaz sarin à Damas ? C’est bien un crime djihadiste. Et Fabius – Hollande – BHL mentent. ET avec eux tous les médias de l’OTAN. Mais çà, ce n’est pas nouveau.

Voici les preuves en video, filmées par les TV syriennes et Russia Today, la chaîne russe !

 * Film 1 / AL ALAM TV / armes chimiques saoudiennes de l’ASL découvertes par l’Armée syrienne à Djobar / sur https://www.facebook.com/photo.php?v=1407657982785697

 * Film 2 / RT (images de TV SYRIA)  / des soldats syriens subissent une attaque djihadiste au gaz / sur https://www.facebook.com/photo.php?v=1407660906118738

 Syrie: ce sont bien les terroristes de l’ASL – qui, eux, portaient des combinaisons NBC – qui ont ouvert un bidon de gaz sarin – fourni par l’Arabie Saoudite et/ou Israël – dans le secteur de Djobar, tuant au moins 355 civils. Le sioniste Laurent Fabius et le pantin Hollande sont complices des assassins

 Un combat acharné est en cours entre les troupes syriennes et les rebelles dans le quartier de Djobar, sur le Rif de Damas (la grande banlieue), où un dépôt d’armes chimiques a été découvert ce 24 août par les troupes gouvernementales, a annoncé la télévision officielle syrienne.

 Selon TV SYRIA, des soldats ont découvert plusieurs tonneaux présumés contenir des substances toxiques, ainsi qu’un grand nombre de masques à gaz. Les inscriptions tracées sur les tonneaux indiquent qu’ils ont été fabriqués en Arabie saoudite.

 Il est aussi mentionné plusieurs cas « d’asphyxie » parmi les soldats entrés dans Djobar. Le Sarin, comme le VX sont en effet « persistants ».

 Mercredi, le ministre des affaires étrangères iranien avait déjà déclaré à son homologue turc que si l’information d’une attaque chimique était confirmée, les rebelles seraient « assurément les responsables » de l’emploi de telles armes.

 Une preuve supplémentaire ? La soi-disant « opposition syrienne » ne se montre pas disposée à garantir la sécurité des experts de l’ONU, ce qui entrave le lancement d’une enquête sur l’utilisation d’armes chimiques à Djobar, a déclaré vendredi le porte-parole du ministère russe des Affaires étrangères Alexandre Loukachevitch. « L’opposition refuse de donner des signaux si nécessaires aujourd’hui, y compris en ce qui concerne sa disposition à assurer la sécurité et le travail efficace des experts onusiens », lit-on dans la déclaration du porte-parole mise en ligne sur le site de la diplomatie russe.

 Ce comportement « empêche de lancer une enquête objective sur les affirmations faisant état de l’usage d’armes chimiques en Syrie », a indiqué M. Loukachevitch, ajoutant qu’il s’agissait d’une « enquête réclamée par différents pays, y compris par la Russie ».

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 Syria Committees – Comités Syrie – Suriye Komitesi /

http://www.syria-committees.org/

https://www.facebook.com/syria.committees

 

Fassino pizzicato sullo yacht di Bazoli in Grecia: avranno parlato di quel debito con Intesa?

L’indiscrezione

La blogger Consuelo Canducci s’imbatte nell’Egeo nel sindaco di Torino, in viaggio con sulla lussuosa barca dell’amico banchiere

 23/08/2013

 Una crociera tra amici, nel mar Egeo. Peccato che lo svago estivo di Piero Fassino abbia dato un po’ troppo nell’occhio. Vuoi perché insieme al sindaco Pd di Torino c’era il banchiere di Intesa-Sanpaolo Giovanni Bazoli. Vuoi perché i due viaggiavano, con le consorti (scusate la quasi omonimia con Giovanni Consorte, l’ex signor Unipol che Fassino conosce bene…), sul lussuoso Electa, yacht da 40 metri iscritto allo Yacht Club del Principato di Monaco. E vuoi perché, sfortuna di Piero, i due hanno avuto la malaugurata idea di dermarsi a cena in una osteria sul mare di Arki proprio nel tavolo a fianco di una blogger, Consuelo CanducciChe ne ha prontamente scritto, lamentandosi della cafonaggine dell’approdo nel piccolo porto “paradiso dei velisti solitari”. Il guaio è che la “soffiata” è arrivata all’orecchio del Fatto quotidiano, che ha legato il viaggio di Fassino e Bazoli all’amicizia (nota) tra sindaco e banchiere ma soprattutto a qualche guaio finanziario che sta passando Torino. Emblematicamente, Dagospia titola: “Abbiamo una barca”, a memoria di quella sventurata telefonata tra Fassino e il già citato Consorte ai tempi della scalata Unipol a Bnl. Ma di banche sempre si parla, anche nell’Egeo. Perché, insinua il Fatto, magari i due avranno parlato di quei 170 milioni di euro di esposizione che Finanziaria Sviluppo Utilities, holding di controllo di Iren detenuta al 50% dal Comune guidato da Fassino ha nei confronti del Gruppo Intesa Sanpaolo. Di Bazoli. Si attendono reazioni sdegnate a sinistra, pari a quelle suscitate dalla vacanze dell’ex governatore pidiellino della Lombardia Roberto Formigoni sullo yacht dell’amico imprenditore Daccò. O forse quella di Fassino è solo una questione privata?

Gibilterra, perché Londra e Madrid giocano alla guerra?

23 August 2013

La Ue spedisce gli osservatori

 Roberto Pellegrino

 

Nella colonia inglese, capitale del gioco online, le sigarette costano 2 euro e le tasse sono basse

 

La Rocca di Gibilterra (Marcos Moreno/Afp)

MADRID – Chissà quale sarebbe la reazione di Luigi XIV di Francia, Filippo V di Spagna e la Regina Anna di Gran Bretagna se fossero ancora in vita e leggessero i giornali. Si accorgerebbero con grande stupore che, a distanza di trecento anni esatti,  Gibilterra è ancora una questione spigolosa, scomoda e, apparentemente, irrisolvibile nell’era digitale. Loro che, con il trattato di Utrecht (1713), credevano di portare la pace anche in quel lembo estremo di roccia dove l’Europa termina e il Mediterraneo mischia le sue acque con l’Atlantico.

 Il trattato scriveva la parola fine alla tremenda guerra di successione spagnola che nei precedenti tredici anni aveva coinvolto mezza Europa e, come parte degli accordi, tra i parrucconi del XVIII secolo, Gibilterra veniva ceduta dalla Spagna alla Gran Bretagna che otteneva «la piena e intera proprietà della città e del castello di Gibilterra, unitamente al porto, alle mura, e ai forti circostanti… per sempre, senza eccezioni o impedimenti di sorta», come recita il trattato che non fa nessun riferimento alla sua sovranità e, soprattutto, alle acque, il cui sfruttamento da parte dei pescatori spagnoli, ha riacceso, da quattro settimane, la fiamma della contesa tra Londra e Madrid, con un’escalation di tensione, dispettucci reciproci, gabelle improvvisate, guerra della sabbia, accuse di fascismo, d’imperialismo e ogni genere di manfrina diplomatica.

