PETARDI CONTRO L’ALTA VELOCITÀ. E ARRIVA LA WOODSTOCK NO TAV

Al festival del prossimo fine settimana anche Finardi e Frassica
ANSA

Gli scontri. Durante le due notti di scontri i No Tav hanno lanciato petardi e e fuochi d’artificio, le forze dell’ordine hanno risposto con i lacrimogeni.

18/07/2016
MAURIZIO TROPEANO
TORINO

Inutile fare dei distinguo perché una delle regole dei No Tav è che «si parte e si torna insieme». Così, nell’ennesima estate di lotta contro il supertreno, si tengono insieme le due notti di assalto al cantiere di Chiomonte e l’organizzazione della Woodstock del movimento in programma il prossimo fine settimana a Venaus in cui si esibiranno gratis il rapper Rocco Hunt e Nino Frassica, Eugenio Finardi e i Subsonica.  

Le prime sono state organizzate a pochi giorni dalla cerimonia, prevista per giovedì in Francia alla presenza del premier Valls, dell’avvio dei lavori della talpa che scaverà verso l’Italia in asse con il futuro tunnel di base. Secondo la ricostruzione dell’Ansa c’è stata una notte di tensione con petardi e fuochi d’artificio lanciati verso le recinzioni del cantiere a cui le forze dell’ordine hanno risposto con i lacrimogeni. L’accensione dei fuochi ha provocato focolai di incendio nei boschi, poi spenti dai volontari del’Aib. Chiusa, per mezz’ora, la Torino-Bardonecchia. 

Ma chi organizza il campeggio, in primis il centro sociale Askatasuna, lo usa soprattutto per consolidare una rete di alleanze con altri movimenti di protesta italiani e per elaborare una linea politica comune. Ieri, ad esempio, dopo un’assemblea di alcune ore è stato lanciato un appello per una mobilitazione nazionale per sostenere il «no sociale» al referendum costituzionale di ottobre. 

All’assemblea che si è svolta sotto un grande tendone c’erano alcune centinaia di persone, soprattutto giovani. La cucina ha tenuto l’acqua in caldo fino alle tre e mezza del pomeriggio quando è stata servita la pastasciutta. Campeggio libero, offerta per il cibo, la birra si paga.  

Intanto nel presidio permanente, ricostruito dopo gli scontri del 2005 c’è chi sta completando la «line up» degli spettacoli nati da un progetto con il regista Daniele Gaglianone e dell’attore Elio Germano. «L’idea – spiega Andrea Bonadonna, uno dei leader di Aska – è di far venire in Valsusa tutti i protagonisti del mondo dello spettacolo e della cultura che in questi anni singolarmente si sono espressi contro il Tav». 

Una Woodstock che prende spunto, in qualche modo, dai versi di una canzone di Antonio Pascuzzo: «A cosa serve un treno supersonico, ci porta in fretta via dalla felicità». Roberta che cura l’ufficio stampa del Festival, spiega: «L’iniziativa nasce sui temi portati avanti dai No Tav da sempre». Una lotta definita «tenace e continua che non è soltanto la difesa di un valle alpina ma un modo di vivere diverso a passo d’uomo, comunitario e collettivo, alla riscoperta del territorio». 

Zerocalcare ha disegnato e regalato il logo. Elisa ed Elio e le Storie Tese hanno dato il sostegno all’iniziativa che sarà ospitata nell’arena naturale ricavata all’interno dell’area dove nel 2005 secondo il vecchio progetto della Torino-Lione sarebbe dovuto sorgere il primo cantiere italiano del Tav. Ipotesi tramontata dopo le proteste di massa e gli scontri del dicembre. Adesso lì c’è uno spazio pubblico a disposizione del comune di Venaus che patrocina il festival.  

Venaus, dall’assemblea dei movimenti proposte per l’autunno

Lunedì 18 Luglio 2016 09:42ù

In tanti hanno partecipato alla due giorni di assemblea indetta dal Movimento Notav, all’interno del campaeggio di lotta a Venaus. Molti gli interventi di analisi sulla necessità di costruire una manifestazione nazionale a Roma in vista del referendum di autunno, in grado di rilanciare un protagonismo sociale all’interno di un No al governo Renzi che, partendo dalle lotte sui territori, sia in grado di aprire uno spazio dove far convergere il malcontento sociale contro Renzi e il PD.

