TAV: prendete appunti

6.7.2016, 11:49

Il primo Convegno "NOTAV", cui ho assistito, nel 1992. Allora, si chiamava "nuovo TGV". 24 anni fa, ormai.

Il primo Convegno “NOTAV”, cui ho partecipato, nel 1992. Allora, si chiamava “nuovo TGV”: 24 anni fa, ormai.

TAV, ovvero la “Nuova” Linea Torino-Lione (NLTL). Ho fatto parte per oltre due decenni dei Tecnici della Comunità’ Montana Val Susa e Val Sangone, poi Unione Montana Valle Susae abbiamo pubblicato molti studi, riassumibili in un unica frase:: TAV, una soluzione in cerca di problema, un progetto “nuovo” e “urgente” da oltre 25 anni.

I lavori e gli studi scientifici sulla NLTL sono disponibili nella pagina del Politecnico di Torino “Studi sull’Alta Velocità” che li raccoglie: ogni articolo è scaricabile per intero direttamente dal sito. Si tratta di materiale aggiornato, che va dal 1997 al 2016, sia in italiano che in inglese.

Studi scientifici e molto altro materiale sono disponibili anche sul sito del Controsservatorio Valsusa.

Dopo i grandi segnali di perplessita’ provenienti dalla Francia, seguiti dalle reazioni abbastanza scomposte di politici e boiardi pedemontani, culminati nei tentativi recenti del ministro Delrio di propagandarci una marcia indietro che in realtà non rinuncia all’assurdo tunnel del tratto transnazionale, vediamo di mettere in fila un po’ di dati, iniziando dal traffico.

Ipotesi fantasiose per il calcolo dei benefici: triplicare i camion per giustificare i treni

Secondo il governo, il flusso di merci sulla nuova linea ferroviaria ammonterebbe a circa 40 milioni di tonnellate nel 2035. Il traffico su rotaia corrisponderebbe al 55%, il restante 45% su strada, pari a 32,4 milioni di tonnellate.

Nel 2010 le tonnellate trasportate su strada al valico del Fréjus sono state 11 milioni, corrispondenti a 732.000 veicoli pesanti. Se ne deduce che i camion attesi nel 2035 sarebbero poco meno di 3 volte quelli del 2010, ossia circa 2.200.000. Nel 2010 la strada si fa carico, in val Susa, del 73,8% del flusso di merci; se questa percentuale dovesse scendere (grazie alla NLTL) al 45%, ma se il traffico dovesse aumentare come previsto dal governo, i veicoli pesanti su strada sarebbero comunque oltre 1.500.000. La sostanza è quindi che, se le ipotesi governative totalmente campate in aria fossero vere, il traffico pesante su strada in Valle di Susa triplicherebbe in circa 22 anni. Che quindi nessuno parli piu’ di “togliere i TIR dalla strade”, ma di “ridurre, da tre volte a due volte, l’aumento dei TIR sulla strada che giustificherebbe la costruzione della NLTL” (e che non avverra’ mai: fortunatamente le regole dell’economia non seguono le previsioni dei nostri esegeti della crescita ad ogni costo).

Merci, merci: ma dove sono tutte queste merci?

L’aumento del traffico previsto al valico Fréjus-Cenisio dipende in parte dal “fisiologico” incremento indotto dalla crescita del PIL (mentre e’ auspicabile che – come di recente – il PIL non cresca, come sanno tutti coloro che non sono vetero-sviluppisti), e in parte dal drenaggio di traffico da altri valichi: essenzialmente Monte Bianco e Ventimiglia. Il primo fattore, secondo le più ottimistiche stime dei proponenti, può produrre al massimo 31 milioni di tonnellate al 2035. Tuttavia i proponenti ipotizzano un traffico di ben 72.3 milioni di tonnellate (39.9 su ferro e 32.4 su strada).

La prima critica è che questa previsione è incompatibile con il “low cost”: fino a quando non sarà disponibile la linea completa, 40 milioni di tonnellate su ferro sono fisicamente impossibili.

La seconda critica riguarda i 41 milioni di tonnellate di differenza tra gli oltre 72 milioni previsti e i 31 indotti dall’incremento del PIL. Da dove vengono tutte queste tonnellate? Evidentemente dagli altri valichi. Per dare un’idea dell’enormità, si consideri che negli ultimi 15 anni il traffico (totale) attraverso i due valichi del Monte Bianco e di Ventimiglia è rimasto stazionario tra 24 e 28 nilioni si tonnellate, oggi circa 27 milioni. Come sarebbe dunque possibile arrivare a un drenaggio di 41 milioni? Forse per giustificare la NLTL dovremmo chiudere il Bianco e Ventimiglia? Costruiamo un muro di Berlino su tutte le Alpi occidentali con check-point, obbligando tutti a passare per il tunnel dei desideri?

Ci siamo dilungati sulle previsioni di traffico perche’ sono i proponenti ad averne sempre fatto una bandiera: dire invece che “comunque il traffico aumentera’ come succede sempre, dopo un po’, sin dai tempi di Cavour, “ puo’ anche essere uno statement, totalmente ascientifico. Ma a questo punto appare difficile capire come si siano spesi vent’anni in studi e previsioni sul traffico, sbagliandoli tutte sempre e clamorosamente. Se occorreva aver fede, bastava dircelo.

Svantaggi energetici ed ambientali: davvero, una cura peggiore del male.

Le questioni energetiche ed ambientali vengono liquidate dai proponenti con poche frasi di incredibile leggerezza, quando invece esistono precise direttive comunitarie in merito alla riduzione dei consumi energetici (anche nei trasporti) e degli impatti ambientali dovuti allo smaltimento dei rifiuti e alle attività produttive.
Restano irrisolti e privi di risposta i notevoli problemi ambientali relativi agli impatti delle operazioni di scavo, all’acidificazione del terreno e delle acque, alla destinazione sicura e definitiva del materiale scavato (smarino), al temuto dissesto del ciclo idrogeologico come in precedenti casi già realizzati (Mugello), alla presenza e smaltimento di materiale di scavo contenente amianto e specie radioattive (uranio e radon).
Il proponenti ribadiscono da sempre che per il progetto “si può prevedere un bilancio del carbonio positivo già dopo 23 anni dall’inizio dei lavori”: cio’ contraddice non solo il buon senso, ma anche ogni evidenza giuridica, scientifica e tecnologica. I proponenti ribadiscono un diagramma relativo alle emissioni annuali e cumulative di anidride carbonica, con flussi in crescita fino al 2026 e graduale riduzione fino al pareggio nel 2038. Il documento fissa al 2055 il raggiungimento di un risparmio stabile di emissioni pari a 3 milioni di tonnellate annue per l’intero tracciato del corridoio n. 6. E’ evidente, a parte l’effettiva e profonda incertezza circa le stime su flussi di traffico al 2055 e oltre, che tali risparmi sono direttamente collegati alla validità delle assunzioni sul traffico stradale sostituito, la cui debolezza è già stata messa in luce nell’articolo precedente: fare riferimento all’ormai sepolto “corridoio 6” per intero (il famigerato Lisbona-Kiev…) e’ poi ormai del tutto irrealistico.
Il governo poi conferma che il progetto non genera danni ambientali diretti ed indiretti appellandosi alla definizione di “danno ambientale” (qualunque fatto doloso o colposo in violazione delle disposizioni di legge, che comprometta l’ambiente), in modo strumentale e fuorviante. Bisogna ricordare, infatti, che ad oggi sono ancora aperte le procedure di VIA sulla tratta italo-franecese e su quella italiana e centinaia sono state le integrazioni e le prescrizioni, richieste, rispettivamente, dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e dal Ministero dell’ambiente, a conferma di un pesantissimo impatto ambientale: i danni ambientali diretti o indiretti temuti per l’opera nel suo complesso sono certamente molto rilevanti.

