LA “NUOVA” TAV ATTRAVERSERÀ TORINO “MA NON CI SARANNO MERCI PERICOLOSE”

Il piano del 20 giugno prevede anche una fermata passeggeri nello scalo San Paolo. Foietta, presidente dell’Osservatorio: “Il progetto originario? Si vedrà nel 2030…”

Il Passante accoglierà parte dei treni della Torino-Lione (gli altri da San Paolo devieranno verso Trofarello) che, in questo modo, raggiungeranno la Torino-Milano e la già esistente linea ad alta velocità

03/07/2016
BEPPE MINELLO
TORINO

Se nel 2029-30, quando si prevede sarà finito il tunnel di base di 52 km della Torino-Lione, i treni viaggiassero ancora sui binari di oggi il traforo servirebbe a poco o nulla. Ecco perché, prima di quella data, è necessario adeguare le linee esistenti – «di adduzione» le chiamano i tecnici – affinchè possano accogliere «treni più lunghi, più pesanti e di grande sagoma». Dove ciò non è possibile, allora nuove linee e tunnel sono obbligatori. Stanno tutti qui i cambiamenti della tratta italiana della Tav.  

«Ma non c’è nulla di nuovo rispetto a quanto stabilito dall’accordo italo-francese del 2012 dove si diceva che se l’obiettivo della Fase 1 è l’apertura del tunnel entro il 2030, l’Osservatorio che presiedo, entro quella data deve garantire l’adeguamento delle linee ferroviarie, il raccordo con lo scalo ferroviario di Orbassano, l’attraversamento del nodo di Torino e una efficace connessione con il Corridoio Mediterraneo ed Alpi Reno e i porti liguri», spiega Paolo Foietta, commissario di governo e presidente dell’Osservatorio. E dunque, le ricadute delle «novità» annunciate dal ministro Delrio e contenute nel documento approvato il 20 giugno scorso dall’Osservatorio («Accordo frutto di oltre un anno di lavoro» dice Foietta) sono minori costi e interventi sul tracciato parzialmente diversi rispetto al progetto definitivo «che resta intatto e valido e viene solo accantonato». 

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DAL TUNNEL A SAN PAOLO  

Il progetto preliminare prevedeva 82 km di binari in nuova sede. Il documento approvato il 20 giugno, oltre ai 18,1 km della sezione transfrontaliera del lato italiano (di cui 12,5 nel tunnel di base) ne prevede in nuova sede appena 14: quelli in galleria fra Buttigliera e Orbassano. Il resto della tratta, cioè 41 km, sarà fatta riutilizzando la ferrovia esistente. Tutto questo comporta una spesa di 1,7 miliardi invece di 4,3. «Non si può fare a meno del tunnel – spiega Foietta – perché l’alternativa, cioè la ferrovia esistente, ha strettoie impossibili da eliminare e il traffico merci sarebbe incompatibile con il servizio ferroviario metropolitano».  

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IL «QUADRIVIO» SAN PAOLO  

L’esistente scalo ferroviario che corre lungo corso Rosselli da Parco Ruffini diventerà il nodo della nuova ferrovia e, per questo motivo, avrà anche una stazione passeggeri. Il Tav ci arriverà da Orbassano sfruttando il trincerone di Grugliasco. «Da San Paolo – dice Foietta – i treni potranno deviare verso Nord-Est nel Passante e di lì raggiungere Torino Stura e quindi immettersi sull’esistente linea ad Alta Velocità per Milano. Oppure dirigersi verso Sud-Est sull’attuale linea che, passando da Trofarello, raggiunge Alessandria e Genova e il resto d’Italia. Teoricamente potrebbe anche risalire attraverso Mortara e raggiungere Novara e ancora la linea Torino-Milano. Ovviamente, intercetterà anche il corridoio europeo fra Genova e Rotterdam. Insomma, le paure agitate dai No Tav («Faranno passare merci pericolose sotto Torino») sarebbero infondate: «Già oggi – risponde Foietta – nel Passante non entrano treni che trasportano merci pericolose, sono deviati verso Alessandria». Il progetto definitivo della Torino-Lione, prevede di superare il Passante con la cosiddetta «Gronda merci» una nuova tratta che da Orbassano, passando sotto corso Marche e correndo lungo la tangenziale, porterebbe i treni ancora a Torino-Stura: «Tutto resta valido – spiega Foietta – ma si vedrà nel 2030 se realizzarla». 

IL PASSANTE  

Il progetto del 20 giugno prevede di procedere (spesa 200 milioni) nel già previsto collegamento fra Porta Nuova e Porta Susa (mancano 120 metri di galleria) oggi ottenuto «intasando» uno dei binari del Passante e perdendo 10 minuti di tempo.  

Mentono sapendo di smentire

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di  | 3 luglio 2016

Mentono sempre. Ogni volta che respirano. E più perdono voti, più s’illudono di riconquistarli tenendo il piede in due scarpe. Cioè continuando a mentire. O a smentire quel che dicevano fino al giorno prima. Salvo poi smentire la smentita per tornare alla menzogna primigenia. E non capiscono che alla lunga, non appena si diradano le cortine fumogene della stampa embedded e dei Cinegiornali luce, la gente se ne accorge. E li punisce a vantaggio di gente magari più semplice, anche più sempliciotta, ma che dà l’impressione di avere una faccia e una parola sola.