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Una ricca due giorni di discussione si è appena conclusa in Val di Susa su appello del movimento No Tav. Da qui siamo partiti, perché qui c’è una lotta in grado di indicare una via praticabile da tutti nelle reciproche differenze.

Tanti territori in lotta, comitati, collettivi studenteschi e sindacati si sono incontrati, convergendo sull’analisi di come il referendum costituzionale sia un’opportunità per far accrescere il dissenso contro il governo Renzi.

Dalla discussione è quindi emersa chiara la volontà di non rinchiudersi nella sterile difesa di una costituzione ormai svuotata di ogni suo significato sostanziale, ma nel provare a “generalizzare” un’ostilità contro Renzi e il Partito della nazione, con le sue politiche di austerità, i suoi corollari clientelari-mafiosi e la sua supinità ai diktat della troika.

In questo senso un’importanza centrale è stata data al processo di contrapposizione che dobbiamo riuscire a costruire nell’autunno, per renderlo maggioritario non solo nelle urne, ma soprattuto nel protagonismo sociale di chi è ricattato dalla crisi e vede nella possibilità di vittoria del NO un’occasione di presa di parola.

Pensiamo a chi lotta per la casa, in difesa dei territori e contro le grandi opere, per i diritti primari, per il diritto di movimento oltre i confini imposti dall’Europa e dentro gli stati nazione e chi lotta, semplicemente, per un presente ed un futuro migliori.

Crediamo di doverci innestare su questo bisogno di opposizione che sta emergendo in maniera sempre più chiara, anche se spesso lontana dai nostri linguaggi e dai nostri attuali percorsi di lotta.

Prima del momento referendario chiediamo a tutti e tutte, insomma, di costruire un NO sociale al governo, da declinare secondo le specificità dei propri territori e ambiti d’intervento. A partire dai nostri territori dobbiamo essere capaci a rilanciare le tante lotte, le riappropriazioni e sostenere il protagonismo giovanile e la rabbia delle periferie.

Il proposito è quello di raccogliere quanto costruito in una grande manifestazione nazionale a Roma, da convocarsi la settimana precedente al referendum e capace di puntare non tanto su una ricomposizione politica delle organizzazioni, ma piuttosto di mettere a disposizione i nostri percorsi ai moltissimi che, isolati e impauriti, rispondono col cinismo e con la delega alla miseria che ci viene imposta.

Manifestazione come momento dalle forme aperte ancora da decidere all’interno di una progettualità comune e che deve poter essere attraversato anche da chi non può o non vuole votare. Sarà altresì soltanto un passaggio in cui aprire degli spazi per poter dopo il referendum mandare a casa Renzi, costi quel che costi.

Un passaggio a cui non dobbiamo avvicinarci con preoccupazioni immotivate, ma che dev’essere sostanziato da un percorso reale nelle nostre città.

È necessario, pertanto, incontrarci a Roma nell’ultimo weekend di settembre presso l’Università La Sapienza, per verificare i processi che da qui metteremo in moto e organizzarci tutti insieme.

17 giugno, Venaus, Val Susa

Torino, un No Tav guiderà la Sala Rossa

I Cinque Stelle scelgono un contestatore dell’alta velocità come numero uno del Consiglio comunale. E Appendino porta assessori e consiglieri griillini in ritiro per studiare come funziona il Comune

