Il capolavoro partitocratico di “Re Giorgio I”

Marco Bagozzi

Non è difficile comprendere la felicità che ha accolto la rielezione di Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica. Giornali e partiti, oltre alla cosiddetta “società civile” (che raccoglie solo le voci favorevoli al “politicamente corretto”, mentre le voci critiche non solo non sono degne della “società” ma nemmeno della “civiltà”, e francamente ne andiamo orgogliosi!), hanno commentato con entusiasmo la rielezione dell’anziano (88 anni) Presidente. Come è detto è facile capire il giubilo della nostra classe politica: con il suo spiccato “interventismo” ben oltre le classiche prerogative di un Presidente (tanto da meritarsi l’appellativo di “Re Giorgio” e la definizione di “primo presidente presidenzialista” o addirittura di “monarca” ) ha di fatto garantito la verginità all’intera classe politica italiana scaricando su se stesso e sui sicari del “governo tecnico” la (pessima) gestione della crisi economica e della politica estera italiana. D’altronde Napolitano ha potuto gestire queste situazioni praticamente senza porsi il problema della legittimità delle sue scelte visto che la pubblicistica della figura presidenziale è tradizionalmente esente da critiche. Il Presidente della Repubblica, figura costituzionalmente di garanzia, assurge al ruolo super partes di garante delle procedure e difficilmente entra direttamente nell’agone politico, se non per la certificazione della vittoria elettorale dell’una o dell’altra parte, soprattutto nell’epoca del bipolarismo. E la buona pubblicistica rientra in questa logica. Scombinando però le carte in gioco Napolitano ha avuto la possibilità di muoversi come fattore attivo (o quantomeno più attivo dei suoi predecessori) nelle scelte politiche garantendosi l’immunità dei critici. Così facendo ha garantito al (suo) sistema di ibernarsi per circa 2 anni, di scaricare sui burocrati europeisti (consapevoli di fungere da esecutori degli ordini “polvere e sangue” dell’Europa bancaria, ma talmente privi di sentimento di non farsene un problema, anzi) le scelte (eterodirette) impopolari e di ritornare “belli e simpatici” alla nuova tornata elettorale, ripresentando le stesse facce e gli stessi aguzzini di qualche anno prima. Invece di mettere la politica di fronte alle proprie responsabilità, Napolitano, non ha mandato il paese alle urne nel 2011 e ha salvato tutto e tutti, tranne il “paese reale”, quello che paga queste sciagurate scelte, ovviamente.

Napolitano ha salvato il PD, che messo di fronte alle responsabilità, già nel 2011, si sarebbe sfaldato forse in maniera più fragorosa e comica (il grande partito delle primarie…) rispetto alla resa dei conti interna di questi giorni. Ha permesso a Berlusconi e alla sua appendice personale, il PDL, di poter contare qualcosa nell’arena politica, visto che nel 2011 sarebbe affondato di fronte al voto popolare. Ha permesso ai potentati filo-UE di godere del governo più europeista e liberista possibile, supino esecutore degli ordini dell’Europa bancaria, con misure anti-nazionali e anti-popolari. Ha garantito, con il supporto (o sotto l’ordine, cambia poco) dell’Ambasciatore Thorne, il posizionamento nel campo atlantico del nostro paese, quando ha preso una posizione “forzuta” contro il leader libico Gheddafi, nonostante l’allora presidente del Consiglio preferisse una scelta diplomatica (anche per rispettare le clausole del Trattato di Bengasi del 2008…ricordate la telefonata di Berlusconi a Gheddafi nei primi giorni della rivolta antigovernativa?), prima del cambio di campo repentino (sotto minaccia esterna o a causa del consiglio famigliare?).

Inoltre, nel post-elezioni, ha bruciato la “contestazione” che si canalizzava nel voto grillino, mettendo il Movimento 5 Stelle di fronte alla possibilità dell’alleanza con il PD. Che poi, Grillo e il suo Movimento si siano sempre espressi contro alleanze e contro la partitocrazia, e che il PD di Bersani abbia rifiutato una simile proposta nei confronti del PDL, cambia poco. Grillo si è messo contro la possibilità di “salvare l’Italia” facendo un governo con Bersani (mammamia!) e quindi è nel torto. È il male. Il Corriere della Sera ha così sentenziato!

Ora invece si prospetta un governo “tecnico mascherato” con politici e tecnici in una sorta di orgia di potere partito-tecnocratico, che in quanto “governo di transizione”, “governo di necessità”, “governo di scopo” o peggio “governo salva-Italia” garantirà l’ennesimo periodo di ibernazione della politica, di immunità da critiche e di esecuzione degli ordini del potere imperialista e bancario dell’Unione Europea.