Prendiamo Renzi sull’Italicum. Prima lo approva, poi fa intendere che vuole cambiarlo, poi dà dei voltagabbana ai 5Stelle che gli danno del voltagabbana, poi dice che non lo cambia. E i giornaloni dietro. Il 30.6 il Corriere titola che “il premier è pronto ad aprire per salvare il referendum”. Il 1.7 spiega che vuole cambiarlo, ma “i 5Stelle blindano l’odiato Italicum”. Poi, ieri, contrordine compagni: “I renziani difendono l’Italicum: è una legge ottima. M5S all’attacco”. Dài, scherzava.

Prendiamo Gennaro Migliore, ex Sel convertito al renzismo e premiato con la poltrona di sottosegretario, addirittura alla Giustizia. In visita al supercarcere de L’Aquila, quasi tutto occupato da mafiosi e terroristi al 41-bis (136 detenuti su 168), dice esattamente ciò che vogliono sentire e non sentivano dai tempi di B.: “L’impressione che ho avuto qui a L’Aquila è la stessa che ho avuto in altre carceri con detenuti al 41 bis: serve un’attenzione diversa… maggiore flessibilità, vanno garantiti diritti e dignità. E in generale pensiamo ad alcune innovazioni tecnologiche, come l’uso di Skype al posto della scheda telefonica dov’è possibile… Il 41-bis non può essere una interruzione dei diritti fondamentali. Serve una riconsiderazione dei regolamenti, per evitare applicazioni afflittive che non corrispondono ai dettami costituzionali”. Frasi riportate da Il Centro (gruppo Repubblica-Espresso, non certo antigovernativo) e in perfetta linea con le incredibili conclusioni della Commissione Manconi, che vede nel 41-bis una forma di tortura, e mai smentite finché il Fatto le rilancia. A quel punto Migliore strepita e vomita: “miserabili”, “titolo indegno”, “articolo inqualificabile”, “falso scoop”, “macchina del fango quotidiano”, “calunnia”, “insulti”, “attacco calunnioso, infondato e ingiurioso”. Se si trattasse di un passante, si potrebbe liquidare la faccenda affidando il soggetto alle cure dei sanitari, o degli esorcisti.

Invece si tratta purtroppo del sottosegretario alla Giustizia, in grado di far danni. Tipo l’ulteriore svuotamento di quel che resta del 41-bis, già di fatto smantellato nell’ultimo ventennio di trattative Stato-mafia. Un messaggio micidiale ai mafiosi, che da sempre considerano il 41-bis – ideato da Falcone e attuato solo dopo il sacrificio suo e di Borsellino – un’“interruzione dei diritti fondamentali” e una norma troppo “afflittiva”(povere stelle), e ora scoprono entusiasti che il governo la pensa come loro. Con l’aggravante che il sottosegretario dal cognome francamente fuorviante non ha neppure il coraggio delle sue parole: nelle supercarceri promette di ammorbidire il 41-bis, poi quando qualcuno se ne accorge strilla alla macchina del fango.

Prendiamo il Tav Torino-Lione, l’opera più inutile e dannosa della storia. Per vent’anni sinistra e destra, con affaristi e mafiosetti retrostanti, han tentato di imporla al popolo della Val di Susa, militarizzando i cantieri, facendo pestare i manifestanti, fomentando violenze, ingolfando i tribunali di processi anche ai limiti del demenziale (la studentessa condannata per la tesi). Renzi, nel 2013, definiva in un libro il Tav “un investimento fuori scala e fuori tempo”, “iniziativa non dannosa, ma inutile”, “soldi impiegati male”. Poi s’è messo al vento dei soliti noti, buttando altri soldi pubblici in quell’opera demenziale. Ora il suo ministro Graziano Delrio annuncia bel bello che basta e avanza la linea esistente: ergo, invece di 84 km di tunnel, se ne scaveranno “solo” 25. Un patetico tentativo di tendere la mano alla neo- sindaca No Tav di Torino, Chiara Appendino. La quale, si spera, non si farà abbindolare. Chi ha voluto la boiata chieda scusa, si rimangi le balle sull’opera indispensabile per l’umanità, blocchi i cantieri (tutti: gli sconticini non bastano) e restituisca il maltolto.

Prendiamo infine quegli zuzzurelloni di Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, e del suo Ufficio Studi, che tentano di terrorizzare gli italiani evocando scenari apocalittici in caso di vittoria del No al referendum. Mancava giusto il terrorismo confindustriale per dare l’ultimo tocco pagliaccesco alla propaganda del Sì. Secondo questi fresconi, se non passa il Senato dei nominati e degli immuni con tutto il cucuzzaro, in tre anni la produzione crollerà del 4% e il Pil dell’1,7, il debito pubblico balzerà al 144% del Pil, avremo 258 mila occupati in meno e 430 mila poveri in più. Invece, se vince il Sì, paradiso terrestre. Chiù pilu per tutti. E meno male che i populisti sono gli altri. Ci sarebbero gli estremi di una denuncia per “pubblicazione di notizie false o tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico” (art. 656 Codice penale). Ma sarebbe fatica sprecata: gli italiani lo sanno benissimo che la Confindustria non ne ha mai azzeccata una. Quindi, sotto con le prossime previsioni: assalti ai forni, epidemie, pestilenze, deriva dei continenti, scioglimento dei ghiacciai, invasioni extraterrestri, fine del mondo. Tutte prospettive comunque più arrapanti di un’Italia ancora in mano a questi cialtroni.

