BILL CLINTON COINVOLTO ANCHE LUI NEL RAGNO DELLA PEDOFILIA D’ELITE

By locchiodihorus – 16 giugno 2014
 
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Una vera class action contro il pedofilo condannato miliardario Jeffrey Epstein, secondo quanto afferma l’ex schiava del sesso minorile Virginia Roberts  che inoltra accusa l’ex presidente Bill Clinton del fatto che fosse presente in molte feste di sesso che coinvolgevano anche fino a venti ragazze minorenni in un’isola sperduta di Epstein nei Caraibi. A testimoniare questi viaggi sono i record di volo che Clinton fece  in numerose occasioni nell’isola ,con il jet privato di Epstein. Clinton ha avuto uno stretto rapporto con un dipendente di Epstein , che catalogava migliaia di foto di ragazze nude, poste in posizioni oscene. Queste foto sono state usate appunto per inserirle in un catalogo che Epstein teneva per mostrare ai suoi ospiti , potenti politici e ai reali britannici, tra cui Bill Clinton.
 
… Clinton era amico di una donna anonima , che  afferma che “le immagini di bambine minorenni nude venivano tenute sul suo computer, queste servivano per aiutare a reclutare minorenni per Epstein …  foto di minorenni in pose sessualmente esplicite”.
 
Mentre Epstein è stato incriminato e incarcerato per  pedofilia, Bill Clinton stranamente è rimasto indenne, più probabilmente per  avere amici altolocati.
 
Se Bill Clinton è in realtà un pedofilo, saranno gli americani chiedono che ha messo via per un tempo molto lungo in modo che egli non può far male più figli? O sarà lui avere amici altolocati esentare dall’obbligo dello Stato di diritto?
 
Il tempo ci dirà.
 
