Confesercenti: con l’aumento dell’Iva diminuisce il gettito fiscale

martedì 28 maggio 2013

 Con l’aumento di un punto dell’Ivaci saranno pesanti ripercussioni non solo nelle tasche delle famiglie ma anche nelle casse dello Stato. Le conseguenze si faranno sentire anche sulle entrate del Fisco.  Per il presidente di Confesercenti Toscana,Marco Venturi “sarà un danno per tutti: non solo frenerà ancora di più consumi e Pil, ma potrebbe avere conseguenze negative anche sullo stesso gettito fiscale, che invece di aumentare, come previsto, di 3 miliardi di euro, potrebbe diminuire di 300 milioni”.  “Le stime di incremento di gettito ufficiali – ha spiegato Venturi – sono costruite a parità di beni venduti. Ma tra le voci interessate dall’aliquota, ce ne sono alcune che anche a prezzi hanno registrato e stanno registrando forti cali di vendita, intorno al 10%. L’ulteriore aumento della tassazione su questi beni, causerebbe un ulteriore riduzione delle vendite e – di conseguenza – del gettito fiscale generato”. 

Un passo falso– Secondo il leader della Confesercenti toscana un nuovo aumento “sarebbe l’ennesimo passo falso: l’interesse generale dovrebbe spingere, come chiediamo con forza da tempo, a riportare l’aliquota Iva al 20%. I soldi si trovino altrove: tagliando le spese come si può e si deve: sono 15 anni che Confesercenti conduce una tenace battaglia per semplificare le rappresentanze istituzionali e ridurre gli enormi sprechi pubblici”. Si deve anche colpire “con decisione la corruzione denunciata da tempo immemorabile dalla Corte dei Conti e il fenomeno del sommerso che inquina, con la presenza della criminalità, l’economia e la convivenza civile. In questo modo daremmo maggior respiro ai conti pubblici e più forza al valore della legalità”.

 Basta accanimento su imprese e famiglie–  “I consumi delle famiglie italiane sono stati già tassati a sufficienza”, ha chiarito il presidente della confederazione. “Anche dall’inflazione: dal 2007 ad oggi, per effetto del rigonfiamento monetario dei redditi, il fisco ha incassato ingiustificatamente 10 miliardi di euro in più di imposte, provocando un’ulteriore riduzione dei consumi delle famiglie. E’ il fiscal drag, l’aumento di imposizione che avviene quando i contribuenti, per effetto della crescita nominale dei redditi avvenuta a causa dell’inflazione, si trovano a pagare maggiori imposte senza aver visto aumentare il reddito reale. Nel nostro Paese il fenomeno ha portato a un’imposizione ‘invisibile’ di 10 miliardi – ha detto Venturi – circa 530 euro a nucleo familiare, che aggrava la già insostenibile pressione fiscale. Contro questo accanimento su imprese e famiglie, occorre ora un vero disegno di riordino complessivo del sistema impositivo che porti a una riduzione sensibile delle tasse: si deve stare molto attenti a non far salire ancora la rabbia dei piccoli imprenditori, che è già da tempo ai livelli di guardia”.

 http://www.nocensura.com/2013/05/confesercenti-con-laumento-delliva.html

 

Ida Magli: bugiardi e traditori, ci lasciano in pasto all’Ue

sabato 25 maggio 2013

 È diventato difficile in Italia, dagli ultimi giorni del 2011 ad oggi, rendersi conto del passare del tempo, cercare di padroneggiarlo rievocando gli avvenimenti e tentare di fare il punto della situazione. In realtà si è trattato di un tempo-non-tempo, affondato per i cittadini in una specie di limbo, immobile ed oscuro, di cui non si sa nulla perché non è stato mai sperimentato in precedenza e dal quale quindi si aspetta che siano gli esperti, i politici a traghettarci, nella nostra veste di “ombre”, verso la luce. Ma i politici sanno bene che questa strada non esiste perché l’unica possibile comporterebbe rimettere in questione l’Unione Europea, cosa che nessuno vuole fare e neanche osa porre di fronte a sé. Ripetono, perciò, che si vede la luce in fondo al tunnel ma è il tunnel che non è per nulla un tunnel, ossia un corridoio da percorrere per raggiungere una meta: è invece la situazione, è la realtà.

