Caso di autismo insorto il giorno stesso della vaccinazione

Caso di autismo insorto il giorno stesso della vaccinazione: il tribunale di Rimini ha riconosciuto il danno del vaccino e il diritto all’indennizzo della famiglia

Il 15 marzo 2012 è stata depositata la sentenza con cui il tribunale di Rimini sancisce il diritto di due genitori ad un elevato risarcimento dalle istituzioni sanitarie perché il proprio figlio è diventato improvvisamente autistico subito dopo la vaccinazione trivalente contro Morbillo Parotite e Rosolia (in inglese MMR). La sentenza è visionabile interamente in formato pdf al seguente indirizzo:

Nella sentenza viene fatto notare come il giorno stesso della vaccinazione sono insorti sintomi preoccupanti (diarree e nervosismo) dopo di che si è manifestato il grave disagio psico-fisico diagnosticato in seguito come autismo con invalidità totale e permanente.  

Data la situazione è veramente difficile negare la realazione causale tra vaccinazione e insorgenza dell’autismo.


La notizia fa breccia pure al di fuori dei confini nazionali, e viene riportata anche dall’edizione del mailonline (la traduzione integrale dell’articolo la potete leggere al link: http://www.comilva.org/danno_da_vaccino/mmr_vittoria_di_madre).

La stampa italiana invece nel riportare la notizia sembra dare più spazio al risentimento delle autorità sanitarie (le quali temono che la gente abbia paura di vaccinare i propri figli dopo questa sentenza): http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/04/16/tribunale-rimini-vaccino-morbillo-causa-lautismo-insorge-comunita-medica/204717/


Il fatto è che quando il dottor Wakefield trovò notevoli correlazioni tra l’autismo e quel tipo di vaccino trivalente, pubblicando anche uno studio particolareggiato, le istituzioni tutte (sanitaria e giudiziaria in particolare) gli mossero guerra cercando di farlo passare per un truffatore. Come sono riuscite a fare questo? Semplicemente utilizzando tutto il potere che hanno le istituzioni nel manipolare i mass media e nel pilotare la giustizia, non esitando all’occorrenza di ricorrere a maniere forti come minacce ai genitori dei bambini autistici coinvolti nello studio di Wakefield. qui di seguito la video-intervista in cui alcuni genitori testimoniano l’incredibile vicenda.

http://www.youtube.com/watch?v=pDrLrWMUc_k&feature=player_embedded


Nel frattempo dal quotidiano britannico telegraph arriva la notizia che un collaboratore di Wakefield ha vinto la causa contro le istituzioni sanitarie che lo avevavo radiato dall’albo dei medici. L’articolo spiega che nella sua lunga battaglia per essere riabilitato ha avuto dalla sua i parenti dei bambini autistici che erano stati oggetti del famoso studio prima pubblicato, e poi parzialmente ritrattato dalla porestigiosa (ma evidentemente non altrettanto coraggiosa) rivista Lancet.

http://www.telegraph.co.uk/health/children_shealth/9128147/MMR-doctor-wins-battle-against-being-struck-off.html

Anche Wakefield è stato radiato dall’albo dei medici: a quanto pare quando si scoprono le tristi verità sui vaccini si è oggetto di una incredibile forma di repressione.

 



http://scienzamarcia.blogspot.it/2013/04/caso-di-autismo-insorto-il-giorno.html

Orrore in Birmania

di Redazione

Un’immagine struggente mostra un bambino di tre anni mentre abbraccia la sorella poco più piccola di lui, dopo l’uccisione del padre e della madre da parte di estremisti buddisti, nella più brutale campagna di pulizia etnica e religiosa in atto in Birmania contro la minoranza musulmana. Lo riferiscono fonti locali.

 

Confedercontribuenti, il Gip non sequestra le somme ai responsabili dello scandalo

ma quanti amici del Pd in procura…..