 Ed è bene ricordare che nel referendum del 1967 il 90% dei gibilterrini votò per rimanere sotto la corona di Elisabetta II, mentre nel 2002,  addirittura il 99,7% dei votanti rigettò la proposta di condivisione della sovranità tra Regno Unito e Spagna.

 Ma a parte i referendum e l’orgoglio di appartenenza, la questione è riesplosa per un’apparente questione di pesce. I pescatori spagnoli della Baia di Algeciras da secoli pescano in quelle acque ricchissime che circondano il Peñon (La Rocca) come la chiamano gli spagnoli, preferendo, per motivi di rancore, il nomignolo al nome giuridico. È il loro unico sostentamento e la principale attività economica della zona. Tre settimane fa, Gibilterra, che è una colonia d’oltremare del Regno Unito, ha ordinato ed eseguito l’istallazione in mare di 70 blocchi di cemento per impedire alle reti dei pescatori spagnoli di operare. Cosa che ha mandato su tutte le furie il Governo spagnolo di Mariano Rajoy che, dopo aver fatto pressione sul presidente della Commissione europea Barroso, ha affidato al ministro degli Esteri José Manuel García-Margallo, la guida di un’invincibile armata di misure contro lo sgarbo della Perfida Albione.

 Prima sono stati più che intensificati, da parte della autorità spagnole, i controlli alla frontiera con la Rocca, fermando ogni auto in transito per lunghe ed estenuanti verifiche producendo tempi di attesa di dieci ore e, così creando una coda abominevole alla dogana tra Avenida Principe de Asturias e Winston Curchill Avenue. Poi, mentre il premier britannico David Cameron strillava con Bruxelles per chiedere un richiamo ufficiale della Ue alla condotta degli ex conquistadores, García-Margallo annunciava una tassa spropositata di transito di 50 euro per tutte le vetture dei gibilterrini in quella che è una delle frontiere “No Schengen” più trafficate d’Europa.

 Le file chilometriche alla frontiera tra Gibilterra e Spagna dopo il giro di vite doganale di Madrid per rappresaglia in seguito allo stop alla pesca (Marcos Moreno/Afp)

 «La Spagna non ha discusso con noi prima di decidere l’introduzione delle tasse al confine. Ci aspettiamo una spiegazione», ha detto il 4 agosto un portavoce di Downing Street, mentre il premier di Gibilterra, Fabian Picardo, paragonava il comportamento della Spagna a quello della Corea del Nord e dei Franchisti. E la spiegazione è arivata: Madrid si è giustificata dicendo che i soldi del dazio sarrebbero andati a rimborsare i pescatori spagnoli lasciati all’asciutto dalle autorià gibilterrine.

 Poi, mentre la Spagna protestava per i blocchi di cemento, accusando Londra di «inquinamento ambientale e distruzione della fauna ittica», Cameron ordinava l’invio a Gibilterra di sette fregate militari e di una portaerei. Non di certo un modo per calmare le acque agitate dei rapporti Londra-Madrid, anche se il Governo britannico si affrettava a sottolineare che il passaggio della sua flotta nel Mediterraneo era parte di un’operazione di manovre militari nel Golfo Persico, già stabilite da mesi e approvate dalle stesse autorità spagnole dell’Andalusia. Così, mentre una fregata della Royal Navy entrava il 21 agosto nella base navale della Rocca, il giorno prima una quarantina di pescherecci spagnoli si erano azzuffati in mare con la guardia costiera di Gibilterra, tentando di forzare il blocco e rivendicando il diritto a pescare in quella zona. Non proprio una battaglia degna di Lord Nelson, ma tafferugli per varie ore con i nervi tesissimi, urla, qualche lieve scontro tra scafi e gommoni e, per fortuna, nessun ferito. Ma la tensione è ormai alta, dopo quest’ultimo episodio e l’Unione europea ha deciso ora di mandare una missione di osservatori.

 Tuttavia, non è solo una questione di pesce. Non solo di orgoglio e rigurgiti imperialisti di due Paesi con una gloriosa storia di conquiste. Gibilterra è per il fisco spagnolo una spina nel fianco. È un luogo di fruttuosi e malcelati contrabbandi grazie alla presenza del mare e a un regime fiscale estremamente favorevole; c’è molta ricchezza negli scarsi sette chilometri quadrati della colonia che deriva dal commercio con gli spagnoli che raggiungono quella zona franca attratti da prezzi imbattibili. E, soprattutto, Gibilterra è un piccolo paradiso off-shore, inserito nella black list della Ue, con oltre 30 mila aziende straniere registrate che eludono le tasse di Spagna e d’Europa: Gibilterra impone un regime fiscale tra il 5 e il 10%, contro il 45% di Madrid. Le autorità della colonia parlano di “appena” 18 mila aziende, gli spagnoli di 80 mila, ma il numero è in forte ascesa. E questo, benché dal 2009, esista, grazie all’ex premier Zapatero, un accordo per l’interscambio di dati fiscali tra i paesi Ue che, però, Madrid non ha mai applicato.

 Così, mentre si alimentava una fitta corrispondenza diplomatica a suon di “note verbali” tra Londra e Madrid, il ministro dell’Ambiente spagnolo, Arias Cañete, ha accusato il Peñon di «terrorismo ambientale» con la pericolosa pratica di stoccare il greggio da distribuire sulle petroliere ferme in mare aperto, dimenticandosi, forse, che tale operazione, molto pericolosa, molto inquinante e molto fruttuosa per Gibilterra,  è consentita dall’esecutivo spagnolo in Galizia, a dispetto delle proteste degli ambientalisti.

 Ma oltre al pesce, alle petroliere, al regime off-shore, Gibilterra è la sede principe delle società mondiali di scommesseonline che qui hanno i server e che per un decennio hanno usufruito di una speciale tassazione (all’1% sotto i 500 mila euro di fatturato), poi modificata da Londra, su pressione della Ue e della necessità di maggiori introiti nell’erario britannico, al 15% e con l’obblido del  pagamento da parte dello scommettitore nel suo reale Paese di residenza.

