Maxiprocesso ai notav: la farsa e l’intimidazione continuano

ingiustiziaChe il maxi processo abbia qualcosa di surreale già solo per dove viene svolto, cioè nell’aula bunker del carcere delle Vallette, è un dato di fatto, ma ormai la gestione dell’inquisizione contro i notav ha superato il segno da molti punti vista.

L’udienza in corso è presidiata da uno schieramento di forze dell’ordine elevatissimo per far capire da subito “quanti ne siamo” come si direbbe nelle piazze di qualche paese in una rissa tra fazioni. E con questo medoto, da bulletti, i Pm  e la Procura costruiscono, assecondati dalla corte, il processo a carico dei 52 notav.

-Oggi la corte doveva decidere sullo spostamento del processo al Palazzo di giustizia, e come era prevedibile, ha rifiutato l’istanza presentata dagli avvocati della difesa ( alla quale si associavano con motivazioni diverse anche quelli delle parti civili), adducendo motivi di ordine pubblico.

-La procura ha rifiutato, come di norma, comunicare alla difesa i testimoni che saranno sentiti oggi in aula. La comunicazione dei testi è cosa normale tra le parti, ma in questo caso no, e nei giorni passati la comunicazione dei Pm che era filtrata diceva”se vi comportate bene ve li diciamo”. Guardacaso oggi sarà sentito il capo della Digos Petronzi ma alla difesa non è ancora stato comunicato in questo momento.

-un altro punto rilevante riguarda l’ennesimo atto truffaldino di chi ha deciso di intraprendere una vera e propria missione contro i notav: I due Pm sono in possesso del materiale difensivo del pool di avvocati notav perchè lo hanno, consapevolmente, sequestrato durante le perquisizioni per stalking dei giorni scorsi. Fatto molto grave perchè uno dei perquisiti è un consulente dellal difesa e il pm che ha ordinato la perquisizione, sentito al telefono mentre quella era in corso, ha detto di sequestrare tutto  il materiale poi si vedrà.

Si gioca sporco insomma, sulla pelle degli imputati e della Valle intera, e il gioco è palesemente truccato.

http://www.notav.info/post/maxiprocesso-ai-notav-la-farsa-e-lintimidazione-continuano/

I terroristi del Xinjiang addestrati e supportati in Siria e Turchia

LUGLIO 4, 2013- Lin Meilian, Global Times 1 luglio 2013
Da studente straniero ad Istanbul a soldato addestrato ad Aleppo in Siria, a terrorista che trama attentati nella Regione autonoma uigura del Xinjiang in Cina, il 23enne Memeti Aili ha detto di vedere il suo sogno trasformarsi in incubo. Memeti Aili è stato recentemente arrestato dalla polizia quando è ritornato nello Xinjiang per completare la missione per “condurre un violento attentato e migliorare le propria capacità di combattimento“, assegnatagli dall’East Turkestan Islamic Movement (ETIM). L’ETIM è un gruppo terroristico che mira a creare uno Stato islamico nel Xinjiang, collaborando con l’Associazione di Educazione e Solidarietà del Turkestan Orientale (ETESA), un gruppo in esilio ad Istanbul. “Dopo aver ascoltato le loro lezioni, tutto quello che riuscivo a pensare era la jihad e ho completamente abbandonato i miei studi e la mia famiglia“, ha detto alla polizia. “Ma, ripensandoci, era come un incubo.”
Un funzionario dell’antiterrorismo ha detto a Global Times, durante un’intervista esclusiva, che circa 100 persone come Memeti Aili si erano recate in Siria per unirsi alla lotta dei ribelli siriani, lo scorso anno. “Il loro scopo è superare le proprie paure, migliorare le loro capacità di combattimento e acquisire esperienza nella realizzazione di attentati terroristici“, secondo il funzionario che ha preferito restare anonimo. Lo Xinjiang, nella Cina occidentale, confina con l’Asia centrale e ospita 10 milioni di uiguri. E’ stata scossa da due attentati terroristici che hanno ucciso 35 persone, la scorsa settimana, pochi giorni prima del quarto anniversario della sommossa del 5 luglio nella capitale Urumqi, che provocarono 197 morti. Yu Zhengsheng, membro del Comitato permanente dell’Ufficio Politico del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (CPC), ha guidato un team di lavoro ad Urumqi dopo che il Presidente Xi Jinping ha disposto le misure per la salvaguardia della stabilità sociale. “S’intensificheranno gli sforzi per reprimere i gruppi terroristici e le organizzazioni estremiste, rintracciando i mandanti di questi crimini“, ha detto Yu alla Xinhua News Agency.

Una battaglia sgradita
Nel 2011, dopo la laurea ad Urumqi, Memeti Aili è andato a studiare in Turchia, come molti altri studenti musulmani uiguri. Poco dopo essersi sistemato a Istanbul, qualcuno dell’ETESA l’ha avvicinato e gli ha offerto “aiuto”. Un anno dopo, terminati gli studi, Memeti Aili venne informato da ETESA e ETIM che era stato scelto per recarsi in Siria per unirsi ai combattimenti. Insieme ad altri giovani, Memeti Aili si recò ad Aleppo, la più grande città situata nel nord-ovest Siria e si unì ai ribelli. La percentuale di combattenti stranieri in Siria ha raggiunto l’80 per cento, provenienti da 29 Paesi come Libia, Turchia, Libano e Yemen, secondo Umran al-Zubi, ministro dell’informazione del governo di Assad.
Prima di arrivare in Siria, Memeti Aili ha detto che non aveva mai toccato una pistola. Questi giovani ricevettero sette giorni di addestramento nella periferia di Aleppo, dove non c’era né acqua, né corrente elettrica, e il cibo era scarso. “Abbiamo dovuto cambiare posto quattro volte al giorno nel timore di possibili attacchi da parte dell’esercito siriano, quindi non abbiamo imparato molto quella settimana“, ha ricordato. Durante l’addestramento gli fu mostrato come sparare e come fabbricare bombe. Ma non tutti ebbero la possibilità di una pratica e molti guardavano soltanto, sperando che qualcosa sarebbe successo. Dopo che l’addestramento terminò, Memeti Aili fu assegnato all’Esercito libero siriano (ELS), la struttura armata dell’opposizione in Siria. “Abbiamo girovagato intorno Aleppo come pazzi, per evitare possibili bombardamenti e attacchi aerei“, ha detto Memeti Aili, “non abbiamo visto l’esercito siriano, ma abbiamo visto i luoghi in cui i nostri ragazzi sono stati colpiti dalle bombe e uccisi.” Ha trasportato dei feriti negli ospedali locali, ma gli fu detto che il solo ospedale attivo veniva spesso bombardato. I suoi compagni furono lasciati morire. Ciò che ha sorpreso Memeti Aili di più è stato che i combattenti stranieri non erano ben accolti dalla gente del posto. “Abbiamo pensato che avendo portato la guerra santa in Siria ci avrebbero dato il benvenuto, ma il fatto è che la gente del luogo ci disse che non eravamo i benvenuti in quanto non vogliono cambiare il loro stile di vita“, ha detto Memeti Aili.
La maggior parte dei combattenti inesperti fu uccisa a causa di equipaggiamenti inappropriati. Fortunatamente per lui, Memeti Aili fu assegnato alle pattuglie notturne invece che alla prima linea. Due mesi dopo fu rimandato a Istanbul. In una dichiarazione pubblicata sul sito ufficiale del gruppo, nel 2012, l’ETESA ha negato che un qualsiasi uiguro sia andato in Siria per unirsi ai combattimenti e ha dichiarato di non essere associata ad alcuna organizzazione terroristica. “Gli uiguri non hanno mai partecipato a nessuna attività terroristica o non hanno mai effettuato azioni violente contro chiunque o qualunque governo“, disse.

