CLAMOROSO: LA SINISTRA TEDESCA PROPONE IL REFERENDUM PER FAR USCIRE LA GERMANIA DALLA UE

toh ma guarda, la sinistra tedesca non ritiene il popolo una merda ma persone degne di votare a differenza dei radical chic italioti. 
 
LONDRA – Come previsto, il referendum britannico sulla UE sta avendo un effetto domino in tutta Europa visto che in molti paesi si fa sempre piu’ insistente la richiesta di indire referendum sulla permanenza nella UE e quindi nessuno dovrebbe essere sorpreso dal fatto che anche il cancelliere Angela Merkel sia sotto pressione per indire una consultazione su questo tema.
La vera sorpresa invece sta nel fatto che a fare questa richiesta non e’ solo Alternativa per la Germania (AdF in sigla) ma anche il partito di sinistra Die Linke il quale non aveva la reputazione finora di essere euroscettico ed è persino al governo di lander, dopo le recenti elezioni amministrative tedesche.
 
A tale proposito alcuni giorni fa il vice presidente di Die Linke, Sahra Wagenknecht. ha esortato i due partiti di governo – Spd e Cdu – a indire subito, entro al più tardi la prima metà del 2017, una consultazione referendaria sulla permanenza della Germania nella Ue perche’ sarebbe arrogante non avere fiducia nei cittadini riguardo questo importante tema.
“Molti cittadini britannici hanno sentito menzogne ma questo accade in ogni elezione e se facessimo questo ragionamento non esisterebbero governi visto che tutti dicono una cosa e ne fanno un’altra” ha aggiunto la Wagenknecht la quale dimostra di avere piu’ dignita’ di tanti politici di sinistra del nostro paese.
 
La vice presidente di Die Linke in passato ha chiesto che fossero indetti referendum sui vari trattati europei e sul TTIP ma e’ la prima volta che un politico di sinistra chiede apertamente di fare un referendum sulla UE e questo la dice lunga sulla popolarita’ della UE in Germania, l’unico paese per di più che ha guadagnato dall’essere parte di questa istituzione malefica.
Al momento e’ improbabile che la Merkel permetta un simile referendum, specialmente perchè l’anno prossimo vi saranno le elezioni politiche in Germania, e i sondaggi danno la Cdu in forte calo per colpa della sciagurata decisione della Merkel di spalancare le frontiere l’estate scorsa all’invasione di oltre un milione di migranti arrivati dalla cosiddetta “rotta balcanica” poi sbarrata (non dalla Germania, ma da tutti gli stati balcanici che non ne potevano più di essere invasi).
Tuttavia, gli eventi recenti insegnano che l’impensabile puo’ accadere e quindi non e’ da escludere che anche i tedeschi possano andare a votare.
Da parte nostra non possiamo che notare come la sinistra tedesca sia completamente diversa da quella italiana visto che in Italia tutti i politici di sinistra dal Pd in su e in giù non fanno che dire che il popolo non e’ capace di fare le scelte giuste – e quindi non bisogna farlo votare su temi rilevanti – “prova ne è” secondo costoro che chi ha votato per il brexit e’ “un razzista ignorante”.
Questa visione squadrista spiega anche perche’ questa notizia sia stata censurata in Italia: dopotutto nessuno, delle varie sinistre italiane di governo e non, puo’ accusare Die Linke di essere un partito di “razzisti ignoranti” o peggio di destabili “populisti”.

BUFERA A TORINO, EFFETTO APPENDINO: SCATTANO LE PERQUISIZIONI ALL’EX ASSESSORE PD DI FASSINO

In carcere rappresentanti di Fondazione del libro, Lingotto Fiere, Gl Events, la società francese che gestisce l’evento, uno dei più importanti dell’editoria italiana. Ai domiciliari un esponente di Bologna Fiere. Perquisizione per l’ex assessore alla cultura Braccialarghe. “Fuga di notizie sul bando”, che secondo la Procura era costruito per favorire l’azienda. Dichiarazione congiunta Appendino-Chiamparino: “Fiducia nei magistrati, ora serve nuova governance”
 