 E non è finita qui, perché Gibilterra è una terra feconda per la criminalità organizzataspagnola verso la quale, come accusa la magistratura spagnola, il Peñon usa la mano molto leggera, mentre aumentano contrabbando, riciclaggio e fondi neri. Basti pensare che ogni anno la Rocca importa più di 150 milioni di stecche di sigarette, non di certo tutte a uso personale dei gibilterrini che, se così fosse, sarebbero i più robusti tabagisti al mondo e con una percentuale ridicola di tumori. La verità è che quasi 800 mila stecche sono state sequestrate l’anno scorso alla dogana mentre si tentava di buttarle nel mercato spagnolo che trae grossi profitti: dai 2 euro del costo a pacchetto di Gibilterra si rivendono al mercato nero a 4,5 euro. E, infine, va considerato l’aspetto mediatico della vicenda, perché ogni riaccendersi della belligeranza è un ottimo diversivo per i grattacapi interni di Rajoy invischiato nelle bustarelle del caso Barcenas, tanto che a Madrid gira la seguente battuta: «Se El Mundo (quotidiano primo accusatore del premier, ndr) insiste con i suoi articoli, Rajoy invaderà Gibilterra».

http://www.linkiesta.it/gibilterra-gibraltar?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

 

Smith: dietro l’Egitto si legge l’inizio della fine del dollaro

certo, con gli “accordi in corso” della cosiddetta Nato economica, con l’euro in bilico e se quanto sostenuto nel segg articolo si avverasse, sarebbe utile agli usa se usassimo il dollaro al posto dell’euro….il corallito versione vecchio continente…..bella prospettiva….. >:o 

Scritto il 25/8/13

I fatti del Medio Oriente sono manipolati dall’élite mondiale, che spinge verso l’instabilità: un processo già in corso, come vediamo. E attenzione: solo in apparenza l’architettura della “primavera araba” riguarda l’area mediorientale. In realtà ha a che fare con l’intera struttura dell’economia globale: «Una crisi energetica potrebbe essere uno strumento efficace per cambiare questa struttura», sostiene Brandon Smith. E quindi: «Un crollo in Medio Oriente potrebbe fornire l’occasione perfetta e la copertura per un grande cambiamento nel paradigma globale». Tuttavia, qualsiasi passo politico di questa portata richiede che, prima, si sia creata «una atmosfera economica adeguata». Tradotto: «Se vogliamo capire le prossime tendenze di una società, dobbiamo prendere in considerazione che esiste una manipolazione esterna: dobbiamo guardare a come ogni evento economico si muova parallelamente con gli eventi politici, e dobbiamo intuire come questi eventi possano avere effetti sulla globalizzazione nel suo complesso».

Quando fu rovesciato Mubarak «non era ancora il momento giusto», scrive Smith in un post su “Alt Market”, ripreso daCome Don Chisciotte”.

 All’epoca, i media mainstream caddero in una sorta di “falsa partenza”. «Se il bersaglio vero è il dollaro Usa e l’Egitto è solo una diversione, quest’anno si è presentata l’occasione perfetta per giustificare il fallimento, ormai evidente, come stimolo dell’economia, del “quantitative easing”», che secondo Smith si basa su due dogmi completamente sballati. Il primo: “I paesi esteri non riusciranno mai a scaricare il dollaro americano, perché dipendono dai consumatori americani, che comprano le merci che loro vogliono esportare”. Il secondo: “Il valore del dollaro non potrà mai crollare, perché è la valuta-base per comprare il petrolio, e il mondo intero ha bisogno dei dollari per comprare il petrolio”. In realtà, tutto sta cambiando: basta vedere il “dumping” della Cina contro il dollaro, gli accordi commerciali bilaterali con i Brics e anche con Germania e Giappone, senza contare la massiccia corsa all’acquisto di oro intrapresa da Cina e Russia, «anche come reazione alla estrema manipolazione del mercato» attuata da colossi finanziari come la Jp Morgan Chase.

Altri campanelli d’allarme: la vendita dei titoli del Tesoro Usa a lungo termine da parte dei creditori stranieri, che comprano invece titoli del Tesoro a breve termine, che possono essere liquidati con un preavviso minimo. E poi il fatto che «le obbligazioni ora sono sostenute quasi interamente dalla politica della Fed per stimolare l’economia: quando questo stimolo finirà, finirà la capacità dell’America di onorare i debiti esteri e la fiducia nel dollaro crollerà». Infine, le chiare dichiarazioni del Fmi, che ormai parla apartamente della “fine del dollaro” come riserva mondiale e dell’istituzione dei Dsp, diritti speciali di prelievo, destinati a sostituirlo. Quanto alla “fede” nella tenuta “eterna” del valore del dollaro, ancorato al maxi-giacimento energetico del Medio Oriente, oggi tutto sta cambiando in fretta: «Lo status del petrodollaro dipende da un gran numero di fattori che rimangono perfettamente allineati dal punto di vista sociale, politico ed economico: se uno solo di questi elementi dovesse uscire dal gioco – spiega Smith – il mercato del petrolio esploderebbe in una inflazione dei prezzi che spingerebbe il resto del mondo all’abbandono del biglietto verde».

 Ecco perché la crisi egiziana va letta essenzialmente sotto questa luce: per l’analista statunitense, i grandi rivolgimenti del Cairo «possono essere considerati come primi sintomi della inevitabile morte del petrodollaro». Mettendo fuori gioco i Fratelli Musulmani anche attraverso il ricorso al bagno di sangue, il regime militare – che domani probabilmente affronterà il giro di vite decisivo, mettendo addirittura fuorilegge gli islamisti – non fa che fomentare l’odio popolare verso gli Stati Uniti, grandi supporter del potere egiziano. E questo «non è salutare per la vita del petrodollaro nel lungo periodo». Grande problema: «Se scoppierà una guerra, sarà di grandi dimensioni e danneggerà i mercati petroliferi», dal momento che il Canale di Suez vede passare quasi l’8% del commercio marittimo mondiale, 4,5 milioni di barili di greggio ogni giorno. Già i prezzi hanno registrato un’impennata per la semplice minaccia del blocco di Suez, e il braccio di ferro in arrivo – mezzo Egitto in guerra con l’altra metà del paese – non promette nulla di buono.

Stranamente, aggiunge Smith, il mainstream continua a sostenere che Suez «non chiuderà mai» perché «è troppo importante per l’economia egiziana». Errore: «Per il governo egiziano, l’importanza di Suez sarà irrilevante se scoppierà una rivoluzione: Suez chiuderà proprio perché non resterà più nessuna struttura per mantenere il canale aperto. Nel frattempo, i prezzi del petrolio continueranno a salire e la diffidenza verso gli Stati Uniti continuerà ad inasprirsi». Poi toccherà all’Arabia Saudita? Il rapporto tra Washington e l’emirato, secondo Smith, «è contemporaneamente simbiotico e parassitario». Storia: i primi pozzi petroliferi furono scavati da cartelli internazionali come Royal Dutch Shell, Near East Development Company e Anglo-Persian, ma alla fine «tutto fu preso in mano dalla Standard Oil di Rockefeller», azienda con alle spalle una «storia oscura». Risultato: gli affari sauditi sarebbero stati gestiti principalmente da interessi americani. 