Un capolavoro. Senza dubbio. Un vero e proprio capolavoro di cinismo. Machiavelli sarebbe fiero di Re Giorgio Napolitano I. Missione compiuta: salvato il soldato potere!

Qualcuno, però obietta: c’erano alternative? Si, assolutamente! Innanzitutto un politico di più basso profilo e con scarsa legittimazione (ad esempio Marini) avrebbe garantito al ruolo di Presidente di rientrare nelle prerogative costituzionali, eliminando l’eccezione normativa, e avrebbe messo la classe politica di fronte al proprio fallimento e quindi avrebbe accelerato il cambio di classe dirigente che per questo paese sembra l’unica strada percorribile. Creando finalmente quello shock che avrebbe garantito una prospettiva reale di cambiamento (rivoluzionario) sia nel campo sociale che in quello geopolitico.

Oggi in molti si meravigliano che il Parlamento ha applaudito il Presidente che apparentemente ha duramente criticato i politici che siedono nel parlamento stesso. Sembra un’incongruenza. Ma così non è: senza questo Presidente in molti non sarebbero lì. Gli applausi sono di riconoscenza, di gratitudine. Non sono applausi che accettano quelle critiche.

http://www.statopotenza.eu/7008/il-capolavoro-partitocratico-di-re-giorgio-i

 

“Smemoranda”. Quando Re Giorgio era euroscettico

sapeva già dal 78 cosa l’euro comportasse

di: Ernesto Ferrante

 Stanno provando a buttarci fuori dalle edicole non solo per la nostra poca “correttezza” politica ma anche perché abbiamo una memoria ancora in piena forma che suona come una bestemmia nel bel mezzo di una messa in questo paesello brulicante di smemorati e spergiuri.

A costo di rimetterci fino all’ultima penna, lasciamo agli altri il posto nei trenini umanoidi, tutti lingue bavose e piume d’oca rosee, alla volta dei palazzi e scegliamo ancora una volta di incarnare la rabbia della parte viva e sana del popolo italiano, mollando uno schiaffo all’ipocrisia degli occupanti delle seggiole dorate.

Ai canti di giubilo a gettone delle scimmiette del potere a cottimo, contrapponiamo l’urlo della nostra anima in cui, per dirla alla Renzo Novatore, come in un tempio sacrilego, “le campane del peccato e del crimine, voluttuose e perverse, risuonano di rivolta e disperazione”. Proponiamo pertanto ai nostri lettori degli estratti dell’intervento dell’allora deputato del PCI Giorgio Napolitano in occasione dell’ingresso dell’Italia nel Sistema Monetario Europeo. “La resistenza tedesca a dare garanzie economiche per il riequilibrio interno della Comunità imporrà una linea di rigore a senso unico e di tagli ai salari: servono garanzie per l’economia altrimenti sarà un grave problema”, tuonò il non ancora Re Giorgio.

Correva l’anno 1978 e sui calendari campeggiava il 13 dicembre, quando il migliorista, intervenendo a nome del gruppo comunista, proferì parole dure contro il sistema dal quale sarebbe poi nata la moneta unica, con argomentazioni in gran parte coincidenti con quelle di quanti come noi ritengono l’euro e l’eurocrazia una catena e una schiavitù dalle quali affrancarsi alla svelta per non morire di strangolamento da usura e recessione. Nell’Europa della democrazia formale, l’erosione della sovranità monetaria è avvenuta a colpi di mano dall’alto, senza garanzie e senza consultazioni popolari.

Sei sono state le pugnalate al petto del nostro paese, assestate in ben trentaquattro anni, con il complice silenzio della nostra classe politica: nel 1979 nascita dello Sme, nel luglio 1981 divorzio Banca d’Italia-Tesoro, nel 1990 irrigidimento dello Sme, nel 1992 vincoli di bilancio del Trattato di Maastricht, nel 1998 euro (moneta unica), nel 2012 pareggio di bilancio e Fiscal Compact.