Sulla Torino-Lione viaggia la sfida governo-Appendino

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Delrio provoca la neo sindaca sulla Tav. Lei per ora tace, ma i Cinque Stelle insistono: l’unica soluzione è lasciare il tavolo

Sulla Torino-Lione viaggia  la sfida governo-Appendino
di  | 3 luglio 2016

Sulla Torino-Lione viaggia la sfida governo-Appendino Delrio provoca la neo sindaca sulla Tav. Lei per ora tace, ma i Cinque Stelle insistono: l’unica soluzione è lasciare il tavolo di Andrea Giambartolomei Il governo pensa ad un progetto “low cost” dell’alta velocità Torino-Lione, ma i No Tav e il Movimento 5 Stelle non ci stanno. Per gli oppositori l’unica soluzione resta fermare la grande opera. È la reazione all’annuncio fatto venerdì a Firenze dal ministro dell’Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio. “Le opere di adduzione al tunnel erano più di 84 km di linea nuova, ora sono stati ridotti a poco più di 25 km, quindi useremo gran parte della linea esistente”. In sostanza anziché costruire ex novo la linea italiana, che deve partire dalla fine della sezione transfrontaliera (con il contestato tunnel), si ammodernerà quella già esistente da Bussoleno a Settimo Torinese. Un piano che prevede binari nuovi soltanto per una ventina di chilometri, riducendo i costi dai 4,3 miliardi di euro previsti nel progetto preliminare ad 1,7 miliardi: quasi 2,6 miliardi di euro di risparmi.

Effetto Appendino? Secondo i rappresentanti dell’esecutivo è da escludere. Lo ha detto il ministro Delrio a La Stampa e lo ha ribadito al Fatto Paolo Foietta, commissario governativo alla Torino-Lione, spiegando che la revisione del progetto, fatta dal ministero con Rfi, era in corso da più di un anno ed è stata approvata dall’Osservatorio Tav che lui presiede dal 20 giugno, proprio il giorno in cui la candidata del M5S ha battuto Piero Fassino. Quel lunedì la neo sindaca ha dichiarato che, anche come presidente della città metropolitana, si siederà al tavolo per portare avanti le ragioni dei No Tav, e lo abbandonerà se non troverà persone disposte a dialogare.

Non sarebbe il primo Comune a farlo. Nell’Osservatorio, nato nel 2006 dopo gli scontri del dicembre 2005 tra militanti e forze dell’ordine per bloccare lo scavo della galleria geognostica a Venaus, erano state coinvolte cinquanta amministrazioni comunali e la comunità montana della Val di Susa. Da allora già diciassette sindaci No Tav hanno abbandonato il confronto: “Rimanere è inutile – spiega Roberto Falcone, dal 2015 sindaco di Venaria, ultima amministrazione a uscire -. Lì non si discute del progetto, né delle compensazioni”.

Ora, con questa mossa, il governo e il Pd sembrano sfidare Chiara Appendino e il suo vice Guido Montanari. Per ora i due non commentano gli annunci di Palazzo Chigi, rimarranno in silenzio fino a quando non riusciranno ad approfondire la situazione (la prima giunta sarà martedì mattina). Però, secondo il senatore M5S Marco Scibona, la neo sindaca riuscirà a dimostrare che “l’Osservatorio è un paravento per dire all’Europa che ci sono concertazione e dialogo. Con l’uscita di Torino cesserà di esistere perché resteranno soltanto Comuni non coinvolti direttamente dall’opera”. Inutile parlare di compensazioni, tema usato dalle opposizioni e anche dalla presidente dell’Unione industriali di Torino e vicepresidente di Confindustria, Licia Mattioli, che ha ricordato come la Appendino “viene dal nostro mondo e che saprà rappresentare l’interesse delle imprese”, motivo per cui “non si possono bloccare opere approvate o in via di realizzazione”.

Per Scibona “non si può permettere che salute e ambiente vengano barattati, che alcune cose che dovrebbero essere garantite ai cittadini passino come regali”. Chi invece vuole discutere di compensazioni sono gli esponenti del Pd, come la deputata Silvia Fregolent, secondo la quale lasciando l’Osservatorio “Torino non potrà più beneficiare dei progetti e delle risorse per le opere di compensazione”, mentre per il senatore Stefano Esposito “se Torino lascia il tavolo nulla cambia per la Torino-Lione. L’opera si farà, ma facendo così mancherà la voce del territorio e certi interventi utili non verranno perorati”, come i lavori per il sistema ferroviario metropolitano.

