No Tav, domiciliari e obblighi di dimora per gli arrestati

Da: Infoaut.org     –     Martedì 23 Luglio 2013 10:43

http://www.infoaut.org/index.php/blog/no-tavabenicomuni/item/8495-no-tav-domiciliari-e-obblighi-di-dimora-per-gli-arrestati

altE’ stata resa nota questa mattina la sentenza dell’udienza di convalida per gli arrestati No Tav tenutasi ieri al carcere delle Vallette: il giudice per le indagini preliminari ha disposto che la detenzione in carcere venisse tramutata per tutti in arresti domiciliari, tranne che per Gabriele, No Tav appena diciottenne per il quale è stato deciso l’obbligo di dimora a Milano. Tutti quanti dovrebbero uscire in serata dal carcere delle Vallette.

Il movimento No Tav continua ora a chiedere la piena liberazione di tutti gli arrestati ma la sentenza di oggi è un primo piccolo risultato contro le misure invocate da Pm e Questura ansiosi di inasprire i propri colpi contro il movimento.

Inoltre quanti sono stati feriti dalle manganellate e dagli accanimenti della polizia durante l’arresto potranno ora ricevere cure adeguate (date le notizie non certo rassicuranti che giungevano ieri dopo la visita degli avvocati ai detenuti).

Confermato l’appuntamento di questa sera per la fiaccolata che partirà alle 21.30 da Susa per continuare a chiedere la liberazione di tutti, portare solidarietà a Marta e agli altri feriti e ribadire la determinazione di una valle che non si è fatta intimidire dal gioco sporco e dalla brutalità sperimentati sulla propria pelle nella notte di venerdì.

Euro: cronologia di una dittatura

il paradiso Europa, bestiame a disposizione delle banche, il paradiso voluto per noi dai nostri curatori di interessi….
Euro: cronologia di una dittatura

DIVORZIO TRA BANCA D’ITALIA E MINISTERO DEL TESORO – luglio 1981

L’autonomia della sovranità monetaria affidata alla privata Banca Centrale d’Italia è stata introdotta a partire dal luglio 1981, col divorzio tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro deciso dal Ministro del Tesoro BENIAMINO ANDREATTA(partecipò nel giugno 1992 a Civitavecchia al complotto ordito contro lo Stato italiano, organizzato nel Britannia, il panfilo della regina inglese), con una semplice lettera all’allora Governatore di Bankitalia CARLO AZEGLIO CIAMPI (ricompensato con la carica di Presidente della Repubblica proprio per questi suoi servigi), in cui sollevava la Banca Centrale dall’obbligo di acquistare quei titoli di Stato che il Tesoro non riusciva a collocare altrove sul mercato.

Enrico Letta, l’attuale cameriere dei banchieri, messo a capo del governo italiano, dichiarò che “grazie al divorzio, nel 1981, tra Tesoro e Banca d’Italia, vero spartiacque della politica economica italiana, l’allora ministro Andreatta e il governatore Ciampi definiscono, infatti, il nuovo campo da gioco delle politiche dei conti pubblici proprio quando la presenza italiana nello Sme è in pericolo. Con il divorzio è rotto definitivamente il meccanismo perverso della sottoscrizione da parte di Bankitalia dei titoli del debito pubblico non collocati sul mercato”

 

ATTO UNICO EUROPEO – 17 Febbraio 1986

GIULIO ANDREOTTI come Ministro degli Esteri del Governo Craxi, firma l’Atto Unico Europeo (A.U.E.).

 

TRATTATO DI MAASTRICHT – 7 febbraio 1992

Il Presidente del Consiglio GIULIO ANDREOTTI, il Ministro degli Esteri GIANNI DE MICHELIS (Aspen Institute) e il Ministro del Tesoro GUIDO CARLI, firmano il Trattato di Maastricht, cedendo la sovranità monetaria alla Banca Centrale Europea (B.C.E.).

A partire dal 1992 è iniziata la sottomissione dell’Europa al Trattato di Maastricht, concepito per sottoporre le diverse nazioni ad una totale dittatura monetarista al servizio degli interessi dei banchieri.

 Articolo 107 del Trattato di Maastricht

Nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dal presente trattato e dallo Statuto del SEBC, néla BCE né una Banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai Governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonché i Governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE o delle Banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti.

Gli Stati aderenti rinunciano alla sovranità monetaria nazionale per trasferirla con l’articolo 105 alla Banca Centrale Europea (BCE).

 Articolo 105A del Trattato di Maastricht

1.      La BCE ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote all’interno della Comunità. La BCE e le Banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla BCE e dalle Banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nella Comunità.

2.      Gli Stati membri possono coniare monete metalliche con l’approvazione delle BCE per quanto riguarda il volume del conio .

 ADESIONE ALL’EURO

Voluta da ROMANO PRODI (Bilderberg, Commissione Trilaterale, Goldman Sachs….) cedendo la sovranità monetaria alla B.C.E. (Banca privata di Francoforte)

Prodi dichiara che l’Euro è stato fatto per aiutare la Germania.

Per avere gli Stati Uniti d’Europa, annessi agli USA, occorreva iniziare proprio dalla Germania, che era divisa in due, ad unirla in un unico stato.

Siccome la caduta del muro di Berlino, ha comportato una profonda crisi economica, per il riassetto dell’economia tedesca, allora gli si è promesso che con l’Euro, avrebbero non solo ripianato, ma sarebbero diventati la prima potenza economica europea…

 LEGGE BIAGI/MARONI

L’Unione Europea chiede che in seguito al libero scambio, anche il mercato del lavoro sia molto più flessibile. Quindi la Legge Biagi e dopo la sua morte, Maroni la aggiusta ancora per bene…

 TRATTATO DI LISBONA

Firmato da ROMANO PRODI e MASSIMO D’ALEMA cedendo ulteriormente quello che rimaneva della sovranità nazionale politica alla BCE

 TRATTATO DI VELSEN

EUROGENDFOR: la nuova pericolosissima Polizia Europea, la nuova Gestapo.