BOX

Così parlò il rieletto Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, oggi euro-rigorista di ferro:

“Ma mi si permetta, onorevoli colleghi, di ripartire dalla posizione assunta da noi di fronte alle indicazioni scaturite questa estate dalla riunione dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione. Guardammo allora con interesse ai propositi di rilancio del processo di integrazione e di maggiore solidarietà, per far fronte ad una crisi di portata mondiale, per accelerare lo sviluppo delle economie europee, combattere la disoccupazione e, insieme, ridurre l’inflazione. Ponemmo in questo senso il problema delle condizioni in cui l’euro avrebbe potuto nascere come strumento valido e vitale, al quale l’Italia avrebbe potuto aderire fin dall’inizio. Quello delle garanzie da conseguire affinché l’euro possa avere successo, favorire un sostanziale riequilibrio all’interno dell’Unione europea (e non sortire un effetto contrario), è un rilevante problema politico.

Le esigenze poste da parte italiana non riflettevano solo il nostro interesse nazionale: la preoccupazione espressa dai nostri negoziatori fu innanzitutto quella di dar vita a un sistema realistico e duraturo, in quanto – cito parole e concetti del ministro del tesoro e del governatore della Banca d’Italia: “Un suo insuccesso comporterebbe gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema monetario internazionale e sulle possibilità di avanzamento della costruzione economica europea”.

Ma dal vertice è venuta solo la conferma di una sostanziale resistenza dei Paesi più forti, della Germania, e in particolare della banca centrale tedesca, ad assumere impegni effettivi e sostenere oneri adeguati per un maggiore equilibrio tra gli andamenti delle economie di paesi della Comunità. E’ così venuto alla luce un equivoco di fondo: se cioè il nuovo sistema debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei paesi più deboli della Comunità, o debba servire a garantire il Paese più forte, ferma restando la politica non espansiva della Germania, spingendosi un Paese come l’Italia alla deflazione.

Queste valutazioni sono a noi apparse tali da giustificare pienamente una scelta che si limitasse ad una dichiarazione di principio favorevole e che escludesse l’entrata dal primo gennaio nell’euro, tanto più in presenza di una analoga decisione della Gran Bretagna, con tutto ciò che questa decisione comportava e comporta.

Perché non si sono ascoltate abbastanza nei giorni scorsi queste voci e si è giunti ad una decisione precipitata ed arrischiata?

No, onorevoli colleghi, noi siamo dinanzi a una risoluzione che assume le caratteristiche ristrette di una unione monetaria, le cui caratteristiche rischiano per lo più di creare gravi problemi ai Paesi più deboli che entrino a farne parte. Naturalmente non sottovalutiamo l’importanza degli sforzi rivolti a creare un’area di stabilità monetaria. Ma se è vero che le frequenti fluttuazioni dei cambi costituiscono una causa di instabilità, è vero anche che esse sono il riflesso di squilibri profondi all’interno dei singoli Paesi.

La verità è che forse – come si è scritto fuori d’Italia – si è finito per mettere il “carro” di un accordo monetario davanti ai “buoi” di un accordo per le economie.

Onorevoli colleghi, in quest’aula si è parlato (vi si è riferito poco fa anche il collega Cicchitto) delle sollecitazioni e delle assicurazioni pervenuteci da governi amici. Queste sollecitazioni confermano l’esistenza di un reale e forte interesse degli altri Paesi membri della Comunità ad avere l’Italia al più presto presente nell’euro. Si sarebbe, dunque, potuto far leva su questo interesse, non dando adesione immediata, per portare avanti un serio negoziato. Ma se ci si vuole, onorevoli colleghi, confrontare con i problemi di fondo, i problemi delle politiche economiche, bisogna sbarazzarsi di ogni residuo di europeismo retorico e di maniera. Si è giunti a sostenere che “l’Italia non dovesse scegliere in questi giorni se appartenere o meno all’euro, ma se recidere” – dico recidere – “o meno i suoi legami con i Paesi dell’Europa occidentale, sul terreno economico e sul terreno politico”. Ma questa è una tesi che non trova alcun riscontro obi ettivo, che non poggia su alcun argomento razionale e si colloca, invece, nel quadro di una drammatizzazione gratuita ed esasperata della scelta che era davanti tal nostro Paese.

Se oggi, comunque, tra i fautori dell’ingresso immediato circolasse il calcolo di far leva su gravi difficoltà che possono derivare dalla disciplina del nuovo meccanismo di cambio europeo per porre la sinistra ed il movimento operaio – eludendo la difficile strada della ricerca del consenso – dinanzi ad una sostanziale distorsione della linea ispiratrice del programma concordato tra le forze dell’attuale maggioranza, dinanzi alla proposta di una politica di deflazione e di rigore a senso unico, diciamo subito che si tratta di un calcolo irresponsabile e velleitario, non meno di quelli che hanno spinto determinate componenti della democrazia cristiana a premere per l’ingresso immediato dell’Italia nello SME in funzione di meschine manovre anticomuniste, destinate a sgonfiarsi rapidamente ma non senza aver prodotto il danno di una irresponsabile mescolanza tra fatti di corrente e di partito e scelte altamente impegnative, sul piano internazionale e sul piano interno, per il nostro paese.