 «E la sete per il petrolio di tutto l’Occidente, soprattutto dopo la prima guerra mondiale, avrebbe segnato il nostro rapporto con la monarchia regnante al momento».

Come membro fondatore dell’Opec, l’Arabia Saudita è stato dei pochi super-produttori di petrolio a mantenere – fino al 1983 – un oleodotto diretto che bypassava il Canale di Suez. «Questo permise alla Standard Oil e agli Stati Uniti di rientrare in punta di piedi in Egitto per lavorare sulla instabilità interna, che già si sentiva e che alla fine culminò nella guerra civile del 1952». All’epoca la classe dirigente egiziana – considerata “fantoccio” dell’Impero britannico – fu rovesciata, «fatto che determinò la scomparsa della sterlina britannica come Top petro-Pound e come valuta di riserva mondiale», segnando l’inizio del declino economico britannico. In apparenza, finora, l’Arabia Saudita sembra aver evitato gli effetti del clima della “primavera Araba”, ma non è tutto come sembra: la defezione del principe saudita Khalid Bin Farhan al-Saud ha fatto sorgere domande sorprendenti sul vero stato di salute del gigante petrolifero arabo.

«Credo che questa defezione sia solo l’inizio dei problemi dell’Arabia Saudita, e che il più grande partner petrolifero dell’America stia per assistere ad un tumulto interno che destabilizzerà le spedizioni di petrolio in tutto il mondo», scrive Smith. «Il sostegno dell’America ad una monarchia, tanto brutale con la sua popolazione, potrà solo accelerare la fine dell’uso del dollaro nel commercio mondiale del petrolio, soprattutto se questi regimi fantoccio saranno rovesciati». Chi dubita che l’Arabia Saudita sia sulla strada di una disgregazione sociale farebbe bene a domandarsi «perché questo paese abbia sentito la necessità di sovvenzionare con miliardi di dollari la nuova giunta militare egiziana al potere». Mentre il paese «come prestanome dell’Occidente», il governo saudita teme che il successo di idee dissenzienti possa raggiungere i suoi confini: «Capiscono poco di questo gioco, in cui sono solo pedine di un progetto globale»Ma, «senza il controllo saudita sul petrolio, gli Stati Uniti perderebbero il loro ultimo solido punto d’appoggio nel mercato del petrolio: e non c’è assolutamente nessun dubbio sul fatto che il dollaro, immediatamente dopo, non sarebbe più una petro-moneta. La disperazione che causerebbe una crisi energetica come questa – aggiunge Smith – porterebbe i mercati internazionali a mendicare una qualsiasi soluzione, che i cartelli bancari globali guidati dal Fmi saranno ben felici di trovare».

 Dall’Egitto all’Arabia Saudita, fino alla Siria: «Il fatto che il governo americano abbia creato uno stato di fatto con la rivolta siriana e il suo finanziamento e con l’armamento degli agenti di al-Qaeda ha comprensibilmente irritato molte nazioni del Medio Oriente, compreso l’Iran». Teheran, continua Smith, si trova sulla via del petrolio più importante del mondo: lo Stretto di Hormuz. Circa il 20% delle esportazioni di petrolio di tutto il mondo vengono spedite attraverso Hormuz, e la stretta insenatura è incredibilmente facile da bloccare: basterebbe far affondare qualche nave cargo. «In realtà, questa tattica è esattamente quella che l’Iran si è abituato ad usare per neutralizzare qualsiasi progetto di invasione Usa-Israele. Una presenza degli Stati Uniti o della Nato sulla terra o nello spazio aereo della Siria, dell’Egitto o dell’Iran molto probabilmente potrebbe provocare la chiusura dello Stretto di Hormuz e forti aumenti dei costi della benzina, che gli americani non si possono permettere».

 Come se non bastasse, la scena è dominata da nuovi affari petroliferi: quelli tra Russia e Cina. Proprio perché fanno paura agli Usa, i grandi media non ne parlano: «Così come la maggior parte dei commerci bilaterali che non stanno utilizzando il dollaro come moneta di riferimento, sono stati ignorati dai media mainstream: anche dell’ultimo grosso affare sul petrolio stipulato tra Russia e Cina non si è detto nulla». La Russia, ricorda Smith, ha firmato un contratto storico con i cinesi: rifornirà Pechino di petrolio per i prossimi 25 anni. E questo, secondo le linee-guida bilaterali stabilite, significa che il dollaro non sarà utilizzato dai cinesi per pagare il petrolio russo. «Mi aspetto che questo sia solo l’inizio di una reazione a catena di accordi petroliferi che rifiuteranno il dollaro come principale meccanismo commerciale», avverte Smith. «Questo tipo di affari potrà aumentare in tutto il Medio Oriente se ci saranno sempre più lotte interne e se il disgusto della popolazione verso gli Stati Uniti diventerà una condizione essenziale per mantenere il potere».

 Il dollaro, insiste l’analista, è ormai una “tigre di carta”. Vero, le scoperte di nuovi giacimenti nel Midwest americano potrebbero contrastare la “discontinuità” degli oleodotti mediorientali. Tuttavia, sarebbe ingenuo nascondersi dietro alla prospettiva del nuovo petrolio americano: perché il vero problema – sottolinea Smith – non è il petrolio, ma lo status della moneta Usa in qualità di petro-dollaro. «Questo status fa pericolosamente affidamento sul mantenimento e sulla stabilità dei regimi amici in Oriente. Possiamo produrre tutto il petrolio che vogliamo, dentro i nostri confini – dice Smith – ma se il dollaro perde la sua posizione predominante di riserva mondiale, dovremo aspettarci una massiccia svalutazione del valore della nostra moneta, avremo ancora altri crolli, e vi garantisco che la maggior parte del petrolio nazionale finirà per essere esportato come pagamento ai creditori stranieri, solo per soddisfare i debiti in sospeso».

