L’integrazione che arricchisce, tanto non pagheranno mai

Roma: zingari bruciano vivi 9 cani, donna che li accudiva ustionata
30-07-2013
Nella mattinata di venerdì 19 luglio, nella Capitale, un gruppo di zingari ha dato alle fiamme e tentato di bruciare vivi gli undici cani della signora Rita – nove sono morti – una signora che staziona sotto il ponte Marconi, sul Lungotevere, per occuparsi di questi animali. Lei è un’ex architetto impiegato presso il Comune di Roma. Nove cani sono morti tra le fiamme, e nel tentativo di salvarli, la signora Rita ha riportato ustioni di terzo grado su tutto il corpo.

L’associazione FEDER F.I.D.A. Onlus nella persona della sua presidentessa Loredana Pronio Federfida Onlus dice;
“Qui nove cani sono stati bruciati vivi e una donna è rimasta gravemente ustionata nel tentativo di salvarli. Questa notizia non è stata riportata quasi da nessun giornale. Basta chiedere in giro per rendersi conto che nessuno conosce cosa è accaduto venerdì, nonostante questa tragedia sia una cartina al tornasole delle condizioni di degrado in cui versano le persone costrette a vivere sotto i ponti di Roma. Oggi mi sono recata sul posto e ho atteso invano per oltre sette ore l’arrivo del sindaco. Ma non demordo, non mi arrenderò fino a quando il sindaco Ignazio Marino non verrà a vedere cosa accade sotto i ponti del Lungotevere, perché Roma è anche questo, non soltanto il Campidoglio. Non vorrei che il silenzio mediatico calato sulla vicenda sia dovuto al fatto, riferitoci da diverse persone, che una persona che lavora al Comune è costretta a vivere in queste condizioni. Intanto, una preghiera al sindaco la voglio fare: non venga in bicicletta perché qui la vedo dura riuscire ad arrivarci”.

La testimonianza della donna:

Quando sono arrivata qui, gli zingari erano pochi, giusto qualche baracchetta in fondo in fondo. Avevamo anche un buon rapporto, portavo il gelato ai bambini. Poi però sono diventati tantissimi e mi hanno cacciata a causa dei cani. Gli davano fastidio. Sono iniziate delle liti tremende, scarpe, pietre. Allora mi sono spostata sotto il Ponte. Non voglio avere problemi.
Il Comune lo sa. Sono venuti anche i vigili. Ma loro, per tutta risposta, si sono barricati ancora di più e non si riesce a farli andare via.

Sono scesa un momento per portare da mangiare agli animali e ho visto le fiamme. Non so perché lo abbiano fatto. A loro dà fastidio l’abbaiare dei cani, inoltre questo è uno dei pochi ponti ancora disponibili e gli zingari stanno sotto i ponti perché sono più riparati e sicuri. Non escluderei volessero appropriarsi del terreno.
http://voxnews.info/2013/07/30/roma-zingari-bruciano-vivi-9-cani-donna-che-li-accudiva-ustionata/

IL PARTITO NAZIONALE DEI FEDIFRAGHI

Scritto da: Gianni Petrosillo (29/07/2013)
 