Noi attendiamo, onorevoli colleghi, le risposte del Governo – dando già ora ed essendo pronti a dare il nostro contributo costruttivo – sui problemi aperti acutamente e posti con forza dal movimento sindacale per Napoli, la Calabria ed il Mezzogiorno, problemi ormai non più prorogabili, sui temi di una politica di seria lotta all’inflazione ed alla disoccupazione”.

Fonte: http://www.camera.it/_dati/leg07/lavori/stenografici/sed0383/sed0383.pdf

 23 Aprile 2013

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=20519

 

Tutti Assieme a Letta

 “Serve maggiore rispetto tra le forze politiche”…così il ‘nostro’ Presidente accompagna la sua “viva e vibrante” soddisfazione per l’incarico dato a Enrico Letta, del PD, nipote di Gianni Letta, del Pdl…

 Quel rispetto che le forze partitiche non hanno riservato alle leggi, alla Costituzione, alla morale pubblica, al compito loro affidatogli…ora rimane una questione di “convergenza” e rispetto reciproco…senza che venga messo l’accento su quanto accade in Italia oggi, e probabilmente anche domani…senza che, chi dovrebbe essere garante della Costituzione, faccia anche il minimo accenno alla necessità impellente di porre mano a severe leggi contro le corruzioni, collusioni, sperperi che fanno parte, ancora a pieno titolo, di quel “modus vivendi e sopravvivendi” dei partiti che oggi si accingono a formare un ennesimo governo del “cambiamento”…un cambiamento che riguarderà, come sempre, diritti e libertà delle persone.

 Letta non legge…lo spartito lo ha imparato a memoria…uno spartito sentito più volte…con il solito ritornello della lotta alla disoccupazione giovanile, come se quella delle persone cinquantenni non fosse un problema, alla povertà, alle difficoltà delle famiglie e ai problemi delle piccole aziende…un “governo di servizio al paese”, riprendendo un po’ il Movimento 5 stelle (ora fa moda tra quelli che lo insultano quotidianamente), pronto ad affrontare, ancora una volta, la riforma della legge elettorale, quella dei costi della politica e quella di un bicameralismo che blocca il paese…come se cambiando l’estetica si potessero ottenere risultati anche su quanto contenuto…ma se metti i fiori fuori una discarica…la discarica non diverrà serra.

 Difficile credere che chi ha votato, assieme agli stessi partiti che ora lo eleggeranno e appoggeranno, l’introduzione nella Costituzione del “pareggio di bilancio”, come valore da non scalfire, trovi magicamente la quadra ad un sistema corrotto che dà prova della sua incapacità e non volontà a cambiare ogni giorno…in quel sistema perverso in cui i controllori sono gli stessi controllati, in cui i partiti, come il PD, nascono, crescono e pascolano nei consigli di amministrazione di banche private ed aziende pubbliche e partecipate prime responsabili di quei disastri economici che hanno portato il nostro paese vicino al fallimento.

 Chi lo ha preceduto, il sobrio Monti, anch’esso appoggiato, guarda caso, dagli stessi partiti e dalla stessa Presidenza della Repubblica, non ha minimamente scalfito il sistema…e si è limitato, per modo di dire, a distruggere vite e speranze della gente…ha causato un crollo economico senza precedenti, centinaia di suicidi, migliaia di fallimenti, disoccupazione record, emigrazione simile a quella degli anni del dopo guerra…un debito pubblico crescente…

 Che un prodotto di questo sistema partitico, già ministro in altrettanti nefasti precedenti governi, possa cambiare se stesso e lo stesso sistema non è favola…è vera e propria bugia.

