Archivi giornalieri: 14 luglio 2016
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I MAGISTRATI A VIRZÌ: “SBAGLIATO MINIMIZZARE LE VIOLENZE DEI NO TAV”
Caro Direttore, è certamente questione delicata per i magistrati affrontare fuori delle aule dei Palazzi di Giustizia il merito di vicende penali non ancora oggetto di sentenze definitive. Ma talvolta, come nel caso dei processi appartenenti al filone denominato «NoTav», le precisazioni sono necessarie per evitare che nell’opinione pubblica si formino convincimenti fondati su una distorta ricostruzione dei fatti.
È per questo che, secondo un voluto criterio di sobrietà, intendiamo offrire notizie e spunti di riflessione destinati a chiunque sia a ciò interessato.
LE FIRME
Partiamo, ad esempio, dalla diffusione di un appello, sottoscritto da molti intellettuali in favore di una imputata di cui si dice che sarebbe stata condannata il 15 giugno scorso alla pena di due mesi di reclusione soltanto per avere descritto in prima persona, in una sua tesi da laureanda in antropologia, i fatti avvenuti nel corso di una manifestazione del 14 giugno 2013 in Val di Susa, di cui – secondo l’accusa – sarebbe stata corresponsabile. Si sostiene che a tali fatti – al di là della tecnica narrativa prescelta – ella avrebbe solo assistito da semplice studiosa. Nell’appello, infine, si manifesta indignazione perché per la prima volta «dal 25 aprile 1945 una tesi di laurea viene considerata oggetto di reato e subisce una condanna… Ci sconvolge che tutte le tesi di laurea siano potenzialmente oggetto delle letture inquisitorie dei magistrati». All’appello hanno fatto seguito alcuni articoli in uno dei quali si attribuisce all’intervento dell’Autorità Giudiziaria il significato di un processo all’antropologia culturale («l’osservazione partecipante diventa materia giudiziaria»), mentre in un altro si afferma che «cose del genere succedono solo nelle peggiori dittature».
Primo e breve nostro appunto: un giudizio tanto severo è stato espresso senza neppure attendere la motivazione della sentenza di condanna, depositata infatti solo pochi giorni fa. L’appello, dunque, altro non fa che aderire alla tesi difensiva, non accolta dal giudice, il quale ha valutato altre condotte materiali ed elementi di prova addotti dall’accusa. Nel tempo si vedrà se tali conclusioni resisteranno ai successivi gradi di giudizio, ma ciò che sorprende è che non si sia avvertita la necessità di leggere la sentenza prima di attribuire a pubblici ministeri e giudici finalità di indiscriminata repressione del dissenso.
Altro esempio di “critica” disinformata: dopo il suddetto appello sono stati pubblicati altri articoli che mettono in dubbio la correttezza dell’operato della procura di Torino, la quale avrebbe elaborato una «strategia contro il dissenso», tanto che «da oltre 10 anni i cittadini e le cittadine della Val Susa che si oppongono alla realizzazione del Tav sono oggetto di interventi repressivi di crescente gravità da parte della procura e dei giudici per le indagini preliminari di Torino», tanto che «sono attualmente indagate in valle circa 1000 persone… per i reati più vari». Si è pure affermato che «tutte le denunce nei confronti delle forze dell’ordine per lesioni anche gravissime a manifestanti sono state archiviate, senza alcuna seria indagine, per l’asserita impossibilità di identificarne gli autori». «L’evidente finalità…» dell’azione della procura «è quella di intimidire, di fiaccare il movimento secondo un modulo ben noto in varie parti del mondo e denunciato in una recente sentenza della Corte interamericana dei diritti dell’uomo».
Orbene, quanto al numero delle persone attualmente indagate, esse sono state, nel periodo 1° luglio 2015-30 giugno 2016, fortunatamente, meno di 1/5 di quanto lamentato, e cioè 183. Quanto ai reati addebitati, si tratta di violenza privata, resistenza a pubblici ufficiali, uso di materie esplodenti, danneggiamento, ingresso arbitrario in luoghi militari. Ed il più alto numero di denunce (114) riguarda contravvenzioni per inosservanza a provvedimenti emessi dall’Autorità per ragioni di giustizia, sicurezza ed ordine pubblico. Come si vede, sono tutti reati comuni, di gravità variabile, comunque non associativi né tantomeno con connotati terroristici.