L’impatto sanitario dei cantieri
Nei documenti ufficiali sono riportate le previsioni di impatto dovute alle emissioni in atmosfera generate nella fase di costruzione dell’opera. Per quanto riguarda il particolato è riportato che “Tali incrementi giustificano ipotesi di impatto sulla salute pubblica di significativa rilevanza soprattutto per le fasce di popolazione ipersuscettibili a patologie cardiocircolatorie e respiratorie che indicano incrementi patologici dell’ordine del 10% rispetto ad incrementi della concentrazione di quanto qui ipotizzato.”
Mentre per le emissioni di ossidi di azoto (NOx) si prevede che “In tali condizioni ci si può attendere un incremento delle affezioni respiratorie nell’intorno del 10-15% da riferire soprattutto alle popolazioni particolarmente suscettibili quali bambini ed anziani anche già affetti da patologie respiratorie di tipo cronico”.
Nel documento governativo si afferma che le emissioni sono sotto le soglie di pericolo per PM10 e PM2,5. Questa affermazione è priva di significato poiché non è mai stata individuata una soglia di sicurezza per il particolato. Inoltre è falsa l’affermazione secondo la quale non sarebbe superata la soglia per il biossido di azoto: la previsione di livelli medi di NOx intorno ai 90 μg/m3, poiché almeno il 50% di questi è rappresentato dal NO2, porta alla previsione di superamento della soglia. Valori analoghi di apporti inquinanti sarebbero riscontrabili per i cantieri previsti nella tratta nazionale, come indicato nella prima versione del progetto preliminare (formalmente depositata nel marzo 2011).

Binari d’oro: 164 milioni di euro al chilometro, su un piatto d’«argent»!
Comparando da un lato i costi preventivati di ogni progetto della linea Torino-Lione proposto negli ultimi anni e dall’altro gli accordi intergovernativi che sono stati via via firmati da Italia e Francia, si ottiene il risultato paradossale – e accuratamente nascosto all’opinione pubblica italiana – che lo squilibrio tra Francia e Italia equivale a far crescere il costo chilometrico, a carico del nostro paese, di oltre il 200%, da 70 milioni di euro del 2001 a 164 milioni di quest’anno.
Grazie al nuovo accordo del 30 gennaio 2012, la Francia ha garantito un’altro record: il minor costo per la realizzazione di una galleria a doppia canna, che sarà pari a 42,6 M€/km (2,07 miliardi di euro per 48,6 km), con una variazione dell’impegno francese di oltre il 7 % in meno rispetto a quello assunto nel 2001 (46 M€/km).
E questi banali calcoli si riferiscono ai preventivi. Le tratte di alta velocità italiana già realizzate hanno visto a consuntivo moltiplicare da 3 a 6 volte i costi previsti.

Altri presunti benefici: il dimezzamento dei tempi di percorrenza Torino-Lione (per i passeggeri)
Il Governo ed i proponenti esaltano la riduzione delle ore di viaggio che si otterrà con la nuova linea, alimentando la confusione sulle sue vere caratteristiche: ad alta velocità oppure no. In realtà nei progetti ufficiali è chiaramente esposto che la NLTL non è una ferrovia AV poiché la velocità massima non supererà i 220 km/h. In ogni caso il risparmio ribadito nel documento governativo non regge ad una semplice verifica matematica.
Il “dimezzamento dei tempi di percorrenza per i passeggeri da Torino a Chambéry da 152 a 73 minuti”, con un risparmio di 79 minuti, per esclusivo effetto del tunnel di base (opzione low-cost), è sbagliato. Secondo il progetto LTF la distanza Torino-Chambéry lungo la nuova linea dovrebbe essere più breve di 21-22 km rispetto alla linea attuale; dunque gli attuali 205 km si ridurrebbero a soli 183. Di questi, 57 nel nuovo tunnel, 116 sulle tratte di linea storica in comune all’opzione low-cost e 10 di raccordi. Il tempo di viaggio sulle tratte di linea storica in comune si può agevolmente leggere sull’orario ufficiale. Tenendo conto dei raccordi, il TGV più veloce (treno 9240) potrebbe percorrere i 51 km da Torino PS all’imbocco del tunnel in 35 minuti, e i 75 km dall’uscita del tunnel a Chambery in 43 minuti. Il tempo totale su queste tratte sarebbe dunque di 78 minuti: ben più dei 73 minuti vantati dal documento governativo, e senza nemmeno contare il tempo di viaggio nel tunnel di 57 km!

Ipotizzando una velocità media nel tunnel di 150 km/h, il tunnel sarebbe percorso in circa 23 minuti; quindi il tempo totale teorico da Torino a Chaméry sarebbe di 78+23=101 minuti. Il risparmio annunciato si ridurrebbe così di soli 51 minuti, realizzato anche mediante la soppressione delle fermate di Oulx, Bardonecchia e Modane e delle relative accelerazioni e decelerazioni. Contando l’unica fermata rimasta in valle (Susa, 2 minuti), il risparmio netto sarebbe di non più di 39 minuti, contro i 79 dichiarati dal governo.

Anche l’affermazione di ridurre il tempo di percorrenza per i passeggeri da Milano a Parigi da 7 a 4 ore è sbagliata, perchè il risparmio di tempo nell’opzione low-cost rimarrebbe invariato: 39 minuti. Un’ulteriore diminuzione dei tempi di percorrenza tra Parigi e Milano potrebbe avvenire solo allorchè fosse completata l’intera linea Torino-Lione, ovvero non prima del 2035. Tuttavia, se il TGV attuale Parigi-Milano fosse instradato sulla nuova linea AV/AC Torino-Milano, in esercizio dal 2009, si potrebbe ridurre immediatamente il tempo di percorrenza di almeno 40 minuti, senza alcun altro intervento sulla tratta. Invece il TGV è costretto a transitare sulla linea storica Santhià-Vercelli-Novara a causa della mancata armonizzazione dei sistemi di segnalamento e sicurezza tra RFI e SNCF.