MPS: Confedercontribuenti, il Gip non sequestra le somme ai responsabili dello scandalo

Il gip del tribunale di Siena ha respinto il decreto d’urgenza del sequestro per Banca Nomura e per Sadeq Sayeed, oltre che per Giuseppe Mussari e Antonio Vigni. I pm avevano chiesto il sequestro di circa due miliardi di euro per Nomura. Secondo quanto riporta l’Ansa, per il gip Ugo Bellini non c’erano i requisiti per il decreto d’urgenza.  In una nota Confedercontribuenti, mostra tutta la sua perplessità su questa decisione del Gip anche se attendiamo di conoscere le motivazioni. Intanto i responsabili dello scandalo possono stare tranquilli e magari attrezzarsi per non farsi piu’ sequestrare nulla. Lo scorso 16 aprile, la Guardia di Finanza aveva eseguito un maxi sequestro d’urgenza da 1,8 miliardi di euro: 88 milioni sono costituiti da “commissioni occulte percepite da Nomura” e 1,7 miliardi di euro depositati da Mps in favore di Nomura a titolo di garanzia sul finanziamento percepito dal Monte.

http://difesautentibancari.com/2013/04/27/mps-confedercontribuenti-il-gip-non-sequestra-le-somme-ai-responsabili-dello-scandalo/

 

Ecco a voi il governo “Bildemberg II”

di Mauro Indelicato

A palazzo Chigi, scatta l’operazione “pubblicità” con la gente; il teatrino italico della politica infatti, sforna dal cilindro un premier ed una lista di ministri, che i Tg nazionali non hanno già esitato a definire “innovativa”, “giovane”, con tanto di immagini di Enrico Letta che con la sua utilitaria raggiunge il Quirinale, sottolineando anche lì la grande “umanità” del nuovo premier che raggiunge Napolitano a bordo della propria auto.

A guardare certi telegiornali di ieri sera, sembrava una di quelle propagande dell’istituto Luce degli anni ’30; è questo forse il segnale che l’operazione mediatica è scattata a pieno ritmo, nel tentativo disperato di tornare ad avere un’immagine decente e di decenza nei confronti dell’opinione pubblica.

E chi ha studiato questo teatrino, si sarà applicato certamente parecchio, magari osservando la presa mediatica assoluta che il nuovo Papa ha avuto rinunciando ad una serie di privilegi; sembra essere iniziata in Italia la rincorsa a chi è più umile, a chi è più normale, per far dimenticare alla popolazione invece tutto il marcio che ruota attorno agli squallidi centri di potere romani.

Di fatto, ci manca solo che Enrico Letta corra nell’ufficio anagrafe del suo comune a farsi cambiare il suo nome in Francesco ed il cerchio mediatico si chiude.

Venendo alla sostanza dei fatti in questione, ci sono diverse cose invece da valutare seriamente. La prima, riguarda il fatto che oramai l’Italia si è trasformata de facto in una Repubblica presidenziale, in cui il presidente decide il nome del capo di governo, orienta la politica del nuovo esecutivo e minaccia che se si prende una piega diversa, manda a casa tutti quanti.

Se Napolitano fosse stato votato direttamente dagli italiani, un senso tutto ciò lo poteva avere, anche se la Costituzione parla di Repubblica parlamentare; il guaio è invece che Re Giorgio è un monarca assoluto, non scelto dalla popolazione, anzi fischiato sabato scorso quando è stato rieletto ed è un inquilino del Quirinale comodo a difendere gli interessi del sistema partitico–politico che ha svenduto il nostro Paese ai forti interessi internazionali.

In barba al bipolarismo, in barba alla legge elettorale del 1994 voluta da un referendum, che orientava verso riforme atte a far scegliere il premier direttamente dai cittadini, oggi l’Italia si ritrova con un Presidente che fa e disfa a seconda degli umori di chi gestisce gli interessi che egli difende.

E così, ecco che, dopo le primarie del Pd che avevano sancito la candidatura di Bersani, dopo le elezioni che avevano sancito la vittoria, anche se di misura, dei democratici guidati da Bersani e la debacle dell’agenda Monti, che con la sua Scelta Civica non è arrivato nemmeno al 10%, ecco che ci si ritrova con la stessa maggioranza del governo uscente, formata da Pd, Pdl e Montiani.

