ARMI NEI MARI PESCI MALFORMATI

Lo dimostra un progetto durato tre anni appena concluso. Combustioni, ossidazione, rilasciano nanoparticelle che finiscono nella catena alimentare

 Centomila tonnellate di bombe, proiettili, ordigni, nei mari italiani secondo Legambiente. Alcuni stanno lì da decenni, altri più recenti. La bonifica è possibile, ha raccontato Metro venerdì, e anche relativamente low cost. A patto che si abbia la volontà politica di individuare gli arsenali sottomarini. Ma nel frattempo, cosa sta succedendo nell’ecosistema?

La scienziata Antonietta Gatti è una dei 36 maggiori esperti al mondo di nanopatologie. Da poche settimane è terminato il progetto Inese: le scorie provenienti da metalli, fanghi e ceramiche, hanno un impatto devastante sull’ecosistema.

«Abbiamo creato delle greenhouse a Modena – ci racconta – sia di terra che di mare, cioè delle serre e un grande acquario nel quale abbiamo spinto nanoparticelle per vedere l’effetto sulla fauna e sulla flora.

E…?

L’acqua contaminata con nanoparticelle di metalli influisce sulla spermatogenesi dei ricci: quelli nati ave vano scheletri deformi, e poi erano sterili. Quindi emerge un grave problema per la biodiversità. Nelle serre invece, abbiamo “iniettato” nanoparticelle di ossido di titanio e abbiamo notato che non fa crescere abbastanza il basilico, il pomodoro nano e il riso. Il progetto è durato tre anni ed è terminato il 31 marzo, con la dottoressa Carla Falugi stiamo ancora scrivendo la relazione finale. È costato 650 mila euro finanziati dall’Istituto di tecnologie e vi hanno partecipato le università di Genova, Bologna, Pisa, il Cnr di Napoli, l’istituto di genetica di Trieste.

Tutto questo finisce nel nostro mare, con conseguenze letali. È possibile pulire?

Non è facile, ma possibile. È importante fare presto: è la catena alimentare che viene contaminata: noi abbiamo trovato le nanoparticelle all’interno delgi animali, nel loro corpo. Più l’acqua è salata più l’acciaio viene corroso rilasciando nichel, cromo, ferro. È importante che il mare venga mappato, che ci sia più informazione.

Il prossimo passo?

Scoprire come proteggersi. Sta per partire il prossimo progetto, ideale continuazione di questo, che vuole scoprire proprio come mettersi al riparo.

Qui il link all’inchiesta di Metro pubblicata il 12 aprile dove abbiamo raccontato di come si possano bonificare i mari

 COSì VECCHIE ARMI INQUINANO ANCORA

 I nostri mari sono pieni di ordigni bellici che rilasciano sostanze tossiche

 Pulire i mari dall’inquinamento chimico di tonnellate di armi inabissate? Si può fare. E anche con costi contenuti grazie alle più moderne tecnologie. Siamo all’Aja, in un convegno collegato alla terza conferenza internazionale per la Convenzione  sulle armi chimiche. Un trattato che va revisionato a fronte delle maglie troppo larghe e dei nuovi pericoli all’orizzonte, dalla Nord Corea alla Siria.

 Il dossier di Legambiente

 Nel palazzo dove la convenzione fu firmata si parla invece di “grandi pulizie”. Attualmente, riporta un dossier di Legambiente, ci sono oltre 30mila ordigni nel sud del mare Adriatico, di cui 10mila solo nel porto di Molfetta; 13mila i proiettili e 438 i barili contenenti pericolose sostanze tossiche nel  golfo di Napoli; 4300 le bombe all’iprite e 84 tonnellate di testate all’arsenico nel mare antistante Pesaro. Ci sono poi i laboratori e i depositi di armi chimiche della Chemical City in provincia di Viterbo e l’industria bellica nella Valle del Sacco a Colleferro. Infine sono migliaia le bomblets, piccoli ordigni derivanti dall’apertura delle bombe a grappolo, sganciati dagli aerei Nato sui fondali marini del basso Adriatico durante la guerra in Kosovo. Questi arsenali, prodotti dall’industria bellica italiana dagli anni ‘20 fino alla seconda guerra mondiale e coperti per anni dal Segreto di Stato, continuano a rilasciare pericolose sostante tossiche che da più di ottant’anni causano gravi danni all’ecosistema della Penisola e alla salute delle popolazioni locali.