L’estremismo nel Turkestan orientale
Parlando dopo gli attentati terroristici del 23 aprile nella città di Bachu, nello Xinjiang, che uccisero 21 persone, Meng Hongwei, Viceministro della pubblica sicurezza, ha detto che la lotta è influenzata dall’estero. Ha dichiarato che i “terroristi secessionisti” del Turkestan orientale  intervengono mentre la polizia impiega la mano pesante contro le bande terroristiche del Turkestan orientale e i loro rudimentali ordigni esplosivi. “Poiché il numero degli attentati terroristici internazionali è in aumento, dobbiamo restare vigili contro l’infiltrazione, la sovversione e le attività separatiste delle forze ostili, in patria e all’estero“, avrebbe detto Meng secondo Xinhua. Ahmatniyaz Sidiq, un uiguro presumibilmente legato all’organizzazione di attività estremiste fin da febbraio, la scorsa settimana ha attaccato un edificio del governo locale e la stazione di polizia di Turfan, insieme ad altre 15 persone, secondo la polizia. La polizia ha detto di aver ascoltato le registrazioni degli uomini ai primi di giugno incitavano ad attività terroristiche, raccolta di fondi e a comprare coltelli e benzina per l’organizzazione.
La polizia cinese ha inferto un duro colpo all’ETIM in questi ultimi anni, ma l’ETIM sembra ancora in grado di ispirare i suoi membri alle “tre forze del male” del separatismo, dell’estremismo e del terrorismo, secondo il Ministero della Pubblica Sicurezza. Li Wei, esperto di antiterrorismo dell’Istituto cinese per le relazioni internazionali contemporanee, ha detto a Global Times che i recenti attentati terroristici nello Xinjiang dimostrano che “i terroristi secessionisti del Turkestan orientale hanno copiato il modello internazionale e lo utilizzano nello Xinjiang. Per esempio, il personale delle forze dell’ordine è diventato il loro obiettivo principale, e invece di lanciare attacchi suicidi, si concentrano sull’addestramento e il reclutamento di nuovi membri e sulla promozione dei loro valori“, ha detto Li, che ha anche affermato che gli attentati hanno svelato carenze nella strategia dell’antiterrorismo nel Xinjiang, come l’immissione di troppi poliziotti nelle grandi città e la necessità di apparecchiature più moderne. “Abbiamo bisogno di rafforzare l’addestramento antiterrorismo della polizia provinciale. C’è anche bisogno di aggiornarne le attrezzature e di incoraggiare i residenti a segnalare comportamenti sospetti e di premiarli” ha proseguito Li.
Affrontando un dibattito aperto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sull’approccio globale alla lotta al terrorismo, a gennaio, il viceministro degli Esteri cinese Cui Tiankai ha chiesto alla comunità internazionale di affrontarne le cause principali. “Questi attentati sono gravi minacce non solo per la sicurezza nazionale della Cina, ma anche per la pace e la stabilità nella nostra regione. La comunità internazionale deve combattere questi gruppi con unità di intenti e di azione“, ha detto Cui secondo Xinhua.

L’ambasciatore siriano sull’antiterrorismo
Yang Jingjie
Global Times: Ci sono state segnalazioni sui terroristi dal Xinjiang che partecipano al conflitto in Siria. Potete confermarle?
Imad Mustapha: La nostra stima è che vi sono coinvolti circa 30 cinesi. Il nostro informatore ci ha detto che circa 30 giovani uiguri sono andati in Pakistan per ricevere addestramento militare e poi sono andati in Turchia. Crediamo che il motivo per cui siano andati in Turchia dopo l’addestramento in Pakistan, era recarsi in Siria. Molto probabilmente, ora combattono nella città settentrionale di Aleppo, ma non ne siamo sicuri. Ciò che sappiamo per certo è che sono stati addestrati in Pakistan e poi inviati in Turchia. Il nostro informatore presente in un accampamento militare in Pakistan, ci ha detto che sono 30, ma questo non significa che non ce ne siano di più.
GT: L’esercito siriano ha ucciso o catturato terroristi del Xinjiang?
IM: Di solito non pubblicizziamo le informazioni su coloro che abbiamo catturato. Informiamo le agenzie d’intelligence dei rispettivi Paesi.
GT: Esiste una collaborazione tra la Siria e la Cina nell’affrontare gli estremisti?
IM: Condividiamo tutto quello che abbiamo con la Cina. Siamo sempre disposti a condividere tutto ciò che è nell’interesse della Cina. Abbiamo detto molte volte alla Cina che se quei estremisti, che combattono oggi in Siria, vincessero, andrebbero a combattere in un altro posto come l’Iran. Se vincessero in Iran, non si fermerebbero. Potrebbero finire per combattere in Russia o in Cina. Questo non è solo una lotta siriana. E’ una lotta tra le forze dei Paesi secolari e gli estremisti islamici fondamentalisti.
GT: Le autorità cinesi hanno rafforzato le misure di sicurezza nello Xinjiang sulla scia dei numerosi disordini della scorsa settimana. Qual è la reazione della Siria alla situazione attuale?
IM: In primo luogo, sosteniamo pienamente il governo cinese nel far rispettare l’ordine pubblico in tutto il Paese. In secondo luogo, sappiamo più di chiunque altro quanto siano pericolosi questi individui. Utilizzano il pretesto della religione per diffondere la loro agenda estremista, che appartiene al Medioevo e non al mondo d’oggi. In terzo luogo, siamo assolutamente fiduciosi che la Cina abbia forza e competenze per poter affrontare questi gruppi terroristici e sappiamo che sempre più cinesi capiranno la natura della lotta in Siria contro questi gruppi. Si tratta di un nemico comune ad entrambe le nostre nazioni.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
http://aurorasito.wordpress.com/2013/07/04/i-terroristi-del-xinjiang-addestrati-e-supportati-in-siria-e-turchia/