 I cialtroni pennivendoli sono già all’opera nel ricamare elogi e a disegnare future meravigliose speranze per il paese tutto…ma saranno i fatti a parlare da soli…quei fatti che senza una vera e seria lotta alle loro corruzioni, ai loro privilegi, alle storture e agli sprechi, ai furti e alle collusioni rimarranno a condannare un sistema non più rifondabile…

 

Indietro tutta: la Bce boccia la “golden rule” di Monti

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lo devi inserire il costo del tav, tecnico da strapazzo

Non si potranno scorporare gli investimenti produttivi dal computo del deficit

di Giovanni Del Re –

L’Ue spinge per nessuna deroga. Sarebbe il caos e un costo eccessivo per le nuove generazioni

Accordi economici nell’euro

Scordatevi la “golden rule”, l’idea tanto cara a Mario Monti di “scorporare” dal computo del deficit i cosiddetti investimenti produttivi. Il deficit va conteggiato per intero, a prescindere dal “tipo” di spese e investimenti. Siamo nei giorni chiave del “Semestre europeo”, quando la Commissione si appresta a esaminare i documenti di economia e finanza degli Stati membri dell’eurozona (da consegnare a Bruxelles tassativamente entro il 30 aprile) e i relativi piani nazionali di riforma, mentre Eurostat – proprio oggi – pubblica i dati 2012 sui deficit dei vari paesi dell’Unione.

Per la cronaca, l’Italia lo scorso anno era giusto giusto al 3% del Pil, esattamente alla fatidica soglia di Maastricht. E il tutto mentre si attende, con ansia, se davvero – lo sapremo il 29 maggio – la Commissione Europea chiuderà la procedura per deficit eccessivo aperta nel 2009 nei confronti dell’Italia. Ebbene, cade a fagiolo, un documento della Bce, intitolato «La qualità della spesa pubblica nell’Ue» (datato dicembre 2012, ma curiosamente finora quasi ignorato).

Un testo in cui la bocciatura della golden rule è netta come più non potrebbe essere. La parola chiave è – come spesso si sente nell’Ue, ma anche dai paesi rigoristi del Nord, Germania in testa – «azzardo morale». «Uno scorporo – recita il rapporto – non è contemplato (dal patto di stabilità e crescita, ndr) perché invita a cercare di metter mano alle regole». Soprattutto, «certe eccezioni possono spingere a un azzardo morale, ad esempio riclassificando alcuni particolari capitoli di spesa corrente come spese di capitale per ridurre le cifre rilevanti del deficit».

Tradotto: se passa il principio che alcune spese non vengono più conteggiate nel computo del deficit, i governi potrebbero cercare trucchi e trucchetti per far passare come «investimenti produttivi» quello che invece sono pure spese correnti. Un argomento che piace moltissimo dalle parti di Berlino e Helsinki.

Al di là dell’azzardo morale, dietro la “bocciatura” della Bce per la golden rule ci sono argomentazioni più prettamente economiche. Ad esempio, la difficoltà di prevedere la “remunerazione” di un determinato investimento. Remunerazione che «dipende moltissimo dal progetto specifico», sottolinea il documento. E già, spiega la Bce, perché se «il governo attua un investimento con un ritorno zero, abbiamo già oggi la spesa, e i soldi presi in prestito oggi devono essere finanziati con tasse e riduzioni delle spese di domani». Questo vale soprattutto per «progetti che non sono remunerativi ma sono attuati per perseguire una politica di bilancio anti-ciclica o per servire interessi specifici», per i quali in generale «i proventi generati non coprono i costi per il bilancio dello Stato e hanno un impatto negativo sulla sostenibilità generale dei conti pubblici».

Pertanto, spiega ancora il rapporto, «sono soprattutto le generazioni future ad avere interesse che la generazione attuale investa in progetti con un elevato ritorno». È proprio la base delle regole del Patto di Stabilità: «l’interesse delle generazioni attuali – ragiona ancora l’Eurotower – può essere quello di prendere prestiti a spese delle generazioni future, non essendo molto esigenti per quanto riguarda i ritorni dei progetti di investimento. Il fatto che il Patto di stabilità non preveda alcuno scorporo (dal computo del deficit ndr) è dunque una misura di precauzione contro l’azzardo morale». Sta semmai ai governi, non all’Ue, «dare priorità alle diverse categorie di bilancio».

Il messaggio della Bce, insomma, è chiaro. Il punto, semmai, è un altro: non scorporare gli investimenti dal computo del deficit (in termini matematici), ma, per chi è fuori procedura, valutare quelle spese «diversamente». Lo prevede il nuovo Patto di stabilità riformato dalla nuova governance Ue, aprendo così margini molto più ampi per la cosiddetta «disciplina di bilancio favorevole alla crescita». Margini ribaditi peraltro con forza dai leader Ue al summit dello scorso marzo. La partita per l’Italia è qui: se il 29 maggio la Commissione, come preannunciato da Rehn, uscirà davvero dalla procedura per deficit eccessivo, rientrerà nel cosiddetto «braccio preventivo» del patto di stabilità riformato.