Quattro persone sono state arrestate questa mattina dai carabinieri della procura di Torino nell’ambito dell’inchiesta sul Salone del libro. Tra gli indagati, l’ex assessore alla Cultura della giunta Fassino, Maurizio Braccialarghe, che ha subito una perquisizione, che condivide con gli arrestati l’accusa di turbativa d’asta. L’indagine, coordinata dal sostituto procuratore Gianfranco Colace, è incentrata sul modo in cui la multinazionale francese Gl Events, che gestisce Lingotto Fiere, ha ottenuto lo scorso anno la possibilità di organizzare tra il 2016 e il 2018 il Salone, uno dei principali eventi dell’editoria italiana, con un bando i cui requisiti erano molto simili a quelli offerti dalla società francese. Gli arrestati sono Regis Faure, direttore generale di Lingotto Fiere, Roberto Fantino, direttore marketing di Gl Events, e Valentino Macri, segretario della Fondazione per il Libro. Ai domiciliari è finito Antonio Bruzzone, dirigente di Bologna Eventi.
Nel corso dell’inchiesta è emerso che un funzionario della Fondazione del Libro, componente della Commissione giudicatrice, veicolava informazioni coperte da segreto (quali la presentazione di manifestazioni di interesse, l’identità degli interessati, la presentazione delle offerte) a un dirigente di Lingotto Fiere, così da consentire alla multinazionale francese di modulare la propria partecipazione alle varie fasi della procedura di gara a seconda delle informazioni ricevute e di contattare uno degli altri partecipanti per concordare la sua uscita di scena.
L’indagine era partita dall’ipotesi di peculato nei confronti di Rolando Picchioni, ex presidente della Fondazione per il libro, un ente che in questi giorni è tornato al centro della polemica per la volontà dell’Associazione italiana editori di lanciare una nuova fiera dell’editoria a Milano.
“Attendiamo di conoscere i dettagli dell’inchiesta in corso, auspicando che la magistratura, nei confronti della quale ribadiamo la nostra piena fiducia, faccia chiarezza nel più breve tempo possibile”, è la dichiarazione congiunta della neosindaca 5 Stelle di Torino, Chiara Appendino e del presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino (Pd). La notizia dei quattro arresti “non fa che rafforzare l’esigenza di un totale rinnovamento della governance del Salone, senza però mettere in discussione le ragioni culturali e storiche che hanno decretato il successo di pubblico ed economico delle 30 edizioni che si sono succedute”. L’obiettivo principale – rimarcano Appendino e Chiamparino – “resta quello di garantire lo svolgimento della prossima edizione del Salone, attraverso il pieno supporto di tutti gli attori istituzionali, economici e imprenditoriali coinvolti”.
Poi è intervenuto anche l’ex sindaco Pd Piero Fassino: “Condividendo la dichiarazione del presidente Chiamparino e della sindaca Appendino, anch’io ritengo importante che gli accertamenti della magistratura facciano chiarezza nei tempi più rapidi, anche per consentire la prosecuzione dell’azione di rilancio e di rinnovamento del Salone di Libro”.
Proprio in questi giorni si è riaperta la polemica sulla possibilità di lanciare un Salone del libro anche a Milano, di cui ha parlato anche il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, con conseguente levata di scudi dal capoluogo piemontese, a cominciare dal duo Appendino-Chiamparino, deciso a salvaguardare la manifestazione torinese, come racconta oggi Il Fatto Quotidiano.
“Credo che non abbia senso creare un nuovo salone a Milano, ma che occorra concentrare ogni sforzo sulla storica manifestazione torinese che nel 2017 giungerà alla sua trentesima edizione”, ha commentato in propositoGiovanni Bazoli, presidente emerito di Intesa Sanpaolo, l’istituto socio di Fondazione del libro e impegnato nel risanamento economico del Salone, afflitto da difficoltà di bilancio nonostante l’ampia partecipazione di pubblico ed espositori.
Proprio nel giorno degli arresti, il Consiglio Generale dell’Associazione italiana editori (Aie) ha dato mandato al presidente Federico Motta di contattare in tempi rapidi il presidente della Regione Piemonte e il sindaco di Torino per verificare, si legge in una nota, le loro proposte sul cambiamento della governance e della gestione sia della Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura sia del Salone del Libro. Il Consiglio Generale ha dato inoltre parere favorevole a un modello di società per lo sviluppo di manifestazioni fieristiche ed eventi per la promozione del libro a livello nazionale e internazionale.

LA VEDOVA AMICA DELLA BOLDRINI ORA RISCHIA L’ACCUSA PER CALUNNIA! VERBALI E 6 TESTIMONI LA SMENTISCONO!

certamente anche i 6 testimoni e l’anatomopatologo sono dei razzisti ed anche la procura ovviamente
 
E ORA LA BOLDRINI, LA KYENGE E LA BOSCHI COSA RACCONTANO??? CHI SONO I RAZZISTI? SONO QUESTE TRE DONNE DI STATO RAZZISTE CONTRO GLI ITALIANI!
I verbali nelle mani della procura ora rischiano di mettere nei guai Chiniary Nnamdi, la moglie di Emmanuel Chidi Nnamdi, il nigeriano morto a Fermo la settimana scorsa dopo una lite con un ultrà locale, Amedeo Mancini.
Nei verbali, infatti, sono contenute le dichiarazioni rese dai tutti i testimoni che hanno visto quanto successo pochi minuti prima della morte di Emmanuel. Si parla di 6 testimoni oculari estranei alla vittima e all’accusato, poi ci sono le versioni date dall’amico di Mancini e quella della di Chiniary. Ed è proprio questa la versione che, al momento, non ha trovato nessun riscontro. Nessuno dei sei testimoni, infatti, ha confermato il racconto fornito dalla moglie della vittima.
Partiamo dal principio. Ci sono due supertestimoni che hanno visto la scena dall’inizio, o almeno – scrive il Fatto Quotidiano che oggi riporta i verbali – subito dopo che Mancini ha chiamato “scimmia” Chiniary. E questo lo ha confessato lo stesso ultrà, accusato di omicidio preterintenzionale. Le due donne dicono di aver visto Emmanuel afferrare il cartello stradale “con base circolare di ferro e lo scaraventava contro Mancini colpendolo e facendolo cadere a terra. Bisogna aggiungere che la procura considera queste testimoni attendibili, perché tra loro non si conoscono eppure i due racconti coincidono.
Non basta. Nei verbali spunta una terza testimone. Si legge: “Mentre l’uomo di carnagione bianca si stava rialzando, l’uomo di colore cercava di colpirlo con i piedi mentre la donna tentava di attinferlo (colpirlo, Ndr) brandendo una scarpa in mano”. Ed ecco, quindi, confermato quanto detto anche da Mancini di fronte ai pm: “Sono stato aggredito”. Si legge ancora nel racconto della terza testimone: “È intervenuto un altro ragazzo (l’amico di Mancini, Ndr) che ha cercato di dividerli ma ha ricevuto dalla donna colpi con la scarpa”.
 