La caduta di Morsi e l'”estate araba” condannano la dottrina Obama

LUGLIO 5, 2013
Wayne Madsen Strategic Culture Foundation 05.07.2013
La politica del presidente Barack Obama verso il mondo arabo e musulmano è nata ed è morta a Cairo. Il 4 giugno 2009, Obama tenne un discorso, dal titolo ‘Un nuovo inizio’, all’Università di Cairo. L’evento, destinato a rammendare l’araldo delle relazioni statunitensi con il mondo arabo e musulmano dopo otto anni di retorica anti-musulmana neo-conservatrice dell’amministrazione Bush, fu co-sponsorizzato dal famoso centro degli studi di teologia islamica di al-Azhar. Fu forse pensando a ciò che il capo di al-Azhar, il Grande Imam Ahmad al-Tayyeb, assieme all’ex candidato presidenziale egiziano e diplomatico dell’ONU Mohamed al-Baradei e al Papa copto Tawadros, oggi sostiene l’estromissione da parte dei militari egiziani del governo dei Fratelli musulmani del presidente Mohamed Morsi.
L’amministrazione Obama, che ha dato un forte sostegno a Morsi attraverso l’ambasciatrice statunitense a Cairo, Anne Patterson, che stranamente non chiede la sospensione del colpo di Stato dei militari contro Morsi e i suoi ministri. Una legge nota come Leahy Amendment, scritto dal senatore democratico Patrick Leahy del Vermont, impone agli Stati Uniti di interrompere gli aiuti militari a qualsiasi Paese che subisce un colpo di Stato. La legge Leahy richiede la cessazione degli 1,3 miliardi di dollari di aiuti militari che gli Stati Uniti forniscono all’Egitto ogni anno. Tuttavia, i repubblicani al Congresso, in particolare quelli che supportano incondizionatamente Israele, hanno sostenuto il colpo di Stato, fornendo ad Obama e al segretario di Stato John Kerry l’appoggio politico per disapplicare le disposizioni dell’emendamento Leahy. Alla fine i repubblicani si preoccupano solo dei profitti delle aziende belliche degli Stati Uniti e d’Israele, non è un problema che dei governi eletti democraticamente siano abbattuti da colpi di mano militari. “L’angoscia del processo” è il dominio della folla della “responsabilità di proteggere” (R2P) del nuovo Consigliere alla Sicurezza Nazionale Susan Rice, della sua sostituta come ambasciatrice all’ONU Samantha Power, del Viceconsigliere per la sicurezza nazionale Ben Rhodes e dello stormo di accoliti di George Soros nei ranghi medio-bassi del dipartimento di Stato e della Casa Bianca. L’opposizione alla folla R2P avviene principalmente tra gli attuali “guerrieri” del dipartimento della Difesa, tra cui il presidente del Joint Chiefs of Staff, Generale Martin Dempsey.  E’ chiaro che l’aiuto militare degli Stati Uniti all’Egitto dovrà continuare al fine di placare l’esercito egiziano, che vedendo il sostegno di Patterson alla nomina di Morsi a presidente dell’Egitto, diventato sempre più intrattabile mentre in Egitto affrontava la crescente opposizione al proprio governo. Gli appelli pubblici di Morsi agli egiziani di sostenere la Jihad salafita e wahabita contro il governo siriano del Presidente Bashar al-Assad in Siria, è stata la “linea rossa” dei militari egiziani.

Patterson non è riuscita a riconoscere la forza e l’importanza dell’opposizione secolare in Egitto a Morsi e ha chiesto ai manifestanti di abbandonare le piazze e di cooperane sotto la Costituzione islamista. Patterson ha una lunga storia di sostegno a despoti e tiranni. Quando era ambasciatrice in Pakistan, non riuscì a sostenere il leader dell’opposizione Benazir Bhutto che fu infine assassinata da un amico di Patterson ad Islamabad, il Presidente Pervez Musharraf. Quando era ambasciatrice in Colombia, Patterson promosse il “Plan Colombia”, un programma di assistenza militare degli Stati Uniti che vedeva le forze paramilitari massacrare centinaia di civili colombiani. Il Washington Post, il sempre affidabile organo di propaganda del Pentagono e della CIA, definì Patterson la “mano salda” del dipartimento di Stato. Quando Morsi ha tagliato i rapporti con Damasco e ha dato il suo aperto sostegno ai ribelli jihadisti fu troppo per l’esercito egiziano. Patterson e altri grandi sostenitori nell’amministrazione Obama dei movimenti salafiti in Medio Oriente, come la Central Intelligence Agency (CIA) del direttore John O. Brennan, che avrebbe compiuto il pellegrinaggio alla Mecca, l’Hadj, mentre era capo della stazione CIA a Riyadh, per fare una cortesia del re saudita, chiaramente si leccano le ferite per la cacciata di Morsi. Morsi ha rappresentato un altro elemento centrale nella politica filo-saudita e filo-qatariota di Obama che ha visto leader arabi laici, seppur dispotici, estromessi con la forza in Tunisia, Egitto, Libia e Yemen.
Gli sciiti del Medio Oriente, rappresentati da Iran ed Hezbollah libanese, la minoranza alawita rappresentata dal governo di Assad e dal Partito popolare repubblicano (CHP) dell’opposizione laica in Turchia e dal suo leader alawita (Alevi) Kemal Kililcdaroglu, l’eredità cristiana della regione rappresentata dal presidente libanese Michel Suleiman e dai cristiani filo-Assad nel Gabinetto libanese, Armenia, Russia, Grecia e Vaticano hanno tutti visto nei tentativi dei salafiti, compresi i membri di al-Qaida, per conquistare la Siria, una “linea nella sabbia”. Dopo che Obama ha autorizzato l’invio di armi statunitensi ai ribelli siriani, costituiti principalmente da mujahidin stranieri appena usciti dai combattimenti in Afghanistan, Iraq, Libia, Somalia e Yemen, coloro che si sono rifiutati di assistere alla caduta del Medio Oriente sotto il dominio di un blocco sunnita- wahabita dominato da Qatar e Arabia Saudita che godevano del tacito appoggio di Israele e degli Stati Uniti, hanno agito. L’esercito egiziano è stato il primo ad agire. Naturalmente, la “dottrina Obama”, che richiede il sostegno politico e finanziario degli Stati Uniti per la cacciata dei regimi secolari eredi del socialismo pan-arabo, seguita dal supporto militare tramite terzi, come la NATO e le monarchie arabe wahabite del Consiglio di cooperazione del Golfo, è morta in piazza Tahrir, nel mezzo della rivoluzione dell’“estate araba” dell’Egitto. Molti egiziani celebranti la cacciata di Morsi hanno detto che sperano che Washington ritiri la sua ambasciatrice da Cairo. Patterson è stata definita “la ragazza di Morsi” da un certo numero di oppositori di Morsi. Sebbene Kililçdaroglu abbia condannato il colpo di Stato militare in Egitto, le sue parole erano sfumate e c’era un chiaro avvertimento rivolto non solo a Morsi e al governo spodestato dei Fratelli musulmani, ma anche al governo islamista della Turchia del Primo ministro Recep Tayyip Erdogan. Il leader dell’opposizione turca, che ha criticato il sostegno di Erdogan ai ribelli siriani contro Assad e le maniere forti di Erdogan in patria, ha detto, “Non è accettabile che nel mondo di oggi si rimanga insensibili alle richieste, ignorandole dicendo ‘Ho la maggioranza dei voti e faccio quello che voglio’.” Anche se pochi in Turchia sospettano che Erdogan possa fare la fine di Morsi con un colpo di Stato militare, la Turchia ha una lunga tradizione di golpe ed interventi politici, per cui tale prospettiva non può essere esclusa del tutto. Tuttavia, la caduta di Morsi ha inferto un duro colpo agli sforzi di Erdogan, degli statunitensi e dei radicali sunniti per costringere Assad a lasciare il potere in Siria. Kililçdaroglu ha affrontato gli attacchi incessanti di Erdogan per l’inclinazione filo-Assad del CHP.
Parlando a Damasco, Assad è stato chiaramente incoraggiato dalla caduta di Morsi. Il presidente siriano ha detto ai media siriani, “Quello che accade in Egitto è la fine di ciò che è noto come Islam politico.” L’avanzata dell’“Islam politico” è il risultato diretto del discorso di Obama a Cairo e del suo via libero agli attivisti, ai tecnici del social networking, ai consulenti della democrazia, ai “giornalisti” e ad altri sabotatori professionali dell’“industria della democrazia americana”, ad attivarsi in Medio Oriente. Assad ha aggiunto, “Ovunque nel mondo, chi usa la religione per fini politici, o per avvantaggiare alcuni e non altri, cadrà… Non si può ingannare tutto il popolo tutto il tempo, e tanto meno il popolo egiziano che ha una civiltà di migliaia di anni, e che sposa un chiaro pensiero nazionalista arabo.” I commenti di Assad non erano diretti solo ai Fratelli musulmani nel proprio Paese, ma ai potentati del Golfo arabo che influenzano la Confraternita, in particolare al nuovo emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad al-Thani, membro dei Fratelli musulmani che ha finanziato i ribelli salafiti in Siria e altrove. Sebbene lo sceicco Tamim abbia inviato un cablo di congratulazioni al nuovo leader provvisorio dell’Egitto, Adli Mansur, una delle prime stazioni televisive ad essere chiuse dal nuovo governo egiziano è stata al-Jazeera di proprietà del Qatar, che portava acqua ai ribelli radicali sunniti in tutto il mondo. Sono state chiuse anche le stazioni televisive dei Fratelli musulmani e salafiti.
Il nuovo governo ad interim egiziano, un Assad incoraggiato, l’Hezbollah libanese e l’opposizione laica della Turchia hanno vinto la battaglia contro coloro che vorrebbero riportare il Medio Oriente al medioevo arabo. La dottrina Obama è stata calpestata in piazza Tahrir. Mentre gli USA celebrano la Giornata dell’Indipendenza, gli egiziani celebrano la propria indipendenza da un regime che era il prodotto dei centri di riflessione e di sessioni segrete di pianificazione che coinvolgevano i nomi più più maledetti in Medio Oriente oggi: Brennan, Rice, Power, Rhodes, Hillary Clinton e Patterson…
La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