Il moneta Usa, conclude Smith, non è più invincibile – come qualsiasi altra moneta a corso forzoso nella storia: «In qualche modo, è veramente molto più debole rispetto a qualsiasi altra moneta che c’era prima». Oggi, il biglietto verde fa completamente affidamento sul proprio status di moneta di riserva mondiale, per poter mantenere il suo valore sul mercato globale. Come è evidente, paesi come la Cina stanno già evitando di usarlo negli scambi con particolari nazioni, ed è «del tutto sconsiderato» ritenere che questa tendenza sia in qualche modo “fortuita” e non piuttosto “intenzionale”. «I paesi stranieri non starebbero avviando un processo di abbandono del dollaro oggi se non intendessero continuare per questa strada fino in fondo domani». Tutto questo, conclude Smith, va interpretato come una “crisi di copertura”. E le tensioni esistenti sono un segnale di crisi ormai dilagante, in Medio Oriente: «Molto probabilmente una crisi energetica, e nel breve termine». Sarebbe la “tempesta perfetta” che l’élite finanziaria attende: per scatenare la speculazione e, stavolta, cambiare – a modo suo, cioè contro tutti noi – il “paradigma globale”?

 http://www.libreidee.org/2013/08/smith-dietro-legitto-si-legge-linizio-della-fine-del-dollaro/?utm_source=pulsenews&utm_medium=referral&utm_campaign=feed+%28LIBRE+-+associazione+di+idee%29

Siria – Clamoroso, alcuni Video caricati il giorno prima della S trage

Sabato, Agosto 24th/ 2013

 – L’Approfondimento di Sergio Basile – Redazione Qui Europa –

 Strage in Siria – Altri Clamorosi dubbi sui video: molti caricati su youtube il giorno prima della data della strage

I tentativi diabolici di incastrare il Presidente Assad e di fomentare una Guerra Mondiale 

Le strategie dei “ribelli anti-Assad” (incongruenze e stranezze dei video incriminati

  La “Preoccupazione dell’UE” e la Missione ONU

 Damasco, Bruxelles, New York – “La comunità internazionale deve agire con senso di urgenza e responsabilità“. Così nelle scorse ore ha commentato l’Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera gli sviluppi della drammatica questione siriana dopo la strage di 1300 anime dello scorso 21 Agosto 2013 (vedi allegati)Catherine Ashton ha inoltre esortato ad “andare oltre le differenze, procedendo senza altro ritardo nel processo diplomatico, sulla linea della Conferenza di Ginevra 2, come il Segretario di Stato Usa, John Kerry, ed il ministro russo Lavrov“. Intanto, tra l’altro, cresce a dismisura – come detto, vedi articoli in allegato –  il numero di minori e donne  costretti ad abbandonare la martoriata ed amata Siria per sfuggire a morte certa: una terra che solo due anni orsono era – come detto in più occasioni – un vero e proprio paradiso terrestre di Pace e Concordia tra culture e religioni. Prima che i signori del Nuovo Ordine Mondiale, evidentemente, non ne decretassero a tavolino la morte. Ma l’Alto Rappresentante ha parlato anche di “forte preoccupazione per il presunto uso delle armi chimiche nel Paese e di sostengo pieno alla richiesta Onu per un’inchiesta meticolosa, immediata e imparziale“. Inchiesta in corso in queste ore.

    Strage in Siria – Assad: stesso copione di Gheddafi e Saddam

 Ma quel che ci lascia sconcertati e la sicurezza di molti media “europeisti” e “mondialisti” nell’indicare Bashar Al-Assad (il pacifico Assad) come il “responsabile della strage“. Quasi come se le oltre 100mila anime siriane fatte fuori finora dai ribelli-mercenari al soldo delle petrolmonarchie e dell'”Occidente Democratico” non contassero nulla. Quasi come se esse non rappresentassero un indizio più che evidente del tentativo di incastrare Assad, come fatto in tempi non sospetti e dinamiche ben note con Gheddafi e Saddam Hussein.

  Le crepe dei media mondialisti – Il Caso di “Le Figaro”

 Ma qualche crepa tra i media mondialisti, europeisti e filo-Nato comincia a vedersi. E’ il caso del tabloid “Le Figaro“. “In Siria – secondo il noto quotidiano francese, facile alla censura in mile occasione: vedi articolo in allegato – combatterebbero contingenti di ribelli siriani addestrati dagli Stati Uniti. “È cominciata l’operazione anti-Assad”: questo è l’emblematico titolo che si legge nella versione on-line del quotidiano transalpino, che poi – suo malgrado? – rincara la dose. Secondo il quotidiano, infatti, “un primo gruppo di 300 uomini sarebbe entrato in Siria il 17 agosto scorsoTali gruppi – si legge – sarebbero addestrati dagli americani in Giordania e passerebbero il confine con la complicità di forze speciali israeliane e giordane (…).

 Sirya -
              ONU

 Inchieste ad orologeria

C’è da dire, ad onor di cronaca, come le inchieste anti-Assad di molti media occidentali giungano proprio a ridosso del giorno in cui i governi di Parigi, Londra, Washington ed altri hanno spinto per un intevento armato contro il regime siriano. Ma – ed è la storia dagli Anni Novanta ad oggi che ce lo insegna in maniera esemplare – d’altra parte le stesse allarmistiche avvertenze per l’uso di armi chimiche da parte dei media occidentali, sono giunte in questi mesi con precisione svizzera contestualmente ad importanti scadenze: vedi. ad esempio, l’ultima visita degli ispettori ONU in Siria, iniziata lo scorso 17 Agosto.

  Sconvolgenti incongruenze e Dissimulazioni mediatiche

 Tuttavia, da un’attenta  analisi di altri video presentati come “prove inoppugnabili della colpevolezza di Assad“, mille nuovi dubbi ci assalgono e si materializzano con ingombrante evidenza. Dubbi che varcano la linea della razionalità e del paradosso, sfociando – come potrete constatare voi stessi visionando il materiale in allegato – nel mare della diabolica follia umana. Altre perplessità nelle scorse ore sono state espresse dall’esperto forense dell’Università di Cranfield – Regno Unito – Stephen Johnson, secondo il quale (vedi video n.2 in allegato)  esisterebbero una serie di palesi incongruenze e stranezze che gettano un pesante alone di discredito sugli stessi. Ma la cosa ancor più paradossale è un’altra: alcuni video presentati come prova d’attacco sono stati addirittura caricati su youtube il 20 agosto, cioè il giorno prima della data indicata dai ribelli stessi come la fatidica data della strage. davvero pazzesco! Hitler, Lenin e Stalin furono di sicuro più accorti nel creare le prove e nel dissimularne altre a proprio favore. Ma si sà, d’altronde le bugie hanno le gambe corte… Varrà questo detto per i nostri poveri fratelli Siriani?