Il quadro quindi è analogo a quello venutosi a creare il 17 novembre del 2011, quando il colpo di stato della Troika europea faceva insediare Mario Monti a Palazzo Chigi, sostenuto dagli stessi partiti che oggi formano il governo Letta.

Ma siamo sicuri che almeno il premier sia diverso, anche se non scelto dagli italiani? Enrico Letta infatti, negli ambienti politici è chiamato “Monti junior”, quasi una sorta di rampollo o, meglio ancora, di fedele compagno d’avventura del premier uscente.

Non è un caso che Enrico Letta, nell’ultima riunione del gruppo Bildemberg, abbia fatto le veci di Monti; la regola degli incontri dei padroni dell’alta finanza internazionale, prevede infatti che chi diventa capo di Stato o di governo, non possa prendere parte direttamente alle riunioni, ma possa delegare una persona fidata, che nel caso di Monti si trattava proprio del nuovo presidente del consiglio.

Un’inquadratura strappata mesi fa dal Transatlantico, il nome con il quale si indica la sala della Camera dei Deputati, mostra dei “pizzini” che Letta ha scritto a Monti e che lo stesso premier uscente è intento a leggere, nel quale sono contenute indicazioni attese dall’esponente Pd su come comportarsi nella riunione del Bildemberg tenutasi a Roma l’anno scorso e con il quale esprime la sua emozione per trovarsi al centro degli incontri dell’alta finanza.

Insomma, Letta in questi mesi ha studiato da Monti ed oggi riceve il suo testimone, nell’ambito di un disegno che mira a mantenere con le unghie e con i denti (e con il sangue dei cittadini stremati) il controllo dell’Italia all’interno dell’orbita europeista; un controllo che aumenta proporzionalmente all’aumentare dell’avanzata euroscettica all’interno dell’opinione pubblica e che dunque deve prevedere l’impiego in prima persona dei personaggi direttamente collegabili ai gruppi di interesse internazionali.

Sfogliando poi la lista dei Ministri, si può notare come le novità con il passato siano pressoché nulle: come vice–premier c’è infatti quell’Angelino Alfano messo lì per controllare che si rispetti il patto che vuole il cavaliere Senatore a vita e quindi immune da ogni sorta di condanna che nei prossimi mesi potrebbe investire il fondatore del Pdl; poi ancora, troviamo di tutto, dai messaggi promozionali rientranti nell’operazione mediatica citata all’inizio, come la nomina di Cecile Kyenge, primo ministro di colore della storia italiana, agli uomini che han fatto carriere precoce nei partiti, come Maurizio Lupi, Andrea Orlando, Nunzia Di Girolamo, Beatrice Lorenzin ed il “saggio” Gaetano Quagliarello, fino alla riconferma, ma alla Giustizia e non più agli interni, della Cancelleri.

Infine, come non soffermarsi sulla chicca delle chicche, ossia sulla nomina di un cittadino tedesco nel nostro governo, quasi una sorta di bastione diretto di controllo che Berlino ha voluto mettere su Roma; infatti, come Ministro dello Sport, troviamo Josefa Idem, naturalizzata italiana, ma nata e cresciuta in Germania, Paese per il quale ha vinto anche diverse medaglie d’oro prima di diventare italiana dopo il suo matrimonio.

Da più parti, quello di Letta viene considerato come il governo “Bildemberg II”; scorrendo i nomi e vedendo il contesto nel quale è nato, non è difficile pensare il contrario. Dunque, poco o nulla cambierà nei prossimi mesi: gli italiani continueranno ad esser tartassati, a subire le politiche di austerity imposte dall’Europa e ad avere un governo sul quale soffia dirompente l’influenza dei forti poteri internazionali.

http://www.ilfarosulmondo.it/wp/?p=15085

 

Le imprese che muoiono

Nei primi tre mesi 2013 il saldo tra aperture e chiusure di imprese è negativo per 31mila unità (-0,51%), dato peggiore dal 2004, inizio della serie storica. In questa infografica i dati Movimprese di Unioncamere sul saldo nate-morte delle imprese nel primo trimestre in Italia e per regioni

di Redazione Soldionline

22 apr 2013 – ore 10:01

 