LA GRAN BRETAGNA SVILUPPA UNA NUOVA GENERAZIONE DI “ROBOT ASSASSINI”

La Gran Bretagna è pronta a sviluppare una nuova generazione di “robot assassini” per proteggere le proprie truppe sul campo di battaglia, ha detto il ministro degli Esteri. Alistair Burt, il cancelliere conservatore del Regno Unito, ha detto che la nuova tecnologia è un “passo avanti” rispetto ai veicoli senza pilota utilizzati attualmente in Afghanistan, perché questi robot sono in grado di selezionare e uccidere i suoi “obiettivi”, vale a dire, esseri umani.

Nel corso di un dibattito alla Camera dei Comuni, il ministro degli Esteri ha accettato (a parole) le preoccupazioni sollevate dai membri sul fatto che la tecnologia ha potenzialmente “terribili” implicazioni. Tuttavia, il ministro ha detto che il Regno Unito ha un “obbligo” verso le “persone che ci proteggono” e “si riserva il diritto” di sviluppare questa tecnologia.

Burt ha avvertito che il Regno Unito non si unirà alle Nazioni Unite per chiedere un divieto totale di questa tecnologia e ha sostenuto che i droni assassini saranno sempre sorvegliati da un essere umano.

La Gran Bretagna ha già sviluppato veicoli d’attacco in grado di operare senza controllo umano. Taranis, l’aereo senza pilota che porta il nome del dio celtico del tuono, può volare più veloce della velocità del suono e selezionare automaticamente bersagli. Il ‘dio celtico’ richiede l’autorizzazione di un controllore umano solo quando attacca un bersaglio. Il velivolo, che sarà utilizzato nel Nord Africa, ha fatto il suo primo volo all’inizio di quest’anno.

Nel frattempo, i laburisti hanno obiettato che tale tecnologia potrebbe creare un “vuoto” legale e morale. Il deputato laburista Nia Griffith ha detto: “Potrebbero essere ‘hackerati’ o sequestrati, magari usati contro lo Stato, oppure possono fallire con conseguenze fatali.”

Fonte: RT.com
http://www.vocidallastrada.com/2013/07/la-gran-bretagna-sviluppa-una-nuova.html

 

Infiammazione da cibo. Un disturbo poco conosciuto

By Edoardo Capuano – Posted on 30 giugno 2013

La medicina moderna si confronta quotidianamente con fenomeni di infiammazione a bassa intensità che spesso durano nel tempo e che per anni sono stati scarsamente compresi.

Il sospetto che l’alimentazione potesse avere un ruolo importante in questa situazione è sempre stato molto forte, ma i ricercatori si sono spesso avvicinati in modo controverso al tema delle intolleranze alimentari scontrandosi con pregiudizi, petizioni di principio e pratiche diagnostiche dubbie.

Il mondo scientifico sta ancora dibattendo sul valore di un tipo di anticorpo o di un altro, quando la realtà clinica e la ricerca hanno già consentito di capire che qualsiasi cibo può provocare in persone sensibilizzate la produzione di citochine e sostanze infiammatorie che provocano tutta la sequenza di sintomi, malattie e disturbi messi precedentemente in relazione con le cosiddette intolleranze alimentari. La scoperta che un alimento può indurre la produzione di BAFF (B Cell Activating Factor) e provocare tutti i sintomi infiammatori che usualmente sono ascritti al cibo risale a qualche anno fa, ma non è ancora stata applicata seriamente in ambito clinico.

Eppure proprio i valori di BAFF (che un sistema diagnostico come RecallerProgram già utilizza in numerosi contesti) consentono di capire il livello di infiammazione correlata al cibo eventualmente presente in una persona e di agire in conseguenza per aiutare a ridurre quella stessa infiammazione e a controllarne gli effetti sulla salute.

La recente definizione della “Gluten sensitivity” (una intolleranza al glutine che provoca gli stessi sintomi della celiachia senza esserla e che riguarda anche il 20% della popolazione sana) ha gettato altre luci sui fenomeni infiammatori da cibo. La reazione al glutine (spesso indistinguibile sul piano clinico da quella della celiachia) è dovuta solo alla attivazione delle reazioni infiammatorie difensive dell’organismo. In termini scientifici si parla della attivazione dei Toll Like Receptors 2 (TLR2), recettori che svolgono nell’organismo la funzione di segnalare un pericolo (in quel caso il superamento di un livello di soglia dell’assunzione alimentare ripetuta) e manifestano la reazione infiammatoria come fosse una “luce di allarme” perché si cambi il comportamento alimentare.