E non risponde neppure alla realtà la supposta crescente severità dell’intervento repressivo sul piano processuale, posto che, secondo indirizzi convalidati dalla Cassazione, la custodia in carcere viene richiesta e disposta come ultima ratio, cioè quando la reiterazione di condotte criminali da parte delle stesse persone dimostra l’inefficacia di altre meno pesanti misure.
Quanto alle denunce contro rappresentanti delle forze di polizia per violenze od abusi nel corso delle manifestazioni, esse hanno avuto esiti diversi: talora è stata esercitata l’azione penale anche nei loro confronti, mentre altre volte l’archiviazione si è imposta perché non si sono raccolte prove sufficienti per il processo o non si è potuto identificare gli autori dei fatti. Quel che conta, comunque, è che tutte le richieste dei p.m. sono state vagliate da giudici indipendenti, imparziali e del tutto estranei alle indagini svolte.
Ed allora può credibilmente parlarsi di strategia della procura, di cui sarebbero complici anche i giudici, volta a fiaccare il dissenso con metodi da regimi sudamericani? Può essere che la solenne affermazione del Presidente Pertini pronunciata alla fine degli anni di piombo («Gli italiani possono vantarsi di avere sconfitto il terrorismo nelle aule di giustizia e non negli stadi») sia oggi così dimenticata dalla Autorità giudiziaria torinese? Giudichino i lettori.
Terzo esempio di «fuga dalla realtà»: in molti pubblici interventi, si sostiene che i manifestanti indagati sarebbero responsabili al massimo di «gesti di evidente significato simbolico», cioè di reati di minima lesività. Si potrà discutere di ciò, ma certamente sempre reati sono e non si può certo chiedere alla magistratura ed alla polizia giudiziaria (obbligate per legge a perseguire ogni reato di cui abbiano notizia) di ignorare «gesti» come minacciose irruzioni in uffici privati accompagnate da resistenza alle forze dell’ordine, danneggiamenti di recinzioni di cantieri o lanci di materiali esplodenti contro poliziotti e carabinieri. Saranno i giudici, evidentemente, a decidere delle responsabilità individuali ed a graduare le pene da infliggere in caso di condanna. Ma illegale è anche sottrarsi all’obbligo di presentazione periodica in una stazione di Carabinieri, magari preventivamente annunciando di non volerlo rispettare.
UN UOMO DI CULTURA
Quarto episodio: pochi giorni fa un noto regista cinematografico ha rivolto ad una giovane studentessa che si è sottratta alla misura degli arresti domiciliari (emessa a seguito degli scontri al cantiere Tav di Chiomonte del 28 giugno 2015) un appello a ritornare a casa. L’invito è condivisibile. Sennonché, da un lato, esso contiene anche una ironica e minimizzante descrizione dei fatti addebitati alla ragazza descritti come «una scenetta abbastanza buffa che non sfigurerebbe nei filmati di Paperissima» e, dall’altro, si addebitano alla procura di Torino «provvedimenti spropositati, involontariamente comici, tanto severi quanto contraddittori», che inducono l’autore a scrivere «Io sono certo che l’Italia non sia l’Egitto di Al Sisi o la Turchia di Erdogan».
Viene però da chiedersi come mai un uomo di cultura non si chieda se sia o meno doveroso per i magistrati valutare anche anteriori condotte illegali degli indagati per verificare se più miti misure, in allora disposte, abbiano avuto efficacia dissuasiva. Insomma, come non considerare, prima di tacciare pubblici ministeri e giudici di indiscriminata volontà repressiva, che occorre conoscere sino in fondo i fatti e il loro contesto ed avere fiducia in una giustizia come la nostra, certamente non infallibile, ma tale da consentire controlli e rimedi rispetto al rischio di errori?