Anche se è vero che la crisi economica è drammatica, lo stato di atonia nel quale si trovano i popoli non nasce dai debiti che è impossibile ripianare, così come non ne nascono gli atti estremi di chi uccide i propri figli prima di suicidarsi, o si getta da un ponte perché senza speranza di trovare lavoro: questi sono atti che ne rappresentano semmai un’assoluta, finale negazione. Ci si uccide perché appunto il tunnel non è un tunnel; perché la situazione è immobile e senza senso. La crisi è veramente crisi della politica, ossia dell’unico sistema abilitato ad agire nelle democrazie. Le rovine che hanno travolto nel crollo i popoli d’Europa, sono le rovine delle imprese condotte dai politici, delle loro idee prima ancora che della loro realizzazione. Non è possibile neanche rendersi conto di che cosa significhi affermare, come tutti affermano, che c’è la crisi della politica, la sfiducia nella politica, in un’Europa che aveva affidato tutto alla politica. Tutto, ossia “troppo”.

 

Infatti i politici hanno costruito l’unificazione europea, e in prospettiva l’unificazione del mondo, più come sogno, come immagine ideale, che come realtà, tanto da non averne chiamato quasi per nulla i popoli a prenderne atto e a ratificarla. Tutto è stato fatto senza i popoli, con l’inganno, la finzione, la menzogna, ed è soprattutto per questo che adesso, come si vede chiaramente in Grecia, in Spagna, in Italia, i politici si ritrovano soli davanti alle rovine, così come si ritrovano soli i popoli. Una solitudine tanto più spaventosa perché si tratta di riempire con una fiducia che non c’è, l’inganno dei tanti inni cantati nell’esaltazione della democrazia. Due solitudini, quindi, che se ne stanno una di fronte all’altra, che non possono unirsi, sommarsi, confortarsi, affrontare insieme la realtà.

La disperazione nasce dal non-senso. È il non-senso, la mancanza di logica in ciò che viene prospettato come via d’uscita dai governanti, dai politici, dai sindacalisti che induce alla morte. Di fronte ad una situazione come quella odierna in cui i popoli sono spinti dai loro leader ad agire contro se stessi, contro la logica cui è stata affidata fino ad oggi la sopravvivenza della specie, quella che provvede sempre prima al domani che all’oggi, le reazioni possibili sono quelle cui assistiamo: aderire passivamente, lasciandosi condurre come ciechi verso la catastrofe, oppure darsi la morte, dandola prima ai propri figli perché laddove non c’è futuro non ci sono neanche figli.

Nelle manifestazioni che si sono svolte il 18 maggio, in apparenza contro il governo, nessuno ha pronunciato la parola “Europa”, nessuno ha indicato nell’euro, in una moneta artificiale che appartiene, arricchendoli ogni giorno con i nostri debiti, a ricchi banchieri e a ricchissimi monarchi, la causa principale della crisi. Dov’era Rodotà, dov’era Cofferati, dov’era Landini quando è stato firmato il Trattato di Maastricht? E dov’erano Napolitano, Berlusconi, Enrico Letta, quando è stato tolto agli italiani il proprio Stato, togliendogli l’indipendenza, la libertà, la sovranità? Mentono tutti, dunque, volutamente e consapevolmente, quando si rallegrano del rinvio del pagamento di una tassa o prospettano la possibilità di una ripresa del mercato, così come mentono coloro che in piazza promettono ai disoccupati chissà quale rivoluzione, sapendo che stiamo ormai consumando noi stessi, simili a quegli animali che, chiusi in una gabbia troppo stretta, finiscono col divorare i propri arti.