Se non fossimo governati dal PNF (PARTITO NAZIONALE FEDIFRAGHI) forse saremmo ancora italiani liberi, cioè schiavi solo dei nostri difetti. Ovvero: deboli, depressi, menefreghisti ma non pigri, rassegnati e sottomessi, piegati dalla storia e dalle ideologie di servizio come adesso. Italiani medi ma non mediocri, insomma.
Se non fossimo governati dai politicanti del PNF, burocrati grigi, arrugginiti e rinsecchiti, curvati sotto il peso degli anni e degli inchini, proveremmo ancora a rifarci una vita, a sposarci con gli avvenimenti, ad accordarci ai tempi, a costruire nuovi percorsi, a gettare ponti con la parte del mondo che non vuole sprofondare e preferisce rischiare, resistere, sperare.
Invece, poiché ci siamo innaturalmente “fredifragizzati”, accettiamo che si resuscitino i cadaveri istituzionali, le bolse forme e riforme costituzionali, le leggi elettorali, gli stanchi riti parlamentari, non prima di averli svuotati perché, oramai, siamo incantati dalle sirene partenopee e dalle streghe arcoriane le quali ci attirano sugli scogli europei e sulle rive atlantiche, laddove ci tendono trappole per sottoporci a sacrifici di sangue.
Se fossimo un popolo sano, privo di inutile “grasso” e di un moralismo così “boldrin line”, crederemmo ancora nel nome che individua la cosa e la persona e nella cosa e nella persona che indicano la funzione e la direzione. Ma ci hanno tolto la parola per non farci denunciare cause e responsabili di questo bordello, cioè i sovrani innominabili e gli dèi impronunciabili. Alla fine dell’Italia, come all’inizio di tutto, c’era il verbo: “to badogliate”.
Se fossimo cittadini consapevoli non finiremmo insaccati nel budello della caccia ai dittatori isolati, ai despoti immaginari, ai deportati inventati, rifiuteremmo l’orgia dei diritti umani e delle libertà incivili. Più imbarazzante del gay-pride c’è unicamente il coro del politicamente corretto che si divide in pro-culi e paraculi contro. Finalmente, non ci sarebbe nemmeno tanto fracasso per un ministro nero, che sarebbe un bel segno di progresso epidermico se anche la signora  la smettesse di metterci alla prova per tirare fuori il peggio che c’è in noi.
Se fossimo padroni di noi stessi sbatteremmo la porta in faccia agli esotismi culturali e agli inestetismi congiunturali, con i viaggi premio dell’ONU per chi lancia la bomba e nasconde la mano. Diventare famosi in posa coi bambini denutriti, dopo aver sganciato ordigni sulle teste dei padri e delle madri, con la benedizione degli organismi internazionali, non è pacifismo ma necrofagismo. E tanti applausi per chi è senza fibra e ci fa pure la predica umanitaria con la sua “laura” in vanità e regresso.
Se fossimo stati intelligenti non avremmo mai accettato le larghe intese di chi si è allargato a nostre spese, non avremmo permesso che a rappresentarci fossero i picchiatori sui conti, le camicie inamidate con la coscienza sporca, le bande bancarie e le cricche partitiche eterodirette dall’estero.
Se fossimo stati più attenti, a quest’ora lor signori sarebbero già stati polverizzati e noi non mangeremmo tutta questa polvere. Ma ancora non è detto, dopo il 30 luglio, qualora il Cavaliere dovesse essere condannato, sarebbe la guerra civile. Sui giornali e alla televisione. Gli uomini in carne ed ossa non si muoveranno per i problemi dei guappi di cartone e non crederanno a quest’ennesima telenovela. In Italia non ci siamo mai meritati una vera rivoluzione e anche questa volta non farà eccezione. Ma sui mezzi d’informazione sai che spari, mentre la vita reale continuerà ad andar male pari pari.
http://www.conflittiestrategie.it/il-partito-nazionale-dei-fedifraghi

Washington: La NSA non e’ intoccabile

205 congressisti -contro 217- vogliono controllare le agenzie di intelligenza
La sconfitta dell’emendamento Amash  (modificare l’art. 215 del Patriot Act) è una vittoria di Pirro per il blocco reazionario e fondamentalista. Ha vinto con un margine risicato (217 voti contro 205), nonostante un disperato lobbying e la spaccatura degli organi di sicurezza, del sistema mediatico, e parecchie personalita’ di alto profilo, tra cui il presidente stesso. C’e’ stato un inatteso fronte di protesta bipartisan, che ha respinto ricatti e pressioni. Un’occhiata a The Guardian aiuta a percepire la questione.
 La crisi Snowden-NSA si è installata nel cuore di Washington, con un sommovimento sussultorio negli organi di spionaggio e in istituzioni di livello elevato, con effetti abreve termine imprevedibili, su vari livelli. Un dato e’ emerso con forza: la NSA non e’ piu’ intoccabile, intangibile e ora si mette in discussione la sua funzione, che l’ha collocata al di sopra e al di fuori di ogni controllo. Gli eletti dal popolo hanno manifestato una certa ribellione contro una entita’ che agisce nell’ombra e non risponde a nessuno.

Il voto della Camera è per ora privo di effetto, visto che il Congresso va in vacanza dal 1 ° agosto ai primi di settembre: puntano alla smobilitazione dei manifestanti e alla decelerazione dello scandalo internazionale. Pero’ lo scandalo-NSA e’ diventato ormai la preoccupazione centrale del Congresso USA, che non si e’ comportato con la stessa acquiescente passivita’ dei Parlamenti d’Europa, per nulla turbati dal nuovo ruolo manifesto di vittime passive e conniventi.