Al di là del risparmio di 2,6 miliardi sulla tratta italiana, ci sono però altri spezzoni dell’opera per cui l’Italia dovrà pagare. Ad esempio per il tunnel di base da Saint Jean Maurienne a Susa/Bussoleno, lungo 52 km, è prevista una spesa di 8,6 miliardi di euro ripartita tra Italia e Francia con un rapporto di 58 a 42, per cui – se l’Ue coprirà il 40 per cento dei costi della galleria come promesso – Roma dovrà mettere tre miliardi. I lavori – sostiene Telt, promotore pubblico incaricato della realizzazione della sezione transfrontaliera – dovrebbero partire tra il 2017 e il 2018 per essere completati entro il 2029. I grillini contrari alla linea, però, tornano a chiedere una valutazione dell’analisi costi-benefici e dei traffici: proprio l’argomento sostenuto dalla Appendino in campagna elettorale.

Anche a Firenze dubbi su nuova stazione e tunnel

di  | 3 luglio 2016

Oltrealla Torino-Lione , possibili modifiche in vista anche per il progetto della nuova stazione Tav sotterranea di Firenze e del relativo tunnel di sottoattraversamento della città. Ora, sia il ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, sia il sindaco Dario Nardella aprono all’ipotesi di possibile revisione dell’opera. Ma i lavori del nuovo scalo sono già iniziati, mentre quelli del tunnel che dovrebbe attraversare la città di fatto sono fermi dopo le indagini della Procura di Firenze per frode e smaltimento illecito dei fanghi del cantiere. Costo stimato: 1,5 miliardi di euro. I dubbi riguardano soprattutto la galleria, pensata per attraversare la città senza più incrociare il traffico pendolari, contestata dai No Tav fiorentini per le possibili ricadute sulle falde acquifere e la stabilità degli edifici di alcune zone. Ma, senza tunnel, la nuova stazione diventa inutile: potrebbe essere sostituita come hub fiorentino della Tav da Campo di Marte, raggiungibile via superficie. Nardella dice “Vedremo”, Delrio parla di “possibile rivisitazione dei progetti”. Del resto, se ne parla appena dal 1995.

Delrio baro che gioca alle tre carte

(ANSA) – ROMA, 2 LUG – “Sulla TAV Delrio come il suo compare Renzi è il solito baro che gioca alle tre carte. Ecco perché. Il cosiddetto progetto del “Tav low cost” fu presentato all’interno dell’Osservatorio alcuni anni fa.Da una parte i proponenti di quest’opera inutile e costosissima, danno ragione al Movimento No Tav perché ammettono che la linea storica non è satura e che quest’ultima potrebbe essere utilizzata a pieno”. Lo denuncia Marco Scibona, senatore del Movimento 5 Stelle da sempre in prima fila nel combattere il TAV. “Dall’altra però non cambia la sostanza. La cosiddetta “Project Review” prevista dal codice degli appalti va fatta a 360 gradi e il Governo Renzi con questa scelta non è ancora entrato nel merito dell’analisi tra costi e benefici dell’opera e quindi dell’utilità stessa del TAV Torino-Lione” continua Scibona. “In pratica, si accorcia il percorso ma non cambia la sostanza, la parte “succosa” della galleria di base rimane con tutti i problemi collegati (falde acquifere che si prosciugano, inquinamento ambientale dovuto allo smarino – uranio, amianto etc, ), continuando a raccontar frottole ai cittadini, in quanto il TAV rimane sempre un’opera costosissima e inutile sotto ogni punto di vista” conclude.(ANSA). PDA 02-LUG-16 13:28 NNNN

Il nuovo superstato UE chiesto da Francia e Germania

Pubblicato 29 giugno 2016 – 15.35. – Da Claudio Messora
 
polonia
Un nuovo superstato europeo è stato proposto dai ministri degli esteri di Francia e Germania. L’annuncio è stato dato dalla tv polacca. Il documento che contiene la proposta sarà presentato lunedì, a Praga, al Visegrad Group, altrimenti detto Visegrad Four o V4, che è l’alleanza degli stati di centro Europa (Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia) nata allo scopo di procedere verso un’integrazione europea dal punto di vista militare, economico ed energetico. A presentarlo sarà il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier e sembra che si tratti di una specie di ultimatum, conseguente al Brexit.
 
Secondo la televisione di stato polacca, gli stati membri perderanno il controllo sui loro confini e sulle procedure di allocazione dei rifugiati, non avranno più alcuna sovranità sui loro eserciti, sul loro codice penale e sul loro sistema di tassazione. E perderanno la propria valuta.
 
Intanto, la Polonia va all’attacco del Governo europeo di non eletti, presieduto da Jean-Claude Juncker (la Commissione Europea), chiedendone le dimissioni immediate, che secondo Press Association Uk starebbero per arrivare. Queste le parole del ministro degli esteri polacco Witold Waszczykowski:
 
” Quello che stiamo chiedendo è se la leadership della Commissione Europea ha il diritto di continuare a funzionare, aggiustando l’Europa. Secondo noi, non ce l’ha. I nuovi politici, i nuovi commissari dovrebbero farsi carico di questo obiettivo, e prima di tutto dovremmo dare nuove prerogative al Consiglio UE, perché consiste di politici che hanno un mandato democratico “.
 