 “La tecnologia c’è ed è economica”

 Adrian van Riel è oggi Ceo della Riel explosive Advice & Services Europe ltd. Un passato da militare ai più alti livelli nell’esercito olandese, consigliere della Nato e dei principali organismi di difesa europea, da 18 anni si occupa di boniche. “La tecnologia c’è, oggi siamo in grado di pulire il mare da qualsiasi cosa, ordigni della prima, della seconda guerra mondiale e anche le nuovissime armi di ultima generazione. Anche i costi sono più ridotti come recenti operazioni nei Balcani e in Olanda hanno dimostrato. Se vuoi pulire un fiume inquinato – ci dice – dovrai spendere milioni di euro, ma se tu sai esattamente dove si trova l’ordigno e devi rimuoverlo allora spendi un terzo”.

 Il problema è il segreto di Stato

 Il problema, ci spiega, è tutto lí, l’informazione: “Abbiamo due scenari : i paesi che utilizzano il segreto di Stato e quelli che sono trasparenti. Purtroppo l’Italia è nel primo gruppo. E se non sai cosa cercare, brancoli nel buio e le bonifiche non si faranno mai”. Si è parlato proprio dell’Italia, in riferimento ai poligoni militari, e quindi alla Sardegna. “Sin dal 1957 – ha detto Michael Verhoven, rappresentante per l’Europa dello studio leale statunitense Eaves, che si sta occupando di difendere le popolazioni che vivono intorno ai poligoni della Nato – a Salto di Quirra sono state testate armi di tutti i tipi. Tonnellate di munizioni sono rimaste nel mare e nei suoli, contaminandoli. La perizia voluta dalla procura di Lanusei ha trovato tracce di torio232, cadmio e di fosforo bianco nel territorio adiacente alle attività militari. E l’esperta in nanopatologie Antonietta Gatti ha dimostrato che i pesci che vivono intorno al poligono sono più contaminati della restante fauna ittica della Sardegna”. Eppure non esiste a oggi una mappatura di cosa sia stato fatto esplodere, in quali quantità e dove.

 “Serve un approccio industriale”

 “È il problema principale – continua van Riel – normalmente i militari sono visti come inquinatori ma essi eseguono ordini dei governi, che sono i mandanti. Perciò spetta a loro sobbarcarsi i costi della pulizia. E serve un approccio industriale: telecamere subacquee di altissimo livello, bracci meccanici radiocomandati, inscatolamento dell’ordigno, smaltimento sicuro, e il fondale torna come prima, aperto a qualsiasi attività produttiva. Il mercato è pronto, è un nuovo settore industriale pronto a diventare operativo, capace di creare un indotto economico. Serve solo che i paesi più inquinati si decidano a dare il via”.

 Vietato perdere altro tempo

 Come la mettiamo con la crisi che non fa più spendere un euro di denaro pubblico? “Gli strumenti potrebbero essere tanti: anche l’industria del turismo potrebbe avere interesse a bonificare e si potrebbero fare accordi con i governi per ottenere permessi o licenze con sconti se il privato si sobbarca i costi della pulizia dell’ambiente. Basta avere la volontà di trovare la soluzione, l’importante è non far trascorrere altro tempo perchè le armi chimiche inquinano la catena alimentare”.

 (Stefania Divertito)

 12/04/2013 6:04

(Stefania Divertito)

http://www.metronews.it/master.php?pagina=notizia.php&id_notizia=13099

 

ARMI NEI MARI PESCI MALFORMATIultima modifica: 2013-04-19T08:37:18+02:00da davi-luciano
Reposta per primo quest’articolo