Il sacificio di Snowden che -al posto di vendere i suoi segreti a uno Stato-  ha scelto di rivelarli al mondo, sembra che non e’ stato inutile, e da i primi frutti.
http://selvasorg.blogspot.it/2013/07/washington-la-nsa-non-e-piu-intoccabile.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed:+selvas/blog+(Selvas+Blog)

Giancarlo Erdogan Caselli

http://www.contropiano.org/articoli/item/18269

Giancarlo Erdogan Caselli

 

Non c’è nulla di più triste di un vecchio tormentato dalla coazione a ripetere. Chi in questi giorni frequenta una spiaggia può rendersene conto con facilità. A ogni angolo anziani “conquistadores” in posa, con gli occhiali scuri, lo sguardo malandrino o finto disinteressato, in attesa di una donna – di qualsiasi età, il casanova anziano sa di doversi accontentare. In riva al mare, con la pelle un po’ flaccida sotto quelli che una volta erano i pettorali da richiamo e le cosce svuotate dei quadricipiti, esibiscono un rituale consaputo per cui non hanno più il fisico. La concorrenza più giovane li guarda, li salta, inventa altri rituali per l’identica religione. Un filo d’odio scorre dall’angolo dell’occhio dell’anziano assiso, invano proteso a cavar fuori dalla cascata di rughe la postura del “ghepardo di una volta”.

 Accade anche in magistratura. Accade a Torino, dove una Procura d’altri tempi persegue reati immaginari dando loro i nomi di altri tempi, travisando il presente secondo “fattispecie” oggi irrintracciabili.

 Prendiamo per un atimo sul serio l’accusa di “attentato per finalità terroristiche o di eversione dell’ordine democratico”, ai sensi dell’art. 280 codice penale, elevata contro alcuni attivisti No Tav. Si tratta di un’aggravante specifica che punisce con pene fino a venti anni di carcere chi “attenta alla vita od alla incolumità di una persona”.

 Va da sé che per “attentare alla vita” bisogna disporre di mezzi d’offesa adeguati e organizzazione che preveda esplicitamente tra i propri obiettivi l’uccisione dei nemici; ovvero armi e organizzazione clandestina. Due caratteristiche completamente assenti nel movimento No Tav, i cui esponenti sono usi a intervenire pubblicamente e le cui “dotazioni militari” non vanno oltre – in singoli casi – i sassi e le maschere antigas (notoriamente strumento di difesa contro eserciti criminali che fanno uso di armi chimiche che la Convenzione di Ginevra condannerebbe anche in zona di guerra).

 Resta quindi la domanda: perché la Procura di Torino ha preso questa strada così assurda da un punto di vista giuridico e reazionaria su quello politico?

 Per provare a rispondere bisogna prima ricordare qual’è la “cultura giuridica” del Procuratore capo del capoluogo piemotese e subito dopo mettere in evidenza le conseguenze politiche di questa azione abnorme, nella prospettiva di un autunno che s’anuncia pieno di conflitto.

 Come hanno notato osservatori insospettabili – persino il Corriere della sera! – l’accusa “terroristica” è un “salto di qualità” nella strategia giudiziaria del pool guidato da Giancarlo Caselli, una “prima volta” nel lungo confronto tra movimenti di protesta sociali e potere repressivo dello Stato. Una “prima volta”, evidentemente, che riguarda le pratiche messe in atto.

 In tutto e per tutto, le azioni del movimento No Tav fanno parte della normale strumentazione della protesta di piazza, per quanto sui terreni impervi tipici di una valle alpina. E mai era accaduto che simili pratiche venissero indicate come “terroristiche”. Per il buon motivo – anche giuridico – che mancava l’uso di “armi” (se non quelle messe in mostra con dubbia generosità dalle cosiddette “forze dell’ordine”) e quindi qualsiasi possibile intenzione di “attentare alla vita od alla incolumità di una persona”.

 E questo senza nemmeno scomodare un’altra e più giustificata visione storica dei conflitti che non classifica come “terrorismo” neanche le guerriglie, ma soltanto l’uso di mezzi di distruzione di massa contro popolazioni civili. Ovvero quello che, tra gli altri, ha messo in atto lo Stato italiano nei confronti del proprio popolo dagli anni ’60 in poi (la stranota “strategia della tensione”).