Una bella differenza rispetto alla posizione espressa ieri da David Borrelli (M5S), che in tweet (poi cancellato) scriveva “Il problema dell’Europa sono in governi nazionali!“, e che intervistato a Omnibus dichiarava:
 
“Il vero problema… Quando parliamo di ‘Europa’, non scarichiamo le colpe dove le colpe non ci sono. La realtà è che i 28 Paesi membri, oggi 27, non riescono a mettersi d’accordo a livello di capi di Stato. Quindi, se vogliamo sistemare l’Europa, l’unico sistema che abbiamo è che i VOSTRI leader politici comincino a mettersi d’accordo, e se non sono in grado vengano sostituiti“.
 
Il primo sottolinea il mandato democratico dei rappresentanti dei governi, che sono (o dovrebbero essere) espressione del popolo sovrano, e invoca per loro più poteri rispetto alla Commissione Europea (ripeto: il Governo Europeo), composta da membri non eletti, e chiede le dimissioni di Jean-Claude Juncker.
 
Il secondo, dopo avere difeso Juncker (“Juncker?“, “Non è lì il problema. Si tratta solamente di attaccare come scusa qualcuno che non c’entra“), identifica il problema proprio nell’eccesso di sovranità dei governi degli stati membri, che pretendono ognuno di tutelare la propria posizione, e suggerisce che se continuano a non adeguarsi a una posizione comune europea, allora devono essere sostituiti.
 
La posizione di Borrelli è perfettamente sovrapponibile a quella di Mario Monti, che parla e straparla continuamente di “eccesso di democrazia” (l’ultima volta in relazione al Brexit) e di “democrazia incompatibile con Europa” (“È possibile che le pecore prendano a guidare il pastore nella buona direzione, assumendo anche il controllo del cane da pastore?“). È per questo che Borrelli si è guadagnato la pubblica stima (studiata a tavolino) di Mario Monti (vedere video: “Monti: conosco David Borrelli e lo stimo“).
 
Ricordo che secondo il codice di comportamento degli eurodeputati M5S, firmato anche da David Borrelli, alla voce sanzioni è previsto l’istituto del “recall”, cioè la possibilità di mandare a casa un portavoce che sia considerato gravemente inadempiente. In particolare, si dice:
 
“Il deputato sarà ritenuto gravemente inadempiente laddove, secondo il principio della democrazia diretta, detto “recall”, già applicato negli Stati Uniti: i) almeno 500 iscritti al MoVimento 5 Stelle alla data del 31/12/2012 residenti nella circoscrizione nella quale il deputato è stato eletto abbiano motivatamente proposto di dichiararlo gravemente inadempiente; ii) la proposta sia stata approvata mediante votazione in rete a maggioranza dagli iscritti al MoVimento 5 Stelle al 30/6/2013 residenti nella circoscrizione nella quale il deputato è stato eletto”.
 
David Borrelli deve spiegare da che parte sta: se dalla parte dell’abolizione del Fiscal Compact e del Pareggio di Bilancio e dalla parte del referendum sull’Euro (cancellato inspiegabilmente in una notte dal blog di Grillo), che fanno tutti parte del programma M5S in UE, oppure dalla parte di chi vuole dare il colpo definitivo all’espropriazione della democrazia nel nostro Paese.
 
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Aldo Giannuli: “Credetemi, questa sinistra al chachemire è più spregevole della Lega e dell’Ukip”

la sinistra di Giannuli non esiste
 
giannuli
“Lo confesso, questa sinistra al chachemire, la sinistra delle terrazze romane , ebbene si, mi fa schifo non solo politicamente, ma più ancora moralmente ed umanamente”
 
Vi riproponiamo, condividendo ogni singola parola, un bellissimo pezzo di Aldo Giannuli che evidenzia tutte le contraddizioni della sinistra da solotto, della sinistra radical, della sinistra che di sinistra ha perso tutto l’elettorato, le idee, i valori, ma a cui si richiama per evidenziare una presunta superiorità morale. Ogni volta che sono le popolazioni che decidono, emerge tutto l’astio verso la democrazia di questi personaggi in cerca di notorietà.
 
di Aldo Giannuli
 
Fra gli effetti positivi ed imprevisti del referendum sulla Brexit c’è un certo effetto di “cartina di tornasole” che ci rivela quel che pensa effettivamente una certa sinistra, che in Italia possiamo identificare nel  Pd e nei suoi alleati.
 
Ha iniziato un alleato come Monti (quello che Renzi, in un momento di baruffa, si lasciò andare e definì “illuminato”, ecco… appunto) che ha rimproverato Cameron del delitto di lesa maestà per aver dato la parola al popolo con il referendum, un vero “abuso di democrazia” (parole testuali dell’illuminato uomo politico e statista).
 
Poi ci si è aggiunto anche Giorgio Napolitano, altro illuminato progressista, che ha sentenziato che su argomenti così complessi non si può interpellare il popolo che evidentemente non ha gli strumenti per capire. In effetti la stessa cosa si può dire della Costituzione, del nucleare, del codice penale o civile, della responsabilità dei magistrati, e, in fondo anche divorzio, aborto o, diciamola tutta, anche decidere fra Repubblica e Monarchia non sono temi semplici alla portata del popolo bue.  Magari questo lo pensò, nel giugno 1946, Umberto II di Savoia e, si sa, il sangue non è acqua.
 