Se poi l’avvertimento non è ascoltato, le conseguenze possono essere anche gravi.

Malattie immunologiche importanti come il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) o l’Artrite reumatoide sono sicuramente in connessione con questo tipo di infiammazione, ma senza arrivare a queste condizioni limite il semplice fatto di ingrassare in modo non compreso (per effetto sulla resistenza insulinica) o soffrire di colite è certamente in relazione con questi aspetti infiammatori

Lo studio di queste condizioni passa oggi, in modo moderno e congruo con le ultime ricerche scientifiche, attraverso la definizione di una infiammazione da cibo, misurabile in entità, dalla valutazione di BAFF e talora PAF, dalla evidenza di esami ematici come il complemento (C3 e C4), del numero di Globuli Bianchi e del numero di eosinofili (che in questi casi spesso sono alti) e dalla comprensione dei possibili contatti alimentari precedenti.

Un obiettivo per la salute è quello di creare tolleranza immunologica, di recuperare la tolleranza quando questa è stata persa, di imparare a mangiare in modo vario e sano senza inutili restrizioni. Grazie alle scoperte di Finkelman abbiamo capito che le Immunoglobuline G (IgG) nei confronti di un alimento possono essere semplicemente il segno di una attivazione immunologica nei confronti di quel cibo. Le IgG verso gli alimenti possono essere contemporaneamente espressione di tolleranza verso il cibo (riducendo le reazioni allergiche) o del suo contrario (aumentando la risposta allergica al cibo stesso).

La direzione della reazione dipende dal livello di anticorpi e dal livello di antigene; quindi le stesse IgG verso gli alimenti devono essere valutate per quello che sono: un segnale dell’avvenuto contatto immunologico con l’alimento e una guida per impostare un approccio alimentare di riequilibrio verso quel gruppo alimentare o quell’alimento. Usando le IgG come segnale di “avvenuto contatto” si può aiutare l’organismo a recuperare un controllo immunologico della risposta al cibo attraverso una pratica di recupero che assomigli allo svezzamento infantile, ripercorrendo un percorso fisiologico di salute alimentare e immunologica.

Nel percorso alimentare verso la guarigione molti supporti naturali possono aiutare il recupero della tolleranza e il controllo della infiammazione. Fitoterapici come olio di Perilla, olio di Ribes nero e Curcuma. Antiossidanti come l’acido lipoico (presente in Stimun-Ox 800 e Lipoic cannella ad esempio), riequilibranti intestinali come il colostro (IgComplex) e alcuni ceppi di probiotici, senza dimenticare la potente azione di controllo antigenico esercitata dagli enzimi alimentari (Enzitasi). Quando la digestione non è adeguata, gli antigeni alimentari che dovrebbero essere digeriti, arrivano invece a livello intestinale dove possono diventare causa di reazione e infiammazione. L’uso di enzimi specifici può attenuare o risolvere questo tipo di problema.

UPDATE: di infiammazione da cibo e intolleranze alimentari abbiamo discusso approfonditamente in un incontro pubblico al Corriere della Sera, lo scorso 12 aprile, trasmesso in diretta web su Corriere.it.

Fonte: eurosalus.com

La lezione libica e la Jihad in Medio Oriente

eh ma Ghedafi sterminava il suo popolo, così come Assad…ripetono in coro le sguattere “umanitariste politically correct” al soldo yankee