Occorre allora un dibattito sereno sulle questioni connesse alle manifestazioni violente, comunque motivate: non sosteniamo affatto che le tesi dell’accusa debbano essere da tutti condivise ma neppure possiamo accettare che quelle difensive siano assimilate alla verità, prima che i giudici le confrontino e le pesino sulla bilancia, non a caso simbolo della giustizia.
E per chiudere, ci sia concesso – come cittadini prima ancora che magistrati – porre una domanda ai tanti protagonisti delle rivendicazioni del Movimento NoTav: la protesta, anche nel corso di manifestazioni di piazza, è legittima e salutare in democrazia se attuata entro i confini della legge.
Ma se nel corso di una manifestazione autorizzata, in una qualsiasi piazza o in un qualsiasi cantiere, persone dal viso coperto con passamontagna, armati di bastoni e strumenti esplodenti, attaccano forze di polizia e danneggiano recinzioni di ogni tipo, bloccano strade e veicoli, intimidiscono i passanti, è evidente che ne escono indeboliti programmi, idee e campagne di opinione: il Movimento NoTav viene delegittimato e finisce, agli occhi della pubblica opinione, con l’essere identificato con i passamontagna e i lanciarazzi.
Allora, perché non isolare la violenza? Perché non impedire che essa irrompa nelle manifestazioni e nelle campagne di opinione? Perché non rivolgere un appello anche a quanti – giovani e meno giovani – tali violenze teorizzano e praticano?
* Francesco Saluzzo (Procuratore Generale)
** Armando Spataro (Procuratore della Repubblica)
*** Alberto Perduca (Procuratore Aggiunto)
Direttore CIA: L’Arabia Saudita ha creato terroristi però ha fermato l’espansione dell’Iran ed è uno dei più stretti alleati degli USA
Expo pozzo senza fondo: in arrivo altri 205 milioni
http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/expo-pozzo-senza-fondo-in-arrivo-altri-205-milioni/
In mezzo al guado tra Expo e dopo Expo, ci sono 200 milioni di euro che passano da una mano all’altra come nel gioco delle tre carte: 80 milioni stanziati dal governo nel novembre 2015 per il polo tecnologico; 50 milioni messi a disposizione dalla Regione Lombardia per gli spettacoli di questi mesi sul sito
dell’esposizione (progetto Fast Post Expo); 75 milioni pagati a Expo spa (ormai in liquidazione) da Arexpo spa (la società proprietaria dei terreni che è diventata lo sviluppatore immobiliare dell’operazione dopo Expo). Sono, in totale, 205 milioni di denaro pubblico che hanno l’effetto di mascherare il buco di Expo spa.
Soldi freschi che si aggiungono ai 2,2 miliardi spesi per costruire e gestire l’esposizione universale, che ha infine avuto ricavi (biglietti, sponsorizzazioni, royalties) non superiori agli 800 milioni. Questo investimento pubblico miliardario non è bastato per chiudere l’operazione che – da mission aziendale – doveva essere completata da Expo spa anche con lo smantellamento dei padiglioni (40 milioni) e la chiusura della società (18 milioni). Ecco dunque che arriva il “soccorso rosso” di altro denaro pubblico, un po’ mascherato per non far fare brutta figura a Giuseppe Sala, il commissario diventato intanto sindaco di Milano, unica consolazione di Matteo Renzi alle ultime elezioni. Proprio per “ringraziarlo”, Renzi è venuto nei giorni scorsi a incontrarlo e annunciare un “patto per Milano” che schiera il governo a sostegno dell’amministrazione comunale.
Il caso più clamoroso di “investimenti mascherati” è quello degli 80 milioni per il polo tecnologico: a novembre sono stati spacciati come soldi per la ricerca, primo contributo per dare il via a Human Technopole (Ht), il centro scientifico su genoma e big data; ma saranno usati per sistemare le “stecche”, cioè i prefabbricati che durante l’esposizione universale ospitavano bar, ristoranti e servizi, e che in futuro potranno accogliere i laboratori di ricerca Ht. I 50 milioni della Regione sono invece gestiti da Arexpo per tenere aperta una parte dell’area Expo: ma sono una cifra spropositata per realizzare concerti e spettacoli estivi che oltretutto attirano, in qualche caso, un pubblico davvero piccolo.