 In questa decisione della Procura torinese pesa una visione dello strumento giudiziario come “arma di guerra”, senza nessun rapporto con la “legalità” e tanto meno con la “giustizia”. L’estensione dell’accusa di “terrorismo” alla normale protesta di massa, anche “robusta”, implica che nella testa di quei magistrati l’azione penale sia uno strumento “flessibile” da usare secondo una logica di guerra. Il magistrato inquirente cessa di perseguire un insieme codificato di “fattispecie” per adottare invece quelle accuse che meglio rispondono alla “necessità” di perseguire alcuni oppositori politici.

 È come se per impedire che un semplice ladro di merendine possa “tornare a delinquere” in seguito alla scarcerazione – perché la “pena” è necessariamente breve – lo si accusasse di “rapina all’interno di un disegno criminoso” di più largo respiro. È come se una singola protesta contro un singolo progetto considerato letale per un territorio specifico venisse inquadrata giuridicamente come un “attentato ai poteri dello Stato”. Ai poteri, non alla sovranità, che ormai non esiste più nei fatti.

 Per la Procura di Torino, insomma, va elevata l’accusa che fa più male agli accusati, non quella che il codice penale in certi casi prescriverebbe. In questo modo si torce il diritto in rovescio giuridico, si trasforma il contenzioso processuale in guerra. Contro una popolazione civile e la sua parte necessariamente più attiva: i giovani e chi ha più “visione” della protesta in atto. Non magistrati dunque, ma fabbri ferrai della repressione, “immaginifici” dell’accusa, “combattenti” di un potere insofferente di ogni manifestazione d’opposizione.

 Sarebbe facile a questo punto definire “fascista” questa cultura. Ma sarebbe sbagliato. Qui non c’è alcun preteso “ordine valoriale superiore” da imporre con la forza. Non c’è alcuna “modernizzazione reazionaria” ostacolata strada facendo da interessi definiti sbrigativamente “arretrati”. La Tav Torino-Lione è un’opera inutile, che al momento non ha neppure la certezza di poter esser completata (la Francia ha rinviato la decisione sulla parte di lavori di sua competenza), portata avanti – tra le altre – anche da alcune imprese in odor di malavita. Non è insomma in gioco nulla di più che una marea di appalti finanziati con denaro pubblico per arricchire, mal che vada, un nucleo ristretto di sventratori di territorio.

 Sul piano politico, la Procura caselliana indica la strumentazione adottabile nel conflitto sociale a venire, magari già in questo autunno. Dalla finanza al diritto “creativo” il passo è breve, ma verso gli inferi.

 La provocazione ha una sua pericolosità. Punta infatti apertamente a “sollecitare” un analogo e suicida “salto di qualità” in alcune frange di movimento. Magari attivando alla bisogna quel manipolo di infiltrati che da molti anni lavora per portare attivisti e compagni inesperti tra le braccia poco amorevoli di questure e procure; e in qualche caso con “successo”. Per ora sono partite solo alcune lettere sconclusionate, ma la agghiacciante subalternità dei media mainstreamle ha traformate in “segnali politici”. Naturalmente a doppio senso.

 Come a Gezi Park o in cento altri luoghi del presente capitalistico, un modo di produzione e riproduzione della vita, stretto nella morsa di una crisi da cui non sa più come uscire, reagisce nello stesso identico modo: dichiara “terrorista” la parte più intelligente, attiva, partecipe, lungimirante, della popolazione che dovrebbe in teoria rappresentare. Che a questa torsione reazionaria del capitalismo in crisi partecipi in prima fila l’ex gotha dell’ex Pci – al Quirinale come a Torino – non ci sorprende più di tanto. Ma in questa infima e stanca replica dello sciagurato “compromesso storico” non è più rintracciabile alcuna grandezza, per quanto fosca e gravida di lutti.

 Solo una triste coazione a ripetere, tragicamente simile a quella dei vecchi “cucadores” con la testa imbiancata, affollata di ricordi di “grandi imprese” ormai impossibli.