Davanti Palazzo Chigi lo sfogo di due carabinieri: è il gesto di un disperato, ma la gente non ne può più e se la prende con noi

“E’ il gesto di un disperato. I politici non lo sanno che vuol dire prendere 800 euro al mese, entrare in un negozio e non poter comprare nulla a tuo figlio… Ecco cosa succede se non lo sanno”.
Parola di carabiniere. Accento napoletano, occhi quasi in lacrime, è in servizio con la pattuglia intorno ai Palazzi del potere, dove poco prima due suoi colleghi sono stati feriti a colpi di pistola. Si sfoga davanti ai giornalisti appena arrivati qui dal Quirinale, dove il governo Letta ha appena giurato. Si sfoga, di fianco un suo collega annuisce: “E’ una guerra tra poveri…”.

Lo sguardo dei cronisti si fa sempre più incredulo. Il ricordo va a Genova 2001, altra storia, altra epoca. Lì la piazza era nemica, qui la piazza non c’è, c’è il gesto folle di un singolo (a quanto se ne sa), ma il carabiniere non impreca contro di lui, anche se di lui non sa nulla. “Era ferito sull’asfalto e urlava…”, continua il gendarme. “Si capiva che era un gesto di rabbia, ma loro – e indica il Palazzo, Camera e Palazzo Chigi – non lo sanno, vivono in un mondo loro, non capiscono che poi la gente se la prende con noi che facciamo servizio in strada…”.

E prosegue il racconto: sembra un grillino ma, di fronte alle sue parole, una considerazione del genere si sgonfia come semplice sintesi giornalistica, quale è. Evidentemente è una persona vera che parla prendendosi il diritto a parlare, pur con la divisa addosso. “Li vedo quando prestiamo servizio davanti al ministero… Escono i sindacalisti a braccetto e dicono: ‘L’accordo non si è fatto’. Per loro non cambia niente, per tante famiglie cambia molto…”. E ora succede questo: uno spara contro i carabinieri e il carabiniere lo comprende. Se potesse scegliere non in base allo stipendio, chissà.

http://www.huffingtonpost.it/2013/04/28/davanti-palazzo-chigi-lo-sfogo-di-due-carabinieri_n_3173225.html

 

NATO E BCE, CON TANTI SALUTI ALL’ITALIA (E MINACCE A GRILLO)

Data: Domenica, 28 aprile @ 09:20:00 CEST

Argomento: Italia

 

FONTE: LIBREIDEE.ORG

 Dall’ultra-atlantista Emma Bonino, pronta a tutte le più sanguinose guerre decise da Washington, all’ultra-europeista Fabrizio Saccomanni, direttore di Bankitalia con esperienze sia alla Bce che al Fmi, dopo gli studi alla Bocconi e alla Princeton University. Due ministri-chiave, esteri ed economia, già delimitano in modo inequivocabile il perimetro del secondo “governo Napolitano”, con Letta premier e Alfano vice, più altri mestieranti della nomenklatura: Gaetano Quagliariello alle riforme, probabilmente per una legge elettorale anti-Grillo e un presidenzialismo all’italiana, Maurizio Lupi a infrastrutture e trasporti (leggasi: Tav Torino-Lione), nonché il redivivo Dario Franceschini (rapporti col Parlamento) e i “presentabili” Nuzia De Girolamo (agricoltura), Beatrice Lorenzin (sanità) e l’ex sindaco padovano Flavio Zanonato (sviluppo).

 

Ministri-vetrina: la campionessa Josefa Idem (sport), il direttore della Treccani, Massimo Bray (cultura), il presidente dell’Istat Enrico Giovannini (altro“saggio”, ora incaricato di gestire lavoro e welfare) e la italo-congolese Cécile Kyenge, medico e primo ministro di colore nella storia italiana, delegata all’integrazione.