Il silenzio sulle catene dell’Unione Europea, che hanno soffocato l’Italia fino a stritolarla, parla di ciò che appare ancora incredibile alla maggior parte degli italiani: dell’immensa capacità di menzogna e di tradimento di coloro che stanno al governo tanto quanto dell’immensa capacità di menzogna e di tradimento di coloro che arringano in piazza i disoccupati. Non possiamo fidarci di nessuno di quelli che possiedono anche una minima briciola di potere. Questa è l’unica sicurezza che abbiamo e dalla quale dobbiamo partire se vogliamo, come vogliamo e dobbiamo, ancora tentare di salvare l’Italia e di recuperare la libertà.

 (Ida Magli, “Il punto della situazione”, dal blog “Italiani Liberi” del 19 maggio 2013).

 Fonte: http://www.libreidee.org/2013/05/ida-magli-bugiardi-e-traditori-ci-lasciano-in-pasto-allue/ 

 http://www.nocensura.com/2013/05/ida-magli-bugiardi-e-traditori-ci.html

 

Fiat Serbia: operaio frustrato per paga e condizioni di lavoro danneggia auto prodotte

martedì 28 maggio 2013

 Un lavoratore dello stabilimento Fiat in Serbia, evidentemente snervato dalle condizioni lavorative e dal basso salario, ha provocato danni per 50.000€

 Secondo quanto riportato da Il Fatto Quotidiano i ritmi di lavoro, già molto intensi, sarebbero stati recentemente intensificati:

 L’episodio di protesta è avvenuto nello stabilimento del Lingotto di Kragujevac, dove sono stati intensificati i turni di lavoro. Il danno arrecato alle vetture ammonta a circa 50mila euro. Il lavoratore disperato ha usato un oggetto metallico per scrivere sulle vetture: “Italiani andatevene via”  (leggi tutto)

 Delle durissime condizioni di lavoro degli operai di Fiat in Serbia – che oltre ad avere un salario molto basso e dover fare turni massacranti in alcuni casi lavorano anche il Sabato, come straordinari non retribuiti, come riportato nell’articoli di seguito – ne avevamo già parlato:

 Turni massacranti e 320 euro al mese. Ecco la Fiat in Serbia  del 18 Settembre 2012

 Nel Novembre 2012 i lavoratori si erano mobilitati per chiedere condizioni di lavoro migliori, ma evidentemente non hanno ottenuto niente, e anzi i ritmi di lavoro sono peggiorati:

 Fiat, Serbia: turni di 10 ore per 300€ al mese: gli operai in rivolta  11 Novembre 2012

 Per arrivare a reagire in modo così scomposto, provocando 50.000€ di danni (cifra che vale, conti alla mano, circa 163 stipendi di Fiat Serbia) immaginiamo quale livello di stress abbia accumulato questo lavoratore…

 Staff nocensura.com

 http://www.nocensura.com/2013/05/fiat-serbia-operaio-frustrato-per-paga.html

INFORMAZIONE – Libertà di espressione o prostituzione intellettuale?

di Lorenzo Vitelli – 27/05/2013

Fonte: lintellettualedissidente

Ogni intellettuale, ogni giornalista che abbia anche un’influenza politica, e che quindi rientra in questo schema descritto, infine, deve essere – per il semplice fatto di non avere una propria indipendenza – una prostituta intellettuale, anche se spesso è una prostituta e basta

“Il lavoro del giornalista consiste nel distruggere la verità, nel mentire senza riserve, nel pervertire i fatti, nell’avvilire, nell’aggrapparsi ai piedi di Mammon e vendere il proprio paese e la propria razza per guadagnare il pane quotidiano o ciò che gli equivale, il salario. Voi lo sapete come io lo so, allora chi può parlare di stampa indipendente? Noi siamo i burattini ed i vassalli degli uomini ricchi che si nascondono dietro la scena. Loro muovono i fili e noi danziamo. Il nostro tempo, i nostri talenti, le nostre possibilità e le nostre vite sono proprietà di questi uomini. Noi siamo delle prostitute intellettuali”.