di GABRIELE GUCCIONE

15 luglio 2016

Torino, un No Tav guiderà la Sala Rossa

Chiara Appendino (agf)
Un presidente No Tav per la Sala Rossa. Sembra cosa fatta la designazione di Fabio Versaci, 30 anni compiuti ieri, disoccupato e convinto contestatore dell’alta velocità. L’ufficializzazione della candidatura è attesa per lunedì, poco prima del voto che in Consiglio Comunale. Versaci l’ha spuntata sull’altra esponente M5S che aspirava allo scranno più alto: Viviana Ferrero, alla fine messa alla guida della commissione Pari opportunità.
Ad affiancarlo, nel ruolo di vicepresidente vicario – designazione che per consuetudine spetta all’opposizione – sarà l’ex assessore e attuale consigliere comunale del Pd, Enzo Lavolta, anche lui scelto tra i propri compagni, mentre Mimmo Carretta farà da vice al capogruppo titolare Stefano Lo Russo. Inizia a comporsi, insomma, il mosaico dei posti chiave. La guida della numerosa pattuglia grillina sarà affidata ad Alberto Unia, l’uomo a cui in campagna elettorale Chiara Appendino ha affidato il compito di fare da raccordo tra lei e i candidati. Unia, che ha avuto la meglio su Antonino Iaria, al quale sarà dato il contentino della commissione Smart City, avrà come vice Chiara Giacosa. È completo anche il quadro delle presidenze delle commissioni: Antonio Pomari (bilancio), Damiano Carretto (urbanistica), Andrea Russi (commercio), Deborah Montalbano (Servizi sociali), Daniela Albano (cultura) e Federico Mensio (ambiente).
La spartizione si è tenuta in gran segreto, circostanza che ha provocato le lamentele degli attivisti M5S, che si sarebbero aspettati un maggiore coinvolgimento. Al punto che il capogruppo Unia, che ieri è stato a Milano da Casaleggio, all’ultima riunione degli attivisti è stato costretto a fare ammenda: «Chiedo scusa, ma siamo molto saturi al momento».
Saturi, e soprattutto schivi. A partire da oggi consiglieri e assessori andranno in ritiro tre giorni in una località segreta per un corso accelerato (un primo incontro c’è già stato con l’ex Vittorio Bertola) sul funzionamento del Comune. Qualcuno ipotizza che si tenga a Lanzo o a Forno di Coazze, qualcun altro a Torino stessa. Altri invece mettono in dubbio il fatto stesso che il ritiro alla fine si faccia. La sindaca sorride e, a domanda, risponde che «sì», il ritiro si fa, mentre il suo staff nega: «Non andiamo da nessuna parte».

Appendino: “Contraria alla Tav ma anche alla violenza, solidarietà alle forze dell’ordine”

http://torino.repubblica.it/cronaca/2016/07/18/news/le_mamme_in_piazza_per_la_liberta_di_dissenso_da_spataro_e_sindaca-144343238/

Le “Mamme in piazza per la libertà di dissenso” consegnano a Spataro e sindaca duemila firme per i 28 attivisti sottoposti a misure cautelaridi CARLOTTA ROCCI

18 luglio 2016

Appendino: "Contraria alla Tav ma anche alla violenza, solidarietà alle forze dell'ordine"
Chiara Appendino in versione No Tav a una manifestazione prima dell’elezione a sindaco di Torino 

“Nel condannare ogni forma di violenza, ribadendo il diritto di manifestare in modo pacifico e fermo restando la mia contrarietà al Tav, esprimo solidarietà a tutte le forze dell’ordine che ogni giorno in Italia operano in difesa della sicurezza e della legalità”. Così in una nota la sindaca di Torino, Chiara Appendino, nel giorno in cui a manifestare sotto la Sala Rossa, in occasione del primo consiglio comunale dell’era Cinque Stelle, c’è una manifestazione dei No Tav, gli stessi che si sono riuniti in piazza il giorno dell’elezione della sindaca contraria alla grande opera. In mattinata, ad accusare Appendino di “complicità con i violenti”, era stata Silvia Fregolent, vicepresidente dei deputati Pd: “Grazie alla copertura politica di Chiara Appendino, che ha addirittura voluto un No Tav come presidente del Consiglio comunale – ha detto l’esponente renziana – teppisti provenienti a Chiomonte da tutta Italia non hanno trovato meglio da fare che scontrarsi con carabinieri e polizia e creare danni ed incendi ai cantieri della Torino-Lione”.