La soluzione di tali problemi di interoperabilità rappresenta la principale e meno onerosa priorità di intervento richiesta dall’Unione Europea al fine di raggiungere gli obiettivi del programma TEN-T. E questi banali calcoli si riferiscono ai preventivi. Le tratte di alta velocità italiana già realizzate hanno visto a consuntivo moltiplicare da 3 a 6 volte i costi previsti.

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Uno studio sul problema dell’Uranio e Radon in Val di Susa del Politecnico di Torino. Risale al 1997, il prossimo anno ricorrerà il ventennio dalla sua pubblicazione.

L’autore, insieme a tutta la Redazione del Manifesto, e al Movimento NOTAV valsusino (notizie e dati sempre aggiornati sul sito www.notav.info) dedica questo articolo ad una persona che non sta bene, Simone, ed ai suoi amici torinesi che gli sono sempre vicini. Ci auguriamo che stia meglio presto.

José Barroso, da condottiero d’Europa finisce alla Goldman Sachs

europa dei popoli …si si che si cambia e riforma dall’interno…certo come no
 09/07
 
C‘è chi in pensione va ad osservare il lavoro nei cantieri e chi si ricicla in altri ruoli. È il caso dell’ex presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso che diventa presidente, non esecutivo, della banca d’affari Goldman Sachs.
 
Un ruolo che non mancherà di scatenare polemiche è che è già trendtopic in twitter. Barroso è stato infatti presidente della Commissione dal 2004 al 2014, e primo ministro del Portogallo dal 2002 al 2004. Eletto per la prima volta nel Parlamento portoghese nel 1985, è stato ministro dell’Interno e ministro degli Esteri. Nel 1999 presidente del partito social-democratico, e poi leader dell’opposizione. 
 
Il portoghese rivestirà il ruolo di presidente non esecutivo di Goldman Sachs International, divisione internazionale del gruppo internazionale con sede a Londra, oltre a diventare consigliere di Goldman Sachs, ha precisato la banca in un comunicato . 
 
Barroso si è mostrato assolutamente tranquillo in un’intervista al Financial Times, spiegando che, con l’ipotesi Brexit, molte banche statunitensi, fra cui proprio Goldman Sachs, potrebbero vedersi costrette a trasferirsi nel continente e qui entrerebbe in gioco Barroso con la sua grande conoscenza della materia, ma soprattutto con la sua impressionante rete di contatti per il ruolo politico svolto.
 
Durissimi i giornali stranieri. La francese Liberation titola senza mezze misure: “Barroso fa il gesto dell’ombrello all’Europa”.
 
Goldman Sachs in patria era stata coinvolta in uno gigantesco scandalo finanziario, accusata di frode sui prodotti finanziari. La Consob americana (SEC) aveva riconosciuto le responsabilità della banca d’affari nel crollo del mercato immobiliare statunitense. Goldman Sachs ben diciassette anni fa era stata definita una piovra ed è stata implicata in molti scandali da allora.
 
Tornando a Barroso, il politico lusitano è stato accusato, in dieci anni di mandato, di aver indebolito l’Europa con una politica abbsatanza miope e adesso questo incarico non farà che rinfocolare le polemiche
 
Di Alberto De Filippis

Meravigliosa Brexit

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Per tutti coloro che amano i popoli, la vittoria del Leave al referendum britannico sull’uscita dalla Ue rappresenta una grande gioia e  un’immensa speranza. Per coloro che servono il Nuovo Ordine Mondiale, invece, è forse l’inizio della fine. I popoli ci sono ancora, ed è questa la vera, grande notizia.
 
L’omologazione tecnico-mercantile del mondo dovuta alla globalizzazione e al mondialismo feroce di banche, finanza, multinazionali  e i loro servetti della politica, della cultura, delle istituzioni internazionali e dei mass media, non sono ancora riusciti ad annullare completamente le identità e le appartenenze collettive.
Il voto degli inglesi non è solo contro la Ue (che non è l’Europa come cultura comune) ma è contro il pensiero unico, il mercato unico, lo Stato unico, la lingua unica, la moneta unica (che Londra non aveva) e contro l’annullamento dei popoli attraverso l’immigrazione di massa e il meticciato.
 
La Ue è marcia non certo perché unisce l’Europa, ma perché l’unisce su basi materialiste, economiciste, burocratiche, omologatrici e laiciste. Se L’Europa si proponesse come autonomo spazio di civiltà e come grande spazio indipendente geopolitico, sarebbe ben altra cosa. Ma la cultura viene annullata dal primato dell’economia e del laicismo, e l’indipendenza politica e militare è annullata dal servilismo, osceno e grottesco, agli interessi degli Stati Uniti d’America, come manifestato .dalla politica antirussa di Angela Merkel ed accoliti, nonchè dal loro sostegno al TTIP, il Trattato Transatlatico voluta da Obama e dalla multinazionali americane. La Merkel, con tutta la sua supponenza, è soltanto una pedina della superpotenza Usa. Ed ora infatti la speranza di tutti gli uomini liberi è quella di una possibile presidenza Trump, che a quanto sembra è molto scettico verso la politica estera americana, guerrafondaia e destabilizzante, che perlomeno dal 1999, con Clinton, Bush e Obama ha gettato il mondo nel caos, in quella situazione che Teresa Neumann profetizzò col nome di “tempo di Caino”.
Però bisogna essere chiari. La meravigliosa vittoria della Brexit non va interpetata erroneamente come il ritorno al primato dello Stato nazionale, come pensano alcuni “sovranisti”. Non stiamo tornando all’Ottocento, cosa che non è possibile e nemmeno auspicabile. La nazione una e indivisibile o lo Stato dalla sovranità monolitica non possono essere il nostro futuro. Guardiamo ad Altusio, non a Bodin e nemmeno a Rousseau. L’età dei nazionalimi e dei fascismi è passata per sempre e non ne sentiamo la mancanza. Lo Stato moderno e la nazione giacobina, mazziniana e fascista sono prodotti della modernità sovversiva. I popoli non sono nazioni astratte o Leviatani monolitici. I popoli sono pluralità, comunità territoriali,  corpi intermedi, famiglie. Sono identità etnica e religiosa. Sono il contrario della massa. Sono estrenei ai calcoli dell’homo oeconomicus e dell’ homo consumans. Sono tradizione, radici, identità culturale. L’omologazione globalista non li ha definitivamente uccisi, e il cosmopolitismo sradicatore non ha ancora vinto. La Brexit ce ne offre  salda certezza
 
di Martino Mora – 29/06/2016
 

Brexit e voto responsabile: dai, rifacciamo anche il referendum del ’46

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Massì dai, rifacciamo il referendum. Non piace l’esito? Riprova, sarai più fortunato. Da giorni sentiamo parlare di una raccolta di firme con cui un milione, poi due, poi tre di cittadini inglesi chiedono di rivotare con nuove regole per la Brexit. La petizione (di cui già 77mila firme sarebbero state invalidate) era stata lanciata tempo fa – ironia della sorte – da un fautore del Leave che temeva un esito non in linea con le sue convinzioni. Ovviamente non si rifarà alcunché – ridicolo solo pensarlo – ma la notizia viene data con evidenza perché sarebbe inequivocabile segno di ravvedimento dopo le reprimende internazionali: hanno sbagliato, ma sono pronti a pentirsi e genuflettersi (dieci Pater e cinque Ave).
 