 Sergio Basile e Redazione Qui Europa (Copyright © 2013 Qui Europa)

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   Per Non Dimenticare

 Siria – Il Discorso di Assad alla Nazione e al Mondo: Riconciliazione, Pace, Dignità e senso di Patria – Il vero volto della Siria che i Falsi Profeti dell’Imperialismo Occidentale e del Terrorismo non cercano

 Venerdì, Gennaio 11th/ 2013 – Discorso in Forma integrale del Presidente Bashar Al-Assad –  – President Bashar Al-Assad’s Speech in Full Form – – Traduzione di Sergio Basile – Qui Europa (www.quieuropa.it) Cristiani / Bashar Al-Assad / Discorso in Forma Integrale / Traduzione in Italiano / Damasco / Teatro dell’Opera di Damasco / Desiderio di Pace […]

 

11 gennaio 20131 CommentRead More#

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Qui Europa – In questo video si vedono meglio

le SIRINGHE SOSPETTE sul corpo delle povere vittime siriane

 – http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=sf5PlrgEka4#t=41

 Siria – Armi Chimiche. Osserviamo, analizziamo e a voi il giudizio.

 www.youtube.com

 Siria – Armi Chimiche. Osserviamo, analizziamo e a voi il giudizio. Syria – Chemical Weapons. We observe, analyze, and to you the judgment.

 

Qui Europa – DUBBI SUI VIDEO ANCHE DALL’ESPERTO FORENSE INGLESE STEPHEN JOHNSON

 

– http://it.euronews.com/2013/08/21/siria-armi-chimiche-dubbi-sui-video/

 

Siria: armi chimiche, dubbi sui video

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 Le immagini dei presunti effetti delle armi chimiche in Siria sono sconvolgenti, ma sollevano anche dubbi sulla loro autenticità. L’esperto forense Stephen Johnson, dell’Università di…

 CLAMOROSO!! – ALCUNI VIDEO PRESENTATI DALL’OCCIDENTE E DAI MEDIA COME “PROVA” DELL’ATTACCO “DI ASSAD”, ADDIRITTURA SONO STATI

 CARICATI IL 20 AGOSTO, CIOE’ IL GIORNO PRIMA DELLA DATA INDICATA DAGLI STESSI RIBELLI-MERCANARI ANTI-ASSAD COME QUELLA DELL’ATTACCO.

 ECCO DI SEGUITO I VIDEO, DA NOTARE COME ESSI PORTINO LA DATA DEL 20 AGOSTO

 مقطعهامجداومؤثرطفلةشهيدةبالقصفالكيماويورسالةمنأحدالمسعفين

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مقطعهامجداومؤثرطفلةشهيدةبالقصفالكيماويورسالةمنأحدالمسعفين https://www.facebook.com/Jsreen.revolution

 

Qui Europa – http://www.youtube.com/watch?v=fSvm8mDZyOYhttp%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3Djrk1siUUrdE&feature=youtu.be

 

سورياالمجزرةالكيماويةالكبرىفيالغوطةالشرقيةاسعافأطفالالىالنقاطالطبيةالميدانية 21 8 2013

 

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الىكلمنعلقهنا : الفيديوتمنشرهالساعةالخامسةصباحاًبتاريخ 21-8-2013 بتوقيتسوريابينمايكونالتاريخفيامريكاوالتييتبعلهاموقع

 

Qui Europa – http://www.youtube.com/watch?v=_dVgO6LPKp

 

سورياالمجزرةالكيماويةالكبرىفيالغوطةالشرقيةكلمةللشيخسعيددلوانامامجثثالشهداء

 

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رئيسمجلسالشورىفيالغوطةالشرقيةامامجثثالشهداءالذينسقطواباستخدامالنظامالاسلحةالكيماويةفيالغوطةالشرقية 21 8 201

 

Qui Europa – http://www.youtube.com/watch?v=6O-G9HQru_

 

سورياالمجزرةالكيماويةالكبرىفيالغوطةالشرقيةشهادةاحدالمصابين 21 8 2013

 

www.youtube.com

 

Qui Europa – http://www.youtube.com/watch?v=sZuYpsZZTlc

 

المجزرةالكيماويةالكبرىبحقأهاليالغوطةالشرقيةمنداخلنقطةاسعافميداني

 

www.youtube.com

 

قامالنظامالسوريفيالساعة 3 صباحامنيوم 21 8 2013 بقصفمناطقالغوطةالشرقيةفيعينترماوزملكاوحيجوبرالدمشقيبموادكيمائية

 

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Militare ‘migrante’ e islamico: colpevole massacro di Fort Hood

24-08-2013

All’unanimità è stato riconosciuto colpevole di omicidio plurimo premeditato il maggiore dell’esercito americano, immigrato e fanatico islamico Nidal Hasan che il 5 novembre 2009 massacrò in nome di Allah 13 commilitoni e ne ferì 32 nella base militare di Fort Hood, in Texas.

L’ufficiale medico, che rischia ora la condanna a morte, era in contatto con il capo di al Qaeda nella Penisola arabica, al Awlaki, cittadino americano e yemenita ucciso in un raid aereo Usa il 30 settembre 2011.

La storia dell’infiltrato terrorista nell’esercito americano è stata, negli anni, messa a tacere dal  sistema mediatico americano, spaventato dal fatto che cittadini e militari americani potessero aprire gli occhi e vedere la reale minaccia dell’Islam, che non si combatte invadendo i paesi islamici, ma impedendo che individui islamici si mimetizzino e penetrino nei gangli della nostra società.
http://voxnews.info/2013/08/24/militare-migrante-e-islamico-colpevole-massacro-di-fort-hood/

Sulla misteriosa missione di Padre Dall’ Oglio

di Marco Palombo – 03/08/2013

 Fonte: sibialiria

 Padre paolo dall'oglio_nero

Sul sito dell’ Ansa dal primo agosto si legge a proposito della “irreperibilità “ di Padre Dall’Oglio:

“…..Ieri alcuni attivisti che gli avevano fatto attraversare il confine dalla Turchia hanno detto all’Ansa che il religioso non era stato rapito – come avevano annunciato altri oppositori lunedì sera – ma era impegnato in negoziati con esponenti jihadisti. In particolare le fonti hanno reso noto che Dall’Oglio aveva appuntamento con Abu Bakr al-Baghdadi, capo dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, organizzazione a cui è collegato il Fronte al Nusra, principale forza jihadista dell’ opposizione….”.