 

«A due mesi esatti dalle elezioni di febbraio – annota Marco Cedolin – sembra essere nato il nuovo governo destinato ad accompagnare gli italiani Giorgio Napolitanosul fondo del baratro: già ad una prima occhiata, non si fatica a rendersi conto che il neonato governo Letta rappresenta per molti versi qualcosa d’inedito rispetto a quelli che lo hanno preceduto, pur muovendosi nel solco del “pilota automatico” voluto da Mario Draghi», nonostante la riconferma di ministri montiani come Enzo Moavero (affari europei) e Anna Maria Cancellieri (interni). Spiccano le donne e l’età media più giovane rispetto alle tecno-mummie che hanno traumatizzato il paese durante l’incubo del primo “governo Napolitano”, affidato a Mario Monti dopo il diktat Bce firmato da Draghi e Trichet: tagliare la spesa pubblica per “rilanciare la crescita”, secondo la delirante ideologia neoliberista che domina Bruxelles. Ideologia “criminale”, secondo gli economisti democratici, nonché disastrosa: basta osservare il “genocidio economico” che la peste delle “riforme strutturali” sta infliggendo alla Grecia, alla Spagna, all’Irlanda e anche al Portogallo, dove però la Corte Costituzionale ha osato proclamare illegale il Fiscal Compact, visto che il dispositivo europeo nato dal Trattato di Lisbona calpesta i diritti costituzionali umiliando lo Stato, costretto – col pareggio di bilancio – ad abbandonare i suoi cittadini al loro destino.

 Dopo il boom elettorale di Grillo, in tutta Europa si era diffusa un’ondata di forte aspettativa in vista delle elezioni europee del 2014. La stessa euforia democratica che aveva pervaso l’Italia dopo gli storici referendum del giugno 2011 sui beni comuni, subito ibernati dall’euro-esecutivo Monti-Napolitano. Pd e Pdl ancora più che mai alleati, dunque, e questa volta attenti – grazie alla regia di Enrico Letta (uomo della Trilaterale, del Bilderberg e dell’Aspen Institute) – a dare l’impressione del cambiamento: dal sindaco reggiano Graziano Delrio (affari regionali) al sociologo Carlo Triglia (coesione territoriale), dall’ex rettore della Scuola Sant’Anna di Pisa, Maria Chiara Carrozza (istruzione) a Giampiero D’Alia (semplificazione) e Andrea Orlando (ambiente). Fuori dalla porta sono rimasti alcuni dei nomi più temuti dagli italiani: da Amato a D’Alema, da Brunetta alla Gelmini. Consonanze storiche: anche Craxi, Andreotti e Forlani furono travolti dal crollo della Prima Repubblica, mentre i “capitani coraggiosi” della Seconda – Prodi, Ciampi, Dini, Visco, Bassanini, Padoa Schioppa e lo stesso Letta – prenotavano per l’Italia, a Maastricht, l’euro-futuro presente, quello che sta Napolitano e Lettaletteralmente devastando il nostro paese, tuttora membro del G8 e non dell’Unione Africana.

 “Vogliamoci bene e lavoriamo tutti insieme per costruire l’Italia del futuro”, sembra il leit motiv veicolato dal circo mediatico vestito a festa per l’occasione: «E probabilmente, come sempre accade, gli italiani abboccheranno all’amo, felici del fatto che finalmente esiste un nuovo governo, preposto a risolvere i loro problemi. Per poi risvegliarsi regolarmente di fronte alla prima legnata fiscale, alle raffiche di licenziamenti e agli ufficiali giudiziari mandati da Equitalia», scrive Cedolin su “Il Corrosivo”. «Forti dei numeri derivanti dal consenso ottenuto proprio grazie all’antagonismo, Berlusconi, il Pd e Monti si uniscono tutti in un abbraccio fraterno, giurandosi amore eterno, nel nome di “più Europa” e “più euro” e nel segno del cambiamento. Non chiamatelo inciucio, si tratta di vero amore, di quelli destinati a durare a lungo, per tutto quello che conta c’è sempre il pilota automatico e non occorre pensarci più». Tutto questo, commenta Beppe Grillo, dopo che oltre 8 milioni di italiani avevano chiesto di voltare pagina. Svolta mancata, l’elezione al Quirinale di Stefano Rodotà, «un presidente della Repubblica indipendente e incorruttibile»: scelta che conteneva l’offerta di un governo col Pd, partito che invece ha preferito il suo “miglior nemico” di sempre, Berlusconi.