TESTO del trattato di Velsen.

E’ un trattato firmato all’unanimità con un solo astenuto.

“I membri del personale di EUROGENDFOR non potranno subire alcun procedimento relativo all’esecuzione di una sentenza emanata nei loro confronti nello Stato ospitante o nello Stato ricevente per un caso collegato all’adempimento del loro servizio”. Gli uomini di una forza armata non sono più soggetti all’applicazione di sentenze della magistratura dei paesi.

Una forza militare che può intervenire tra Spagna, Francia, Italia, Paesi Bassi e Portogallo.

Il Quartiere generale permanente ha sede a Vicenza (Italia)

3. EUROGENDFOR potrà essere utilizzata al fine di:

a) condurre missioni di sicurezza e ordine pubblico;

b) monitorare, svolgere consulenza, guidare e supervisionare le forze di polizia locali nello svolgimento delle loro ordinarie mansioni, ivi compresa l’attività d’indagine penale;

c) assolvere a compiti di sorveglianza pubblica, gestione del traffico, controllo delle frontiere e attività generale d’intelligence; d) svolgere attività investigativa in campo penale, individuare i reati, rintracciare i colpevoli e tradurli davanti alle autorità giudiziarie competenti;

e) proteggere le persone e i beni e mantenere l’ordine in caso di disordini pubblici;

f) formare gli operatori di polizia secondo gli standard internazionali;

Articolo 21 del Trattato di Velsen:

Inviolabilità dei locali, degli edifici e degli archivi

1. I locali e gli edifici di EUROGENDFOR saranno inviolabili sul territorio delle Parti.

2. Le autorità delle Parti non potranno entrare nei locali e negli edifici senza il preventivo consenso del Comandante EGF.

3. Gli archivi di EUROGENDFOR saranno inviolabili. L’inviolabilità degli archivi si estenderà a tutti gli atti, la corrispondenza, i manoscritti, le fotografie, i film, le registrazioni, i documenti, i dati informatici, i file informatici o qualsiasi altro supporto di memorizzazione dati appartenente o detenuto da EUROGENDFOR, ovunque siano ubicati nel territorio delle Parti .

 TRATTATO ESM – firmato il 19 luglio 2012

Con un capitale di 700 miliardi, il Meccanismo Europeo di Stabilità è una vera e propria dittatura economica. Detto anche il Fondo Salva Stati.

E’ composto dalle quote, decise dalla BCE, versate dai paesi aderenti che acquistano uno status di soci finanziatori. Come tali possono chiedere un prestito in caso di necessità e trasformarsi così in debitori e come tali pagare degli interessi sul credito richiesto. La clausola dittatoriale risiede nella privazione del diritto di voto del paese che non salda il suo debito. Non paghi, non voti.

L’Italia dovrà dare 125 miliardi di euro per questo fondo che tra le altre cose servirà anche per salvare le banche!!!

 PAREGGIO DI BILANCIO/FISCAL COMPACT – firmato il 19 luglio 2012

L’Unione Europea delle Banche ha chiesto il cambiamento della Costituzione con ingresso del Pareggio di Bilancio (detto anche Fiscal Compact).

Il Mercato vuole più stabilità.

Lo Stato per non indebitarsi dovrà tagliare tutta la spesa pubblica: sanità, pubblica istruzione, terziario, ecc.

Ovviamente tutto a carico del Cittadino.

 TRATTATO ERF – firmato il 23 agosto 2012

ERF, EUROPEAN REDEMPTION FUND, il Fondo Europeo di Redenzione (o Riscatto).

Le autorità dello Stato membro attuano le misure raccomandate (dalle istituzioni europee) relative all’assistenza tecnica e presentano alla Commissione un piano di ripresa e di liquidazione dei debiti per approvazione. Cioè il Governo nazionale perde ogni tipo di potere decisionale e operativo; in altre parole lo Stato è privato totalmente della propria sovranità: potremmo dire che è commissariato.

Una vera e propria dittatura dell’euro e dell’UE.

 Fonte: www.disinformazione.it

visto su Fronte Libero

http://frontelibero.blogspot.it/2013/07/euro-cronologia-di-una-dittatura.html

Vogliono azzannare l’Italia

di: Ernesto Ferrante – www.rinascita.eu

Per fortuna, in questo nostro strano paese, non tutti dormono o inseguono conigli di pezza. Oltre agli apostoli dello scontrino esatto e agli ultras del “Buono è bello ma buonismo ancor di più”, esistono anche persone che riescono a mettere a fuoco le insidie reali nonostante il polverone dei falsi pericoli fatto alzare dai soliti manovratori. Per la speculazione organizzata internazionale, non esiste niente di meglio di un paese sprovvisto di un solido governo, mancante di una classe politica degna di tale appellativo, con dei sindacati autoreferenziali ed appiattiti sullo spartito confindustriale ed un popolo per gran parte assuefatto o distratto. Accade così che l’ennesimo declassamento sull’affidabilità dell’Italia a BBB (due gradini dal livello spazzatura) per mano di Standard & Poor’s, arrivato nei giorni scorsi, guarda caso, in un momento di grande confusione e a poca distanza dalla chiusura della procedura di infrazione europea per deficit eccessivo e le annesse pressanti richieste di mantenere l’Imu prima casa ed il contestuale aumento Iva al 22%, passino quasi sotto traccia, ben occultate dai fumogeni delle risse parlamentari e degli immancabili gossip estivi.