Prima dell’appuntamento per la manifestazione a Palazzo civico, tappa al tribunale: più che una protesta, la consegna di una petizione al capo della procura di Torino, Armando Spataro, e alla sindaca con le prime 2000 firme raccolte sul sito change.org dal comitato “Mamme in Piazza per la Libertà di dissenso”,  a sostegno dei 28 attivisti che – si legge nel documento – “da molti mesi sono stati sottoposti a misure cautelari preventive molto dure”. Scrivono poi le mamme: “A questi ragazzi e a queste ragazze viene negato il diritto a studiare, il diritto a lavorare, il diritto a vivere una vita dignitosa insieme alle persone che amano, il diritto alla libertà personale: e tutto questo senza essere ancora stati sottoposti a giudizio. Puniti duramente, a dispetto della presunzione di innocenza, per intimorire loro e tutti quelli che potrebbero pensarla come loro. Puniti duramente per aver praticato il diritto a dissentire”. E ancora: “Come genitori, amici, cittadini ci chiediamo se non si sia creato,nella città di Torino, un corto circuito pericoloso volto, di fatto, a limitare libertà fondamentali dei cittadini”.

Tra i genitori firmatari c’è anche il nome di Heidi Giuliani, mamma di Carlo, morto a Genova nel 2001 e quello di Eddi, la studentessa di 25 anni irreperibile dal 21 giugno, quando la polizia ha cercato di notificarle la misura cautelare degli arresti domiciliari in seguito agli scontri al cantiere Tav di Chiomonte, il 28 giugno 2015.

PANAFRICOM/ DIPLOMATIE SECRETE VS PANAFRICANISME : LA HONTE A KIGALI !

27E SOMMET DE L’UNION AFRICAINE A KIGALI : LA HONTE ! LA DIPLOMATIE SECRÈTE CONTRE LE PANAFRICANISME A TRIOMPHÉ …

Luc MICHEL pour PANAFRICOM/

2016 07 18 (14h)/

http://www.panafricom-tv.com/

https://www.facebook.com/panafricom/

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L’élection à la présidence de la Commission de l’UA est reportée, après une séance de « vote » où la diplomatie secrète contre le Panafricanisme a triomphé. Celle des états-clients de l’Occident, notamment le Rwanda de Kagamé (qui accueillait le Sommet) et le régime sud-africain (tête de pont de l’impérialisme anglo-saxon en Afrique et qui, via Mme Zuma, contrôle la Commission actuelle). Celle de Washington, Paris et Bruxelles, véritable parrain (au sens mafieux du terme) de l’UA …

Résultat : l’élection est reportée en janvier 2017 et un nouvel appel à candidature ouvert. Exactement le plan des pro-occidentaux tel que leurs « nouveaux médias africains » (sic), style Jeune-Afrique ou Le Monde Afrique financé par Sorös, l’exposait cyniquement.

Exit l’espoir de renouveau de l’UA que portait le candidat équato-guinéen Agapito Mba Mokuy, le candidat du Panafricanisme et de la Jeunesse africaine !

LE MAUVAIS SIGNAL DE L’UNION AFRICAINE !

L’UA, démonétisée déjà parmi les masses et la jeunesse africaine, donne là un mauvais signal et tourne le dos à l’idéal panafricaniste de son inspirateur, le colonel Kadhafi !

Le 27e sommet des chefs d’État de l’Union africaine devait élire un nouveau président pour la Commission, le 18 juillet. L’élection a eu lieu ce lundi matin, à Kigali, lors d’un huis clos. Mais aucun des trois candidats à la succession de Nkosazana Dlamini-Zuma n’a obtenu les deux tiers des votes nécessaires lors des trois tours du scrutin. Résultat faut-il le dire des manœuvres de la diplomatie secrète pro-occidentale ! L’élection est donc reportée, a confirmé Martial De-Paul Ikounga, le commissaire en charge des ressources humaines lors d’une conférence de presse, et devrait avoir lieu au mois de janvier 2017, lors du prochain sommet de l’organisation. Un nouveau processus de sélection des candidats va être lancé, qui permettra à de nouvelles personnalités de se présenter. Les candidats en lice étaient l’Équato-Guinéen Agapito Mba Mokuy, la Botswanaise Pelonomi Venson-Moitoi (soutenue par l’Afrique du Sud) et l’Ougandaise Speciosa Wandira-Kazibwe.

Pendant ce temps, le mandat de l’actuelle Commission est prolongé.

