In tv li avete visti poco (nemmeno due minuti di passaggio tv per il costituzionalista Alessandro Pace) e purtroppo sarà difficile vederli anche durante la campagna referendaria: il comitato del No al referendum non è riuscito a raggiungere le 500 mila firme. La notizia trapela dal “Coordinamento democrazia costituzionale” che domattina depositerà lo stesso le firme raccolte alla Corte di Cassazione.
Le firme sono sopra le 300 mila, ma comunque lontane dall’obiettivo di mezzo milione necessario per chiedere la consultazione popolare.
Sull’altro fronte, quello del Sì, non c’è nulla di ufficiale, ma fonti Pd fanno sapere invece che l’obbiettivo è stato raggiunto. “Lo diremo solo domani, quando saranno depositate in Cassazione”, dice il vicesegretario Lorenzo Guerini.
La macchina organizzativa del partito da tempo lavora a pieno regime e proprio nelle ultime settimane, dopo le elezioni amministrative, è arrivato l’input da Palazzo Chigi e dal Nazareno a darci dentro. “Ci mancano ancora 100 mila firme”, aveva rivelato Matteo Renzi nella direzione nazionale di dieci giorni fa. E le sue parole erano suonate come un invito a darsi una mossa. Unico dato certo di ieri, però, sono le 50 mila firme raccolte in Toscana annunciate dal vicesegretario regionale dem, Antonio Mazzeo.
Al comitato del No la delusione è palpabile, anche perché le firme raccolte sul referendum costituzionale sono meno di quelle contro l’Italicum, dove si era arrivati a 420 mila.
A contare, secondo i promotori, sono stati diversi fattori: innanzitutto, come dicevamo, le ragioni del No sono praticamente rimaste clandestine sulle reti del servizio pubblico televisivo; in secondo luogo, per mettere in moto la macchina organizzativa si è perso quasi un mese dei tre a disposizione; in terzo luogo, le elezioni amministrative hanno distratto gli elettori nelle grandi città al voto; infine, il fatto che la raccolta firme non fosse necessaria allo svolgimento del referendum ha un po’ frenato la mobilitazione. Il referendum costituzionale, infatti, è confermativo e si terrà lo stesso perché ne ha già fatto richiesta un quinto dei membri della Camera.
Raggiungere le 500 mila firme, però, era importante innanzitutto come un segnale politico di forte mobilitazione da parte dei cittadini.
Poi con le firme il comitato del No, ovvero il “Coordinamento democrazia costituzionale”, avrebbe percepito un rimborso elettorale di 500 mila euro (un euro a firma) con cui finanziare la campagna referendaria.
Inoltre avrebbe ottenuto lo status di soggetto politico, equiparato a quello dei partiti, e questo avrebbe garantito il diritto di tribuna televisiva durante il periodo della par condicio, come recita il regolamento dell’Agcom. Infine, senza firme non si ha diritto nemmeno agli spazi pubblici per i manifesti.
Così, invece, il principale comitato del No – promosso, tra gli altri, da Gustavo Zagrebelsky, Alessandro Pace, Sandra Bonsanti, Massimo Villone, Alfiero Grandi e Felice Besostri – avrà spazi limitati, uguali a quelli dei comitati più piccoli, come quello di Renato Brunetta o Gianfranco Fini. “ Noi comunque domattina alle 9 e mezza consegneremo le firme raccolte, poi partiremo con una sottoscrizione popolare, perché per fare la campagna per il No avremo bisogno di soldi”, racconta Alfiero Grandi. “Una certa delusione è innegabile, ma siamo soddisfatti perché il nostro trend è in crescita: siamo partiti con 160 comitati e siamo arrivati a 400. Un lavoro che non verrà sprecato, perché poi quello che conta è vincere il referendum e la macchina che abbiamo messo in piedi servirà a fare una grande campagna elettorale”, aggiunge Grandi. “Il rimborso elettorale ci avrebbe fatto molto comodo, così come la garanzia di adeguati spazi televisivi. Ma questo non ci scoraggia, perché la campagna referendaria è appena iniziata”, osserva Mauro Beschi, un altro dei promotori. Al comitato del No serpeggia però un certo malumore per il mancato aiuto da parte di organismi che avrebbero potuto fare la differenza, come la Cgil e Sinistra italiana. Ma ormai, almeno sulle firme, la questione è chiusa.
Sull’altro fronte, invece, si tira un sospiro di sollievo, anche perché, vista la potente macchina organizzativa della ditta, fallire l’obiettivo firme sarebbe stato clamoroso. “La campagna sarà comunque durissima, perché i sondaggi danno il Sì ancora avanti, ma il No in grande recupero. Quindi non dobbiamo pensare di avere la vittoria in tasca”, fanno sapere dal Nazareno. Ma il Pd potrà sfruttare anche il mese di agosto, grazie alle feste dell’Unità, dove saranno presenti i banchetti per la campagna per il Sì, ma non quelli per il No.
13 luglio 16 FQ :
l referendum, Cisl, Cgil & C.: solo il superfluo è necessario di Marco Palombi
La cosa cominciava a metterci ansia.
Certo, non tutto è risolto, ma sapere che la Cisl si schiera per il Sì al referendum costituzionale ci toglie finalmente ogni dubbio su quale sia il posto di ogni vero riformista.
È vero, la Fim Cisl – i metalmeccanici – aveva già dato il suo appoggio alla legge Boschi, più che altro per fare il contrario di quel che fa la Fiom Cgil, che ha il negozio sulla stessa via, ma ora che si muove Anna Maria Furlan siamo più sereni: “Temiamo che anche questa volta, come altre in passato, una riforma necessaria si perda per strada. Abbiamo bisogno di andare avanti e di assetti istituzionali e tempi legislativi certi. Guai ad avere instabilità”.
Stabilità über alles, non sia mai.
Per i curiosi, la Cgil invece non ha ancora preso una posizione (non può dire Sì, non vuol dire No per partecipare alla riforma delle pensioni); la Uil è orientata a dare “libertà di coscienza” agli iscritti.
Sia chiaro, le righe che precedono sono un puro esercizio di stile: organizzazioni che difendono il lavoro e vedono passare in qualche decennio la quota salari sul totale dei redditi dal 66 al 50% senza dire nulla non hanno peso alcuno. Di recente, peraltro, si sono anche fatte smontare sotto gli occhi lo Statuto dei lavoratori su dettatura di Confindustria senza apprezzabili reazioni (mica siamo in Francia) e pure pensionati e statali – la maggior parte dei loro iscritti – da un po’ di anni hanno preso solo mazzate. Almeno, però, si sa cosa pensano delle riforme. È un sollievo: come ci ha insegnato Oscar Wilde, niente è più necessario del superfluo.