Eppure dovrebbero far drizzare le antenne dato che sono ingiustificate e non richieste ingerenze nella sovranità di uno Stato da parte di un’entità privata che vede nel proprio azionariato banche e fondi speculativi. Il rating di BBB, per chi ancora non vuol capirlo e lo rubrica frettolosamente come tecnicismo, ha una brutale ed immediata fase successiva: il suggerimento (ma sarebbe meglio chiamarlo diktat) recapitato all’Italia di vendere le quote pubbliche detenute dal Tesoro e dalla Cassa Depositi e Prestiti in società come Eni, Enel e Finmeccanica.

Vale a dire gli ultimi aneliti di sovranità e gli ultimi margini di manovra in campo internazionale. Lo sanno bene le associazioni di difesa dei consumatori e degli utenti bancari che si stanno facendo sentire a più riprese. Adusbef e Federconsumatori, che hanno mandato sotto processo a Trani S&P, con richiesta di costituzione di parte civile, ricordano ancora una volta le bufale ed i report fasulli, emessi in particolare da S&P, multinazionale del “tarocco”, nei crack Parmalat, Enron e Lehman Brothers, “giudicati con la pagella della massima affidabilità a pochi giorni dal loro dissesto finanziario per insolvenza,tornano ancora una volta a criticare l’attendibilità delle valutazioni emesse dall’agenzia”. Dalle carte della corposa inchiesta della Procura di Trani, corredata dalle intercettazioni telefoniche tra la sede di Milano e quella di New York di Standard & Poor’s, trascritte ed allegate agli atti, emergono, come si legge sul portale delle associazioni, “illecite condotte criminali delle agenzie di rating, non soltanto per manipolazioni continuate e pluriaggravate del mercato, a partire dal maggio 2011, ma di un vero e proprio disegno criminoso per un sistematico attacco portato contro l’Italia, appositamente scelto nei momenti di maggiore debolezza, anche con la finalità di indebolire la moneta unica europea, destabilizzando l’euro”. Ad incastrare infatti l’Agenzia di rating oltre alle perizie ed alle consulenze, si ricorda ancora, ci sono compromettenti intercettazioni telefoniche, tra l’allora numero uno dell’agenzia di rating Standards & Poor’s, Deven Sharma, costretto a dimettersi nell’agosto 2011 dall’amministrazione Obama dopo il clamoroso errore di 2mila miliardi di dollari nel declassamento della tripla A del debito Usa, sostituito a settembre da Douglas Peterson, amministratore delegato di Citigroup, ed i suoi referenti italiani ed europei. Proprio in quelle telefonate, acquisite agli atti della procura di Trani, si trova la prova delle prove che documenta “la manipolazione del mercato pluriaggravata e continuata”, ipotesi di reato, rivoluzionata rispetto alla contestazione iniziale, poiché già dall’inizio, come a suo tempo abbiamo raccontato sulle nostre pagine, il PM Michele Ruggiero, ipotizzava che in più riprese (maggio, giugno e luglio scorso) gli analisti di S&P avessero elaborato e fatto circolare notizie non corrette sulla tenuta del sistema economico-finanziario e bancario italiano, finalizzate a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari. Standard & Poor’s è quotata a Wall Street ed è una sussidiaria del gruppo editoriale e di comunicazione McGraw-Hill, detenuto da Capital World Investor, uno dei primi gestori indipendenti di fondi negli Usa, la società di asset manegement State Corporation. Il nucleo rappresentativo dei soci di riferimento di McGraw-Hill Companies ricalca fortemente la fisionomia dello stesso nucleo che controlla Standard & Poor’s. I vertici delle società McGraw-Hill e dell’agenzia Standard & Poor’s sono legati nemmeno troppo invisibilmente a realtà bancarie come Citygroup e a compagnie multinazionali a loro volta quotate e presenti sul mercato. Standard & Poor’s, tuonano ancora i sodalizi guidati da Elio Lannutti e Rosario Trefiletti, è accusata di manipolazione pluriaggravata e continuata del mercato finanziario. Cinque le persone accusate: gli analisti Eileen Zhang e Frank Gill, dipendenti dell’agenzia con sede a Londra, e Moritz Kraemer, dipendente di Francoforte, anche il responsabile dei servizi per l’Europa e l’Africa Yeann Le Pallec e l’ex presidente di Standard & Poor’s, l’indiano Deven Sharma. Nella lista degli indagati è finito anche l’amministratore delegato per l’Italia di S&P Maria Pierdicchi, con l’ipotesi di favoreggiamento degli analisti stessi. Nelle conclusioni del pubblico ministero si contesta agli imputati di aver attuato il 20 maggio, il 23 maggio e il 1 luglio del 2011, “una serie di artifici concretamente idonei a provocare una destabilizzazione dell’immagine, prestigio e affidamento creditizio dell’Italia sui mercati finanziari”. Il pm e la Guardia di finanza contestano a S&P anche l’aggravante di “aver cagionato alla Repubblica Italiana un danno patrimoniale di rilevantissima entità quantificato dalla Corte dei Conti in 120 miliardi di euro”. Il 5 febbraio 2013 anche il dipartimento della Giustizia Usa, dopo aver acquisto le carte dell’inchiesta giudiziaria di Trani, ha citato S&P chiedendo 5 miliardi di dollari di risarcimento danni, per aver gonfiato alcuni titoli immobiliari, i mutui subprime, contribuendo a determinare l’inizio della crisi sistemica iniziata nel luglio del 2007. Il PM Michele Ruggiero della Procura di Trani nell’interrogatorio di Mario Draghi, il 24 gennaio 2011, ha verbalizzato la seguente risposta: “Bisogna fare a meno delle agenzie di rating, sono altamente carenti e screditate”. Adusbef e Federconsumatori chiedono ancora una volta ai Governi “normative chiare e sanzioni penali più rigorose, contro le Agenzie di Rating, che fanno profitti sulla pelle dei risparmiatori”. Una richiesta, quest’ultima, purtroppo destinata a cadere nel vuoto, se si considera che nell’eurocrazia attuale la finanza e la speculazione internazionale hanno messo da parte il vecchio ceto politicante per prendere, senza fastidiose intermediazioni, le decisioni a loro più congeniali. Comanda la Troika e non c’è bandiera che tenga.
http://coriintempesta.altervista.org/blog/vogliono-azzannare-litalia/?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