Au mépris des règles institutionnelles de l’UA et du fait que légalement l’actuelle Commission est sans mandat depuis ce 16 juillet …

* Voir pour comprendre :

# PANAFRICOM-TV/ LUC MICHEL: SOMMET DE L’UA A KIGALI. LA BATAILLE DES ELECTIONS A LA COMMISSION DE L’UA

sur https://vimeo.com/174970578 

Vouloir faire une certaine Afrique sans les africains et contre eux est une grossière erreur. C’est la stratégie mise en œuvre ailleurs, par l’Union Européenne qui est précisément en train d’échouer pour et par cela même …

LUC MICHEL/ PANAFRICOM

http://www.panafricom-tv.com/

https://www.facebook.com/panafricom/

TURCHIA: FANNO TUTTO DA SOLI – E SONO CAPACI DI TUTTO (1)

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2016/07/turchia-fanno-tutto-da-soli-e-sono.html

MONDOCANE

DOMENICA 17 LUGLIO 2016

  

La mente è come un paracadute, non funziona se non si apre.” (Frank Zappa)
 
Siamo gli strumenti e i servi di uomini ricchi dietro le quinte. Siamo le marionette; loro tirano i fili e noi balliamo. I nostri talenti, le nostre capacità e le nostre vite sono tutti la proprietà di altri. Siamo prostitute intellettuali”. (John Swinton, direttore del “New York Tribune”, 1880).
 
Partiamo dall’ultima bufala False Flag, quella dell’autogolpe del tiranno turco, destinata a completare, con l’ennesima carneficina di propri sudditi, la serie di autoattentati con cui è riuscito a governare uno Stato di Polizia quasi perfetto. Gli mancava la liquidazione di qualche residuo di esercito, magistratura, informazione, politica (il gruppo Fethullah Gulen) e una dimostrazione ad alleati vagamente perplessi che senza di lui non si va da nessuna parte. E così ha allestito il suo incendio del Reichstag, quello che nel 1933 servì a Hitler per rimuovere comunisti, socialisti e cattolici antifascisti e, nel 2011, con l’11 settembre, alla cupola militar-finanziaria-industriale USraeliana a lanciare la guerra per la loro dittatura mondiale.
 
Lo sibila tra i denti anche lo stesso Gulen che, ovviamente, rintanato negli Usa sotto tutela e controllo di Washington, non c’entra niente. Anche perché quando mai lui, islamista integralista quanto Erdogan, avrebbe potuto/voluto lanciare contro il sultanato una forza militare che, a dispetto delle epurazioni islamizzanti subite negli anni, mantiene una robusta base secolare e nazionalista. Anche perché per una roba del genere i suoi sorveglianti americani non gli avrebbero mai allentato le briglia. Ci possono essere dissapori, tra il maniaco criminale di Ankara e quelli di Washington. Che so, sui curdi, sulla gestione del califfo, su pace o guerra con Mosca o Iran, ma mettere in discussione un pilastro Nato piantato in mezzo a Medioriente e Asia, ai confini della Russia che delenda est, una forza militare  che è la seconda dell’Occidente dopo gli Usa, un regime che tiene appesa al gancio del collasso da migrazioni l’’Unione Europea, ecchè, vogliamo metterlo in discussione?
 