Poi è giunto il verbo dell’eccelso storico e politologo Roberto Saviano che, dall’alto dei suoi studi, ha decretato che quelli che hanno votato Brexit sono tutti fascisti e nazisti! E Saviano è una delle teste più lucide dell’intellettualità di sinistra, anche se dovrebbe perdere ancora un po’ di capelli per giungere alla lucidità integrale.
 
Poi la Melandri ha ritwittato con simpatia la massima di un tale: “Ma perché anziché negare il voto nei primi 18 anni non lo togliamo negli ultimi 18 di vita?”. Giusto, solo che c’è un problema: fissare il termine a quo calcolare i 18 ultimi, visto che la gente si ostina a morire a casaccio nelle età più disparate. Certo, si potrebbe fissare per legge il “fine vita” (e l’evoluzione ideologica del Pd va in questa direzione “giovanilistica”), però non credo converrebbe tanto all’on Giovanna Melandri che, insomma, proprio una ragazzina non è più ma solo una ex bella donna. Potremmo proseguire con gli esempi.
 
Sta venendo fuori tutta l’anima ferocemente classista, elitaria, antipopolare di questa sinistra dei salotti.
 
Io appartengo ad un’altra sinistra, che sa perfettamente di dover affrontare le sfide del mondo della globalizzazione, ma che non dimentica il Psi che organizzava le scuole di alfabetizzazione per insegnare agli operai a legge e scrivere per conquistare quel diritto di voto che questi oggi vorrebbero togliere; che non dimentica il “cafone” Peppino Di Vittorio, che un titolo di studio non lo prese mai ma che insegnò ai braccianti a non togliersi il cappello davanti ai “signori” e che a questi intellettuali di “sinistra” avrebbe potuto insegnare molte cose; che non dimentica le scuole delle repubbliche partigiane come quella organizzata nell’Ossola da Gisella Floreanini; non dimentica intellettuali dome Umberto Terracini, Antonio Gramsci, Concetto Marchesi, Vittorio Foa, che erano veri grandi intellettuali (non come questi cialtroni della gauche caviar) che non nutrivano nessuna spocchia intellettuale e la vita l’hanno spesa per emancipare culturalmente, economicamente e politicamente le classi popolari.
 
La mia sinistra non ignora i problemi dell’oggi, ma non si piega all’idea che la migliore sinistra è … la destra elitaria e classista.
 
Lo confesso, questa sinistra al chachemire, la sinistra delle terrazze romane , ebbene si, mi fa schifo non solo politicamente, ma più ancora moralmente ed umanamente, perché la “sinistra” neoliberista ed elitaria non esiste: è solo una ignobile truffa. Il Pd? E’ più spregevole della Lega e dell’Ukip, credetemi.
 
Notizia del: 28/06/2016

Quanto puzza il tessile italiano in Bangladesh

Redazione Senza Tregua 

3 luglio 2016

L’attentato terroristico in Bangladesh, con la morte di nove italiani merita una condanna senza appello. Quella del terrorismo islamico finanziato e sostenuto per anni dai settori imperialisti per la destabilizzazione di interi paesi, che uccide persone innocenti, che vuole far piombare l’umanità in un medioevo senza precedenti. Un terrorismo che colpisce alla rinfusa, che non ha nulla a che fare con rivendicazioni progressiste e neanche lontanamente sostenibili o giustificabili, che è riflesso dell’imperialismo e non certo lotta per l’emancipazione, la liberazione dei popoli.

Ma che ci facevano tanti italiani imprenditori, o lavoratori del settore tessile in Bangladesh? L’orribile attentato di pochi giorni fa – orribile al pari di tutti gli altri attentati dell’Isis di questi mesi, in qualsiasi parte del mondo, e quale sia la nazionalità delle vittime – ha colpito diversi cittadini italiani, imprenditori o lavoratori del settore tessile. Non un caso isolato, ma una frequentazione sempre maggiore quella del sud est asiatico per le imprese tessili della penisola, che getta ormai un’ombra sul made in Italy, divenuto a tutti gli effetti marchio di sfruttamento planetario.

Nell’imbarazzo dei media e della stampa, che si sono tenuti ben lontani dall’approfondire questa questione, viene fuori ancora una volta quel legame tra le peggiori condizioni di lavoro, bassi salari, lavoro minorile, orari massacranti e un settore che è insieme all’agroalimentare il fiore all’occhiello della produzione nazionale, che vanta una forte tradizione imprenditoriale, di qualità e riconoscimento mondiale. Non è un mistero che da tempo la delocalizzazione al di fuori dei confini nazionali abbia comportato una crisi del settore e delle piccole aziende italiane delle filiere dei grandi marchi, che oggi preferiscono appaltare i propri lavori a veri e propri centri di sfruttamento, in cambio di maggiore profitto. Il Bangladesh è uno dei centri privilegiati di questo meccanismo.