 E dire che, mentre i parlamentari Pd-Pdl affondavano prima Marini, poi Prodi e infine Rodotà, fuori dal palazzo «la folla ruggiva, aveva circondato il Parlamento sui quattro lati, stava per sfondare», ricorda Grillo. «Erano cittadini che si sentivano impotenti, esclusi da qualsiasi rappresentanza, da ogni decisione. Persone che vivono sulla loro pelle e su quella dei loro familiari una crisi economica senza precedenti nella storia repubblicana». Esclusi come lo sono (dai giochi) anche i neoeletti deputati e senatori “5 Stelle”, «considerati intrusi, cani in chiesa, terzi incomodi, disprezzati come dei poveri coglioni di passaggio, né più né meno dei 350.000 italiani che firmarono per la legge popolare “Parlamento Pulito”», mai discussa in aula – dal 2007 – e ora decaduta. Giovani deputati e senatori ora anche nel mirino: «Le mail private di molti parlamentari del M5S sono state trafugate, foto, filmati, corrispondenze», accusa Grillo. «In un altro paese sarebbe il primo titolo per giorni: se fosse successo al Pdl, a Cicchitto, Ghedini o Brunetta, i giornali e i telegiornali avrebbero gridato all’attentato alla sicurezza nazionale. Per il M5S solo scherno o silenzio. Anche il silenzio del Giulia Sartipresidente della Repubblica, del quale sono stati distrutti nei giorni scorsi i nastri delle conversazioni con Mancino».

 Ha perfettamente ragione, Grillo, a denunciare il silenzio di partiti e istituzioni rispetto alle gravissime intrusioni informatiche nella vita privata dei parlamentari “Cinquestelle”, protesta Pino Cabras su “Megachip”, ricordando che chi non stette in silenzio – in tempi non sospetti – fu Giulietto Chiesa. A risentire oggi il suo video-editoriale del 27 febbraio, all’indomani del clamoroso successo elettorale delle liste di Grillo, vengono i brividi: «Si può star sicuri che, per ognuno degli oltre centosessanta deputati e senatori dell’opposizione, si stanno già compilando i dossier: i servizi segreti sono lì per quello, non penseremo mica che se ne staranno con le mani in mano. Si scava e si scaverà nelle loro vite, si cercheranno le loro magagne, per poi “spenderle” prima o dopo nella melma degli intrighi di Palazzo». Ed eccoci qua: la prima ad essere colpita è stata Giulia Sarti, 26 anni, uno dei nomi in corsa per la presidenza del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, ossia l’organo del No TavParlamento che controlla i servizi segreti.

 Alle sue profetiche considerazioni, Chiesa aggiungeva che «la nostra fortuna è che saranno dei dossier poveri e “giovani” e quindi conteranno poco, perché questo non è un personale ricattabile». La valutazione, osserva Cabras, risalta nettamente di fronte al clima di ricatto e di “decisioni già prese in altre sedi” che sta caratterizzando le scelte sul nuovo governo di “larghe intese” – larghissime: taglia XXXL. «I veri ricattabili sono altri. La Sarti e altri suoi colleghi Cinquestelle non hanno nei loro armadi gli scheletri delle coperture alle scalate bancarie, né degli accordi di spartizione di tangenti per la linea Tav, né dei baratti sottobanco sulle concessioni televisive. Non si affannano dietro ai ricatti incrociati delle trattative Stato – Cosa Nostra. Come sporcare questi giovani, allora, e spaventarli, umiliarli, in un paese in cui i poteri occulti usano tutte le gradazioni della minaccia?». Non potendo ricorrere alle armi usate su gran parte degli altri esponenti politici, aggiunge Cabras, coi grillini si va fino ai recessi della loro intimità, violando profondamente un diritto fondamentale riconosciuto dalla Costituzione, la libertà e segretezza della corrispondenza. «È per questo che ogni minuto di silenzio del supremo garante della Costituzione – rieletto lo stesso giorno in cui si distruggevano le intercettazioni che lo riguardavano – suonava sempre meno rassicurante, fino a diventare un cupo messaggio politico. Tutti devono essere ricattabili».