E allora tutti, da Obama al “manifesto”, lungo l’intero arco atlantico da destra a sinistra, a inneggiare alla preservazione delle istituzioni, dei diritti civili e del governo democraticamente (sic!) eletto, con qualcuno dal sottofondo che flauteggia l’auspicio che Erdogan si ravveda e non ne combini più delle sue. Non se ne preoccupa più di tanto Tommaso De Francesco, del quotidiano cripto-Nato, ma con etichetta comunista, il quale non fa che inanellare scemenze e insipienze da quando attribuì a Milosevic despotismo e pulizie etniche e in questo caso, con una Turchia chiaramente spaccata a metà tra affascinati dalla Sharìa e resistenti umani, individua un “Erdogan ferito”, ma anche un “popolo turco”, tutto intero, sdraiatosi davanti ai carri armati come a Tien An Men, in difesa del suo presidente, “democraticamente eletto”. Già gli erano svaporati dalle malferme sinapsi i milioni che negli anni si sono ritrovati nelle piazze, da Dyiarbakir a Istanbul, per farsi sparare addosso dagli sgherri del democraticamente eletto. Divertente poi la linea a balzelloni del giornaletto restituito a malavita (lo ha annunciato l’altro giorno) e alla sua cooperativa più che da lettori fedeli, dai paginoni dei compagni di ENI, Enrel, Telecom, Enav, Coop. Come quando con il suo responsabile esteri sentenzia un Erdogan fragile e indebolito dall’emergere di un elemento di contrasto capace di tenerlo sulla corda per ben tre ore di golpe, nientemeno, mentre l’altro redattore si piega alla realtà di un presidente tornato in grande spolvero e ora in grado spazzare via ogni residuo di opposizione. Ma che riunioni di redazione fanno?
 
Tre golpisti
 
Torniamo al “golpe”, auto. Quello sul cui fallimento il “manifesto” e tanta stampa (un po’ meno lo scaltro “Il Fatto”) si azzarda a ricostruire la “centralità del parlamento e del ruolo fondamentale dei partiti politici nel gioco democratico” (sic!): esattamente, ed è naturale, i termini in cui hanno salutato il salvataggio della democrazia da parte del più turpe energumeno nazista dell’area gli zii della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato e del Pentagono e, scendendo molto in basso per li rami, pure Matteo Renzi e – qui ci scappelliamo – l’eurodama Mogherini.
 
Ebbene qualcuno si ricorda dei colpi di Stato effettuati dai militari turchi ogni qualvolta sospettavano che l’eredità nazionale e laica di Ataturk fosse posta a repentaglio da destra o sinistra? E qualcuno gli ha messo a confronto quiell’aborto di colpetto di Stato della notte tra il 15 e il 16 luglio 2016? Hanno occupato la tv di Stato, ma non le tv private, tutte infeudate a Erdogan, non la CNN turca (braccio mediatico Nato e Usa) dalla quale è difatti ripartito il controgolpe, cioè il colpo di Stato vero, con la trasmissione da smartphone dell’appello di Erdogan al pogrom antimilitare. Non hanno fatto nessuna delle cose che potevano assicurare il successo di una liberazione militare del popolo turco dalla Vergine di Norimberga  in cui progressivamente lo ha rinchiuso il suo Torquemada.
 
Non hanno spento i ripetitori delle telecomunicazioni, i cellulari, internet, non hanno ordinato il coprifuoco e proclamato la legge marziale, non hanno occupato i ministeri, appena qualche tank sui ponti sul Bosforo, di grande visibilità e dove sarebbero potuti arrivare in poco tempo e in tanti a “difendere la democrazia”. Non hanno occupato alcuna via di comunicazione strategica nel paese e tra il paese e i vicini, non hanno occupato le prefetture, presidiato i nodi ferroviari, bloccato gli aeroporti (solo per finta quello di Istanbul dove Erdogan è potuto subito arrivare dal suo luogo di vacanze, a Marmaris, che nessuno si è sognato di bombardare o occupare). Nel tempo delle immagini e dei leaderismi che ne scaturiscono non hanno saputo produrre un nome e una figura carismatica di riferimento, non hanno usato i social network. Dilettantismo di quattro sprovveduti, per quanto bene intenzionati, che non hanno neanche ricordato che i colpi di Stato si fanno a notte fonda, prima dell’alba, quando non si corre l’inconveniente di gente sveglia e per strada. E così le CNN e le tv associate al disegno del despota hanno potuto riprendere strade e piazze  con qualche centinaio di persone, emerse da discoteche e trattorie e poi moltiplicati dagli accorsi agli appelli di Erdogan liberamente trasmessi, simulando una rivolta di massa contro i carri.
 