I 75 milioni che Arexpo ha promesso a Expo (50 per fine 2016, 25 per metà 2017) dovrebbero invece compensare le opere che hanno valorizzato le aree su cui è stata fatta l’esposizione. Intanto, il guado tra Expo e dopo Expo durerà almeno due anni. E il nodo centrale è Human Technopole. È il progetto che dovrà dare un senso agli enormi investimenti pubblici realizzati su quell’area che nessuno ha voluto, quando è stata messa a gara per 314 milioni nel novembre 2014. Il “piano B” è stato Human Technopole.
Affidato all’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) di Genova con una dote promessa di 1,5 miliardi in dieci anni. I primi 80, come abbiamo visto, non andranno in ricerca. Ma chi li gestirà? Dopo la sollevazione dei rettori delle università e di gran parte della scienza italiana, che chiedevano un ente terzo, indipendente, per gestire quei soldi, è stata annunciata la costituzione di una fondazione, che però nascerà solo entro un paio d’anni. Nel frattempo, funzionerà un Comitato degli 11, consultivo.
Tramonta dunque la dittatura di Iit contro cui erano intervenuti molti scienziati tra cui Elena Cattaneo e l’ex presidente Giorgio Napolitano. Ma nell’immediato, chi gestirà i primi 80 milioni stanziati? Iit, con una struttura però a contabilità separata e un direttore operativo esterno scelto con bando pubblico internazionale. Resta il problema della trasparenza: potranno sapere i cittadini come saranno spesi i loro soldi? Andranno davvero in ricerca o a mascherare i conti traballanti di Expo? Il rifiuto dei verbali Expo e Arexpo chiesti dalla consigliera regionale Cinquestelle Silvana Carcano non promette bene.
Tav, vertice Valls-Renzi il 21 luglio al cantiere francese dell’alta velocità
I vertici dei governi di Parigi e di Roma saranno a Saint Martin la Porte, nella valle della Maurienne, per l’avvio dello scavo del primo tratto del tunnel di base della Torino-Lione
dal nostro inviato PAOLO GRISERI
13 luglio 2016
Il 21 luglio i vertici dei governi di Parigi e di Roma saranno a Saint Martin la Porte, nella valle della Maurienne, per l’avvio dello scavo del primo tratto del tunnel di base della Torino-Lione. Per il governo francese sarà presente il premier Manuel Valls. Non ancora confermata invece la presenza di Matteo Renzi. Il governo italiano potrebbe anche essere rappresentato dal ministro dei trasporti Graziano Delrio. Con l’avvio dello scavo di Saint Martin La Porte ( formalmente ancora una tratta di analisi geognostica per mettere a punto le migliori caratteristiche della talpa) per la prima volta due frese scaveranno contemporaneamente dal lato italiano e da quello francese.
Sul versante italiano la talpa che scava la galleria geognostica di Chiomonte è ormai a meno di due chilometri dal termine del lavoro. Successivamente si dovrà decidere come far scavare, sempre da Chiomonte, le due frese che realizzeranno le canne di 12 chilometri che congiungeranno Susa con la tratta francese del supertunnel. Nei giorni scorsi il ministro Delrio ha accettato definitivamente la proposta avanzata nei mesi scorsi dall’Osservatorio tecnico che riunisce i comuni coinvolti dall’opera, per ridurre sul versante italiano le gallerie necessarie a raggiungere Torino utilizzando così, per la gran parte, la linea storica attualmente in funzione.