Albanesi s’impadroniscono della casa di un’anziana

un GRANDE ESEMPIO DI INTEGRAZIONE

Albanesi s’impadroniscono della casa di un’anzianaPubblicato da ImolaOggiCRONACA, NEWSlug 30, 2013
anziana2LIVORNO, 29 LUG – Avrebbero approfittato di una ex suora 80enne, invalida, riuscendo con l’inganno a prendere la residenza in casa sua: così, stamani, per marito e moglie albanesi di 36 e 28 anni, la squadra mobile di Livorno ha eseguito la misura cautelare di allontanamento dalla casa, disposta dal gip.
. I due, approfittando della sua condizione, si sarebbero appropriati anche della camera da letto della donna, costretta anche a chiedere il permesso per entrare e a dormire su un letto di fortuna.
http://www.imolaoggi.it/?p=57534

Ci sono evasori ed evasori

“La decisione del sindaco di Forte dei Marmi di impedire agli immigrati di operare in spiaggia è la dimostrazione che bisogna urgentemente dare il diritto di voto agli immigrati. Quando questo sarà possibile, vedrete che le cose cambieranno”.”
Cecile Kyenge

“Ci tenevo a ringraziare pubblicamente il ministro Kyenge per essersi schierata al fianco degli evasori fiscali che operano abusivamente sulle spiagge di Marina di Massa. Era ora che un ministro della repubblica, e non un fassina qualsiasi, trovasse il coraggio di affermare pubblicamente che chi toglie i soldi a questo Stato merita più considerazione e rispetto. Confido, visto il Suo lungo curriculum di battaglie contro ogni forma di razzismo, che mantenga la stessa posizione anche quando gli evasori avranno la pelle bianca.”
cit.

L’INTEGRAZIONE URGENTE? QUELLA DEI NOSTRI POVERI: TERMOLI, 78 ANNI, 400 EURO DI PENSIONE, SFRATTATO IACP D ORME IN MACCHINA DA 1MESE

poveri in Italia? non esistono. Siamo solo un esercito di choosy sfaticati. Non si danno nemmeno la pena di sapere quante persone sono indigenti e come vivono…..Ah giusto. Non esistono, per questo i media non ne parlano

L’INTEGRAZIONE URGENTE? QUELLA DEI NOSTRI POVERI: TERMOLI, 78 ANNI, 400 EURO DI PENSIONE, SFRATTATO IACP DORME IN MACCHINA DA 1MESE
Posted on luglio 30, 2013
 
A 78 anni sfrattato e solo: Tonino, che vive in macchina nel parcheggio dell’ospedale
Dorme nella Cinquecento bianca parcheggiata da un mese sotto il sole spietato del piazzale ospedaliero. Cucina con un fornelletto da campo e si ripara sotto una tenda di fortuna montata sul cofano. Nessuno, in queste settimane, gli ha dato una mano. Eppure Antonio Pagano è “uno di noi”, nato a Larino e tornato a Larino 43 anni fa dopo l’esperienza da emigrante in Australia. Sfrattato dall’alloggio Iacp l’inverno scorso, ha vissuto in una masseria prima di approdare a Termoli e fare del parcheggio d’asfalto la sua dimora. Una storia agghiacciante nel Molise dove non esiste più lo stato sociale.

Termoli. A vederle, quelle due auto parcheggiate una accanto all’altra, con sedie da pic-nic attorno e una tenda a fiori sporca e consunta che penzola dal bagagliaio aperto nel vano tentativo di fornire un po’ d’ombra, non lo diresti mai. Che non è la scena di una scampagnata, per quanto stramba, ma è una casa, quella. Una casa ai margini del parcheggio di cemento arroventato dell’ospedale San Timoteo. La casa di Antonio Pagano, per tutti “Tonino”, da un mese. Lì dentro ci dorme poche ore, vicino a una radiolina a batterie che manda musica gracchiante e a un quadro della Madonna. Lì dentro ci cucina, tira fuori pane e verdure dal cofano, olio e cipolle che mette insieme alla meno peggio con l’aiuto di un fornelletto da campo.

Lì dentro, tra la Fiat Cinquecentoe la Fiat Panda, una verde e una bianca, entrambe sue – le uniche cose che gli sono rimaste – c’è un mondo fatto di stracci e carte giudiziarie. Che Tonino tira fuori a pacchi, liberandole dalle cartelline di plastica, per mostrate le denunce e i verbali che raccontano pezzi di una storia qualunque finita nel modo più incredibile. A vivere in macchina in un parcheggio riscaldato dall’afa e dai fumi dei tubi di scappamento, invisibile per i servizi sociali, malgrado il contorno da circo.