 
 Soldati frustati dai difensori della democrazia
 
Poi è finito tutto. Salvo per i 300 morti, per ora, i 6000 arrestati, per ora, i 3000 magistrati dimessi e poi incarcerati, la campagna di linciaggi lanciata contro i soldati “traviati”, piazza pulita di tutti i critici e irriverenti, l’immaginabilissima ulteriore stretta sui diritti politici, civili, operai, la continuità del doppio forno antisiriano (alleanza con Isis, finto guerra all’Isis), lo sprofondare del paese in un abisso di regressione politica e culturale. Una Turchia degna dell’ingresso nell’UE,vero modello avanzato di quanto si ha in mente a Bruxelles, Washington e tra coloro che brandiscono Nato e TTIP, tanto per assicurarci sulla “centralità del parlamento turco e dei partiti come attori fondamentali del gioco democratico”, come titola il foglio cripto-Nato su un pezzo davvero turco di tale Mariano Giustino.
Cosa può essere successo? Che gli attentati finalizzati, come in Francia, come ovunque, ad accelerare la marcia verso lo Stato con gli stivali chiodati e a passo dell’oca non erano riusciti a far ingranare la quarta. Che nell’esercito, per quanto epurato, sopravvivevano fermenti laici, nazionalisti, in disaccordo con le catastrofiche imprese esterne e interne di un regime che andava isolandosi da tutti. Che si è lasciato che i portatori di questi fermenti, nei gradi medio-alti, congiurassero, che magari con agenti provocatori li si incoraggiasse, che addirittura gli si facesse balenare un appoggio euro-atlantico, che poi li si inducesse a commettere le ingenuità, gli errori clamorosi che si sono visti, nell’illusione, loro, che si sarebbero tirati dietro popolo e armate.
 
Tutti a sottolineare il silenzio delle cancellerie occidentali, Obama, Merkel, Juncker, May, Hollande e Renzi (per quel che conta), nelle tre ore del golpe, interpretato e biasimato come un barcamenarsi in attesa di sapere chi avrebbe vinto. Balle! Sapevano benissimo chi avrebbe vinto, ma , davanti all’immagine del golem turco insediatasi ormai nella percezione della gente pensante in tutta la sua orripilante identità di padrino del terrorismo jihadista, massacratore del suo e di altri popoli, corrotto ladrone e capo di un clan di malfattori senza scrupoli, conveniva mostrare qualche disponibilità a chi aveva proclamato nel suo comunicato il “ritorno alla democrazia e al rispetto dei dirtti umani e la pace e amicizia con tutti i popoli vicini”. Ovviamente anatema per la Nato e per un’Europa che si muove, per ora con mocassini e tacchi a spillo, nella stessa direzione.
 
Pensate se avesse vinto il colpo di Stato. Via i Fratelli Musulmani, quelli tanto cari al “manifesto”, ormai nettamene minoritari nella regione (Tunisia, Qatar e Turchia). Cioè via la forza sociale, militare e culturale ideata e nutrita dai colonialismi vecchi e nuovi a garanzia dei propri modelli di sviluppo e di sfruttamento, del proprio ordine mondiale. Al suo posto una realtà imprevedibile e incalcolabile, con rigurgiti nazionalisti e statalisti suscettibili di guardare oltre il soffocante perimetro delle alleanze e dipendenze occidentali, sicuramente laica e, dunque, ostica ai processi di decerebramento religioso che servono a neutralizzare nostalgie di autodeterminazione popolare e nazionale.
 
Quelle che hanno animato alla rivolta alcune decine di milioni di egiziani, dopo aver assaporato la medicina dei Fratelli Musulmani e dei loro surrogati terroristici, sotto un presidente eletto “democraticamente” dal 17% della popolazione in un voto boicottato dalla maggioranza, che aveva imposto la sharìa, sparato sui manifestanti, incarcerato gli oppositori, bruciato le chiese cristiane, trasferito tagliagole in Siria e i cui seguaci ora assassinano civili, funzionari e poliziotti in una guerra terroristica che tutti preferiscono nascondere sotto le presunte infamie di Abdelfatah Al Sisi.
 