«Nel periodo gennaio-febbraio 2016 – ha scritto un dispaccio dell’AdnKronos – ammontava a 274 mln il valore delle importazioni dal Bangladesh all’Italia. Oltre 271 mln di questi, quasi il 99%, è rappresentato da prodotti tessili, articoli di abbigliamento e articoli di pelle. Per altro, secondo gli ultimi dati disponibili dell’agenzia Ice, in crescita del 13% rispetto allo stesso bimestre del 2015. Non è un caso, infatti, che più della metà degli italiani morti nell’assalto terroristico di ieri sera a Dacca, in Bangladesh, lavorasse nel tessile. La Lombardia è una delle regioni dove pesa di più, in termini di ricchezza prodotta, l’interscambio commerciale con il Bangladesh, rappresentando circa il 15% del totale nazionale. Secondo gli ultimi dati disponibili della Camera di commercio di Milano, nella prima parte del 2015 gli scambi valevano 132 milioni di euro, di cui 80 di import e 52 di export, un valore in crescita del 94% rispetto a 5 anni fa, 64 milioni di euro in più. Le importazioni, che riguardano per il 97,3% prodotti tessili, hanno vissuto un boom lo scorso anno e sono salite del 30% con punte del +496% a Cremona e del +264% a Pavia.»

Qualcuno ricorderà la tragedia a Dacca nel 2013 dove oltre 1100 operai, tra cui donne e bambini morirono nel crollo di una fabbrica. Allora un’importante catena di abbigliamento italiana risultò coinvolta, in quanto appaltatrice di decine di migliaia di capi, inchiodata dalle foto del crollo e dalle etichette ben evidenti, nonostante un tentativo inizialedi negare ogni coinvolgimento.

Non vi è alcun legame e nessuna giustificazione rispetto all’attentato dell’Isis sia chiaro, ma non si parli di filantropia, o passione per i viaggi. Alcune stime economiche hanno verificato che sui capi di abbigliamento prodotti tramite subappalti nel sud est asiatico le grandi marche riescano a ricavare un profitto di oltre venti volte il costo pagato alla fabbrica che esegue il lavoro. Una polo ad esempio, venduta in Italia a 80 euro ne costa appena 4, 5. Di questi una parte misera finisce ai lavoratori, pagati meno di 2 euro al giorno, nonostante le grandi rivendicazioni delle organizzazioni sindacali e operaie di quei paesi, sempre più coscienti della condizione di sfruttamento.

Per capire cosa sta accadendo in Italia basta farsi un giro nei distretti tessili di un tempo oggi ridotti a un cumulo di macerie o rilevati da aziende che usano manodopera straniera costituendo una sorta di zone economiche speciali (Prato), tollerate dallo stato, in cui le condizioni di lavoro del sud est asiatico sono di fatto importate in Italia.

La particolarità del tessile si evince da un dato ch lo differenzia da altri settori industriali. Mentre le aziende italiane di meccanica, automobili, farmaceutica ecc, producono principalmente per il mercato locale , «in molti comparti del Made in Italy, invece – scrive l’Istat nel suo rapporto annuale nel 2014 – quote rilevanti della produzione realizzata all’estero sono riesportate in Italia, in particolare nei settori tessile e abbigliamento (58,2%)…» Tradotto si delocalizza all’estero una parte di semilavorati per poi apporre il marchio in Italia: il prodotto resta “made in Italy” ma la maggior parte del lavoro è svolta fuori dall’Italia, per consentire maggiori guadagni alle grandi imprese. Le piccole falliscono, o si convertono in una sorta di agenti intermedi che fanno anche loro questo tipo di lavoro, per conto di grandi gruppi, che così mascherano le loro responsabilità adducendo rapporti di terzi intermediari e la loro non diretta responsabilità.

Sappiamo cosa accade, sappiamo quanto gravi siano le responsabilità delle aziende italiane, dell’elitè della moda, e del made in Italy in tutto questo. Quando apriremo una riflessione collettiva? In Bangladesh oggi ci sono migliaia di operai sottopagati che lavorano in condizioni misere. Migliaia di Iqbal Masih, il bambino pakistano che denunciò la condizione di sfruttamento del lavoro minorile. E le imprese italiane lo sanno. E non sono lì a fare filantropia.

Appendino: la Tav? Il problema è il tunnel di base. La sindaca replica a Delrio: “Cuore di un’opera inutile”

http://torino.repubblica.it/cronaca/2016/07/03/news/appendino_la_tav_il_problema_e_il_tunnel_di_base-143348868/?ref=HREC1-6

03 luglio 2016

Appendino: la Tav? Il problema è il tunnel di base

Chiara Appendino, sindaca di Torino (ansa)