LUGLIO 4, 2013
Leonid Savin Strategic Culture Foundation 29.06.2013
Nel 2011, sotto l’egida della NATO, l’occidente aggredì la Libia, portando alla caduta di Muammar Gheddafi, all’abolizione dello Stato e alla diffusione della jihad in Africa del Nord. Nonostante l’assassinio dell’ambasciatore statunitense a Bengasi, un certo numero di politici dell’UE e degli Stati Uniti continuano a insistere ad aiutare i ribelli siriani, suscitando la possibile creazione di una grande zona per la jihad e un boomerang contro gli interessi dell’occidente stesso. Solo i più perspicaci centri analitici occidentali hanno notato il rischio per l’UE e gli Stati Uniti studiando le conseguenze della guerra in Libia. Ne citiamo due. Il primo è il Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP), un istituto tedesco su questioni internazionali e di sicurezza che sviluppa l’agenda per il Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca in materia di politica estera. Il secondo è il noto centro di intelligence degli Stati Uniti Stratfor.
Circa un mese fa SWP ha pubblicato un report denominato Fault Lines of the Revolution. Political Actors, Camps and Conflicts in the New Libya (1), che analizza una vasta serie di questioni, dal ruolo dei mufti dei jihadisti radicali alle minoranze etniche. L’opinione generale espressa nel documento è che in Libia si può vedere il ritorno al sistema che enfatizza l’identità e la politica locali rispetto al controllo centralizzato del governo legittimo di Tripoli. Mentre l’influenza dei musulmani radicali nel Congresso Nazionale è notevole, oltre ai Fratelli nusulmani e ai salafiti non vi sono altri gruppi ideologici, tanto che il resto dello spettro è rappresentato dagli interessi di clan e famiglie. La figura più influente nello spettro politico islamico è il mufti Sadiq al-Garyani, che nel 2012 fu nominato direttore della nuova agenzia Dar al-Ifta, responsabile dell’interpretazione della legge islamica. Nei primi mesi ha emesso una fatwa che vieta la demolizione di moschee sufi e l’uccisione di ex dipendenti della difesa e della polizia di Gheddafi. Tuttavia, in seguito ha improvvisamente iniziato a giocare con gli islamisti, il giorno prima delle elezioni ha annunciato che i musulmani non dovrebbero votare per i partiti che limitano la sfera della sharia, ha giustificato il massacro di Bani Walid nell’ottobre 2012 e ha sostenuto il divieto degli ex funzionari d’impegnarsi in politica. Al-Garyani s’è legato agli sceicchi del Qatar, indicando il sistema di controllo sulla Libia tramite l’identità religiosa.
Tuttavia, la situazione rimane fuori controllo, anche da parte degli islamisti. La relazione rileva che  grandi aree nel centro del Paese non sono controllate da Tripoli o Bengasi, e che diversi gruppi armati cercheranno di approfittare della situazione. Inoltre, anche le grandi città, tra cui Tripoli, Misurata e Bengasi, centri regionali dell’autorità, non sono in grado di stabilire e mantenere una sicurezza efficace e di cooperare con la capitale per pattugliare i confini. Di conseguenza, i vari gruppi dei consigli militari locali impongono il proprio controllo sulle province. La gerarchia di questi consigli spesso coincide con le complesse strutture tribali ed etno-sociali della Libia, aggravando il problema del controllo geografico del governo centrale. E ciascuno di questi consigli militari si considera il difensore della rivoluzione, il che significa che Tripoli non riesce a collaborare con essi e a stabilire un dialogo. La rivalità tra i soggetti locali non solo ha luogo lungo la linea di faglia della guerra civile. I gruppi armati delle tribù tubu e di quelle arabe a Sabha e Qufra sono legati alla concorrenza nella distribuzione delle risorse, prima di tutto del profitto dal contrabbando nei territori di confine. E’ stato notato molte volte che il contrabbando di armi e droga è bruscamente aumentato, e i tentativi delle autorità di fermarlo hanno incontrato la resistenza armata dei contrabbandieri (2). Inoltre, le conseguenze del crollo del sistema giuridico si fanno sentire, e a questo si aggiunge il problema di perseguire i rappresentanti del governo di Gheddafi.  Secondo i dati dell’International Crisis Group, settemila ex dipendenti della difesa e delle forze dell’ordine di Gheddafi sono in prigione, e meno della metà di loro sono in luoghi sotto un  controllo statale nominale. Cittadini di altri Paesi accusati senza prove reali di collusione con Gheddafi in quanto mercenari, sono stati imprigionati insieme ad ex-cittadini libici. Nel caso dell’omicidio del generale Abdel Fattah Yunis, le successive indagini e i tentativi del clan Yunis di uccidere i sospetti (uno dei quali lo è stato) (3) ha dimostrato il problema della vendetta del sangue, l’unico strumento rimasto alla giustizia in Libia.
L’abolizione dello Stato libico non si limita al territorio e ai problemi della Libia stessa. Robert Kaplan di Stratfor giustamente ha osservato che la caduta del regime di Gheddafi ha portato a “effetti  secondari”: la guerra e l’anarchia nel vicino Mali. “I tuareg maliani che avevano sostenuto Gheddafi sono fuggiti in massa dalla Libia, portando con se grandi quantità di armi dopo la morte del leader libico. I tuareg sono tornati in Mali dove hanno strappato il controllo del nord desertico del Paese a un governo che si trova molto più a sud, nella capitale Bamako. In seguito la ribellione tuareg è stata cooptata dai jihadisti… il governo francese è successivamente intervenuto con le sue truppe… la Libia, del resto, è ormai uno spazio ingovernabile, in parti significative del Paese al-Qaida può  molto probabilmente trovare rifugio” (4). Kaplan osserva, inoltre, che anche la presenza di 100.000 soldati statunitensi in Iraq non ha aiutato a creare una democrazia in quel Paese, così non ci si deve aspettare qualcosa del genere in Libia, dove una società civile semplicemente non è mai esistita. L’esperto di geopolitica statunitense suggerisce che questa analisi venga presa come avvertimento contro gli appelli ad intervenire in Siria, sottolineando che in Libia l’espansione dell’intervento militare estero è stata abbastanza moderata, ma non può essere prevedibile nel caso della Siria.
Il caso del Mali, collegato alla diffusione della jihad, può essere applicato anche al conflitto siriano.  A questo proposito Stratfor ha osservato che al-Qaida in Iraq tenta di utilizzare il conflitto siriano al fine di iniziare una guerra di religione in Iraq e in tal modo creare una zona di guerra continua che si estenda dall’Iraq al Libano. Le centinaia di persone che sono state uccise in Iraq da attentatori suicidi sono la testimonianza dei tentativi dei jihadisti di approfondire le animosità religiose tra sunniti e sciiti. E’ stato anche osservato che sia Riyadh che al-Qaida in Iraq cercano di approfittare dei crescenti sentimenti anti-sciiti e anti-iraniani nella regione, causati dalla morte di sunniti in Siria. Anche se i sauditi utilizzano i jihadisti per indebolire l’Iran, i jihadisti sperano di diventare una grande potenza politica in Siria e in Iraq a seguito del conflitto (5). Tuttavia, c’è una serie di ostacoli che impedisce che questi piani diventino realtà, comprese le limitate possibilità dei wahhabiti, le vittorie delle forze governative in Siria e il profilo politico dell’Iraq, in cui vi è una netta divisione tra curdi, sunniti e sciiti che impedisce ai jihadisti di coinvolgere tutta la popolazione del Paese. Nonostante il fatto che ci sia un collegamento evidente tra l’origine della lotta per il potere in Libia e la situazione dell’opposizione siriana, né a Bruxelles né a Washington e neanche i liberali dell’opposizione siriana vogliono vedere a cosa porteranno ulteriori tentativi di rovesciare il governo di al-Assad in Siria. E se nessun modello per controllare (dal punto di vista sociale, economico, politico, geografico ed etnico) l’attuale grande conflitto in Libia è ancora stato elaborato attraverso la mediazione dell’UE o delle Nazioni Unite, che senso ha continuare a molestare la Siria? Sembra che le decisioni dei leader europei e statunitensi sulla Siria vadano oltre i limiti della convenienza politica.
Note
(1) Wolfram Lacher. Fault Lines of the Revolution. Political Actors, Camps and Conflicts in the New Libya. SWP Research Paper. Berlin, Maggio 2013
(2) “Commander of Border Guard Visits Those Injured in Attack on Tamanhant Base”, Quryna, 2 aprile 2013
(3) “Abdel Fattah Younes’ Family: Criminal Prosecution – or Revenge”, Quryna, 5 dicembre 2012
(4) Robert D. Kaplan. Libyan Report Card
(5) Jihadists Seek a New Base in Syria and Iraq. Stratfor, 28 maggio 2013
La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

 

Il popolo brasiliano conquista le royalties del petrolio: andranno a sanità e istruzione

Posted By Redazione On 3 luglio 2013
Fonte: http://dailystorm.it/2013/07/03/il-popolo-brasiliano-conquista-le-royalties-del-petrolio/ [1]

La Confederation Cup è stata segnata da una lunga protesta portata avanti da tutto il popolo brasiliano. Ora il popolo ha vinto: il Senato dice “sì” e il 100% delle royalties del petrolio andranno a istruzione e sanità. Il discorso di Dilma Rousseff.
  [2]

Come molti non sanno perché i canali main stream non ne hanno parlato, durante la Confederation Cup, in particolar modo durante la finale, il popolo brasiliano è sceso in piazza per protestare. E se un brasiliano rinuncia a vedere una finale di coppa in cui è coinvolta la propria nazione, vuol dire che la situazione è grave. Molto grave. Questa era la situazione durante i 90 minuti in cui il Brasile vinceva 3 a 0 contro la Spagna.
 [3]