E qui potrebbe scattare la «diversa» valutazione di spese utili per il rilancio economico, a cominciare dai famosi rimborsi alle imprese dei debiti della pubblica amministrazione. Diversa valutazione vuol dire che se, per via di queste spese utili a ridar fiato all’economia, ci si discosta un po’ dagli obiettivi di deficit, la Commissione potrebbe chiudere un occhio, autorizzata in questo dalle nuove regole. Prima, però, bisogna esserne fuori, per questo Bruxelles avverte l’Italia: almeno fino al 29 maggio, attenti a quello che fate. Poi, tutto è possibile. 

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/investimenti-produttivi#ixzz2RClwhfxv

http://www.informarexresistere.fr/2013/04/23/indietro-tutta-la-bce-boccia-la-golden-rule-di-monti/#axzz2RR2LSRtA

 

Palestina: richiesta assurda Usa, relatore speciale Onu Richard Falk venga sospeso

ma quanto è tollerante e democratico e rispettoso del dissenso IL REGIME DEMOCRATICO

WASHINGTON (IRNA) – L’ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni Unite ha chiesto l’espulsione del relatore speciale Onu per la Palestina Richard Falk dopo le critiche espresse da quest’ultimo alla politica della Casabianca in Medioriente.

Secondo l’agenzia IRNA, l’assurda richiesta da parte di Susan Rice, ambasciatrice Usa al palazzo di vetro è arrivata dopo che Falk aveva criticato la politica guerrafondaia degli Stati Uniti in Medioriente ed il cieco sostegno dato da questo paese al regime israeliano. Susan Rice ha scritto sul suo profilo Twitter che “una persona del genere non merita di avere posto nelle Nazioni Unite e che avrebbero dovuto allontanarla dall’Onu molto tempo fà”. Richard Fa lk che dal 2008 e’ relatore speciale dell’Onu per la Palestina ha il merito di non aver mai celato la verità sul dramma mediorientale e per tale motivo e’ stato più volte vittima di attacchi ed intimidazioni da parte dell’amministrazione americana ed una volta e’ stato persino arrestato dal regime israeliano. Falk, dopo le esplosioni di Boston, aveva ricordato che fatti del genere sono esito delle politiche guerrafondaie degli Usa nel mondo e delle torture e delle sevizie inflitte dalla Cia.

Fonte: http://italian.irib.ir/notizie/palestina-news/item/124714-palestina-richiest a-assurda-usa,-relatore-speciale-onu-richard-falk-venga-sospeso

 

Monti e il biglietto di Enrico

«Sì il biglietto è mio, ma non è auto candidatura, solo un’apertura al governo come indicato dal segretario Bersani». Così Enrico Letta, al telefono con il Corriere, riconosce la paternità del messaggio firmato “Enrico” e mostrato inavvertitamente ai fotografi dal presidente del Consiglio Mario Monti che lo aveva ricevuto pochi istanti prima, durante il dibattito sulla fiducia. Ecco il testo integrale del biglietto: «Mario, quando vuoi dimmi forme e modi con cui posso esserti utile dall’esterno. Sia ufficialmente (Bersani mi chiede per es. di interagire sulla questione dei vice) sia riservatamente. Per ora mi sembra tutto un miracolo! E allora i miracoli esistono!»
A sera, sul suo profilo Facebook, Letta ci scherza su: «Aiuto! Sono da stamani oggetto di un numero crescente di telefonate di aspiranti viceministri. Mai più letterine in vita mia». (Photoviews)

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2011/11/18/pop_monti-foglio.shtml

 

Pietà l’è morta

Lassù sulle montagne bandiera nera:
è morto un partigiano nel far la guerra.

È morto un partigiano nel far la guerra,
un altro italiano va sotto terra.

Laggiù sotto terra trova un alpino,
caduto nella Russia con il Cervino.

Ma prima di morire ha ancor pregato:
che Dio maledica quell’alleato!

Che Dio maledica chi ci ha tradito
lasciandoci sul Don e poi è fuggito.

Tedeschi traditori, l’alpino è morto
ma un altro combattente oggi è risorto.

Combatte il partigiano la sua battaglia:
Tedeschi e fascisti, fuori d’Italia!

Tedeschi e fascisti, fuori d’Italia!
Gridiamo a tutta forza: Pietà l’è morta!

(Nuto Revelli, 1944)

http://www.youtube.com/watch?v=npO0TL82bmk

 

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