A quel punto è la stessa testimone a chiamare la polizia: “Ho visto l’uomo di colore che indirizzava all’altro calci e manate in faccia e la donna lo aiutava con la scarpa. Poi ho visto l’uomo dalla carnagione bianca colpire con un pugno l’uomo di colore che cadeva a terra”.
Secondo la stessa testimone, i vigili sarebbero arrivati sul luogo della tragedia solo in questo momento. I vigili, riporta sempre il Fatto Quotidiano, dicono che al loro arrivo Emmanuel, la moglie diceva di essere stata chiamata “scimmia” e Mancini accusava i due nigeriani di averlo aggredito.
Il problema, per la vedova, è che la sua versione è totalmente differente. Nei verbali si legge il suo racconto: “Emmanuel si liberava dalla stretta, si allontanava e nel frattempo l’uomo bianco afferrava un segnale stradale…e con tale arnese colpiva mio marito all’altezza della testa lato posteriore al contempo gli dava calci alle gambe. Quindi Emmanuel è caduto all’indietro”. Come si può notare, quindi, la dinamica dei fatti raccontata dalla vedova cozza con quanto spiegato ai pm dai 6 testimoni oculari. Tutti contro uno. Tanto che la procura non ritiene attendibile il racconto di Chiniary. Un fatto che – scrive ancora il Fatto – “rischia di costare a Chiniary l’incriminazione per calunnia”.
Fonte QUI

Dopo il trapianto del fegato da un mese vive in macchina

OVVIAMENTE LA SOCIETA’ CIVILE TACE. E’ un autoctono. che crepi pure nell’indigenza e indifferenza, anzi, VIETATO PARLARNE
 
18, aprile 2016
Il municipio non pagava più l’affitto del suo alloggio. “Ero un cuoco, poi mi sono ammalato  –  racconta l’uomo – Adesso divido l’automobile con mia moglie e mio figlio. Siamo stati  dimenticati dal Comune”
 
Non hanno nulla da perdere. L’unico bene che possiedono è quell’utilitaria rossa con l’assicurazione scaduta che ogni sera diventa un giaciglio di fortuna, posteggiata in piazza Indipendenza a pochi passi dal bar Santoro. Che gli offre qualcosa da mangiare e un bagno per le necessità. Dentro l’auto un paio di coperte di lana, qualche scialle pesante per affrontare la notte e cuscini malandati. Addosso sempre gli stessi vestiti sdruciti e sporchi.
 
Un po’ di ristoro lo trovano soltanto una volta alla settimana a casa di una cugina. Per il resto la loro casa è quella vecchia automobile. Rosalia La Vardera, 45 anni, il marito Andrea Tomaselli di 51 anni e il figlio adolescente Emanuele, una casa non ce l’hanno da tempo. Quei due vani in affitto in piazza Turba, quando lui lavorava come cuoco e lei come collaboratrice domestica, adesso sono un vago ricordo.
 
All’improvviso è arrivato un brutto incidente, una delicata operazione alla mandibola e l’epatite C che sono costati ad Andrea Tomaselli la perdita del lavoro. Così i Tomaselli si ritrovano a non potere più pagare l’affitto della casa, bussano ai servizi sociali del Comune che li piazzano in uno degli alloggi, gestiti dall’associazione “Madre Serafina Farolfi” in corso Tukory. Qui rimangono per quattro anni, in attesa di avere assegnata una casa popolare accumulando sedici punti nella graduatoria. Da quel momento, però, l’amministrazione comunale se ne lava le mani. Parcheggia la famiglia in quell’alloggio che dovrebbe servire all’associazione per ospitare i bambini malati di cancro in cura all’ospedale “Di Cristina”, e dopo un po’ inizia a non pagare più le spese a carico della famiglia.
 
“Ci hanno illuso – dicono i coniugi Tomaselli – ci hanno dato un tetto, ma neanche un euro per mangiare e dopo poco tempo siamo diventati un peso per l’associazione che gestiva la casa. Pensavamo fosse una soluzione temporanea, ma sono passati quattro anni”. L’affitto, le utenze e il mantenimento. È l’associazione a farsene carico per puro spirito umanitario, finché, ridotta sul lastrico per le ingenti spese, intenta una causa contro il Comune e procede con lo sgombero coatto dei Tomaselli che a luglio scorso si ritrovano per strada. “È stato un vero calvario – raccontano – Non veniva più nessuno a trovarci, a chiedere di noi. A bussare poi un giorno è stata la polizia municipale per lo sgombero”.
 
Fuori da casa, in tasca hanno soltanto seicento euro, ultima donazione dell’associazione “Serafina Farolfi” che gli consentirà di pagare un paio di mesi di affitto di un’abitazione vicino piazza Vittoria. Finiti i soldi, non resta che la strada.
“Ho subito il trapianto del fegato a dicembre – racconta Andrea Tomaselli – praticamente non posso fare nulla. Dovrei condurre una vita sana e serena, invece, mangio gli scarti dei clienti del bar Santoro. Anche mia moglie e mio figlio che è soltanto un ragazzo si stanno ammalando di depressione. Purtroppo siamo costretti a vivere di espedienti. Nei mesi scorsi abbiamo pure tentato di occupare una casa per la disperazione, finendo nei guai”.
 