25 verità sul caso Evo Morales/Edward Snowden

Il caso Edward Snowden è stato all’origine di un grave incidente diplomatico tra la Bolivia e diversi paesi europei. A seguito di un ordine da Washington, Francia, Italia, Spagna e Portogallo hanno proibito all’aereo presidenziale di Evo Morales di sorvolare sul loro territorio.

1. Dopo una visita ufficiale in Russia per partecipare a un vertice dei paesi produttori di gas, il presidente Evo Morales ha preso il suo aereo per tornare in Bolivia.

2. Gli Stati Uniti, pensando che Edward Snowden, ex agente CIA e della NSA, autore delle rivelazioni sulle operazioni di spionaggio del suo paese, fosse sull’aereo presidenziale, ha ordinato a quattro paesi europei, Francia, Italia, Spagna e Portogallo, di proibire il sorvolare del loro spazio aereo a Evo Morales.

3. Parigi ha immediatamente soddisfatto l’ordine proveniente da Washington e ha annullato l’autorizzazione di sorvolo del proprio territorio che era stato concessa alla Bolivia il 27 giugno 2013, mentre l’aereo presidenziale si trovava a pochi chilometri dal confine francese.

4. Così, Parigi ha messo in pericolo la vita del Presidente boliviano, il quale è dovuto atterrare in emergenza in Austria, per mancanza di carburante.

5. Dal 1945, nessuna nazione al mondo ha impedito a un aereo presidenziale il sorvolo del proprio territorio.

6. Parigi, oltre che a scatenare una crisi di estrema gravità, ha violato il diritto internazionale e l’immunità diplomatica assoluta del quale gode qualsiasi Capo di Stato.

7. Il governo socialista di François Hollande ha seriamente compromesso il prestigio della nazione. La Francia appare agli occhi del mondo come un paese servile e docile, che non esita un attimo ad obbedire agli ordini di Washington, contro i propri interessi.

8. Prendendo una tale decisione, Hollande ha denigrato la voce della Francia sulla scena internazionale.

9. Parigi diventa anche oggetto di risate nel mondo. Le rivelazioni fatte da Edward Snowden hanno portato alla scoperta che gli Stati Uniti spiano diversi paesi dell’Unione Europea, tra cui la Francia. A seguito di queste rivelazioni, François Hollande ha chiesto pubblicamente e fermamente a Washington di fermare tali atti ostili. Tuttavia, in contraddizione, il Palazzo dell’Eliseo ha seguito fedelmente gli ordini della Casa Bianca.

10. Dopo aver scoperto che si trattava di una informazione falsa e che Snowden non era sull’aereo, Parigi ha deciso di annullare il divieto.

11. Italia, Spagna e Portogallo hanno seguito anch’esse gli ordini di Washington e hanno proibito a Evo Morales il sorvolo sul proprio territorio prima di cambiare idea, dopo aver appreso che l’informazione non era vera e consentire al presidente boliviano di proseguire il suo percorso.

12. In precedenza, la Spagna ha perfino richiesto di visionare l’aereo presidenziale in violazione di tutte le leggi internazionali. “Questo è un ricatto; non lo consentiamo per una questione di dignità. Aspetteremo il tempo necessario”, ha replicato il Presidente boliviano. “Non sono un criminale”, ha dichiarato Evo Morales.

13. La Bolivia ha denunciato un attacco contro la sua sovranità e contro l’immunità del suo presidente. “Si tratta di una istruzione del governo degli Stati Uniti”, secondo La Paz.

14. L’America Latina ha condannato all’unanimità l’atteggiamento della Francia, Spagna, Italia e Portogallo.

15. L’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR), ha convocato d’urgenza una riunione straordinaria dopo questo scandalo internazionale e ha espresso la sua “indignazione” attraverso il suo Segretario Generale Ali Rodriguez.

16. Venezuela ed Ecuador hanno condannato “l’offesa” e l'”attacco” contro il Presidente Evo Morales.

17. Il Presidente Nicolas Maduro del Venezuela ha condannato “l’aggressione rude, brutale, inadeguata ed incivile”.

18. Il Presidente ecuadoriano Rafael Correa ha espresso la sua indignazione: “La Nostra America non può tollerare tanto abuso!”

19. Nicaragua ha denunciato una “azione criminale e barbara”.

20. L’Avana ha criticato l'”atto inaccettabile, infondato ed arbitrario, che offende tutta l’America Latina e i Caraibi”.

21. La Presidentessa dell’Argentina Cristina Fernandez, ha espresso la sua costernazione: “In definitiva sono tutti matti. Il Capo dello Stato ed il suo aereo hanno la totale immunità. Non ci può essere questo grado di impunità”.