28.04.2013

 

CHIEDE RIMBORSO PER 1.060 KM. AL GIORNO

e ricordate quanto spazio hanno dato i tiggi al grillino che ha usato l’auto del fratello?

 Di questo emerito signore in quota PD tutti zitti i tiggi?

Aveva promesso che non avrebbe utilizzato l’auto blu. L’aveva promesso e l’ha mantenuto. Giuseppe Bova, ex presidente del Consiglio Regionale della Calabria, ha utilizzato sempre e solo la sua auto per percorrere, quotidianamente o quasi,  la tratta tra Catanzaro e Reggio Calabria.

 

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Ha fatto. come tutti noi,  rifornimento, ha conservato gli scontrini, e, alla fine, ha presentato il conto: 211.000 euro di benzina consumati in quattro anni.

Per capire l’entità del consumo basta armarsi di calcolatrice: quattro anni, considerando quello bisestile,  sono 1461 giorni. Significa che il presidente Bova ha speso circa 144 euro di benzina al giorno. Che, considerando un costo medio di 1.350 al litro,  fa circa 106 litri al giorno. Ora se una macchina di grande cilindrata può percorrere, sempre in media,  circa 10 chilometri con un litro di benzina allora il calcolo è presto fatto.

Per aver speso 211.000 euro in quattro anni Bova avrebbe dovuto guidare per 1060 km ogni giorno, compresi Natale, Ferragosto e le domeniche tutte. Possibile? Forse. Più probabile che nel conto ci sia stato qualche piccolo errore. Sempre che Bova non si sia sbagliato ed abbia addebitato alla Regione le spese di carburante di un elicottero.

 A conti fatti, forse ai contribuenti conveniva che il presidente usasse l’auto blu.

 

Fonte: odiolacasta.blogspot.it

Tratto da: signoraggio.it

 

Sarà la Germania a svelare l’azzardo di Draghi?

Crescono i dubbi sul piano anti-spread della Bce, ancora rimasto sulla carta e mai attivato

Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea

Un azzardo, un bluff come quando si gioca a poker. Ecco cosa potrebbero essere in realtà le Outright monetary transaction (Omt), le operazioni sul mercato obbligazionario con cui la Banca centrale europea può comprare bond governativi dei Paesi sotto stress. Lo scudo ant-spread che ancora non esiste è l’arma risolutiva di Mario Draghi, almeno per ora. Ma crescono i dubbi su tutta l’operazione, che ha agito e continua ad agire solo sulle aspettative degli investitori. Senza una reale attivazione, per gli operatori finanziari non è possibile capire quali carte abbia in mano Draghi.

Ancora una volta è la Germania a lanciare l’allarme sulle Omt. L’ultima intervista di Jens Weidmann, numero uno della Bundesbank, ha lasciato pesanti strascichi. All’Handelsblatt Weidmann, come ha già riportato nella sua corrispondenza da Berlino Laura Lucchini, ha parlato senza troppi giri di parole dei suoi dubbi sull’utilizzo delle Omt per andare in soccorso dei Paesi sotto la pressione dei mercati finanziari. In particolare, secondo il banchiere centrale tedesco, l’attivazione delle Omt rischia di mettere in bilico l’indipendenza della Bce. Colpa delle caratteristiche dell’acquisto dei titoli di Stato, che avverranno in modo illimitato e senza target specifici, se non quello della maturity, inferiore ai tre anni. Come spiegò Draghi, tuttavia, le Omt saranno sterilizzate in toto: nessuna nuova creazione di denaro. Questa peculiarità non è però bastata a tranquillizzare la banca centrale tedesca. Weidmann ha infatti ricordato che il prossimo 11-12 giugno sarà la Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe a dover dare il proprio giudizio di legittimità sulle Omt.

A Weidmann ha risposto dopo poche ore il ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schäuble. «Non ho alcun dubbio sulla validità delle Omt», ha detto, sottolineando di non vedere i presupposti di una bocciatura del programma della Bce da parte della Corte costituzionale tedesca. L’impressione è che Schäuble e Weidmann stiano giocando, rispettivamente, il ruolo del poliziotto buono e di quello cattivo. Ma c’è anche la terza faccia della medaglia, che arriva dalla Grecia.