Adesso è quasi un mese che la famiglia vive in un’automobile. “Sono disposta a fare qualsiasi lavoro – dice Rosalia La Vardera – lo faccio per mio figlio che temo possa prendere una cattiva strada. Si vergogna della sua condizione, non parla più, va tutto il giorno in giro, Dio solo sa dove. In questo momento non abbiamo neanche i soldi per comprare un po’ di pane. Non chiediamo molto. Ci basta una stanza sicura, dove mio marito possa riposare viste le sue condizioni di salute”.
 

I MAGISTRATI A VIRZÌ: “SBAGLIATO MINIMIZZARE LE VIOLENZE DEI NO TAV”

La replica alla lettera del regista: “Fidatevi della giustizia”
 I manifestanti No Tav durante un corteo in Valsusa lo scorso giugno
14/07/2016
FRANCESCO SALUZZO *, ARMANDO SPATARO **, ALBERTO PERDUCA ***

Caro Direttore, è certamente questione delicata per i magistrati affrontare fuori delle aule dei Palazzi di Giustizia il merito di vicende penali non ancora oggetto di sentenze definitive. Ma talvolta, come nel caso dei processi appartenenti al filone denominato «NoTav», le precisazioni sono necessarie per evitare che nell’opinione pubblica si formino convincimenti fondati su una distorta ricostruzione dei fatti. 

È per questo che, secondo un voluto criterio di sobrietà, intendiamo offrire notizie e spunti di riflessione destinati a chiunque sia a ciò interessato. 

LEGGI ANCHE – La lettera di Virzì alla No Tav in fuga, comparsa in un suo film: “Torna, sapremo capirti”  

LE FIRME  

Partiamo, ad esempio, dalla diffusione di un appello, sottoscritto da molti intellettuali in favore di una imputata di cui si dice che sarebbe stata condannata il 15 giugno scorso alla pena di due mesi di reclusione soltanto per avere descritto in prima persona, in una sua tesi da laureanda in antropologia, i fatti avvenuti nel corso di una manifestazione del 14 giugno 2013 in Val di Susa, di cui – secondo l’accusa – sarebbe stata corresponsabile. Si sostiene che a tali fatti – al di là della tecnica narrativa prescelta – ella avrebbe solo assistito da semplice studiosa. Nell’appello, infine, si manifesta indignazione perché per la prima volta «dal 25 aprile 1945 una tesi di laurea viene considerata oggetto di reato e subisce una condanna… Ci sconvolge che tutte le tesi di laurea siano potenzialmente oggetto delle letture inquisitorie dei magistrati». All’appello hanno fatto seguito alcuni articoli in uno dei quali si attribuisce all’intervento dell’Autorità Giudiziaria il significato di un processo all’antropologia culturale («l’osservazione partecipante diventa materia giudiziaria»), mentre in un altro si afferma che «cose del genere succedono solo nelle peggiori dittature». 

Primo e breve nostro appunto: un giudizio tanto severo è stato espresso senza neppure attendere la motivazione della sentenza di condanna, depositata infatti solo pochi giorni fa. L’appello, dunque, altro non fa che aderire alla tesi difensiva, non accolta dal giudice, il quale ha valutato altre condotte materiali ed elementi di prova addotti dall’accusa. Nel tempo si vedrà se tali conclusioni resisteranno ai successivi gradi di giudizio, ma ciò che sorprende è che non si sia avvertita la necessità di leggere la sentenza prima di attribuire a pubblici ministeri e giudici finalità di indiscriminata repressione del dissenso. 

Altro esempio di “critica” disinformata: dopo il suddetto appello sono stati pubblicati altri articoli che mettono in dubbio la correttezza dell’operato della procura di Torino, la quale avrebbe elaborato una «strategia contro il dissenso», tanto che «da oltre 10 anni i cittadini e le cittadine della Val Susa che si oppongono alla realizzazione del Tav sono oggetto di interventi repressivi di crescente gravità da parte della procura e dei giudici per le indagini preliminari di Torino», tanto che «sono attualmente indagate in valle circa 1000 persone… per i reati più vari». Si è pure affermato che «tutte le denunce nei confronti delle forze dell’ordine per lesioni anche gravissime a manifestanti sono state archiviate, senza alcuna seria indagine, per l’asserita impossibilità di identificarne gli autori». «L’evidente finalità…» dell’azione della procura «è quella di intimidire, di fiaccare il movimento secondo un modulo ben noto in varie parti del mondo e denunciato in una recente sentenza della Corte interamericana dei diritti dell’uomo». 

Orbene, quanto al numero delle persone attualmente indagate, esse sono state, nel periodo 1° luglio 2015-30 giugno 2016, fortunatamente, meno di 1/5 di quanto lamentato, e cioè 183. Quanto ai reati addebitati, si tratta di violenza privata, resistenza a pubblici ufficiali, uso di materie esplodenti, danneggiamento, ingresso arbitrario in luoghi militari. Ed il più alto numero di denunce (114) riguarda contravvenzioni per inosservanza a provvedimenti emessi dall’Autorità per ragioni di giustizia, sicurezza ed ordine pubblico. Come si vede, sono tutti reati comuni, di gravità variabile, comunque non associativi né tantomeno con connotati terroristici. 

E non risponde neppure alla realtà la supposta crescente severità dell’intervento repressivo sul piano processuale, posto che, secondo indirizzi convalidati dalla Cassazione, la custodia in carcere viene richiesta e disposta come ultima ratio, cioè quando la reiterazione di condotte criminali da parte delle stesse persone dimostra l’inefficacia di altre meno pesanti misure. 