Nel 2011 Andrew, quarto in linea di successione al trono, fu accusato per i rapporti col miliardario pedofilo americano Jeffrey Epstein . Contro il Principe Andrea, Duca di York, ex marito di Sarah Ferguson, figlio della Regina Elisabetta, quarto nella linea di successione al trono e rappresentante britannico per il commercio estero, non c’è nulla di penalmente rilevante. Solo una foto di dieci anni fa. Uno scatto che fuori contesto non dice molto, ma che inquadrato nello scenario giusto rischio’ di diventare esplosivo. Il Principe sorride, è in camicia, rilassato, a casa dell’amica Ghislaine Maxwell, e tiene un braccio attorno alla vita di una ragazzina di 17 anni. Anche lei sorride. Ha l’ombelico scoperto, un top rosa molto succinto e dei jeans colorati. Si chiama Virginia Roberts e in questa storia che rischio’ di travolgere l’immagine della Corona nell’anno del matrimonio tra William e Kate, per l’Fbi è uno dei testimoni chiave. «Adesso dico tutto, qualcuno deve rompere questa catena. Troppe ragazze ancora oggi passano quello che ho passato io». La polizia federale degli Stati Uniti, dopo una lunga intervista rilasciata dalla Roberts al Mail on Sunday, decise di riaprire un caso che si era chiuso tre anni prima con la condanna a diciotto mesi di reclusione del miliardario di Coney Island Jeffrey Epstein, accusato di avere avuti rapporti sessuali con una quattordicenne. Un finanziere potentissimo, Epstein, la cui visione del paradiso era una piscina circondata da ragazzine portate lì per fare giochi sbagliati. Massaggiatrici erotiche, spesso minorenni, che riempivano le sue giornate e quelle dei suoi intoccabili amici. La Roberts, che oggi ha 27 anni, tre figli e vive in Australia, era la sua preferita. Non si sa se anche gli ospiti delle ville in Florida e nei Caraibi godessero di attenzioni particolari. Anche il Principe Andrea è finiti coinvolto in questa vicenda  .  Chris Bryant, ex ministro degli esteri laburista, ora chiese con forza le sue dimissioni, sostenuto dall’alora ministro del Business Vince Cable. Downing Street convoco’ il Duca di York per chiarimenti, lasciando intuire che le eventuali dimissioni dall’incarico pubblico non sarebbero state respinte. Lui si difende: «Mai fatto nulla di male». Perché, allora, una reazione così violenta? La spiegazione è nell’intervista di Virginia Roberts, nell’agenda di Jeffrey Epstein piena di nomi di attori e di politici inglesi, americani e israeliani e nei nuovi interrogatori di quaranta ragazze che allora avevano tra i 13 e i 17 anni legate al miliardario. Due di loro, Nadia Marcinkova e Sarah Kellen, alla domanda diretta: «Avete mai avuto rapporti sessuali con il Principe Andrea?», hanno replicato come in un film di Brian De Palma. «I nostri avvocati ci hanno consigliato di non rispondere. Ci appelliamo al quinto emendamento». Epstein e il Duca di York si conoscono da quasi vent’anni. L’americano è un self made man che porta sul suo aereo privato il Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton , il suo vice Al Gore e organizza feste con Naomi Campbell e Woody Allen. Andrea lo vede in almeno tre occasioni in cui è presente anche Virginia. L’incontro che più imbarazzante di  Buckingham Palce, e sopratutto Downing Street, risale alla vigilia di Natale, vale a dire due anni dopo la condanna di Epstein. Perché l’amicizia continua? Il blogger americano Andrew Breitbart, mentre si domanda se qualcuno vuole tenere nascoste le relazioni pericolose di Bill Clinton, racconta che alla festa di dicembre parteciparono anche Woody Allen, Charlie Rose, il presentatore televisivo e consigliere politico George Stephanopolous e la giornalista della Cbs Katie Couric. «Se posso immaginare di cosa parlassero Epstein e Woody Allen, mi domandavo che cosa volessero Stephanopolous e la Couric dal Principe Andrea. Credo farsi invitare al matrimonio di William», scrive Breitbart, aggiunse un altro sgradevole dettaglio tratto dal Daily Beast, secondo cui Epstein sarebbe noto per girare il mondo con delle ragazzine. E soprattutto per avere portato a casa un paio di dodicenni dalla Francia. In Inghilterra nessuno si sogna di dire che il Principe – finito nell’occhio del ciclone anche per avere venduto a tre milioni di sterline una casa che ne valeva dodici a un miliardario libico e per avere invitato a Buckingham Palce esponenti del regime tunisino – è coinvolto in reati sessuali. Il problema è legato alla sua «capacità di giudizio». La domanda è banale: può quest’uomo rappresentare la Gran Bretagna? Non perché è andato con una minorenne. Virginia Roberts spiega che per raccontare tutto ha avuto bisogno di diventare adulta e che il potere di Epstein le fa ancora paura. Racconta di ragazzine che arrivavano nelle ville, si mettevano nude, prendevano i soldi e si rivestivano senza dire una parola. Controllavano alla svelta il trucco e i capelli nello specchio del bagno e se ne andavano al riparo della notte. Dice che per molti anni ha odiato una precisa immagine di sé. Aveva soddisfatto Epstein e poi, con la testa che le girava, si era appoggiata sul bordo della piscina, con le mani sul mento, svuotata per l’ indignazione e per la vergogna. Come se fosse colpa sua.
 
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La conquista di Mosul

Nel novembre 2009, quando la Resistenza irachena, dopo circa sei anni di lotta sembrava piegata e gli americani cantavano vittoria, così concludevo un mio articolo:
«C’è un detto in Pakistan: “Non puoi comprare un pashtun, però puoi affittarlo”. A questa massima sembrano essersi ispirati gli americani quando, dopo le sonore legnate subite nel triennio 2004-2006, decisero di agganciare su larga scala i clan sunniti col motivo di isolare e dare la caccia ai “qaidisti” e ai loro alleati in Iraq. Era l’ammissione di una sconfitta e di un radicale e diabolico cambio di tattica. (…)

Ma gli americani e i loro satrapi sappiano che se hanno preso in affitto la Resistenza, essi non l’hanno per questo comperata. Il futuro riserverà loro amarissime sorprese. Se è vero che l’Iraq ha fatto un salto nel buio accettando la tutela degli americani, questi ultimi sappiano che non sarà facile conservarla, poiché la storia non è affatto finita».