Lo hanno notato però i podisti che la mattina presto macinano qualche chilometro su quella strada, col fresco. Lo sa l’edicolante che di fronte al parcheggio osserva gli spostamenti diurni di quell’uomo anziano, la pelle dura e abbronzata, gli occhi chiarissimi velati dalla cataratta. Non ci vede bene, Tonino, ma continua a guidare per cercare, da un ufficio all’altro, qualcuno che gli dia una mano. Qualcuno – un avvocato, un patronato, un amministratore pubblico – che almeno lo stia a sentire, che si prenda la briga di capire come è finito in mezzo alla strada un uomo di 78 anni, padre di tre figli tutti vivi, che 43 anni fa è tornato dall’Australia nella sua Larino. «E’ la città dove sono nato e dove non voglio morire» dice succhiando il filtro di una sigaretta, mentre lampi di vergogna e disgusto s’alternano sul volto scavato.

Le due auto sono lì da un mese, tra pezzi di pane secco, scarti di verdura che ripone nelle buste dell’immondizia, un bidone per l’acqua ormai vuoto. «Non ce la faccio più, non posso vivere così. Voglio una casa, ho diritto a una casa». Era un uomo come tanti, Antonio Pagano, prima di diventare suo malgrado un senzatetto. Ha fatto il meccanico e il carrozziere in Australia, si è sposato e ha messo al mondo tre figli che ogni tanto lo chiamano ma che non vede mai. «Mia moglie è morta e io sono tornato in Italia nel 1971 coi tre bambini, ho vissuto nella casa dei miei genitori con loro due». Poi il padre e la madre sono morti, e quella casa è rimasta a un fratello col quale i rapporti non sono mai stati idilliaci. Quindi la trafila per un alloggio popolare.

«Per quindici anni ho abitato in una casa che mi ha dato il Comune, ma poi mi hanno sfrattato».

Fa i nomi di chi, in divisa, «è venuto a prendermi a calci, a buttarmi dalle scale senza pietà, come un criminale». Questo è accaduto, si legge nell’esposto inoltrato alla Procura della Repubblica, nell’inverno scorso. Antonio, arrabbiato ma impotente, ha contattato «l’avvocato che non mi risponde mai», si è trasferito provvisoriamente un una masseria «ma mi hanno mandato via anche di là» e ha girato i paesi a ridosso della Bifernina fino a decidere di fermarsi a Termoli, in questo piazzale senza un filo d’ombra, dove i parenti dei pazienti in corsia ormai lo salutano come uno di casa: “Ciao Tonì”.

Diabetico, zoppo, malato: ce le ha tutte. Una pensione di invalidità da 400 euro al mese, un vecchio cellulare («me ne hanno rubati già tre») che a malapena sa usare. Ogni volta che deve fare una chiamata è una impresa, una sfida con la vista opaca e il tremolio delle mani. Il caricabatterie agganciato all’accendisigari della Cinquecento lo sta per abbandonare. Il latte nella busta è inacidito. Le sedie pieghevoli sono bucate. La canottiera è sporca, i pantaloni stazzonati hanno bisogno di un bagno in lavatrice. «Non mi fotografare in faccia, mi vergogno a farmi vedere così». Piange, Tonino Pagano, classe 1935, emigrante, padre, vedovo. «Sono solo, e solo in queste condizioni cosa posso fare?». Alza un pugno, la rabbia asciuga le lacrime e poi si sgonfia sconfitta dalla realtà: in un mese nessuno si è nemmeno preoccupato di andare a vedere che faccia ha questo vecchio, uno dei “nostri vecchi”, uno dei vecchi del Molise senza più stato sociale.

FONTE:

http://www.primonumero.it/attualita/primopiano/articolo.php?id=14349

TAV – Lettera a “La Stampa” di Torino

Alla Redazione de “La Stampa” di Torino

p.c.