“Il problema non è la riduzione del percorso, ma il tunnel di base, il cuore di un’opera inutile e costosissima”. Chiara Appendino, sindaca di Torino, torna sull’argomento della Torino-Lione, due giorni dopo l’annuncio del ministro Del Rio che la parte italiana della ferrovia sarà per solo 25 chilometri su nuove linee. “Prendiamo atto delle dichiarazioni del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio– dice ancora Chiara Appendino – ma il cosiddetto progetto del Tav low cost non è una novità, perché è stato già presentato all’interno dell’Osservatorio alcuni anni fa, dove il M5S aveva sottolineato la necessità di utilizzare la linea storica che lo stesso ministro Delrio ha ammesso non essere satura”.
La neo sindaca di Torino aveva annunciato già in campagna elettorale e poi lo ha ribadito subito dopo l’elezione: parteciperà alla prima riunione dell’Osservatorio sulla Tav – l’istituzione voluta dal governo perché ci fosse dialogo con le amministrazioni locali – per poi decidere se uscire. Un’eventuale uscita di Torino dall’Osservatorio non avrebbe conseguenze pratiche sulla realizzazione dell’opera ma indubbiamente avrebbe un certo impatto d’immagine: uno dei due comuni chiave del collegamento ad alta velocità che snobba l’opera. Appendino comunque è decisa prima a discutere con il commissario di governo Foietta per capire se ci siano margini di intervento, soprattutto per fare spazio alle ragioni del no e poi deciderà il destino di Torino nell’Osservatorio. Ma più di una volta ha precisato che “un sindaco non può fermare l’opera”.
Il tunnel di base di cui parla la sindaca di Torino è la maxi-galleria, lunga 57 km, tra Italia e Francia che consentirà ai treni di viaggiare in pianura nel cuore delle montagne. E’ la parte più importante della tratta transfrontaliera tra le valli di Susa e della Maurienne il cui costo complessivo è stato dichiarato in 8,6 miliardi di euro, finanziato al 40% dalla Ue.
Sull’argomento interviene anche un altro esponente M5s, il deputato Ivan Della Valle: “Non ci interessa aver ragione, servono risposte politiche, attendiamo l’analisi dei costi/benefici del governo Renzi. Siamo pronti a sederci a discutere con chiunque se viene messa in discussione la parte italo-francese e il tunnel di base”.

Dopo la Brexit, ci sono altre cose che dovremmo abbandonare. Ron Paul

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Il voto del Regno Unito per lasciare l’UE può essere stato uno shock per molti, ma il sentimento che ha portato gli elettori britannici a respingere le regole imposte da Bruxelles non è nulla di unico. In realtà è un sentimento in crescita in tutto il mondo, scrive Ron Paul sul sito online del suo Istituo per la pace e la prosperità
 
La frustrazione per la solita politica, per partiti politici che in realtà non differiscono in filosofia, con un’economia che favorisce l’1% della popolaizone a spese del resto della società è un fenomeno in crescita in tutta Europa e negli Stati Uniti. I fenomeni Bernie Sanders e Donald Trump sono solo un esempio della frustrazione di una società alla ricerca di una via d’uscita. Quello che sta accadendo nel Regno Unito, in Europa e negli Stati Uniti, è niente di meno che un guasto dell’intero sistema. L’UE è stata pensata per essere una unione doganale attraqverdso la quale, dopo la seconda guerra mondiale, l’Europa occidentale avrebbe potuto ricostruire se stessa attraverso il libero scambio e una riduzione della burocrazia. L’Ue è, invece, diventata un governo bullo non eletto a Bruxelles,  scollegato dai voti dei semplici cittadini.
 
Qualunque cosa accada nel prossimo futuro – e non è certamente assicurato che il voto di “Brexit  porterà ad un’uscita del Regno Unito dall’Unione europea – una linea è stata attraversata e i sostenitori di maggiore libertà personale dovrebbero festeggiare. Le leggi decise da Londra sono preferibili per i britannici lalle regole imposte da Bruxelles. Proprio come i texani dovrebbe preferire le regole di Austin e non di Washington.
 
Questa non sarebbe una scelta perfetta, solo si avrebbe una probabilità in più di godere di una maggiore libertà. La Brexit è la prima vittoria per un movimento che chiede una maggiore libertà? Possiamo uscire da un sistema che crea denaro dal nulla a vantaggio della classe dirigente, mentre impoverisce la classe media? Possiamo uscire da una banca centrale che finanzia le guerre che ci rendono meno sicuri? Possiamo uscire dagli ordini esecutivi? Possiamo uscire dallo stato di sorveglianza? Il Patriot Act? Possiamo uscire dal programma di droni statunitense che uccide innocenti all’estero e ci rende sempre più odiati? Uscire dalla NATO sarebbe un buon primo passo. Questa reliquia della guerra fredda sopravvive solo per fomentare il conflitto e poi si vende come l’unica opzione per affrontare il conflitto che ha scatenato Non sarebbe meglio non andare in cerca di uno scontro? Abbiamo davvero bisogno di altre esercitazioni militare della NATO al confine con la Russia?
 
Non è stata una sorpresa vedere il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg usare la carta della paura alla vigilia del voto sulla Brexit, avvertendo i cittadini britannici che se avessero votato per lasciare l’Ue avrebbero potuto affrontare un aumento del terrorismo. Allo stesso modo, gli Stati Uniti avrebbero fatto bene a non vantarsi degli accordi di “libero commercio” accordi che prevedono vantaggio per le élite, mentre danneggiare il resto di noi. L’atto di uscita è liberatorio. Dovremmo fare una lista delle cose da cui vorremmo uscire.
 
Notizia del: 28/06/2016