Quanto alle denunce contro rappresentanti delle forze di polizia per violenze od abusi nel corso delle manifestazioni, esse hanno avuto esiti diversi: talora è stata esercitata l’azione penale anche nei loro confronti, mentre altre volte l’archiviazione si è imposta perché non si sono raccolte prove sufficienti per il processo o non si è potuto identificare gli autori dei fatti. Quel che conta, comunque, è che tutte le richieste dei p.m. sono state vagliate da giudici indipendenti, imparziali e del tutto estranei alle indagini svolte.  

Ed allora può credibilmente parlarsi di strategia della procura, di cui sarebbero complici anche i giudici, volta a fiaccare il dissenso con metodi da regimi sudamericani? Può essere che la solenne affermazione del Presidente Pertini pronunciata alla fine degli anni di piombo («Gli italiani possono vantarsi di avere sconfitto il terrorismo nelle aule di giustizia e non negli stadi») sia oggi così dimenticata dalla Autorità giudiziaria torinese? Giudichino i lettori. 

Terzo esempio di «fuga dalla realtà»: in molti pubblici interventi, si sostiene che i manifestanti indagati sarebbero responsabili al massimo di «gesti di evidente significato simbolico», cioè di reati di minima lesività. Si potrà discutere di ciò, ma certamente sempre reati sono e non si può certo chiedere alla magistratura ed alla polizia giudiziaria (obbligate per legge a perseguire ogni reato di cui abbiano notizia) di ignorare «gesti» come minacciose irruzioni in uffici privati accompagnate da resistenza alle forze dell’ordine, danneggiamenti di recinzioni di cantieri o lanci di materiali esplodenti contro poliziotti e carabinieri. Saranno i giudici, evidentemente, a decidere delle responsabilità individuali ed a graduare le pene da infliggere in caso di condanna. Ma illegale è anche sottrarsi all’obbligo di presentazione periodica in una stazione di Carabinieri, magari preventivamente annunciando di non volerlo rispettare. 

UN UOMO DI CULTURA  

Quarto episodio: pochi giorni fa un noto regista cinematografico ha rivolto ad una giovane studentessa che si è sottratta alla misura degli arresti domiciliari (emessa a seguito degli scontri al cantiere Tav di Chiomonte del 28 giugno 2015) un appello a ritornare a casa. L’invito è condivisibile. Sennonché, da un lato, esso contiene anche una ironica e minimizzante descrizione dei fatti addebitati alla ragazza descritti come «una scenetta abbastanza buffa che non sfigurerebbe nei filmati di Paperissima» e, dall’altro, si addebitano alla procura di Torino «provvedimenti spropositati, involontariamente comici, tanto severi quanto contraddittori», che inducono l’autore a scrivere «Io sono certo che l’Italia non sia l’Egitto di Al Sisi o la Turchia di Erdogan». 

Viene però da chiedersi come mai un uomo di cultura non si chieda se sia o meno doveroso per i magistrati valutare anche anteriori condotte illegali degli indagati per verificare se più miti misure, in allora disposte, abbiano avuto efficacia dissuasiva. Insomma, come non considerare, prima di tacciare pubblici ministeri e giudici di indiscriminata volontà repressiva, che occorre conoscere sino in fondo i fatti e il loro contesto ed avere fiducia in una giustizia come la nostra, certamente non infallibile, ma tale da consentire controlli e rimedi rispetto al rischio di errori?  

Occorre allora un dibattito sereno sulle questioni connesse alle manifestazioni violente, comunque motivate: non sosteniamo affatto che le tesi dell’accusa debbano essere da tutti condivise ma neppure possiamo accettare che quelle difensive siano assimilate alla verità, prima che i giudici le confrontino e le pesino sulla bilancia, non a caso simbolo della giustizia. 

E per chiudere, ci sia concesso – come cittadini prima ancora che magistrati – porre una domanda ai tanti protagonisti delle rivendicazioni del Movimento NoTav: la protesta, anche nel corso di manifestazioni di piazza, è legittima e salutare in democrazia se attuata entro i confini della legge. 

Ma se nel corso di una manifestazione autorizzata, in una qualsiasi piazza o in un qualsiasi cantiere, persone dal viso coperto con passamontagna, armati di bastoni e strumenti esplodenti, attaccano forze di polizia e danneggiano recinzioni di ogni tipo, bloccano strade e veicoli, intimidiscono i passanti, è evidente che ne escono indeboliti programmi, idee e campagne di opinione: il Movimento NoTav viene delegittimato e finisce, agli occhi della pubblica opinione, con l’essere identificato con i passamontagna e i lanciarazzi. 

Allora, perché non isolare la violenza? Perché non impedire che essa irrompa nelle manifestazioni e nelle campagne di opinione? Perché non rivolgere un appello anche a quanti – giovani e meno giovani – tali violenze teorizzano e praticano?  

* Francesco Saluzzo (Procuratore Generale)  

** Armando Spataro (Procuratore della Repubblica)  

*** Alberto Perduca (Procuratore Aggiunto)  

Direttore CIA: L’Arabia Saudita ha creato terroristi però ha fermato l’espansione dell’Iran ed è uno dei più stretti alleati degli USA

ah bella questa, e come si sarebbe espanso l’iran?!?!!
  
Il direttore della CIA, John Brennan, ha riconosciuto che l’Arabia Saudita è stata una fucina di terroristi, però ha cercato di contrastare l’espansione della rivoluzione islamica dell’Iran in altri paesi, restando allo stesso tempo uno dei più stretti alleati degli Stati Uniti.
 