Passando in rassegna le articolesse degli inviati nelle famigerate zone rurali responsabili della “catastrofe” (contadini che solo ora si domandano sgomenti “ma cosa abbiamo combinato?”) e gli editoriali indignati di commentatori a cui pare abbiano assassinato un congiunto, lo scenario è quello di una guerra mondiale. Anzi siamo già al genocidio: un’intera generazione è stata uccisa nelle urne. È tutto un parlare straziato di fine del sogno, di vecchi vendicativi e nostalgici, giovani rovinati: addio Interrail, addio Erasmus. Quando la formula di viaggio riservata agli under 21 fu inventata nel 1972, si poteva viaggiare per l’Europa in Paesi che all’epoca non avevano ancora aderito alla Cee. E al programma di mobilità studentesca che consente di fare un periodo di studi legalmente riconosciuto all’estero aderiscono anche Turchia, Islanda e Norvegia che non fanno parte della Ue. Bisognerebbe poi chiedere a Romano Prodi come abbia fatto, all’alba degli anni Sessanta, a perfezionare i suoi studi alla London School of Economics. Si sarà imbarcato come mozzo su una nave? Avrà falsificato i documenti?
 
Al di là del folklore, è inaccettabile il tentativo di delegittimare il voto, con la scusa della presunta difficoltà del tema: argomento troppo complesso per darlo in pasto ai bifolchi delle contee che vanno alle urne con la vanga e imbrattano la scheda con le mani sporche di terra. Facciamo così: per evitare“l’abuso populistico della democrazia”, rifacciamo tutto da capo. E in cabina elettorale sono ammessi solo i lavoratori della City, i residenti a Myfair, i contribuenti con più di un milione di sterline di reddito, i certificati sostenitori del Remain.
 
Oppure torniamo ai vecchi tempi, quando in Italia (fino a un secolo fa) votavano solo i maschi abbienti e poi i maschi che sapevano leggere e scrivere. Il suffragio universale lo conosciamo da poco: nel ’46, al referendum istituzionale, andarono alle urne per la prima volta anche le donne. Potremmo rifare anche quello: l’organizzazione dello Stato è certamente materia troppo complessa per farla valutare a un popolo (ai tempi analfabeta al 60%). Chi erano quei poveracci dei nostri nonni per cacciare un Re (un Re, mica un usciere) e scegliere la Repubblica? Ora siamo chiamati (in ottobre, ma forse in novembre o forse in dicembre) a un altro referendum, piuttosto tecnico, che modifica 43 articoli della Costituzione su materie decisamente complesse. Che poi: se la Carta del ’47 fu scritta in maniera chiara apposta per essere compresa da tutti, quella nuova è scritta apposta perché le persone non capiscano. Tra una complessità e un tecnicismo, ci sarebbe un piccolo particolare: se passa non votiamo più al Senato. Pazienza, che vuoi che sia. Facciamo votare solo i laureati in Legge? Eh no perché “la riforma è problema troppo serio per essere affidato ai soli costituzionalisti”, come ha scritto Michele Salvati sulCorriere. Facciamo così: abilitati solo i giuristi della maggioranza Pd (giureconsulti del calibro del ministro Boschi).
 
I governi, dicono, esistono apposta per decidere sulle questioni complesse, che la plebe ignorante ignora. Dunque poniamo che due secoli di lotte sindacali e diritti sociali venissero (è una pura ipotesi, naturalmente) cancellati d’un tratto perché così decide, mettiamo, la finanza internazionale: la plebe non avrebbe diritto di parola. Se il lavoro, la salute, l’istruzione non fossero più diritti garantiti, i popoli dovrebbero educatamente soprassedere. Se hanno davvero fame, gli daremo delle brioche. Il vero punto però è prima del merito: è accettare o no i meccanismi democratici. Il passo successivo all’isteria cui stiamo assistendo è il governo degli ottimati, che oggi chiamiamo tecnici (ai quali dobbiamo capolavori tecnici come i 300mila esodati dimenticati dalla legge Fornero). È incredibile che a dare questa prova di razzismo contro i vecchi, retrogradi, inabili al voto (chi sono gli inglesi per decidere del loro destino? Mica vorranno dare lezioni di democrazia?) siano gli stessi a cui viene l’orticaria al solo nominare Salvini. Vuoi vedere che gli intellettuali illuminati e progressisti hanno scoperto che il governo del popolo puzza di popolo? Che schifo.
di Silvia Truzzi – 30/06/2016
 

Il tramonto del politicamente corretto

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Fonte: l’Opinione Pubblica
“La Decrepita Alleanza ha vinto. Ha preferito il passato al futuro, i ricordi ai sogni, l’illusione al buon senso. Ne fanno parte i    little Englanders     di provincia e di campagna; i cittadini meno istruiti, su cui le informazioni scivolano come l’acqua sulle piume dei pellicani di St James’s Park; i nostalgici di ogni età, incapaci di rassegnarsi a un’evidenza”. E’ il commento di Beppe Severgnini, giornalista del “Corriere”, ai risultati del referendum tenutosi nel Regno Unito e che hanno decretato l’uscita dalla Gran Bretagna dall’ Unione Europea.
 
L’altolocato e snob Severgnini se la prende nel suo articolo con i vecchi plebei, rozzi, campagnoli ed ignoranti, che non hanno capito che la UE rappresenta il futuro e che tutto il resto “è noia”. Scrive esattamente: “L’Europa è — era — un grande progetto, anche per il Regno Unito. I giovani inglesi, forse, non hanno saputo convincere le generazioni precedenti”. Una folla, in quanto i giovani, anche in Inghilterra, a votare proprio non ci sono andati e quelli che lo hanno fatto hanno espresso l’identico malcontento dei “vecchi ignoranti” che il salottiero Severgnini non potrà mai capire in quanto, diversamente da loro, una vita di disoccupazione e di sofferenze non l’ha mai conosciuta. 
 