Fu facile profezia.

La conquista il 10 giugno scorso da parte dei guerriglieri sunniti della metropoli irachena di Mosul ha colto di sorpresa strateghi, analisti e pennivendoli occidentali.

Essi ora parlando del rischio che “riesploda in Iraq la guerra civile”.
In verità, pur in forme larvate, la guerra civile in Iraq — quella che sorse come sottoprodotto dell’occupazione americana del 2003 —, pur tra fasi alterne, non è mai cessata.

A chi aveva seguito attentamente le vicende interne irachene non era sfuggito che da almeno un paio d’anni i movimenti sunniti d’opposizione armata al corrotto e confessionale governo di al-Maliki erano cresciuti in modo esponenziale. Una lotta che soprattutto nell’ultimo anno aveva messo a segno colpi micidiali, che hanno contribuito a indebolire il regime di Baghdad.

Non era sfuggito, agli osservatori più attenti, che il 3 gennaio scorso il movimento guidato da Abu Bakr al-Baghdadi — Stato islamico dell’Iraq e del Levante — ad-Dawlat al-Islamiyya fi’l-‘Iraq wa’sh-Sham, di cui ISIL o ISIS, poiché “Sham sta per Levante o Grande Siria — aveva addirittura proclamato la fondazione di uno Stato indipendente nelle vaste zone liberate di al-Anbar e in parte delle province di Niniveh e Salahaddin, con propaggini addirittura in alcuni quartieri di Baghdad, di Mosul, di Tikrit. Quella proclamazione avveniva dopo una vasta offensiva che aveva portato proprio agli inizi di gennaio alla liberazione di città decisive come Falluja e Ramadi.

La fulminea conquista di Mosul dimostra che in questi primi mesi del 2014 la rivolta sunnita si è rafforzata, è anzi dilagata. La liberazione di Mosul non è stata tuttavia solo il risultato di un’occupazione militare dal di fuori. Essa si è innestata sulla sollevazione dal di dentro di Mosul, anzitutto della sua maggioranza sunnita.

Come informano alcuni media in lingua araba, ciò è stato possibile grazie alla saldatura (che fu già sperimentata in alcune fasi della resistenza contro l’occupazione americana) tra i miliziani dell’ISIL, alcune milizie tribali sunnite e i diversi gruppi baathisti che in questi ultimi anni, pur nella clandestinità e in condizioni di durissima repressione, avevano continuato a combattere, tenendo in vita la loro rete organizzata.

Non per caso al-Maliki nel suo discorso col quale ha chiamato alla mobilitazione generale dichiarando lo Stato d’emergenza, non ha solo invocato l’aiuto americano, ma ha esplicitamente parlato di “complotto dei seguaci di Saddam Hussein”. Nel frattempo milizie iraniane basiji sono già entrate in Iraq per salvare il regime di al-Maliki.

Le notizie delle ultime ore confermano che siamo in presenza di una sollevazione generalizzata della comunità sunnita e quindi della formazione di una vera e propria alleanza tra diverse componenti, di cui l’ISIL è solo una parte.

Viene quindi destituita di ogni fondamento la notizia secondo cui la maggior parte dei combattenti sunniti sarebbe composta da jihadisti in ritirata precedentemente impegnati nel teatro siriano, in particolare delle zone di Dayr az zawr, ar Raqqah, al-Hasakah e Aleppo.

Cosa unisca gli islamisti fondamentalisti di fede wahabbita e takfirita dell’ISIL alle organizzazione baathiste ed ai settori tribali che già nel 2005-2006 rifiutarono l’imposizione della sharia ed entrarono in aperto conflitto con il movimento di al-Zarkawi (dal cui seno l’ISIL è nato) ci viene fornito dal comunicato col quale agli inizi dello scorso gennaio comunicavano la conquista di Falluja: “Siamo qui per difendere Falluja dall’esercito dello sciita al-Maliki e dai safavidi iraniani”.