Avessero vinto in Turchia i militari, ontologicamente fascisti secondo un’aporia di sinistra, a dispetto di dimostrazioni storiche contrarie, ci saremmo giocati “la centralità del parlamento turco e dei partiti nel loro ruolo di attori fondamentali del gioco democratico”, come temeva il “manifesto” e tutto il cucuzzaro destro-sinistro dell’atlantismo? Chi lo sa. Di sicuro c’è che, come Al Sisi è meglio di Morsi per gli egiziani, gli arabi, il Medioriente, il movimento delle cellule cerebrali dell’essere umano, difficilmente qualcuno di quelli che si sono agitati l’altra notte a Istanbul avrebbe potuto essere peggio di Erdogan, il padrino degli squartatori del popolo iracheno, libico e siriano. Certo che la Nato, John Negroponte, l’MI6, la Cia, Oxford Analytica e il “manifesto”, a questo qualcuno non avrebbero esitato un attimo a spedigli un Giulio Regeni, poveretto. 
 
Pubblicato da alle ore 22:52

No Tav, attivisti protestano con petardi: tensione al cantiere con piccoli roghi e autostrada chiusa

17 luglio 2016 | di 

300 attivisti no tav

Questa notte in Val di Susa, 300 attivisti No Tav hanno marciato verso il cantiere dell’alta velocità. Di fronte ai jersey che delimitano l’area dei lavori di Chiomonte, in un primo momento il corteo ha iniziato una battitura delle reti per poi iniziare ad attaccare a più riprese il cantiere con fuochi d’artificio e petardi, mentre la polizia ha risposto con un fitto lancio di lacrimogeni. Nel corso della protesta alcuni fuochi d’artificio caduti nel bosco hanno provocato piccoli roghi subito spenti. Un altro rogo di copertoni vicino alla galleria Giaglione ha, invece, costretto l’autostrada A32 a chiudere per circa mezz’oraper colpa del fumo denso che si è alzato dall’incendio. L’attacco è avvenuto nei primi giorni del campeggio No Tav di Venaus che fino al 31 luglio ospiterà attivisti da tutta Italia per una serie di iniziative di sensibilizzazione e di protesta nei confronti del treno ad alta velocità.

 

Senato, l’emendamento di Sel per far chiudere il blog di Beppe Grillo con multa di 5 mila euro al giorno

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Senato, l'emendamento di Sel per far chiudere il blog di Beppe Grillo con multa di 5 mila euro al giorno

Un emendamento per rendere illegale il sito di Beppe Grillo. Ci ha provato un manipolo di senatori di Sinistra ecologia e libertà con un emendamento al disegno di legge n.1213 sul finanziamento pubblico ai partiti. Il coraggioso gesto di libertà di espressione è stato firmato da Loredana De Petris, Giovanni Barozzino, Massimo Cervellini, Peppe De Cristofaro, Alessia Petraglia, Dario Stefàno e Luciano Ursa, ma non ha raggiunto fino in fondo lo scopo sperato, se non quello di scatenare la furia dei militanti pentastellati sul web.

“DA NON CREDERCI!!! 
Ecco un democraticissimo emendamento di SEL (bocciato in Senato), il cui succo era: 
“Si fa… http://fb.me/3dqvGqt3j 

I casi – L’iniziativa dei tutori della democrazia prevedeva una serie di restrizioni sull’uso di annunci commerciali e pubblicitari con un dettagliato elenco di situazioni. Non avrebbero potuto godere della pubblicità i siti internet, anche presentati sotto forma di blog di partiti e movimenti politici; i gruppi politici di qualunque assemblea elettiva; chiunque ricopra un incarico istituzionale anche non elettivo; chiunque ricopra l’incarico di Presidente, segretario o legale rappresentante di partito o movimento politico che abbia conseguito un eletto alla Camera dei Deputati, al Senato della Repubblica, al Parlamento europea o in un Consiglio regionale. Una drastica chiusura ai contributi dai privati per ogni partito presente in parlamento, quindi, soprattutto per quei soggetti con un profilo molto simile a quello del Movimento 5 stelle.

I costi – Dal 2012 il blog grillino ospita sulle proprie pagine alcuni banner pubblicitari di vari circuiti per sostenere le spese. Se l’emendamento di Sel fosse andato in porto, il blog avrebbe dovuto rinunciare a buona parte dei propri ricavi. Pena una multa da 5 mila euro per ogni giorni di permanenza degli annunci, dopo una settimana dall’ingiunzione della rimozione.