Peggio per lui che la sua vecchiaia la trascorrerà, tra una mazzata e l’altra, ad assistere al crollo di quella che non è l’Europa dei popoli, ma quella dei banchieri e della grossa finanza alla quale il giornale che ospita i suoi deliri è tanto legato. Nel quotidiano di via Solferino 28 (storica sede svenduta qualche anno fa alla finanza speculativa) c’è posto ormai solo per questi dandy spensierati o per intellettuali del tipo di Aldo Cazzullo, l’esperto in guerra civile che ha sentenziato che “l’Italia fu liberata dai partigiani”.
 
Categorie, quelle di appartenenza dei sunnominati, che la gente non sopporta più perché, per quanto “rozza e ignorante”, non puo’ non capire l’inconsistenza di panzane demenziali propinate quotidianamente dai mass media. Come quella che ha visto celebrare in pompa magna il 2 giugno l’anniversario del voto alle donne e che alla fine dello stesso mese, dopo il voto Brexit si è sentita dire (Stefano Feltri sul “Fatto Quotidiano”, ma non solo lui) che sono ben accetti solo gli elettori in grado di dare “un voto consapevole, faticoso. In caso contrario la democrazia diretta diventa circonvenzione di incapace”.
Che l’era dei soloni del politicamente corretto stia volgendo alla fine è un tema trattato anche da Thomas Edsall, editorialista del “New York Times”, secondo il quale il meccanismo psicologico alla base del risentimento dei sostenitori di Trump, non sarebbe altro che l’espressione di una vera e propria ribellione nei confronti del politicamente corretto in tema di immigrazione, parità di genere, minoranze o altro.
Sempre secondo Edsall, in molti elettori bianchi sarebbe radicata la convinzione che il multiculturalismo imposto per legge e altri regolamenti tendenti ad attuare politiche di discriminazione siano stati progettati “per portare gli americani alla sottomissione“ e che il politicamente corretto non rappresenti altro che una coercizione volta a silenziare ogni opposizione.
Per capire questa rivolta contro le imposizioni del politicamente corretto, Jonathan Haidt, della New York University, mette in campo il concetto di “reattanza psicologica” (una teoria sviluppata già nel 1966 da Jack W. Brehm) che altro non sarebbe che “la sensazione che si prova quando cercano di impedirti di fare qualcosa che hai sempre fatto, e percepisci che non hanno alcun diritto o giustificazione per fermarti. Così raddoppi i tuoi sforzi e lo fai ancora di più, solo per dimostrare che non accetti il loro dominio”.
Per quanto concerne Trump, secondo Haidt “decenni di politicamente corretto, teso a rappresentare gli uomini bianchi eterosessuali come cattivi e oppressori, ha generato un certo grado di reattanza in molti, forse nella maggior parte di loro”. L’insistenza e l’accanimento espresso da molti sostenitori del multiculturalismo avrebbero sviluppato in molte persone la brama di comportarsi in un modo politicamente non corretto.
Insomma, Trump che viene demonizzato dagli avversari per le sue espressioni politicamente scorrette non rappresenterebbe altro che un riscatto per quanti devono subire il formalismo del presidente Obama che, parlando della strage di Orlando, evita ogni riferimento alla matrice islamica dell’attacco.
Tornando al risultato della Brexit, anche l’europeismo marcato UE è diventato un totem del politicamente corretto, tant’è che, complice o meno la crisi in atto in molte nazioni europee, si manifesta una crescente resistenza  contro la continua imposizione di leggi e regolamenti vessatori in materia economica e politica (austerità a senso unico, mandato di arresto europeo, reati di opinione).
L’arroganza e la cecità del potere politico supportato dal servilismo delle élites privilegiate sta evidentemente portando a maturazione in un numero sempre maggiore di persone attualmente non tutelate – siano essi diseredati, cristiani o eterosessuali – una ribellione talvolta inconsapevole destinata a crescere nel tempo e a produrre pericolosi fenomeni di disgregazione sociale.
di Antonio Serena – 01/07/2016
 

Fate governare l’Austria a Severgnini e Saviano

di Adriano Scianca – 01/07/2016
saviano
 
L’Austria scivola nella vergogna. Non riusciamo neanche a immaginare le reazioni, se a essere invalidata per brogli e irregolarità fosse stata l’elezione di un leader “populista”. Immaginiamo le grida addolorate per l’assassinio della democrazia, i valori calpestati della Ue, la Costituzione più bella del mondo. A vincere aggirando le regole è stato invece il candidato liberale ed europeista che ha salvato la democrazia austriaca dai perfidi nazionalisti. E allora nessuno fiata. Anzi no, forse parleranno, ma per complimentarsi per l’alta concezione che hanno da quelle parti della democrazia nuovo modello.
 
Lo abbiamo visto dopo il voto sulla Brexit: giornalisti e politici hanno inveito con raro disprezzo nei confronti di poveri, ignoranti e anziani che si sono permessi di fare di testa loro. Razza di straccioni, come si permettono di votare liberamente? Qualcuno dovrebbe fare qualcosa per fermarli. E in Austria l’hanno fatto. I brogli austriaci verranno ora innalzati ad atto di resistenza planetario. Niente “abuso della democrazia” (copyright: Mario Monti) in Austria. Ne hanno fatto un uso moderato, responsabile, con qualche correttivo. I campagnoli, i nostalgici, i vecchiacci che secondo Beppe Severgnini hanno sabotato l’avvenire del Regno Unito, in Austria sono stati messi al loro posto. Il popolo che vota Brexit così come un tempo acclamava Hitler, secondo lo splendido paragone storico di Roberto Saviano, a Vienna e dintorni ha avuto quel che si meritava. In fondo acclamare Hofer non è molto diverso che acclamare Hitler. Intanto hanno la stessa iniziale.
E poi siamo in Austria: vogliamo forse dimenticare l’Anschluss? Quei vecchi che si recano al voto che hanno fatto tra il 1938 e il 1945? In attesa di una commissione internazionale per la seconda denazificazione presieduta da Saviano, il minimo che si possa fare è dare una aggiustatina al voto. Ora, stando così le cose, una domanda sorge spontanea: ma che ci fate votare a fare? Decidete direttamente voi chi deve governare. Fate un sondaggio su Twitter in cui possano votare solo quelli che producono almeno 10 tweet sagaci al giorno, di cui almeno tre sull’altezza di Brunetta e sul peso di Mario Adinolfi.
Oppure nominate un collegio di ottimati in cui Saviano, Severgnini, Monti, la moglie di Parenzo e Dodo dell’Albero azzurro prendono tutte le decisioni che vanno prese. Insomma, fate come vi pare, ma non prendeteci più in giro.
 
Fonte: Il Primato Nazionale

Nigeriano ucciso a Fermo, l’autopsia racconta un’altra storia

4 testimoni oculari raccontano la stessa versione dei fatti (pare non sentiti dalle autorità), che coincide con il rapporto dell’autopsia. I giornali hanno ascoltato la sola versione della parte in causa, dimostratasi falsa  Una volta era reato.
 