Prof. Nicoletta Dosio- Bussoleno

Prof. Noam Chomsky- Boston- M.I.T.- socio ANPPIA Torino

Prof. Ing. Massimo Zucchetti- Politecnico di Torino- socio ANPPIA

Prof. Tamara Bellone – Politecnico di Torino- socio ANPPIA

Perito industriale Luciano Davi- esperto informatico- Chianocco

A.N.P.P.I.A.- Roma

 

Ascolto oggi ai telegiornali nazionali che sono indagati per terrorismo alcuni manifestanti Notav. Inorridisco, anche se me lo aspettavo da tempo.

Certo la protesta in val di Susa è dura, ma è completamente estranea al terrorismo! È chiaro, evidente ad un bambino.

Mi indigna il metodo fascista della polizia e della Magistratura, che assomiglia ormai alla famigerata OVRA come più volte mi ricordava mio padre Sergio, preoccupato per la democrazia in Italia dai giorni dell’amnistia ai fascisti concessa da Togliatti. Ebbene si, mia sorella Tamara conobbe la repressione nel1968 aTorino per una banale e pacifica manifestazione al liceo Cavour di Torino, repressione violenta guidata dal capo della polizia di Torino che nel 1940 aveva arrestato mio padre Sergio con gli uomini dell’OVRA. Servizi segreti e polizia erano in mano agli ex-fascisti e che carriera con la Repubblica fondata sulla Resistenza!

Nel 2000 prima di morire per anzianità ricordo gli incitamenti di mio padre a combattere per la Libertà sostenendo anche la sua grande amica Nicoletta Dosio contro il tav e contro la guerra alla Jugoslavia.

Ricordo, sono costretto a ricordare, la grande manifestazione contro le violenze della polizia, di notte, agli anziani che dormivano in tenda, inermi, a Venaus l’8 dicembre. Manifestazione a cui partecipai dopo la cerimonia del ricordo del giuramento della prima banda partigiana alla Garda di San Giorio di Susa. Ebbene quel giorno, senza apparente motivo, un poliziotto spaccò il naso alla amica Nicoletta Dosio, con un improvviso colpo di manganello, per probabile ordine di qualche questore o vicequestore di Torino. Non c’era motivo di ordine pubblico, c’era l’ordine di carattere politico, di bisogno di violenza come alla caserma Diaz. Eravamo 80mila, disgustati dalla violenza gratuita e stupida di rappresentanti delle Istituzioni, eravamo senza alcuna organizzazione, come gli anarchici della Comune di Parigi del1871, adifendere l’Italia dalla brutalità di chi si definiva la legge e l’ordine e invece organizzava l’illegalità e il disordine.

Ieri l’ennesima violenza: perquisizione alla ricerca di chissà cosa al locale di Bussoleno “La Credenza” di proprietà dell’amica Prof. Nicoletta Dosio.

Cara Nicoletta ricorda che mio padre Sergio, condannato a 14 anni di carcere dal Tribunale speciale fascista, ti ha sempre stimato per i tuoi ideali di Libertà, per il tuo impegno politico, per la tua onestà intellettuale, per il tuo impegno nell’insegnamento della legalità che hai dimostrato al liceo scientifico di Bussoleno e nella lotta al tav.

L’amico Noam Chomsky che più volte ci ha incoraggiati a lottare per la Libertà, mi ha spesso ripetuto che il ricordo dei nostri padri che hanno lottato per la Libertà deve essere scolpito nelle nuove lotte, non deve essere solo un ricordo.

La Credenza, il nome del tuo locale, celebra il movimento eretico di fra’ Dolcino. Chi più di lui può ricordarci che la lotta per la Libertà non ha mai fine?

Un altro eretico attraversò la val di Susa e il ricordo è vicino alla Credenza di Bussoleno, è scritto sulla facciata di casa mia a San Giorio di Susa. Era l’ottobre del 1582, quando, guidato dal suo destino, Giordano Bruno attraversava la val Susa per andare in Francia. Il suo spirito ribelle non ha mai lasciato la valle, come ripeteva mio padre: “preferisco essere chiamato ribelle, i volontari della Libertà sono prima di tutto ribelli, ribelli della valle di Susa”.