22. Attraverso la voce del suo Segretario Generale José Miguel Insulza, l’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) ha condannato la decisione dei paesi europei: “Non ci sono circostanze alcune per commettere tali azioni ai danni del presidente della Bolivia. I paesi coinvolti devono fornire una spiegazione, i motivi per cui hanno preso questa decisione, soprattutto perché questa ha messo in pericolo la vita del presidente di un Paese Membro dell’OEA”.

23. L’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA), ha denunciato “la palese discriminazione e minaccia all’immunità diplomatica di un Capo di Stato”.

24. Invece di concedere asilo politico alla persona che gli ha permesso di scoprire che sono vittima di spionaggio ostile, l’Europa, in particolare la Francia, non esita a a dar via ad una crisi diplomatica, con l’obiettivo di consegnare Edward Snowden agli Stati Uniti.

25. Questo caso illustra che se l’Unione Europea è una potenza economica, è un nano politico e diplomatico incapace di assumere una posizione indipendente nei confronti degli Stati Uniti.

http://tlaxcala-int.org/article.asp?reference=10126

Detroit è fallita, ecco perché

Popolazione in calo, crimini alle stelle, una base fiscale sempre più fragile e venti miliardi di debiti: ecco il mix che porta un’amministrazione al black-out

19-07-2013
Un’immagine della città di Detroit con aree abbandonate (Bill Pugliano/Getty Images)
di Stefania Medetti
Nel 1960, Detroit era la città con il reddito pro-capite più alto degli Stati Uniti. Oggi è la più grande città americana ad avviare le procedure di fallimento, con un debito vicino a 20 miliardi di dollari. Dietro questa cifra stratosferica, in realtà, si nasconde una realtà difficilissima: il 60% dei bambini di Detroit, infatti, vive sotto la soglia della povertà. Il 50% della popolazione è analfabeta. Il 33% della città, che misura 360 chilometri quadrati, è abbandonato, per un totale di circa 80mila edifici in disuso . Nel primo trimestre del 2013, il 40% delle luci nelle strade non era funzionante. Sempre secondo l’Ufficio statistico nazionale, l’83% dei 713mila residenti è nero, complice la perdita di posti di lavoro e l’aumento del crimine che ha portato le classi più abbienti ad allontanarsi dalla città. Negli anni Cinquanta, Detroit contava 1,8 milioni di abitanti e 200mila dipendenti dell’industria automobilistica, oggi solo 20mila persone lavorano in questo settore.
Le cose non vanno meglio a livello statale: il Michigan, lo stato in cui si trova Detroit, ha perso il 48% dei posti di lavoro in ambito manifatturiero nel giro di un decennio, dal 2000 al 2010. Il che si traduce in una caduta verticale del 25% della base di cittadini che paga le tasse. Oggi, un numero crescente di economisti ed intellettuali punta il dito contro il Nafta, l’accordo di libero commercio nel Nord America siglato nel 1994 e sostenuto, fra gli altri, anche dal Premio Nobel per l’economia Paul Krugman. La firma, a quanto pare, è costata quasi 700mila posti di lavoro. Ma non è tutto. Dal 2000 a oggi, la disoccupazione è triplicata e adesso è il doppio della media nazionale, con il 18% della popolazione che non ha un lavoro. Il tasso di omicidi, negli ultimi vent’anni, ha fatto sì che Detroit scalasse la classifica delle città più pericolose d’America e oggi il 70% del crimine è legato al traffico della droga. In media, i cittadini aspettano 58 minuti per una risposta da parte della polizia, contro gli 11 minuti di chi abita in un’altra città.
Secondo il Governatore del Michigan Rick Snyder la bancarotta è preferibile al peso di dover continuare a gestire una città gravata di debiti. Ma non tutti sono d’accordo e c’è chi evidenzia  come la bancarotta complicherà ulteriormente la vita dei 9.500 dipendenti comunali e dei 20mila pensionati che, insieme agli altri cittadini, vedrebbero tagliati redditi e servizi. E una volta creato il precedente, l’effetto a catena presso altri città americane potrebbe essere inarrestabile.
http://economia.panorama.it/detroit-fallimento-poverta-crimine-rischi

Detroit crac: la follia delle città ridotte ad aziende

 Negli USA, a quanto pare, il principio del “Too Big To Fail” vale per le banche e affini, ma non per le città. O forse, chissà, Detroit non è abbastanza grande per sfuggire alla logica esclusivamente contabile che conduce alla bancarotta: con i suoi 800 mila abitanti, e i suoi 18-20 miliardi di debiti, è un po’ l’equivalente di Lehman Brothers. Una società di notevoli dimensioni, e con una lunga storia alle spalle, che tuttavia non è indispensabile ai fini della sopravvivenza complessiva del meccanismo cui appartiene. E che, perciò, può essere abbandonata al suo destino.

D’altronde, e sempre restando negli Stati Uniti, i precedenti non mancano. La “novità” di Detroit è tale solo perché rientra tuttora fra le venti metropoli più popolose, nonostante la cittadinanza si sia più che dimezzata rispetto ai quasi due milioni degli Anni Cinquanta che la collocavano, addirittura, al quarto posto. Ma la regola, che è quella su cui concentrarsi, è appunto che le città siano soggetti assimilabili alle imprese private. Più che enti locali, la cui dissoluzione per via meramente contabile è assurda di per sé in quanto viola il fondamentale vincolo tra popolazione e territorio, entità collettive, rispetto alle quali i cittadini sono una sorta di soci, o di lavoratori dipendenti, che vengono risucchiati loro malgrado nei gorghi del fallimento.