Il governatore della banca centrale ellenica, George Provopoulos, ha messo in discussione l’intera architettura delle Omt. Parlando con Bloomberg, Provopoulos ha affermato che il piano salva-spread tanto voluto da Italia e Spagna nei mesi scorsi potrebbe non entrar in funzione. Una dichiarazione che però rischia di non essere così estemponea. La ragione sono i rischi correlati alle Omt.

Il problema maggiore è che delle Omt si conosce solo la tecnicalità, ma nulla più. Non essendo mai state attivate, complice la sottoscrizione di un memorandum d’intesa fra il Paese richiedente e la troika composta da Ue, Bce e Fondo monetario internazionale, gli operatori finanziari possono solo basarsi sulle parole di Draghi. In pratica, il celebre «whatever it takes» pronunciato nel luglio 2012, nei mesi più oscuri dell’euro, in cui il rischio di convertibilità percepito dai mercati finanziari era giunto a un livello mai sperimentato. La cristallizzazione di questa criticità negli ultimi mesi non ha però fugate le due principali problematiche legate alle Omt.

Da un lato c’è il rischio del Paese richiedente. Le Omt sono subordinate a un memorandum che è basato sulle Enhanced conditions credit line (Eccl), le linee guida del fondo salva-Stati temporaneo European financial stability facility (Efsf). Le Eccl utilizzano lo schema dettato dal Fmi per questo genere di interventi, ovvero il Precautionary credit line (Pcl). In questo modo c’è una vigilanza trimestrale degli impegni assunti dal richiedente, con possibile cambiamento degli stessi in itinere. Una condizione che richiede un governo forte e deciso. Ma adottando politiche impopolari, il pericolo è che l’esecutivo perda il consenso e le possibili alleanze in corso, rallentando il sentiero intrapreso con la troika.

Dall’altro c’è il costo implicito delle operazioni della Bce. Se è vero che ogni singola operazione è sterilizzata, è altrettanto vero che si immette nel sistema un ulteriore elemento di azzardo morale, che potrebbe rallentare l’opera riformatrice dei singoli governi. Del resto, come la banca francese Société Générale ha messo in evidenza, le azioni della Bce possono diluire la pressione delle istituzioni europee sui singoli governi nazionali, che devono invece continuare il percorso di riforme strutturali. Il riferimento di SocGen è al taglio del tasso d’interesse di rifinanziamento, che potrebbe essere ridotto di 25 punti base il prossimo giovedì, ma si adatta anche alle Omt. Più scorciatoie ci sono per i governi, il cui primo scopo è quello di essere rieletti alla prossima tornata elettorale, più questi avranno sempre meno incentivi per le riforme.

Come ha notato pochi mesi fa la banca anglo-asiatica Hsbc, la mossa della Bce è stata tanto ardita quanto funzionale. L’obiettivo era duplice: prendere abbastanza tempo in modo da garantire alla politica di fare il suo corso e tranquillizzare gli operatori finanziari sull’efficacia futura delle azioni della Bce. Nonostante le limitazioni del proprio mandato, infatti, l’Eurotower può intervenire con forza per sostenere gli Stati in difficoltà. Nello specifico, lo può fare tramite le Omt, che però rischiano di essere ricordate come uno dei più grandi bluff finanziari della storia.

La Bce ha creato infatti un imponente sistema di disincentivi per i Paesi, tramite l’introduzione del memorandum. Eppure questo non ha fermato gli investitori che negli ultimi sette mesi hanno permesso ai rendimenti dei titoli di Stato di Italia e Spagna di tornare a un livello sostenibile. La calma piatta è destinata a durare oppure no? È difficile che ci siano scossoni finanziari fino alle prossime elezioni tedesche, previste per il prossimo autunno. Poi si vedrà davvero quanto è forte la mano di Draghi o se è tutto un bluff.  

fabrizio.goria@linkiesta.it

http://www.linkiesta.it/draghi-bluff-bce-weidmann-omt