In questa frase c’è il fondamento che spiega l’unità tra jihadisti puritani di fede wahabbita-takfirita (che combattono gli shiiti in quanto apostati del vero Islam, considerati i nemici più infidi dell’islam) e le correnti baathiste, per le quali gli shiiti sono considerati servi dei safavidi (dei persiani), irriducibili nemici della nazione araba. Qui il vero collante del sodalizio tra islamismo di marca wahabbita e nazionalismo arabo in salsa baathista. Ciò che in Siria è diviso da linee settarie, in Iraq è reso possibile dalla medesima appartenenza alla comunità sunnita.

Le guerre civili in Iraq e in Siria — risultati, la prima di una lotta di liberazione dall’occupazione americana, e la seconda della rivolta sociale e democratica sull’onda delle “primavere arabe” — confermano che l’area è un sistema di vasi comunicanti, ove una scossa ad un lato si riverbera all’altro.

Commentando la sanguinosa guerra civile in Siria, affermavamo che probabilmente si era entrati in una sui generis “Guerra dei trent’anni”. Una guerra di lunga durata la cui posta in gioco è la risistemazione geopolitica dell’intero Medio oriente e la cui configurazione è sostanzialmente quella che risultò dalla spartizione imperialista tra inglesi e francesi (gli accordi segreti Sykes-Picot del maggio 1916).

Quella configurazione geo-politica, già in crisi, ricevette il colpo di grazia con l’invasione americana dell’Iraq. Perché? Perché si risolse de facto in un colossale fiasco, nel fare dell’Iraq una protesi dell’Iran.Tenendo conto che la Siria e il Libano (via Hezbollah) erano già alleati dell’Iran, era sorto un corridoio strategico che andava da Tehran a Beirut.

Questo corridoio, che sembrava stabile, sta invece crollando sotto i colpi della sollevazione delle comunità sunnite (e di cui il “jihadismo” è solo un sottoprodotto), una sollevazione che ha preso le forme di una “fitna”, di una resa di conti tra sunniti e shiiti. I due attori regionali che stan dietro e alimentano questa “fitna” sono noti: l’Iran da una parte e l’Arabia saudita dall’altra. E’evidente che, mentre l’Iran sostiene le forze sociali e politiche delle comunità shiite e alawite, i sauditi si vedono costretti a sostenere le formazioni “jihadiste”, quelle che han dimostrato sul campo di possedere una grande capacità di tenere testa ai loro numerosi nemici. Il terzo protagonista regionale di questa grande partita è la Turchia, spalleggiata dal piccolo emirato del Qatar e dalla potente Fratellanza musulmana. In questo contesto l’Egitto fa storia a sé. I generali di al-Sissi, nel colpire la Fratellanza musulmana e avocare a sé tutto il potere, hanno avuto sì la benedizione dei sauditi (e alla fine dell’imperialismo euro-atlantico), ma questo non vuol dire che sostengano le ambizioni saudite. Sintomatiche la dichiarazioni di al-Sissi sulla Siria, nelle quali ha deprecato la sollevazione armata contro il regime del clan di al-Assad.

Senza dimenticare che un altro attore sono i curdi, la cui infelice posizione geografica li obbliga a destreggiarsi tra le varie potenze regionali, e le cui ataviche divisioni interne obbliga ad una sostanziale irrilevanza.

Sullo sfondo ci sono ovviamente gli Stati Uniti di Obama, che paiono un pugile suonato e non sanno che pesci prendere. Vedremo se la Casa Bianca, voltando le spalle ai sauditi, accetterà l’invito di al-Maliki a fornire un aiuto diretto per schiacciare la sollevazione sunnita. Molto più chiara la politica putiniana, di aperto sostegno a Tehran e ai suoi alleati.

Siamo quindi alle prime battute di un lungo conflitto che ridisegnerà l’atlante medio-orientale.
In attesa di quella che sarà la mediorientale “pace di Westaflia”, e molto sangue purtroppo dovrà scorrere, il primo round sembra essere stato vinto dal “jihadismo al-zarkawita”,(*) dalla apparente nascita di un Califfato che occupa mezzo Iraq e parte della Siria.

Moreno Pasquinelli
Fonte: www.antimperialista.it
Link: http://www.antimperialista.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2866:la-conquista-di-mosul&catid=6:iraq-cat&Itemid=113
17.06.2014