Il tracollo della città-azienda li priva di qualsiasi certezza, vista l’assenza di una tutela pubblica di rango superiore, e infliggendo loro un impoverimento sicuro li espone a uno sradicamento probabile. Come sottolinea un articolo uscito oggi sul Sole 24 Ore (qui http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-07-19/fallimento-Detroit-074012.shtml ), «Fra i debiti non garantiti [di Detroit], ovvero quelli più a rischio, ci sono 9 miliardi di dollari di assistenza sanitaria e pensioni; gli ex dipendenti della città rischiano di ottenere il 10% di ciò cui avrebbero diritto».

Significa ritrovarsi sul lastrico, in pratica. E a un’età, per i pensionati, nella quale certamente non si può ricominciare daccapo, augurandosi di avere maggior fortuna. Una situazione che del resto non è troppo dissimile da quella di chi, benché non altrettanto anziano, si sia trovato a perdere la propria fonte di reddito e magari anche la massima parte del valore della sua piccola proprietà immobiliare, dalla casa al negozio o all’ufficio, a causa del crollo generale delle quotazioni e dello svuotamento di ampie zone, ormai ridotte a quartieri-fantasma.

L’idea, tipicamente statunitense ma ormai prossima ad affermarsi anche in Europa, è tanto semplice quanto brutale. Le cose vanno come vanno, e i singoli devono sbrogliarsela da soli. Una logica da Grande Depressione, o da fine della Corsa all’oro, o da ordinario Far West con le sue innumerevoli ghost town sorte sullo slancio di una qualunque spinta espansiva e poi schiantate dal mutare delle circostanze e delle opportunità. Una logica che esplode nei momenti di crisi, locale o nazionale, ma che in effetti non scompare mai del tutto, rimanendo invece nascosta-incombente-strisciante nelle altre fasi del ciclo economico liberista.

La lezione di Detroit aggiunge ben poco a ciò che già non si sapesse delle dinamiche degli USA e laggiù, dai santuari di Washington fino alle chiesette dei piccoli e piccolissimi centri abitati di cui i più non hanno mai sentito parlare ma che sono soggiogati dallo stesso cinismo, non innescherà alcun ripensamento sui vizi di un sistema che oscilla di continuo tra arricchimenti repentini e declini inarrestabili. Il loro dogma è che sia giusto così: molto si crea, molto si distrugge, e in teoria c’è posto per tutti, se si possiedono le “qualità” necessarie.

Per noi, come italiani e come europei, c’è ancora qualche possibilità di non ammalarci della stessa follia. Chiedendoci, ad esempio, se saremmo disposti ad accettare vicende come quella di Detroit, col fallimento, e la desertificazione, di qualche nostra città medio-grande.

O degli interi Stati, a maggior ragione.

Federico Zamboni
Fonte: www.ilribelle.com/
Link: http://www.ilribelle.com/la-voce-del-ribelle/2013/7/19/detroit-crac-la-follia-delle-citta-ridotte-ad-aziende.html

Giovani senza lavoro, ma col Tav e gli F35

Il precariato si sta mangiando il futuro dei nostri figli. Ma non ci sono problemi: avranno il Tav per andare a Lione in mezz’ora di meno e 90 F35 per fare la guerra.
redazione
martedì 16 luglio 2013

Sfogliando i dati Ocse scopriamo che il 53% dei nostri giovani è precario, senza futuro, e la disoccupazione si aggraverà nel 2014. La realtà ci dice che un numero infinito di pensionati prende pensioni da fame. Le scuole cadono a pezzi, l’istruzione pubblica è ridotta a uno straccio. Per fare una Tac devi essere raccomandato o aspettare sei mesi. Però avremo 90 nuovi e difettosi aerei da guerra. E tra 20 o 30 anni le scatolette di tonno andranno velocissime da Torino a Lione risparmiando ben 30 minuti.

Parliamo di soldi nostri. Di 40 miliardi di euro che un governo saggio, non sottomesso a dinamiche internazionali incomprensibili e che veramente volesse combattere la guerra alle mafie, potrebbe investire per creare occupazione, per detassare il lavoro e aumentare le pensioni. Per rendere i luoghi dove viviamo più civili. Per non fare guerre e non finanziare grandi opere inutili per i cittadini e utili solo per il sistema assurdo che ne sostiene l’assoluta e ideologica realizzazione.

Questo governo, comunque, non sarà quello presieduto dal piddino Enrico Letta. Non sarà il governo voluto fortemente da Napolitano e che somiglia tanto a una foglia di fico per coprire (e far passare) vergogne che Berlusconi stesso non avrebbe potuto fare governando da solo. Invece no. I militari impongono gli F35 e altri armamenti e navi da guerra, si presuppone. E per costruire l’inutile linea Tav è stato costruito un Afghanistan blindato e militarizzato. Un fortino di soldati per difendere dai cittadini gli interessi di chissà chi. Non certo quello dei cittadini.

Come era lontana la campagna elettorale… Questo è un brano dell’Unità del 5 febbraio scorso: “Secondo i calcoli effettuati al quartier generale del Pd, le operazioni per la messa in sicurezza, l’efficienza energetica, la manutenzione e la bonifica da amianto dovrebbero ammontare a 7 miliardi e mezzo da investire nell’arco di tre anni. Per la copertura di questa spesa, il Pd ha lavorato su una diminuzione delle spese militari, che sono state di 19,96 miliardi di euro, pari all’1,2% del Pil, nel 2012, e che in prospettiva dovrebbero aumentare a 20,93 miliardi di euro per il 2013. Bersani ritiene queste cifre insostenibili e ingiustificate, e intende rivedere, in caso di vittoria alle elezioni, il bilancio del ministero della Difesa. «Bisogna assolutamente rivedere il nostro impegno per gli F-35, la nostra priorità non sono i caccia ma il lavoro», aveva detto non a caso Bersani una decina di giorni fa”.