Come abbiamo riportatao in diversi articoli sulla realtà brasiliana, la causa scatenante di tutta la protesta sono stati gli aumenti del costo dei biglietti per i mezzi pubblici, che in realtà è solo una goccia che ha fatto traboccare un vaso ben più pieno. Nonostante il Brasile sia un paese in forte via di sviluppo economico, è infatti segnato da una pessima distribuzione delle ricchezze, e sopratutto da una pessima distribuzione della cultura scolastica. Se poi il governo spende 2,5 miliardi di euro di soldi pubblici per erigere degli stadi di cui, sinceramente, si poteva anche fare a meno, scendere in piazza diventa un obbligo. La protesta non è stata eccessivamente violenta, anche se, come riporta ilCorriere [4], al 21 giugno il bilancio era di due morti.
 [5]
Se mai la Confederation Cup sarà ricordata da qualcuno, sarà per la vittoria del popolo Brasiliano sul proprio governo. I risultati ottenuti dal movimento di protesta nato circa un mese fa sono già enormi. Proprio ieri, 2 luglio 2013, è stata infatti approvata anche dal Senato la legge sulle royalties del petrolio discussa la settimana scorsa alla Camera [6], di cui avevamo parlato in esclusiva proprio su dailySTORM. Il totale di queste royalties verranno distribuite tra istruzione e sanità, con rispettive percentuali del 75% e 25%: questo provvedimento adesso è legge. E, contestualmente, per risolvere il problema dei mezzi pubblici, dopo la rinuncia ai rincari da parte di molti governi locali, è stato invece proposto di abbassare il prezzo del diesel e di investire 25 miliardi di dollari in mobilità urbana.
 [7]
 
Significativo il discorso d’apertura del presidente Dilma Rousseff [8] all’incontro con il governo: “La gente è ora fuori nelle strade dicendo che il loro desiderio di cambiamento continua, che questo cambiamento deve aumentare, e attuarsi con maggiore velocità. Il paese vuole una rappresentazione politica responsabile, una società dove i cittadini, e non le potenze economiche, vengono al primo posto. E’ una cosa buona che la gente stia esprimendo tutto questo a voce alta”. Si spera che la presidenta sia di parola e che la legge appena approvata di trasformi in realtà, come chiesto a gran voce dal popolo brasiliano.

royalties del petrolio

Valerio Tripodo
http://www.stampalibera.com/?p=64564

UNASUR:Aggressione a Evo Morales, “pericoloso precedente” contro legalità internazionale

L’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR), riunita d’urgenza a Cochabamba (Bolivia) fa quadrato, e condanna l’ingiustificabile aggressione inflitta al Presidente Evo Morales da vari Paesi europei. Esige spiegazioni convincenti a questo grave episodio, che costituisce un
pericoloso precedente nella rottura del diritto internazionale. Il blocco regionale sudamericano, nella dichiarazione finale, chiede all’ONU che si pronunci su questa violazione di diversi trattati internazionali e sull’immunità negata al capo di Stato della Bolivia. In una lettera a Ban Ki-moon, viene sollecitato a intervenire per impedire che questo affaire diventi un “nefasto precedente che potrebbe applicarsi ad altri capi di Stato e mettere in pericolo la coabitazione pacifica tra le nazioni”.

Nel punto 4, l’UNASUR “esige ai governi della Francia, Portogallo, Italia e Spagna di scusarsi pubblicamente per i gravi fatti accaduti”. La risoluzione riflette l’indignazione e la rabbia suscitata in America latina, dopo il ritiro dell’autorizzazione a transitare nello spazio aereo sudeuropeo. Autorizzazione concessa anteriormente e ritirata solo quando l’aereo presidenziale boliviano -proveniente da Mosca- stava sorvolando la Francia. Obbligando a un atterraggio di emergenza in Austria. Viene detto esplicitamente che “manca la trasparenza sulle motivazioni delle decisioni politiche adottate” e fa riferimento a “pratiche coloniali che ancora sopravvivono nel nostro pianeta in pieno secolo XXI”

Si ha l’impressione questa seria turbativa non avrà una soluzione rapida, ci saranno strascichi non ricomponibili con la sola diplomazia. Dal Brasile segnalano che ci sono ostacoli alla continuazione del dialogo per un gran trattato commerciale tra la UE e blocco sudamericano. il primo round si era celebrato recentemente in Brasile. Evo Morales ha detto che “viviamo meglio senza ambasciata degli Stati Uniti” e il presidente venezuelano Maduro ha avvertito Madrid che “…sono da rivedere alcuni accordi con l’infame governo Rajoi”. C’è rabbia e determinazione a impedire le “ingerenze dei centri egemonici mondiali ancorati a vecchie pratiche, che pretendono imporre Paesi di prima e seconda classe”.
http://selvasorg.blogspot.it/2013/07/unasuraggressione-evo-morales.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed:+selvas/blog+(Selvas+Blog)

Montecitorio approva il testo sulla “messa alla prova”

e poi ditemi se non è vero che fanno di tutto per destabilizzare ed aumentare la violenza, contro i più deboli oltretutto che gli arroganti si sentiranno INCORAGGIATI ED INCENTIVATI A DELINQUERE

Pd, Pdl, Scelta civica e Sel dicono sì alle nuove norme penali. Fratelli d’Italia, Lega e M5S restano critici 