CON IL TTIP ADDIO ALLE RINNOVABILI. #TTIPGAMEOVER
La marcia indietro dei treni in Puglia
Massimo Zucchetti
13.7.2016, 12:13
E’ possibile consultare sul sito di Ferrovie.it all’apposita pagina la descrizione dell’incidente ferroviario fra Andria e Corato
http://www.ferrovie.it/portale/leggi.php?id=3763 e vi si legge:
“La tratta dov’è avvenuto l’incidente è esercitata con blocco telefonico e non dispone di SCMT – Sistema Controllo Marcia Treno in uso sulla rete RFI.”
Mia prima osservazione: il sistema con blocco telefonico risale a fine ‘800 ed è completamente superato; ma non è solo questo, il punto.
Mia seconda osservazione: molti danno la colpa del grande disastro al binario unico. Ma una gran parte del sistema ferroviario italiano è a binario unico, ed è normalissimo che, anche sulle linee doppie, i treni occupino il binario di destra, magari per sorpassare un altro treno nella stessa direzione. E’ grazie ai sistemi di sicurezza, che si evitano le collisioni.
Ho insegnato per 10 anni al Politecnico di Torino il corso “Sicurezza e Analisi di Rischio”.
Nella prima lezione dicevo:
In prevenzione del rischio, la base è il concetto di “Ridondanza e diversificazione”, ovvero ogni sistema tecnologico complesso (come in questo caso una rete ferroviaria percorsa da treni, e I treni stessi) deve avere più di un sistema di sicurezza, ed ogni sistema di sicurezza deve essere differente ed agire autonomamente dall’altro per evitare cause di guasto di modo comune dei sistemi di sicurezza. Per semplificare, si tratta del concetto di prudenza “cinghia e bretelle” noto anche ai nostri nonni.
In prevenzione del rischio, lo “Human factor”, ovvero “l’errore umano” è un fattore ben noto e tenuto in conto da decenni: deve essere gestito in maniera da rendere il sistema “A prova di errore umano”. Il sistema deve essere cioè dotato di sistemi di sicurezza – ridondanti e diversificati, appunto – che non possano essere inattivati o sopravanzati da un eventuale “errore umano” e intervenire automaticamente. Non è quindi l’eventuale errore umano da individuarsi come causa del disastro, ma la responsabilità di chi – in sede di progetto o di gestione ed ammodernamento del sistema – non ha preso gli opportuni provvedimenti per neutralizzarlo.
I treni come sappiamo non hanno la marcia indietro. Ma chi li gestisce, ed è responsabile di questa tragedia, speriamo vivamente che non innesti una gran bella marcia indietro. Con scopo evidente, direi: fare una bella marcia indietro fino ad arrivare con il proprio posteriore bene al riparo.
Come documentazione, leggiamo da “Argomenti“, Rivista Quadrimestrale di Rete Ferroviaria Italiana, Anno 2 – n. 2 – Marzo 2004:
Costo del personale
La gestione della circolazione è funzione del sistema d’esercizio e del regime di circolazione della tratta e/o del nodo ferroviario interessato dal progetto d’investimento.
Poichè la situazione attuale della rete ferroviaria è caratterizzata da una forte disomogeneità,risulta necessario esaminare caso per caso le situazioni che si prospettano.
Posti di guardia. L’eliminazione dei posti di guardia esistenti,che comandano i passaggi a livello,comporta una riduzione degli oneri di circolazione dovuta al recupero del personale di presenziamento.
Cabine a terra. Le cabine a terra sono postazioni, generalmente presenti in grandi impianti, dalle quali si regola la circolazione di una parte del piazzale. La soppressione di queste comporta una riduzione degli oneri di personale.
Distanziamento dei treni. L’utilizzo del sistema di distanziamento dei treni comporta una variazione degli oneri di circolazione differenti in funzione del tipo utilizzato; per esempio la trasformazione da blocco manuale a blocco automatico e/o blocco conta-assi,comporta una riduzione del personale
Piano di upgrading della rete
- Rinnovo di tratte di linea equipaggiati con Blocco Automatico con apparecchiature di nuova generazione
- Sostituzione di centrali di commutazione telefonica e sistemi di trasmissione analogica nell’ambito della digitalizzazione della Rete nazionale di telecomunicazione