Gli Stati Uniti restano sempre fedeli alla frase pronunciata da Franklin Delano Roosevelt, a proposito del dittatore del Nicaragua Anastasio Somoza: “Sarà anche un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana.“ Parole che ancora oggi sono alla base della politica estera degli Stati Uniti.
 
A tal proposito, ieri, il  Direttore della CIA, John Brennan, durante un discorso alla Brookings Institution di Washington, ha messo in chiaro che la società saudita è stata usata in passato per la produzione di terroristi, e le organizzazioni fondamentaliste oggi, sostenutie dal regime di Al Saud, continuano ad essere usate da coloro che cercano di promuovere il terrorismo.
Nonostante questo, Brennan ha sottolineato che “dopo la rivoluzione iraniana del 1979, la Repubblica islamica ha inviato all’estero il denaro per diffondere la sua ideologia. L’Arabia Saudita ha cercato di contrastarla promuovendo la sua visione conservatrice dell’Islam.”
A suo parere, il governo di Riyadh è l’erede di un sistema in cui, un certo numero di persone ha creato, sia all’interno che all’esterno del regno, un punto di vista fondamentalista e che cercano di usare l’estremismo, la violenza e il terrorismo per trarre vantaggi.
 
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CIA’s strategy in the face of emerging challenges
On July 13, the Center for 21st Century Security and Intelligence will host the Director of the Central Intelligence Agency John O. Brennan for an address on the emerging threats facing the United…
Tuttavia, dopo queste dichiarazioni, Brennan ha elogiato gli sforzi del principe ereditario saudita Nayef bin Mohammad, come vice primo ministro e ministro degli interni nel regno arabo, per mantenere la sicurezza interna e contrastare la crescita del gruppo terroristico ISIS, (Daesh in arabo).
Infine, ha ricordato che l’Arabia Saudita è uno dei più stretti alleati degli Stati Uniti nella lotta contro il terrorismo ed è stata recentemente oggetto di attacchi da parte dell’ISIS, così come prima da Al -Qaeda.
Queste dichiarazioni sono state rilasciate, mentre aumenta la preoccupazione per la situazione della monarchia araba, infatti, già il 20 novembre 2015, il quotidiano nordamericano “The New York Times” ha rivelato in un articolo che l’Arabia Saudita è la versione “bianca” del Daesh, spiegando che i terroristi dell’ISIS nero decapitano, uccidono, lapidano, amputano mani e distruggono il patrimonio culturale e archeologico della gente. L’ISIS bianco, l’Arabia Saudita, anche se si presenta con una spetto migliore, fa lo stesso.
Fonte: Hispantv
Notizia del: 14/07/2016

Expo pozzo senza fondo: in arrivo altri 205 milioni

http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/expo-pozzo-senza-fondo-in-arrivo-altri-205-milioni/

Ufficialmente servono per il futuro polo scientifico, per tenere concerti nel sito e per la valorizzazione delle aree. In realtà mascherano il buco di bilancio
Expo pozzo senza fondo: in arrivo altri 205 milioni
di  | 14 luglio 2016

In mezzo al guado tra Expo e dopo Expo, ci sono 200 milioni di euro che passano da una mano all’altra come nel gioco delle tre carte: 80 milioni stanziati dal governo nel novembre 2015 per il polo tecnologico; 50 milioni messi a disposizione dalla Regione Lombardia per gli spettacoli di questi mesi sul sito 

dell’esposizione (progetto Fast Post Expo); 75 milioni pagati a Expo spa (ormai in liquidazione) da Arexpo spa (la società proprietaria dei terreni che è diventata lo sviluppatore immobiliare dell’operazione dopo Expo). Sono, in totale, 205 milioni di denaro pubblico che hanno l’effetto di mascherare il buco di Expo spa.
Soldi freschi che si aggiungono ai 2,2 miliardi spesi per costruire e gestire l’esposizione universale, che ha infine avuto ricavi (biglietti, sponsorizzazioni, royalties) non superiori agli 800 milioni. Questo investimento pubblico miliardario non è bastato per chiudere l’operazione che – da mission aziendale – doveva essere completata da Expo spa anche con lo smantellamento dei padiglioni (40 milioni) e la chiusura della società (18 milioni). Ecco dunque che arriva il “soccorso rosso” di altro denaro pubblico, un po’ mascherato per non far fare brutta figura a Giuseppe Sala, il commissario diventato intanto sindaco di Milano, unica consolazione di Matteo Renzi alle ultime elezioni. Proprio per “ringraziarlo”, Renzi è venuto nei giorni scorsi a incontrarlo e annunciare un “patto per Milano” che schiera il governo a sostegno dell’amministrazione comunale.
Il caso più clamoroso di “investimenti mascherati” è quello degli 80 milioni per il polo tecnologico: a novembre sono stati spacciati come soldi per la ricerca, primo contributo per dare il via a Human Technopole (Ht), il centro scientifico su genoma e big data; ma saranno usati per sistemare le “stecche”, cioè i prefabbricati che durante l’esposizione universale ospitavano bar, ristoranti e servizi, e che in futuro potranno accogliere i laboratori di ricerca Ht. I 50 milioni della Regione sono invece gestiti da Arexpo per tenere aperta una parte dell’area Expo: ma sono una cifra spropositata per realizzare concerti e spettacoli estivi che oltretutto attirano, in qualche caso, un pubblico davvero piccolo.
I 75 milioni che Arexpo ha promesso a Expo (50 per fine 2016, 25 per metà 2017) dovrebbero invece compensare le opere che hanno valorizzato le aree su cui è stata fatta l’esposizione. Intanto, il guado tra Expo e dopo Expo durerà almeno due anni. E il nodo centrale è Human Technopole. È il progetto che dovrà dare un senso agli enormi investimenti pubblici realizzati su quell’area che nessuno ha voluto, quando è stata messa a gara per 314 milioni nel novembre 2014. Il “piano B” è stato Human Technopole.
Affidato all’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) di Genova con una dote promessa di 1,5 miliardi in dieci anni. I primi 80, come abbiamo visto, non andranno in ricerca. Ma chi li gestirà? Dopo la sollevazione dei rettori delle università e di gran parte della scienza italiana, che chiedevano un ente terzo, indipendente, per gestire quei soldi, è stata annunciata la costituzione di una fondazione, che però nascerà solo entro un paio d’anni. Nel frattempo, funzionerà un Comitato degli 11, consultivo.
Tramonta dunque la dittatura di Iit contro cui erano intervenuti molti scienziati tra cui Elena Cattaneo e l’ex presidente Giorgio Napolitano. Ma nell’immediato, chi gestirà i primi 80 milioni stanziati? Iit, con una struttura però a contabilità separata e un direttore operativo esterno scelto con bando pubblico internazionale. Resta il problema della trasparenza: potranno sapere i cittadini come saranno spesi i loro soldi? Andranno davvero in ricerca o a mascherare i conti traballanti di Expo? Il rifiuto dei verbali Expo e Arexpo chiesti dalla consigliera regionale Cinquestelle Silvana Carcano non promette bene.