 
L’esito dell’esame autoptico sul corpo di Emmanueln Chidi Namdi avvalora le versioni di Amedeo Mancini e della testimone: morte provocata dalla frattura al cranio dovuta alla caduta
Ultimo aggiornamento: 9 luglio 2016
 
Fermo, 8 luglio 2016 – L’autopsia sul cadavere del nigeriano ucciso a Fermoracconta un’altra storia e avvalora la versione di Amedeo Mancini e della testimone, anche alla luce dell’ispezione medico legale effettuata in carcere sul corpo dell’ultrà.
Secondo l’esito dell’esame, il rifugiato politico ospite della comunità di accoglienza gestita da don Vinicio Albanesi, non è stato colpito con il palo della segnaletica stradale, ma con un pugno.
 
L’esame autoptico, effettuato dal medico legale Alessia Romanelli, ha stabilito che il decesso è stato provocato dalla frattura posteriore del cranio, con conseguente emorragia, compatibile con la caduta all’indietro della vittima e l’impatto con il marciapiede.
 
La morte quindi non è stata causata neanche dal pugno sferrato da Mancini, che, seppur forte, ha arrecato solo lesioni al labbro e alla mandibola, senza danni alla dentatura, che è rimasta integra.
 
funerali di potrebbero svolgersi domenica pomeriggio se, ultimate le procedure necessarie all’autopsia, la Procura autorizzerà la restituzione della salma. Alle esequie in duomo sarà presente anche la presidente della Camera Laura Boldrini, originaria di Macerata, che ha espresso “sgomento e indignazione” per “l’odio razzista e xenofobo” costato la vita al ragazzo.
 
Emmanuel, il nigeriano ucciso a Fermo, e Amedeo Mancini, l'indagato (Zeppilli)
Emmanuel, il nigeriano ucciso a Fermo, e Amedeo Mancini, l’indagato (Zeppilli)

Donne e uomini in viaggio per lavoro: chi sono le vittime italiane di Dacca

Premesso che la morte non la auguro a nessuno ed umanamente mi dispiace molto per le 9 vittime italiane in Bangladesh. Scritto questo, sulla vicenda tanto il governo quanto i media, con una controinformazione pressoché assente, hanno avuto un atteggiamento rivoltante, con il teatrino delle salme, l’elevare a missionari per conto di Dio questi imprenditori che sono uomini d’affari, non vanno là per dar loro lavoro e per aiutarli, ma chi vogliamo prender per i fondelli?????? Prima chiedono flessibilità sul lavoro, ed è stata concessa fino all’inverosimile, fino a distruggere la certezza di poter mangiare tutti i giorni e mantenersi un tetto sulla testa, fino a distruggere il futuro di GENERAZIONI. Poi se ne vanno all’estero per fuggire alla pressione fiscale DA ESPROPRIO ma su questo guai A ORGANIZZARE UNA RIVOLTA FISCALE.
Inoltre, i 4MILA SUICIDI per motivi economici, imprenditori, disoccupati, operai ASSASSINATI DALLO STATO PERCHE’ LE LORO VITE TANTO DA ESSERE CENSURATE???
Se muori all’estero, TUTTI A PIANGERE. Se muori in Italia per mano del tuo governo, SILENZIO.

2 luglio 2016

 
(Ansa)
 
Adele Puglisi, Marco Tondat, Claudia Maria D’Antona, Nadia Benedetti, Vincenzo D’Allestro, Maria Riboli, Cristian Rossi, Claudio Cappelli e Simona Monti. Cinque donne e quattro uomini. Imprenditrici e imprenditori, manager, italiani in viaggio per lavoro. È questo il profilo dei nove connazionali uccisi nell’assalto di Dacca (un decimo italiano è ancora irreperibile). Donne e uomini quasi tutti attivi nel settore del tessile-abbigliamento, di cui il Bangladesh è una delle principali “fabbriche del mondo”. Provenienti da tutta Italia: dal Friuli al Lazio, dal Piemonte alla Sicilia.
 
Cristian Rossi importava capi di abbigliamento con un collega
Storie di imprenditoria e intraprendenza come quella di Cristian Rossi, 47 anni, di Feletto Umberto (Udine), che per anni aveva lavorato per il gruppo Bernardi, catena friulana di negozi di abbigoliamento, come buyer proprio in Bangladesh, dove aveva il compito di comprare la merce e seguire i fornitori. Proprio grazie all’esperienza maturata, quando il gruppo tessile friulano aveva cessato l’attività, Rossi si era messo in proprio avviando con un collega un’attività di importazione di capi di abbigliamento realizzati nelle fabbriche di Dacca per conto di aziende italiane del settore tessile.
 
Maria Riboli lascia una bimba di 3 anni
Maria Riboli era mamma di una bimba di appena tre anni. Era nata il 3 settembre 1982 ad Alzano Lombardo, ma era originaria di Borgo di Terzo, in valle Cavallina. Dopo il matrimonio si era trasferita a Solza, nell’Isola bergamasca. Maria Riboli lavorava nel settore dell’abbigliamento e si trovava in viaggio per lavoro per conto di un’impresa tessile. Da qualche settimana era in Bangladesh. Secondo le prime ricostruzioni sarebbe stata uccisa da una granata, lanciata da uno dei terroristi islamici.
 
Simona Monti era incinta
Doveva rientrare in Italia lunedì, la 33enne reatina Simona Monti, una delle vittime dell’attentato a Dacca. E doveva rimanere a Magliano Sabino, il paese dove vivono i suoi familiari, per un anno, in aspettativa, perché da alcune settimane aveva appreso di essere incinta. «Questa esperienza di martirio per la mia famiglia e il sangue di mia sorella Simona spero possano contribuire a costruire un mondo più giusto e fraterno», ha detto don Luca Monti, il fratello della giovane e sacerdote della diocesi di Avellino.
 
Adele Puglisi sempre in giro per il mondo per il suo lavoro
O come quella di Adele Puglisi, catanese di 54 anni, manager per il controllo della qualità per la Artsana, l’azienda di Grandate (Como) spercializzata in prodotti sanitari e per l’infanzia. «La vedevamo 20 giorni l’anno, era sempre in giro per il mondo per il suo lavoro», racconta un vicino di casa. Non era sposata e non aveva figli. Abitava in un antico palazzo di una stretta via nello storico rione del Fortino a Catania, dove sarebbe dovuta ritornare nei prossimi giorni. «Era una donna riservata e cortese – afferma un altro vicino – la conoscevo da anni, ma qui c’era sempre poco: stava alcuni giorni e poi ripartiva, era sempre impegnata all’estero per lavoro». È stata uccisa alla vigilia del suo rientro a casa.
 