Ecco, per l’appunto. La priorità poi – per un miracolo che non capiamo – è tornata ad essere il Tav e i caccia. Non il lavoro. Le scuole sono fuori norma, la distruzione del paesaggio la regola, gli interessi privati contro gli interessi collettivi predominanti. a.c.

http://www.globalist.ch/Detail_News_Display?ID=46834&typeb=0&Giovani-senza-lavoro-ma-col-Tav-e-gli-F35

El Sebaje – Egitto. Una rivoluzione per una guerra civile

El Sebaje – Egitto. Una rivoluzione per una guerra civile    Si stracciano le vesti, alcuni politici e giornalisti occidentali per gli arresti “arbitari” dei leader dei Fratelli musulmani e la chiusura “ingiustificata” delle loro emittenti perché “così si impedisce la partecipazione dell’Islam moderato al processo democratico”. Dove abbiano visto questa moderazione, solo Dio lo sa. Ma hanno mai sentito i loro comizi? Hanno mai seguito una trasmissione dei loro canali? Sono sul loro libro paga? Sono in malafede? Oppure – visto che nessuno di questi espertoni parla l’arabo, tanto meno quello dialettale – ripetono come dei papagalli ciò che raccontano i Fratelli e il loro megafono qatariota (leggasi Aljazeera) quando esortano “la comunità internazionale, i gruppi stranieri e tutti gli uomini liberi del mondo a intervenire per impedire altri massacri e la nascita di una nuova Siria nel mondo arabo”?

Del fatto che la Fratellanza fosse un movimento moderato erano convinti in molti, inclusi tanti laici che li hanno votati, pur di non votare l’ultimo premier di Mubarak. Ad un certo punto riuscirono a convincere in parte pure me, che erano moderati, anche se non mi sarei mai sognato di votarli. Poi li abbiamo visti all’opera senza la pressione dell’autocrate di turno e si sono rivelati in tutta la loro nefandezza. E infatti il popolo egiziano non ha retto il loro governo nemmeno un anno. Non ci voleva molto per immaginare cosa sarebbe successo una volta deposto il loro presidente. E dico “loro” non a caso, visto che milioni di egiziani hanno manifestato pacificamente proprio per deporlo mentre i suoi sostenitori – fra cui si annoverano, guarda caso, i jihadisti che Morsi ha fatto rilasciare dalle prigioni non appena eletto – si sono votati al martirio, e sono scesi per le strade dell’Egitto armati di machete, armi da fuoco e spranghe.

E proprio mentre milioni di egiziani temono che questi folli scatenino il terrore, che l’Egitto diventi un’altra Algeria o un’altra Siria per colpa loro e non per colpa dell’esercito se la deve vedere con i loro attacchi suicidi alle caserme (tesi a giustificare la veste della “vittima” davanti alle telecamere occidentali), l’Occidente cosa chiede? Di lasciarli a piede libero, di permettere ai loro canali di chiamare alla mobilitazione contro “cristiani e atei” che “vogliono distruggere l’Islam in Egitto”. Un po’ come lasciare in funzione la radio estremista “RTLM” che invitava, durante il genocidio ruandese, a “seviziare e ad uccidere gli “scarafaggi” tutsi”. Ma questi politici e questi giornalisti stanno bene con la testa? Oppure, più semplicemente, visto che hanno il culo al caldo e non stanno da quelle parti, parlano tanto per parlare?

La verità è che rivoluzione del 2011 ha avuto come unico merito quello di permettere a un movimento estremista, fuori legge fino all’altro ieri, di agire indisturbato per due anni e di arrivare addirittura al potere “democraticamente”. Due anni in cui accumulare potere e soldi, fare propaganda e reclutare nuovi adepti, immagazzinare armi e munizioni. Due anni che hanno concesso a questo gruppo la foglia di fico con cui appellarsi, furbescamente, alla comunità internazionale: “la legittimità elettorale”, appunto. Una legittimità che proprio il popolo egiziano ha ritirato, scendendo in numeri ben superiori a quelli di due anni fa. Due anni per buttare le solide basi di una probabile guerra civile in Egitto. Questo è stato, discorsi aulici a parte, il grande risultato della rivolta anti-Mubarak che tanto ha entusiasmato i deficienti di allora. Complimenti.

Sherif El Sebaje
Fonte: http://salamelik.blogspot.com/
Link: http://salamelik.blogspot.com/2013/07/egitto-una-rivoluzione-per-una-guerra.html
8.07.2013

Esodati: solo 11mila già in pensione. Risorse scarse per tutti gli altri

Secondo l’ultimo rapporto annuale dell’ Inps, meno del 10% dei lavoratori tutelati riceve il vitalizio. Le incognite per chi aspetta ancora la salvaguardia
19-07-2013