Tav, vertice Valls-Renzi il 21 luglio al cantiere francese dell’alta velocità

http://torino.repubblica.it/cronaca/2016/07/13/news/tav_vertice_valls-renzi_il_21_luglio_al_cantiere_francese_delll_alta_velocita_-143998255/

I vertici dei governi di Parigi e di Roma saranno a Saint Martin la Porte, nella valle della Maurienne, per l’avvio dello scavo del primo tratto del tunnel di base della Torino-Lione

dal nostro inviato PAOLO GRISERI

13 luglio 2016 

Tav, vertice Valls-Renzi il 21 luglio al cantiere francese dell'alta velocità
Il cantiere di Chiomonte 

Il 21 luglio i vertici dei governi di Parigi e di Roma saranno a Saint Martin la Porte, nella valle della Maurienne, per l’avvio dello scavo del primo tratto del tunnel di base della Torino-Lione. Per il governo francese sarà presente il premier Manuel Valls. Non ancora confermata invece la presenza di Matteo Renzi. Il governo italiano potrebbe anche essere rappresentato dal ministro dei trasporti Graziano Delrio. Con l’avvio dello scavo di Saint Martin La Porte ( formalmente ancora una tratta di analisi geognostica per mettere a punto le migliori caratteristiche della talpa) per la prima volta due frese scaveranno contemporaneamente dal lato italiano e da quello francese.

Sul versante italiano la talpa che scava la galleria geognostica di Chiomonte è ormai a meno di due chilometri dal termine del lavoro. Successivamente si dovrà decidere come far scavare, sempre da Chiomonte, le due frese che realizzeranno le canne di 12 chilometri che congiungeranno Susa con la tratta francese del supertunnel.  Nei giorni scorsi il ministro Delrio ha accettato definitivamente la proposta avanzata nei mesi scorsi dall’Osservatorio tecnico che riunisce i comuni coinvolti dall’opera, per ridurre sul versante italiano le gallerie necessarie a raggiungere Torino utilizzando così, per la gran parte, la linea storica attualmente in funzione.

CON IL TTIP ADDIO ALLE RINNOVABILI. #TTIPGAMEOVER

Pubblicato Martedì 12 Lug 2016
ttip 13
Mandiamo il Ttip in game over. Ieri è iniziato a Bruxelles il 14° round negoziale del TTIP. Commissione europea e governo americano stanno portando avanti un negoziato inutile visto che la Francia ha già messo una pietra tombale sul Ttip e le elezioni americane si avvicinano. Questi negoziati costano milioni di euro ai cittadini e, alla luce degli ultimi sviluppi politici, devono essere sospesi quanto prima per evitare inutili sprechi.
 
Le nuove anticipazioni sui testi negoziali pubblicati dal The Guardian svelano un nuovo brutto capitolo del Ttip: quello sull’energia. Pur di arrivare a un accordo con gli Stati Uniti, l’Europa è disposta a sabotare le sue politiche contro i cambiamenti climatici, rendendo più difficili gli investimenti nelle rinnovabili. Su questo tema il Movimento 5 Stelle presenterà una interrogazione urgente alla Commissione europea.
 
Ecco i commenti di Tiziana Beghin, Marco Affronte e Dario Tamburrano.
 