Un caro saluto

 

Boris Bellone – Torino

Comunicato Stampa ANPI

Terroristi, eversori? Noi non ci crediamo. Giulia, Martina, Luca, William e Andrea sono compagni e compagne nostri tesserati, che insieme agli altri compagni hanno subito l’accanimento della procura di Torino, Compagni che si spendono nella nostra sezione per portare avanti quei valori di democrazia e libertà che i nostri Partigiani ci hanno insegnato e trasmesso. Sono giovani che credono in ciò che fanno e che lottano contro un’opera inutile e devastante, tanto più in questo momento di crisi generale pesante. Sono giovani che lottano per un futuro migliore ma che sappiamo non capaci di alcuna azione terroristica o eversiva. Chiediamo che la giustizia non sia ancora una volta porta girevole per i veri criminali e trappola per chi ha la sola colpa di lottare per la propria terra e il proprio futuro e per quello degli altri. Questo, nel giorno dei festeggiamenti del compleanno del boia nazista Priebke ed alla vigilia del giorno in cui agli assassini di Aldrovandi sarà permesso di tornare a casa.

Alla luce di ciò che è emerso dalla lettura dei verbali di sequestro in mano ai nostri Compagni, si evidenzia che uno dei reperti “più sequestrati” ai dodici attivisti e un foulard rosso, in cotone con recante il logo della “42 Brigata D’assalto “Walter Fontan” – A.N.P.I. sez. Bussoleno-Foresto-Chianocco”. Dunque il foulard della nostra sezione. Ciò ci inorgoglisce molto ma allo stesso tempo ci fa riflettere su una questione: è allora da ritenersi eversivo solo il foulard rosso garibaldino per il quale i nostri martiri partigiani si sono immolati ed altri hanno rischiato la vita, oppure anche la nostra sezione deve ritenersi eversiva?

È pur vero che di questi tempi, l’antifascismo, la Resistenza, l’A.N.P.I. stesso, sono considerati da molti, da troppi come valori non più attuali, da dismettere in qualche modo, ma noi crediamo che questa volta si sia passato il segno ed il confine della serietà ed in altro modo della democrazia stessa.

Li hanno chiamati eversivi, terroristi, attentatori, rimbalzati sulle prime pagine di tutte le testate giornalistiche, cartacee, radiofoniche e televisive. Ma loro non sanno, coma sappiamo noi chi sono i nostri Compagni e le nostre Compagne. Han sequestrato maglie, felpe, cappellini, foulard rossi, telefoni, computer, pile frontali, torce (a pila). Alcuni nella data dell’episodio contestato addirittura non c’erano, basta forse questo alla Procura e ai media per definirli in tal modo?

I Compagni della sezione “68 Martiri” dell’A.N.P.I. di Grugliasco, mesi addietro organizzarono un dibattito dal titolo “Emergenza Democratica in Valle di Susa” e furono derisi, ingiuriati ed attaccati poiché secondo alcuni non esisteva nessuna emergenza democratica. E questa allora cos’è?

Repressione è il termine che ci viene in mente.

Sono forse meno eversori gli esponenti politici, deputati, senatori, ministri addirittura che predicavano e predicano la secessione dell’italia? Sono meno eversori quegli esponenti politici, deputati, senatori, ministri addirittura, che si schierano davanti ai tribunali per difendere un loro pari accusato per un infinita di reati? O quelli che tempo fa chiedevano alla marina di aprire il fuoco sui migranti che arrivavano via mare in Italia scappando da un Africa in sangue?

Ribadiamo inoltre la nostra vicinanza e la nostra solidarieta anche ai gestori dell’Osteria “La Credenza” di Bussoleno, da sempre punto di aggregazione e di solidaretà che tanto ha contribuito per la crescita di tanti di noi.

Per questo motivo e per un infinità d’altri domani sera la nostra sezione parteciperà al presidio solidale previsto in Piazza del Municipio a Bussoleno alle ore 21.00. Perché nessuno è mai da solo, perché si parte e si torna insieme e perché, come i nostri Partigiani, non faremo mai nessun passo indietro. Ne ora, ne Mai.

Direttivo A.N.P.I. sez. G.Peirolo – F.Ferrario (Bussoleno) 


Mario “m3” Solara
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CENSURA DI STATO

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e’ bene che tutti sappiano che a montecitorio c’e’ una postazione fissa della RAI che avuto ordine dal governo di NON trasmettere nulla al riguardo della protesta dei malati che da una settimana protestano in presidio li giorno e notte.
I GIORNALI E LE TELEVISIONI tacciono perche’ se Sandro muore hanno paura di una rivoluzione. Diffondete queste notizie ovunque potete, almeno fate questo.
Sostenitori Del 118 Soccorso Italiano

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