Nadia Benedetti viveva da anni in Bangladesh
Insieme ad Adele Puglisi è morta la sua amica Nadia Benedetti, un’imprenditrice viterbese di 52 anni, managing director della StudioTex Limited, azienda con sede centrale a Londra e succursale a Dacca. Nadia si era trasferita da diversi anni in Bangladesh, ma tornava ogni volta che ne aveva la possibilità. Gli amici ricordano la sua grande passione per il lavoro, la nipote Giulia ne piange la morte su facebook: «Non c’e’ più, un branco di bestie ce l’ha portata via». Grande passione per il suo lavoro, secondo le prime ricostruzioni era allo stesso tavolo dell’Holey Artisan Bakery con gli amici e colleghi friulani Marco Tondat e Cristian Rossi. La famiglia era stata avvertita nella notte dalla Farnesina che la donna figurava tra gli ostaggi del locale.
 
Marco Tondat aveva provato un anno fa a emigrare
O come quella di Marco Tondat, 39enne di Cordovado (Pordenone). Il giovane friulano, ha raccontato il fratello Fabio, «era partito un anno fa, perché in Italia ci sono molte difficoltà di lavoro e ha provato ad emigrare. A Dacca era supervisore di un’azienda tessile, sembrava felice di questa opportunità. A tutti voglio dire che quanto accaduto deve far riflettere: non è mancato per un incidente stradale. Non si può morire così a 39 anni». Per l’intera mattinata Marco compariva nella lista dei dispersi. Poi la tragica conferma.
 
Claudio Cappelli da 5 anni in Bangladesh
Il dolore delle famiglie si unisce al ricordo di chi aveva conosciuto le vittime. Come il console generale onorario del Bangladesh in Veneto, l’avvocato Gianalberto Scarpa Basteri, che ricorda l’imprenditore Claudio Cappelli, residente in Lombardia, ucciso dai terroristi al caffè Holey Artisan Bakery. «Il dottor Cappelli – spiega Basteri – aveva una impresa nel settore tessile che produceva t-shirt, magliette, abbigliamento in genere e anche intimo. Diceva di avere avuto una esperienza positiva e di essere contentissimo. Era da più di 5 anni impegnato in questa avventura. Era entusiasta e diceva che era un Paese dove si poteva lavorare molto bene». Fatica a parlare la sorella di Claudio Cappelli: «Sono momenti tragici per tutti noi, siamo sconvolti dall’ azione di questi infami maledetti assassini».
 
Claudia Maria D’Antona aiutava le donne sfregiate con l’acido
Claudia Maria D’Antona, l’imprenditrice assassinata dai terroristi a Dacca viveva nella capitale del Bangladesh ed era nel locale con il marito Gianni Boschetti, conosciuto nel ’93 a Tirupur (India). Si erano sposati due anni fa dopo 20 anni di convivenza. Con lui, riuscito a scampare alla strage, aveva guidato prima la società Europoint poi la Fedo Trading. L’imprenditrice era anche molto impegnata con il marito nel volontariato. «Finanziavano – spiega la sorella Patrizia – un’associazione che porta esperti di chirurgia plastica in Bangladesh per curare le donne sfregiate con l’acido.
 
L’imprenditore Vincenzo D’Allasio si era trasferito ad Acerra nel 2015
Abitava con la moglie Maria nella mansarda di una palazzina rosa di quattro piani ad Acerra (Napoli), limprenditore tessile Vincenzo D’Allestro, 46 anni, ucciso ieri dal commando dell’Isis a Dacca. Era originario del casertano, di Piedimonte Matese, e si era trasferito ad Acerra (Napoli) nell’ottobre del 2015. L’imprenditore era quasi sempre fuori per lavoro. «Non si vedevano quasi mai – dice una vicina di casa – sono persone a modo e molto cordiali». Era nel locale della strage in compagnia di un’altra delle vittime italiane, Nadia Benedetti, che nella capitale ha un negozio.

Brexit: timori finanziari fondati o alibi per interventi eccezionali?

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Il risultato del referendum sulla Brexit avrà certamente un effetto profondo sull’economia britannica, sull’Unione europea e sul suo processo di integrazione.
Chi ci ha letto in passato sa che noi siamo sempre stati fautori di un’Europa forte, solidale e sovrana. Nondimeno ci sembra esagerata la reazione sia dei mercati che delle istituzioni finanziarie europee ed internazionali che paventano un nuovo sconquasso finanziario globale.
E’ come se l’emergenza Brexit serva a giustificare una probabile adozione di interventi eccezionali e a scaricare su di essa le conseguenze di una crisi già in atto, ma che oggettivamente non ha origine nell’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Ue.
 
Al riguardo è’ interessante notare che le grandi banche too big to fail americane ed internazionali, la Goldman Sachs, la JP Morgan, la Citibank, la Bank of America  per nominarne alcune,  sono state in prima fila, anche con notevoli donazioni in denaro, per sostenere la campagna “Remain”.  Anche speculatori come George Soros sono scesi in campo contro la Brexit paventando cataclismi di ogni sorta.
 
La Federal Reserve ha deciso di lasciare i tassi fermi e ha annunciato che il costo del denaro salirà, ma più lentamente. L’incertezza sul referendum della Brexit “è uno dei fattori che ha pesato sulla decisione” di mantenere invariato il costo del denaro, ha affermato la governatrice Janet Yellen, sottolineando che un eventuale addio della Gran Bretagna all’Ue potrebbe avere ripercussioni sull’economia e sulla finanza globale. Dopo di che anche la Banca Centrale Europea ha affermato di essere pronta ad interventi di emergenza e in ogni caso di voler mantenere i suoi acquisti di asset finanziari pari a 80 miliardi di euro al mese fino a marzo 2017 e anche oltre, se fosse necessario.
Indubbiamente l’uscita dall’Ue avrà un grosso impatto in particolare per la City di Londra. Nella City operano circa 250 banche estere che in questo modo hanno un accesso diretto al mercato Ue. La City rappresenta circa il 10% del Pil britannico e contribuisce per il 12% a tutte le tasse raccolte dal governo. Essa è la prima esportatrice di servizi finanziari del mondo. Servizi che, per 20 miliardi di euro, vanno proprio verso l’Europa.
Una delle grandi preoccupazioni riguarda, per esempio, la sorte della Royal Bank of Scotland, che nel biennio 2014-15 ha accumulato perdite per oltre 7 miliardi di euro. Cosa succederebbe a questa banca in caso di un aggravamento della situazione inglese?
 