Chi è Abu Bakr al-Baghdadi ce lo spiega in modo più chiaro Gian Micalessin su il Giornale, sempre il primo agosto:

“…Abu Bakr al-Baghdadi. Il capo di Al Qaida in Siria e in Iraq, sulla cui testa pende una taglia americana da dieci milioni di dollari, è un personaggio evanescente inseguito dai servizi di sicurezza di mezzo mondo che ben difficilmente affronterebbe il rischio di un incontro faccia a faccia con un estraneo. L’ ipotesi di un colloquio tra i due giustificherebbe però la scomparsa del religioso definito ieri “irreperibile” dalla Farnesina. Proprio la delicatezza di un incontro con il loro capo potrebbe aver spinto i terroristi a prelevare il gesuita e portarlo da prigioniero in uno dei loro nascondigli…”

Mentre il vaticanista Giacomo Galeazzi su la Stampa ci spiega cos’è lo “Stato Islamico dell’ Iraq e del Levante”:

“Lo “Stato Islamico dell’ Iraq e del Levante” – ovvero i presunti rapitori del gesuita Dall’ Oglio – è stato presentato ufficialmente come organizzazione unitaria su internet lo scorso aprile dal capo dello Stato Islamico dell’ Iraq, Abu Bakr al-Baghdadi. Al-Baghdadi aveva detto che il suo gruppo in Iraq – dichiaratamente collegato con l’ organizzazione terrorista Al Qaida – ha addestrato e finanziato i combattenti del Fronte al Nusra in Siria (già nella lista nera degli Stati Uniti) fin dall’ inizio della rivolta, due anni fa, in Siria. Al-Baghdadi , in una delle dichiarazioni postate su siti web islamici, aveva affermato che i due gruppi intendono operare sotto un sole nome appunto di “Stato Islamico dell’ Iraq e del Levante”……..Il leader di Al Qaida Ayman al-Zarawri non ha tuttavia mai riconosciuto la fusione tra i due gruppi combattenti siriano ed iracheno….”

L’ Esl, l’ esercito della Coalizione Siriana, opposizione sostenuta anche dall’ Italia, collabora con Al Qaida tramite lo Stato Islamico dell’ Iraq e del Levante. Infatti Kamal Hamami, un suo alto comandante… :

“Un alto responsabile dell’ esercito siriano libero, Kamal Hamami, è stato ucciso a Latakia da esponenti di Al Qaida, Lo rende noto il portavoce dell’ Esl Qassem Saadeddine, citato dalla BBC. Hamami “stava incontrando membri dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante per discutere piani di battaglia”, ha detto il portavoce. “Mi hanno telefonato per dirmi che hanno ucciso Hamami e uccideranno tutti quelli del Consiglio supremo militare”, ha precisato.” (Ansa.)

In Iraq in un solo giorno 70 morti in 17 attentati, Abu Bakr al-Baghdadi, capo di Al Qaida in Iraq, collabora ad imprese del genere. E’ il caso di andarci a parlare ?

Non so se sopravvaluto io la violenza di Al Qaida o la sottovaluta Dall’ Oglio. Comunque in Iraq il il 28 luglio sono morte 70 persone in seguito a 17 attentati terroristi quasi contemporanei. Le azioni non sono state rivendicate apertamente da Al Qaida, ma i media le attribuiscono ad ambienti islamici sunniti vicini ad Al Qaida che si oppongono al governo della maggioranza islamica sciita e Abu Bakr al Baghdadi viene indicato come capo di Al Qaida in Iraq.

Dall’ Oglio nel suo articolo del 19 luglio su Huffington Post Italia dal titolo “La morale cristiana e l’ arma chimica siriana” non parla esplicitamente di Al Qaida ma, oltre a legittimare un eventuale uso di armi chimiche contro l’ esercito di Assad, ha scritto:

“Per noi siriani della rivoluzione, la riconciliazione tra forze islamiste radicali e forze democratiche è una necessità strategica. Le scaramucce dolorose e i crimini insopportabili avvenuti tra noi devono trovare soluzione, essere riassorbiti, per presentarci uniti di fronte al pericolo totale rappresentato dal regime, appoggiato direttamente o indirettamente da troppi. Il tentativo di seminare guerra intestina tra le forze anti-Assad (a prescindere dal necessario intercettamento e disinnesco delle derive criminali) deve fallire. Questo gli agenti e i consiglieri militari americani farebbero bene a capirlo subito. Favorire i partner più affidabili, incoraggiare le evoluzioni più auspicabili è buono. Spingerci ad ammazzarci tra di noi non può esserlo. “

A proposito di questo articolo la redazione di Sibialiria.org ha inviato una lettera aperta a Lucia Annunziata , direttrice di Huffington Post Italia poche ore prima dalla notizia, in seguito modificata, del rapimento di Padre Dall’ Oglio da parte di esponenti dello Stato Islamico dell’ Iraq e del Levante. Qui http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1766

Il 26 luglio Jarba, presidente della Coalizione siriana alle Nazioni Unite

Il 26 luglio al Palazzo di Vetro dell’ ONU il capo della coalizione siriana Jarba con una delegazione del suo coordinamento, ha incontrato in modo informale i 15 ambasciatori dei membri del Consiglio di Sicurezza. L’ incontro è stato preparato dal segretario di Stato USA Kerry. Questo appuntamento, reso noto in modo molto discreto, in realtà ha avuto una sua importanza in quanto, per la prima volta dall’ inizio della crisi siriana, il capo dell’ opposizione riconosciuta e sostenuta dall’ occidente ha incontrato diplomatici russi e cinesi, cosa che finora aveva sempre evitato.

Nel dicembre 2012 la Russia tentò una mediazione e suoi diplomatici incontrarono a Mosca esponenti del governo siriano, il negoziatore dell’ ONU Brahimi e il ministro degli esteri egiziano Amr. Khatib, a dicembre leader della Coalizione, rifiutò di incontrare a Mosca rappresentanti del governo russo e propose una capitale araba. In seguito però non si seppe però più niente di questo eventuale incontro, probabilmente non gradito ad alcuni ambienti dell’ opposizione.

Con Assad che ha riconquistato le province di Qusayr e sta riprendendo il controllo dell’ intera provincia di Homs, con il nord della Siria che vede un durissimo conflitto tra curdi e le milizie islamiche dello Stato dell’ Iraq e del Levante, gruppo armato di cui abbiamo scritto abbondantemente in questo articolo, non sappiamo quanti siriani rappresenti realmente Jarba. Così come non è chiaro se alcuni territori sono controllati dalla Coalizione Siriana o dai gruppi vicini ad al Qaida. Probabilmente in molti territori, come nella stessa Raqqa dove si è recato Padre Dall’ Oglio, gruppi dell’ esercito libero siriano (armati anche dagli Stati Uniti) e brigate vicine ad al Qaida sono presenti contemporaneamente.

Intanto i media di tutto il mondo rilanciano la notizia della chiusura delle ambasciate e consolati statunitensi il prossimo fine settimanaper timore di attentati di Al Qaida……

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=45883

Il “sociocidio” dell’Iraq

di Ralph Nader – 03/08/2013

 Dieci anni fa, George W. Bush e Dick Cheney, come criminali di guerra, lanciarono il sociocidio del popolo iracheno – attrezzati con la televisione incorporata e con giornalisti che raccontarono l’invasione usando la lente di Bush.

 Quella guerra illegale di aggressione, naturalmente, si basò su menzogne riconosciute, propaganda e insabbiamenti che ingannarono o cooptarono istituti di notizie primari, come il New York Times e il Washington Post.