Matteo Mascia

L’Aula di Montecitorio ha dato il proprio via libero al disegno di legge sulla messa alla prova e i procedimenti penali nei confronti degli irreperibili. Un testo approvato con 357 sì, 123 no e un astenuto, semaforo verde arrivato dopo due settimane di aspre polemiche fra le forze politiche. Pd, Sel e Pdl si sono scontrati con l’opposizione e l’ostruzionismo di Lega, Movimento 5 stelle e Fratelli d’Italia. Una legittima contrapposizione che ha ingenerato anche diversi elementi utili al dibattito, centinaia di emendamenti sono stati discussi senza esclusione di colpi. Una dinamica dell’istruttoria che sembrava mutata dall’epoca in cui il Parlamento svolgeva in pieno il suo ruolo di legislatore. “Votiamo una legge di grande civiltà, di respiro europeo e di grande portata culturale”, ha spiegato Walter Verini, capogruppo Pd nella commissione Giustizia di Montecitorio, durante la dichiarazione di voto in Aula sul ddl di delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di sospensione del procedimento con messa alla prova. “La nostra Costituzione – ha detto Verini – non prevede la pena come vendetta ma il recupero e il reinserimento: questa legge applica proprio questo importante principio, decongestionando un sistema processuale intasato e lento, alleggerendo il sovraffollamento delle carceri e investendo in sicurezza, a vantaggio di tutti i cittadini. Perciò il Movimento 5 Stelle ha perso l’ennesima occasione mentre la Lega e la destra, ancora una volta, hanno puntato tutta la loro opposizione sulle paure e su argomenti forcaioli e, quelli sì, di vero allarme sociale. L’auspicio – ha concluso – è che le nuove norme siano un primo tassello di intervento organico per rendere la giustizia più efficiente e le carcere più umane”. Di tutt’altro avviso i deputati eletti nelle liste di Fratelli d’Italia. “Non comprendo la necessità che questo provvedimento corresse a questa velocità spasmodica. Il Governo finora ha rinviato tutto, dall’Iva all’Imu fino alla decisione sugli F35, ma sullo svuotacarceri che riempie le città di criminali abbiamo riscontrato una fretta indiavolata. Siamo davanti ad una amnistia ed a un indulto conclamato, che stiamo votando a maggioranza semplice violando la Costituzione. Se davvero il testo serviva a svuotare le carceri bastava usare le caserme dismesse almeno per chi doveva scontare l’ultimo anno di pena”, così Ignazio La Russa, presidente di Fratelli d’Italia intervenendo in Aula sulla modifica del codice penale e del codice di procedura. “Che senso ha poi, intervenire sui colpevoli acclarati facendo finta di non sapere che la larga parte dei detenuti sono in attesa di giudizio? La realtà è che si lasciano liberi i criminali e si tengono in carcere quelli che potranno essere dichiarati innocenti. Questo provvedimento mette in libertà chi commette crimini contro i più deboli, come gli scippati ed i truffati. Non capisco come questa Camera possa adeguarsi a tutto questo. Questo provvedimento è un’amnistia e un indulto. Fratelli d’Italia non solo vota contro ma farà un referendum e adirà la Corte costituzionale per rendere giustizia alle vittime innocenti della violenza altrui”, ha concluso l’ex ministro della Difesa. “È una ridicola sceneggiata quella che è stata messa in atto da Fratelli d’Italia, Lega e Movimento 5 Stelle contro il disegno di legge sulle pene alternative licenziato dalla Camera”, ha spiegato la radicale Rita Bernardini,attivista di lungo corso per i diritti dei detenuti. “Soprattutto – sostiene – perché il provvedimento non è in alcun modo adeguato a risolvere il problema per il quale lo Stato italiano si presenta al cospetto dell’Europa come uno Stato canaglia perché sottopone in modo strutturale le persone private della libertà a trattamenti inumani e degradanti. A dirlo ormai non sono più solo Marco Pannella e i radicali, ma la stessa ministra Cancellieri, secondo la quale l’amnistia (quella vera, quella prevista dall’art. 75 della Costituzione) è ‘imperativo categorico morale’ di fronte alla situazione fuorilegge che le hanno lasciato governi e parlamenti passati. Ascoltare Ignazio La Russa che grida all’incostituzionalità definendo il provvedimento un’amnistia e minacciando di promuovere un referendum abrogativo e di ricorrere alla Corte Costituzionale, dà la misura della messinscena apparecchiata dalle sopracitate ‘opposizioni’ parlamentari”. Il testo passa ora all’esame del Senato. Non è detto che Palazzo Madama si mostri altrettanto sensibile all’emergenza carceraria.


05 Luglio 2013 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=21862

Carceri sovraffollate, passa il disegno di legge del Pd: ma si rischia di vanificare diversi processi

Scritto da Viviana Pizzi Pubblicato Venerdì, 05 Luglio 2013

 

carceri sovraffollate casino pd

Con i soli voti contrari del Movimento Cinque Stelle, della Lega Nord e di Fratelli d’Italia è stato approvato alla Camera il disegno di legge sulle nuove misure carcerarie. I voti sono stati 357 sì, 123 no e un astenuto. A favore hanno votato Pdl, Pd, Scelta Civica e Sinistra Ecologia e Libertà. Ma così si rischia di non condannare più gli imputati che si danno per irreperibili.

 Alcuni finora hanno messo in evidenza che per alcuni reati, come il maltrattamento in famiglia e alcune misure di violenza sessuale “di lieve entità”, si rischia di vedere fuori dal carcere condannati pericolosi se il giudice non riesce a ben valutarne la reale natura criminale. Tutto questo perché per reati inferiori che prevedono pene fino a 4 anni di reclusione si possa decidere discrezionalmente di far rimanere i condannati agli arresti domiciliari.

 Certo è che si risolverà il problema del sovraffollamento carcerario ma ci sono anche altri aspetti del disegno di legge che vanno considerati. Come quello della sospensione del processo nei confronti degli imputati irreperibili che di fatto accorcia i tempi di prescrizione dei reati.

 PROCESSO CON IRREPERIBILI: SI CONTINUA ANCHE IN ASSENZA DELL’IMPUTATO

 All’articolo 419 del codice di proceduta penale ora in vigore si dice che l’imputato, qualora ne sia accertata la contumacia, verrà giudicato anche in sua assenza. Quando invece il testo di legge sarà adottato la normativa verrà così sostituitaSe l’imputato, libero o detenuto, non è presente all’udienza e, anche se impedito, ha espressamente rinunciato ad assistervi, il giudice procede in sua assenza. Salvo quanto previsto dall’articolo il giudice procede altresì in assenza dell’imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare. Ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonché nel caso in cui l’imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo.

 Tutto questo significa che il processo va avanti lo stesso e si potrebbe arrivare alla condanna anche senza che la persona imputata possa assistere al processo. La giustizia, come sappiamo, in Italia è ancora molto lenta.

 Continuare anche ad imputato assente significa automaticamente che i termini di prescrizione dello stesso si accorciano notevolmente. Perché oggi in assenza dell’accusato, quando il difensore chiede il rinvio del processo durante tante udienze, il giudice decide anche di sospendere i termini di prescrizione.

 Cosa succederebbe invece se il dibattimento andasse avanti? Che l’istituto di interruzione si blocca e il reato si estingua prima. E in casi di processi per reati contro la pubblica amministrazione dove è entrata in vigore la prescrizione breve è concreto il rischio di non essere mai giudicati per i reati di cui si è stati accusati.

 NON SOLO PRESCRIZIONE: ANCHE IL RISCHIO DI STAGNAZIONE DELL’UDIENZA E’ CONCRETO

 Procedere in assenza dell’imputato alle udienze può essere controproducente anche sotto un altro aspetto.

 Infatti,  nel corso del giudizio di primo grado, l’imputato ha diritto di formulare richiesta di prove ai sensi dell’articolo 493 del codice di procedura penale. Ferma restando in ogni caso la validità degli atti regolarmente compiuti in precedenza, può altresì chiedere la rinnovazione di prove già assunte.

 Tutto questo significa che se la persona da giudicare, in un primo tempo assente poi si presenta in aula e chiede la novazione degli atti a sua discolpa, il processo potrebbe essere allo stesso modo prolungato e non chiudersi in tempi brevi.

 Insomma tanta confusione in un disegno di legge che rischia non soltanto di tenere fuori dal carcere i condannati per reati non gravi. Ma che potrebbe seriamente mettere a rischio anche lo svolgimento dei processo in corso portandoli a concludersi prima di quanto accade adesso.

 C’è tuttavia un ultimo aspetto da non sottovalutare. L’articolo 9 del testo di legge dice che  “Nei casi in cui si sia proceduto in assenza dell’imputato, se vi è la prova che si sarebbe dovuto provvedere a rinviare l’udienza, il giudice dichiara la nullità della sentenza e dispone il rinvio degli atti al giudice di primo grado”. Il magistrato può anche annullare il dispositivo e disporre la restituzione degli atti al giudice di primo grado qualora l’accusato provi che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo di primo grado.

 In questo caso la macchina giudiziaria, a causa forse di un eccessivo garantismo, andrebbe in default e rischierebbe di lasciare senza sentenza tantissimi procedimenti senza accelerare per nulla il sistema.