Secondo noi il nervosismo nella grande finanza riflette un profondo senso di incertezza e anche una vera e proprio paura di effetti a catena, simili a quelli non previsti e non voluti, della bancarotta della Lehman Brothers nel 2008.
L’ultimo bollettino della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea delinea andamenti finanziari e bancari che meritano una attenta disamina. Nell’ultimo trimestre del 2015 i crediti bancari transfrontalieri globali sono diminuiti di 651 miliardi di dollari, di cui 276 verso la zona euro. E’ una tendenza in crescita da tempo. La stessa cosa era avvenuta a seguito della crisi del 2008. E’ indubbiamente uno dei risultati della prolungata stagnazione economica mondiale.
E’ anche rilevante notare che il valore nozionale dei derivati otc è finalmente sceso di quasi 200.000 miliardi di dollari, da 700 mila di giugno 2014 ai circa 500 mila di fine 2015. E’ un fatto di indubbia positività.
Si tratta di cambiamenti necessari e ulteriormente auspicabili. Noi abbiamo sempre ribadito l’importanza di ‘prosciugare’ la palude dei derivati finanziari speculativi otc e di contenere le operazioni bancarie non produttive.
I dati della Bri sono di grandezze eccezionali,  però richiedono un attento controllo e anche interventi precisi da parte delle autorità competenti. Se fossero soltanto il risultato di performance autonome dei mercati, allora dietro ai numeri potrebbero nascondersi ‘macerie’.
Sarebbe proprio come spesso accade dopo fenomeni alluvionali. Dopo una violenta inondazione si è tutti contenti di vedere che le acque si sono ritirate. Ma prima di permettere il ritorno delle famiglie evacuate o addirittura concedere dei permessi di costruzione è necessario che la Protezione Civile faccia un attento controllo del territorio per determinare se la catastrofe ha minato le fondamenta dei palazzi e la compattezza del terreno.
Di certo sono in atto profondi rivolgimenti nei settori finanziari e bancari per cui ogni evento, anche di portata minore, rischia di produrre conseguenze destabilizzanti. Con effetti sistemici!
*già sottosegretario all’Economia  **economista
di Mario Lettieri e Paolo Raimondi – 29/06/2016

Il Consiglio di sicurezza si appresta a ingiungere a Israele di rompere con al-Qaida

Netanyahu-sul-Golan
di Thierry Meyssan *
 
Nell’agosto 2014 Israele ha partecipato all’espulsione dei Caschi blu dalla zona cuscinetto del Golan, per poi affidarla ad al-Qaida, cui assicura la logistica. Benjamin Netanyahu ha poi annunciato di aver intenzione di violare la risoluzione 338 e di annettersi il Golan occupato. È troppo. Gli Stati Uniti e la Federazione Russa hanno deciso di richiamare Tel Aviv all’ordine.
Prossimamente il Consiglio di sicurezza dovrebbe adottare una risoluzione, redatta congiuntamente da Stati Uniti e Russia, concernente la FNUOD (Forza di disimpegno delle Nazioni Unite, United Nations Disengagement Observer Force, nella denominazione originale inglese, ndt), i Caschi blu incaricati di controllare la zona demilitarizzata che, sulle alture del Golan, separa le truppe israeliane da quelle siriane.
 
Il 28 agosto 2014 il Fronte al-Nusra (al-Qaida) riusciva a introdursi nella zona cuscinetto e a prendere in ostaggio 45 Caschi blu delle Isole Figi. Disobbedendo agli ordini delle Nazioni Unite, Caschi blu filippini tentavano [invano] di salvarli. Finché i Caschi blu irlandesi, accompagnati da soldati israeliani, riuscivano a stabilire un contatto con gli jihadisti. A conclusione di lunghi negoziati, l’ONU rifiutava di depennare al-Nusra dalla lista delle organizzazioni terroristiche, ma decideva di versare un riscatto su un conto bancario (!). La liberazione degli ostaggi non è stata annunciata dall’ONU, bensì, da Londra, dall’Osservatorio Siriano per i Diritti dell’Uomo, un’ONG che serve da copertura all’MI6. Mai le Nazioni Unite hanno motivato il loro ordine di abbandonare i Caschi blu delle Isole Figi, né hanno mai aperto un’inchiesta sul conto bancario di al-Qaida.
Da allora, non ci sono più Caschi blu a garantire l’applicazione della risoluzione 338, giacché questo ruolo è stato attribuito ad al-Qaida. Quando gli jihadisti sono attaccati e feriti dall’esercito arabo siriano, ripiegano in territorio israeliano, dove vengono curati allo Ziv Medical Centre, indi riaccompagnati alla frontiera dall’esercito israeliano, affinché possano ricominciare a combattere.
 
miliziani al
Miliziani di Al Quaeda sul Golan
 
Il 17 aprile 2016 Israele si è lasciato andare a una provocazione, organizzando un consiglio dei ministri sulle alture del Golan. Nell’occasione il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che il suo Paese non applicherà mai la risoluzione 338 né mai restituirà il Golan. Il 14 giugno 2016 l’ex primo ministro Ehud Barak ha denunciato la politica irresponsabile di Netanyahu e ha esortato i dirigenti israeliani a spodestarlo con ogni mezzo.
Il progetto di risoluzione stabilisce principalmente:
– «Il Consiglio di sicurezza sottolinea che non dovrebbe esserci alcuna attività militare di gruppi di opposizione armati nella zona di separazione e nel contempo esorta gli Stati membri ad ammonire chiaramente i gruppi di opposizione armati siriani presenti nella zona operativa della FNUOD a cessare ogni attività che rischi di mettere in pericolo i soldati della pace e a consentire ai soldati delle Nazioni Unite la libertà di manovra necessaria per compiere il loro mandato in tutta sicurezza;
– Chiede a ogni gruppo presente oltre la FNUOD di abbandonare tutte le posizioni di pertinenza della Forza dell’ONU nonché il punto di transito di Quneitra (il “capoluogo” della zona cuscinetto, ndt), e di restituire i veicoli, le armi e ogni altro materiale appartenente ai Caschi blu.»
 
netananyahu
Netanyahu solidarizza con i miliziani feriti e ricoverati negli ospedali di Israele
 
Per sessant’anni Israele ha denunciato il pericolo del terrorismo arabo e musulmano. Eppure sul Golan ha contribuito all’espulsione della FNUOD e ha affidato la zona cuscinetto ad al-Qaida.
Dopo due anni di violazione del diritto internazionale, il Consiglio di sicurezza dovrebbe dunque dispiegare nuovamente la FNOUD e intimare a Israele di cessare ogni sostegno all’organizzazione terrorista.
 
Lo Stato d’Israele, a tutt’oggi, ha violato quasi tutte le risoluzioni del Consiglio di sicurezza che lo riguardano.
Thierry Meyssan
 
Traduzione
Rachele Marmetti
Il Cronista
 
*Thierry Meyssan Intellettuale francese, presidente-fondatore del Rete Voltaire e della conferenza Axis for Peace. Pubblica analisi di politica internazionale nella stampa araba, latino-americana e russa. Ultimo libro pubblicato: L’Effroyable imposture : Tome 2, Manipulations et désinformations (éd. JP Bertand, 2007). Recente libro tradotto in italiano: Il Pentagate. Altri documenti sull’11 settembre (Fandango, 2003).