Le guerre di aggressione – questa soffiò via un paese di 25 milioni di persone governato da un despota indebolito circondato da ben più potenti avversari (Israele, Turchia e Iran) sono i principali crimini del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite.

La guerra di Bush/Cheney fu pure incostituzionale, mai dichiarata dal Congresso, come il senatore Robert Byrd eloquentemente sottolineò allora.

Inoltre, molti degli atti di tortura e brutalità perpetrati contro il popolo iracheno sono illegali sotto vari statuti federali.

 Oltre un milione di iracheni sono morti a causa dell’invasione, dell’occupazione e della negazione della necessità di salute e di sicurezza per neonati, bambini e adulti.

Molti altri iracheni sono rimasti feriti e malati.

Difetti di nascita e tumori continuano a stabilire record letali.

Cinque milioni di iracheni diventarono profughi, molti fuggirono in Giordania, Siria e altri paesi.

 Quasi cinquemila soldati statunitensi sono morti.

Molti altri soldati si suicidarono.

Ben più di 150.000 americani sono stati feriti o si sono ammalati, molto di più di quelli che il funzionario del Pentagono sottostima limitando la conta delle vittime non fatali solo a quelle sostenute direttamente nella linea di fuoco.

Finora la guerra in Iraq è costata ai contribuenti circa $ 2 trilioni di dollari.

Decine di miliardi in più saranno spesi per i veterani disabili e per le spese di persistenza in Iraq.

I contribuenti stanno pagando più di $ 600 milioni l’anno per proteggere la grande Ambasciata degli Stati Uniti e il suo personale a Baghdad, più di quello che il nostro governo spende per l’OSHA, il cui compito è quello di ridurre il numero di lavoratori americani che muoiono ogni anno per malattie e traumi sul posto di lavoro, attualmente circa 58.000.

 Tutto per quali risultati?

Prima dell’invasione non c’era al-Qaeda nella dittatura laica di Saddam Hussein.

Ora un’al-Qaeda crescente in Iraq sta terrorizzando il paese con autobombe sempre più audaci e attacchi suicidi che uccidono decine di persone alla volta e attacchi duri anche in Siria.

L’Iraq è uno stato di polizia, con le lotte settarie tra gli sciiti dominanti e i sunniti insorti che prima vivevano insieme pacificamente e si sposarono tra loro per secoli.

Non c’erano state stragi settarie di questo tipo prima dell’invasione, ad eccezione del bagno di sangue di Saddam Hussein contro gli sciiti ribelli.

Gli sciiti furono incitati dal presidente George HW Bush, che prontamente li abbandonò al bombardamento mortale degli elicotteri da guerra di Saddam alla fine della prima guerra del Golfo del 1991 che era evitabile.

L’Iraq è un paese in rovina con una classe superiore ricca e politica che rastrella i profitti del settore del petrolio e dell’occupazione.

Gli Stati Uniti sono ora ampiamente odiati in quella parte dell’Asia.

Bush/Cheney ordinarono l’uso di bombe a grappolo, al fosforo bianco e dell’uranio impoverito contro, per esempio, la gente di Falluja dove le malformazioni congenite infantili sono salite alle stelle.

 

Come ha osservato Raed Jarrar, analista iracheno-americano: “La completa distruzione della identità nazionale irachena” e il sistema settario introdotto dagli invasori americani nel 2003 in cui gli iracheni sono stati favoriti o esclusi in base alle loro appartenenze etniche e confessionali gettò le basi per l’attuale caos crudele e per la violenza.

E’ stata una forma brutta e brutale del divide et impera.

I risultati a casa nel nostro paese sono i soldati e le loro famiglie estese che soffrono in molti modi a causa delle vite spezzate.

Il documentario struggente di Phil Donahue Body of War segue la vita senza dolore e devastata di un soldato paraplegico al ritorno dall’Iraq nel 2004.

Quel soldato, Tomas Young, quasi alla fine della sua vita devastata, ha appena scritto una lettera penetrante a George W. Bush, che ogni americano dovrebbe leggere (http://www.truthdig.com/dig/item/).

Le lezioni di questo inutile pantano dovrebbero essere: in primo luogo, come fermare altre guerre di aggressione fatte dai guerrafondai di Washington – gli stessi neocon renitenti ci pensano di nuovo per quanto riguarda l’Iran e la Siria.

E in secondo luogo, la necessità di tenere conto dei principali responsabili di questa brutale carneficina e rovina finanziaria che sono attualmente in libertà – i latitanti guadagnano lezioni ben pagate e spese di consulenza.

Nei nove mesi che precedettero l’invasione del marzo 2003 in Iraq, almeno trecento ufficiali militari di spicco in pensione, diplomatici e funzionari della sicurezza nazionale parlarono pubblicamente contro i rulli di tamburo di Bush/Cheney per la guerra.

I loro avvertimenti furono profeticamente accurati. Vanno inclusi i generali in pensione Anthony Zinni e William Odom, e l’ammiraglio Shanahan.

Anche Brent Scowcroft e James Baker, due dei più stretti consiglieri del presidente George H W. di Bush s’opposero con forza all’invasione.

Questi sinceri e schietti – nonostante il loro prestigio ed esperienza – furono travolti da una Casa Bianca sfuggente, dei media mainstream molto vergognosi e da un Congresso che abdicò le sue responsabilità.

Anche il multi-miliardario, George Soros fu coraggiosamente schietto.

Purtroppo, prima dell’invasione, non fornì un finanziamento e un segretariato a questi uomini e donne per dare continuità e moltiplicare il loro numero in tutto il paese nei mass media e a Capitol Hill.

Con il tempo si è mobilitato per organizzare e pubblicizzare un tale sforzo indirizzato, fu dopo l’invasione, nel luglio 2003.

Credo che George Soros avrebbe potuto fornire le risorse necessarie per fermare Bush/Cheney e le loro bugie dal gettare in modo precipitoso il governo e il paese in una guerra, nove mesi prima.

Mr. Soros può ancora costruire la pressione di base per l’esercizio di uno Stato di diritto sotto la nostra costituzione e far fare al Congresso le audizioni pubbliche in Senato per instaurare un braccio investigativo del Dipartimento di Giustizia e perseguire la corretta esecuzione nei confronti di Bush/Cheney e dei loro complici.

Dopo tutto, il Dipartimento di Giustizia ebbe un tale ufficio dei procuratori speciali durante lo scandalo Watergate e si mosse per accusare un rassegnato Richard Nixon prima che il presidente Ford lo perdonasse.

Confrontate le infrazioni e l’ostruzione della giustizia del Watergate di Nixon con gli orrendi crimini che emergono dalla guerra contro l’Iraq – una nazione che mai minacciò gli Stati Uniti ma la cui distruzione prende un pedaggio continuo nel nostro Paese.

 

Tradotto il 02/8/2013 da F. Allegri

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