di Andrea Telara
Pochissimi già in pensione e molti ancora in attesa. Si può riassumere così la situazione in cui si trovano oggi gli esodati di tutta Italia. Si tratta di quei lavoratori che, negli anni scorsi, hanno firmato con la propria azienda un accordo per mettersi in mobilità e che, successivamente, sono rimasti senza un impiego e senza il diritto ad avere la pensione, a causa dell’ultima riforma previdenziale voluta dall’ex-ministro del welfare, Elsa Fornero (che ha innalzato di colpo l’età del pensionamento).
LA RIFORMA DELLE PENSIONI DI ELSA FORNERO
Come sa bene chi ha seguito tutta la vicenda, il numero totale degli esodati italiani è stimato nell’ordine di oltre 300-350mila unità, di cui circa 130mila (suddivisi in 3 diverse tranche) sono stati già tutelati dal governo Monti. La salvaguardia, però, consiste in una certificazione dell’Inps in cui viene riconosciuto al lavoratore esodato il diritto ad andare in pensione con le vecchie regole, precedenti la riforma Fornero. A ben guardare, le persone che effettivamente percepiscono già l’assegno previdenziale sono in totale 11.384, secondo i dati aggiornati al 10 giugno 2013 e contenuti nell’ultimo Rapporto Annuale dell’Inps . Si tratta dunque di poco più di un decimo della platea complessiva dei lavoratori tutelati.
IL PROBLEMA DEGLI ESODATI
In teoria, tutti gli altri salvaguardati dal governo Monti dovrebbero presto passare automaticamente dall’assegno di mobilità a quello previdenziale, non appena matureranno i requisiti per il pensionamento. Nella pratica, però, ci sono molti lavoratori che hanno dei periodi scoperti, nei quali non hanno diritto a percepire alcunché, né il sussidio, né la pensione. Si tratta soprattutto di coloro che hanno firmato degli accordi per mettersi in mobilità prima del 2010 e che, per un meccanismo complesso e arzigogolato, subiscono gli effetti di tutte le riforme pensionistiche approvate nel nostro paese negli anni scorsi: non soltanto quella della Fornero di fine 2011 ma anche quelle varate nel 2010 dal suo predecessore Maurizio Sacconi, che ha introdotto il sistema delle finestre mobili (in base al quale un lavoratore che matura il diritto al pensionamento deve rimanere in servizio ancora per12 mesi).
GLI ESODATI E IL GOVERNO LETTA
E così, a causa di questo mix concomitante di fattori, ci sono tuttora molti esodati che hanno visto esaurirsi il diritto a percepire l’assegno di mobilità (ad esempio nel corso di quest’anno) prima di poter diventare pensionati a tutti gli effetti (per esempio dal 1° gennaio 2014). Per rimediare a questa situazione, verranno stanziate nei prossimi mesi apposite risorse che saranno attinte dal Fondo sociale per l’occupazione del Ministero del Welfare . Non si tratta di molti soldi, circa 36 milioni di euro in tutto, che serviranno per prolungare il periodo coperto dagli assegni di mobilità e garantire così uno scivolo verso la pensione (sperando che le risorse siano sufficienti). C’è però un rischio da non sottovalutare: l’ipotesi di una crisi di governo nei prossimi mesi, che potrebbe mandare all’aria tutte le procedure.
I PRIMI LAVORATORI TUTELATI
LA SECONDA TRANCHE DI SALVAGUARDATI
LA TERZA TRANCHE DI TUTELATI
http://economia.panorama.it/lavoro/esodati-11-mila-pensione-inps
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Goldman Sachs raddoppia gli utili mentre l’economia soffre

Può sembrare un controsenso in questo periodo di crisi economica mondiale,  eppure le banche non sembrano fermarsi. Goldman  Sachs, una delle più importanti banche di investimento al mondo,  polverizza le attese raddoppiando gli utili. La maggior parte degli utili  conseguiti da uno dei più grandi player sul mercato provengono da attività di trading su materie prime, dal comparto fixed  income e dal mercato valutario. Il fatturato generato  è pari a 2,46 miliardi di dollari mentre i profitti  netti balzano a 1,93 miliardi di dollari contro i “soli” 962 milioni di  dollari dello stesso periodo dell’anno precedente.

Sui numeri rilasciati, arrivano subito le parole del numero uno di Gs, Lloyd  Blankfein che ha definito i conti della banca molto solidi, complici  di una situazione economica di ripresa che ha guidato i clienti verso una minore  avversione al rischio.
I dubbi su questa dichiarazione non sono pochi. Per prima cosa sembra  allargarsi il divario tra economia e finanza: mentre banche di  investimento come Goldman Sachs continuano a  generare profitti, l’economia reale deve essere aiutata dalla banche centrali  che operano in simbiosi con il sistema finanziario. Bce, Fed e Boj hanno aiutato  il sistema con liquidità facile, il che ha permesso alle banche più “scaltre” di  generare profitti tramite il giusto collocamento delle risorse nei mercati  finanziari in crisi, ottimi per sfruttare occasioni a breve termine.
Il miglior esempio di ciò che viene detto è il fatto che molte banche, almeno  in Europa, hanno usato la liquidità dell’LTRO per appianare gli spread e  comprare titoli a reddito fisso con prezzi a dir poco scontati. L’occasione è  stata ben sfruttata e vedendo i numeri di Goldman Sachs, sembra proprio che  anche la banca americana non si sia lasciata sfuggire l’occasione: non a caso  uno dei comparti che ha generato più utile nell’ultimo trimestre è proprio  quello del fixed income (reddito fisso). Per non parlare dei profitti da  trading, profitti relativamente facili per un grande player come GS, complice la  liquidità della banche centrali che aiuta la disposizione di risorse per le  banche di investimento.
Osservando quindi i numeri di Goldman Sachs, vediamo che gli utili  stratosferici della banca non provengono da settori legati  all’economia quali i prestiti, bensì da attività che una sola  istituzione finanziaria può compiere, così come l’operatività in materie prime,  dal comparto del reddito fisso e dal trading sul mercato valutario, mercato non  regolamentato e più facilmente agibile per un player importante come GS che può  operare direttamente nel mercato interbancario.Mentre l’economia mondiale soffre la crisi, la finanza continua a bruciare i  target.
David Pascucci
Fonte: http://it.ibtimes.com/articles/52926/20130716/trimestrale-goldman-sachs.htm#ixzz2ZHAgTGwc