“Con il Ttip, in sostanza, ci ritroveremmo con elettrodomestici meno efficienti e più voraci di elettricità e con un inquinamento atmosferico ulteriormente acuito dallo sfruttamento di fonti energetiche sempre meno verdi. La chiamano “industry self-regulation” e significa che le imprese, prive di una regolamentazione ferrea, potranno organizzarsi da sole in tema di efficienza energetica. Una politica davvero dissennata, e che mal si concilia con la promessa di ridurre le emissioni dell’80% entro il 2050! Ma perché l’Europa è disposta a svendere le proprie politiche energetiche e ambientali? Il motivo principale è il gas americano”. (di Tiziana Beghin)
 
“Sono indignato: in nome di CHI i negoziatori stanno avanzando simili proposte? Che mandato hanno? Mi domando come sia possibile che l’Unione Europea firmi gli Accordi di Parigi per contrastare il cambiamento climatico e poi negozi segretamente in direzione diametralmente opposta. E’ uno scandalo, esigiamo delle risposte. La politica energetica non è un dettaglio: si tratta del futuro del pianeta, di tutti noi! Alcune persone si stanno arrogando in gran segreto il diritto di decidere del futuro di due Continenti, e assieme a loro di tutto il Mondo. Ogni volta che scopriamo qualche notizia, vediamo che i negoziatori lavorano per gli interessi economici delle multinazionali e non certo per il bene dei cittadini europei o americani”. (di Marco Affronte)
 
“Le proposte UE – incredibile eppure vero – rottamano la normativa europea in materia di efficienza energetica ed energie rinnovabili. E’ la stessa Commissione Europea a offrire agli USA l’accesso al gas ed all’elettricità USA nell’UE (e viceversa) a condizioni di mercato: significa minare gli incentivi europei alle rinnovabili e rendere pressoché impossibile la protezione dei prosumer (i produttori-consumatori di energia proprietari di piccoli impianti a fonti rinnovabili) cui il Parlamento Europeo sta lavorando e che anche il commissario europeo Cañete ha appena dichiarato di volere”.

La marcia indietro dei treni in Puglia

13.7.2016, 12:13


E’ possibile consultare sul sito di Ferrovie.it all’apposita pagina la descrizione dell’incidente ferroviario fra Andria e Corato
http://www.ferrovie.it/portale/leggi.php?id=3763 e vi si legge:
“La tratta dov’è avvenuto l’incidente è esercitata con blocco telefonico e non dispone di SCMT – Sistema Controllo Marcia Treno in uso sulla rete RFI.”


Mia prima osservazione: il sistema con blocco telefonico risale a fine ‘800 ed è completamente superato; ma non è solo questo, il punto.

Mia seconda osservazione: molti danno la colpa del grande disastro al binario unico. Ma una gran parte del sistema ferroviario italiano è a binario unico, ed è normalissimo che, anche sulle linee doppie, i treni occupino il binario di destra, magari per sorpassare un altro treno nella stessa direzione. E’ grazie ai sistemi di sicurezza, che si evitano le collisioni.


Ho insegnato per 10 anni al Politecnico di Torino il corso “Sicurezza e Analisi di Rischio”.

Nella prima lezione dicevo:

In prevenzione del rischio, la base è il concetto di “Ridondanza e diversificazione”, ovvero ogni sistema tecnologico complesso (come in questo caso una rete ferroviaria percorsa da treni, e I treni stessi) deve avere più di un sistema di sicurezza, ed ogni sistema di sicurezza deve essere differente ed agire autonomamente dall’altro per evitare cause di guasto di modo comune dei sistemi di sicurezza. Per semplificare, si tratta del concetto di prudenza “cinghia e bretelle” noto anche ai nostri nonni.

In prevenzione del rischio, lo “Human factor”, ovvero “l’errore umano” è un fattore ben noto e tenuto in conto da decenni: deve essere gestito in maniera da rendere il sistema “A prova di errore umano”. Il sistema deve essere cioè dotato di sistemi di sicurezza – ridondanti e diversificati, appunto – che non possano essere inattivati o sopravanzati da un eventuale “errore umano” e intervenire automaticamente. Non è quindi l’eventuale errore umano da individuarsi come causa del disastro, ma la responsabilità di chi – in sede di progetto o di gestione ed ammodernamento del sistema – non ha preso gli opportuni provvedimenti per neutralizzarlo.


I treni come sappiamo non hanno la marcia indietro. Ma chi li gestisce, ed è responsabile di questa tragedia, speriamo vivamente che non innesti una gran bella marcia indietro. Con scopo evidente, direi: fare una bella marcia indietro fino ad arrivare con il proprio posteriore bene al riparo.


Come documentazione, leggiamo daArgomenti, Rivista Quadrimestrale di Rete Ferroviaria Italiana, Anno 2 – n. 2 – Marzo 2004:

Costo del personale
La gestione della circolazione è funzione del sistema d’esercizio e del regime di circolazione della tratta e/o del nodo ferroviario interessato dal progetto d’investimento.

Poichè la situazione attuale della rete ferroviaria è caratterizzata da una forte disomogeneità,risulta necessario esaminare caso per caso le situazioni che si prospettano.

Posti di guardia. L’eliminazione dei posti di guardia esistenti,che comandano i passaggi a livello,comporta una riduzione degli oneri di circolazione dovuta al recupero del personale di presenziamento.
Cabine a terra. Le cabine a terra sono postazioni, generalmente presenti in grandi impianti, dalle quali si regola la circolazione di una parte del piazzale. La soppressione di queste comporta una riduzione degli oneri di personale.

Distanziamento dei treni. L’utilizzo del sistema di distanziamento dei treni comporta una variazione degli oneri di circolazione differenti in funzione del tipo utilizzato; per esempio la trasformazione da blocco manuale a blocco automatico e/o blocco conta-assi,comporta una riduzione del personale

Piano di upgrading della rete

  • Rinnovo di tratte di linea equipaggiati con Blocco Automatico con apparecchiature di nuova generazione
  • Sostituzione di centrali di commutazione telefonica e sistemi di trasmissione analogica nell’ambito della digitalizzazione della Rete nazionale di telecomunicazione

Immagine cortesia dei Vigili del fuoco

Immagine cortesia dei Vigili del fuoco