John Swinton (1829-1901), giornalista, a proposito della libertà di stampa durante il suo discorso d’addio al New York Times.

La libertà di espressione, come sappiamo tutti e come, spesso, crediamo fermamente, è uno dei valori fondanti della nostra democrazia. Democrazia e libertà sono due concetti che in questo momento storico, in questo controverso paradigma politico, devono avanzare di pari passo per il bene della comunità, devono radicarsi indissolubilmente nel cuore di ogni cittadino, da colui che esprime le sue opinioni a colui che non lo fa ma è certo che potrebbe farlo. Insomma non c’è niente di più ovvio, in un continente come il nostro, o, più propriamente, in quel continente spirituale e culturale che è l’Occidente democratico, di credere, anzi di essere certi che ognuno, in qualsiasi momento, detenga le piene facoltà ed i mezzi necessari per esprimere la propria opinione.

Ma qui, ad ogni buon cittadino, ovvero ad ogni persona portatrice in sé di una coscienza politica attiva, non può che sorgere qualche legittimo dubbio. Perché la libertà di espressione, tanto ostentata dalle democrazie liberali, tanto pubblicizzata, imposta, gridata, non da spazio alle voci del dissenso? Perché chi dissente dall’opinione comune, o, peggio, chi esce dagli schemi prestabiliti, dal simpatico gioco tesi-antitesi, governo-opposizione, destra-sinistra, chi pone tutt’altro contesto di discussione e di confronto, chi invece di aggredire cerca di capire e si questiona, forse non viene tacitato (anche se è capitato nei casi più estremi) ma viene in qualche modo oscurato? Perché i mass media, la grande informazione di massa, rappresentata dai giornali, dalle televisioni, dalle radio, predilige dei temi e dei punti di vista a detrimento di altri?

Un tempo era più facile, questo è certo. O sei con noi o sei contro di noi. Dissenti, ti facciamo fuori. Il sistema agiva così. Oggi le tecniche sono più sottili e più elaborate, sicuramente più meschine, non potendo permettersi con tanta non-chalance un’eliminazione fisica che susciterebbe un vero e proprio scandalo. A meno che i mezzi di comunicazione non si accaniscano tanto da fare in modo che l’opinione pubblica – come ai tempi delle decapitazioni nelle piazze popolari – si apposti comodamente davanti alla televisione a godersi lo spettacolo dell’assassinio di qualche personaggio scomodo, respirando un po’ di quella “sana” e legittimata violenza di cui si nutre ogni tanto il nostro istinto animale. Se guardiamo al passato ne vediamo tanti, da Saddam Hussein a Gheddafi, in futuro vedremo sicuramente Assad e Ahmadinejad.

Per chi non crede nell’esistenza di un Sistema, di un ordine prestabilito e vivo, sorretto dalla nostra politica, dalle istituzioni, dal mondo dell’informazione – con i mass media ed i suoi relativi “ministri della propaganda” ai vertici – deve ammettere che queste persone ne sono la conferma. Ernesto Che Guevara, Thomas Sankara, Patrice Lumumba, lo stesso JFK, Enrico Mattei, Louis Ferdinand Céline, Pier Paolo Pasolini. Quanto è durata la loro libertà di espressione? Perché ad essa è stato posto un limite equivalente alla morte? Oggi ancora Massimo Fini, Paolo Barnard, fino a qualche tempo fa Vittorio Arrigoni, oppure se guardiamo alla dissidenza francese organizzata, troviamo all’apice Alain Soral, Pierre Hillard, San Giorgio, Meyssan, Dieudonné. Quanto vale la loro libertà di espressione se non ha la stessa rilevanza e la stessa mobilità (perché spesso perseguitata dalle denuncie per diffamazione o persecuzioni fiscali) di quella dei mass media, libera di entrarein totonella nostra vita quotidiana?

E’ spiacevole, ma è così: la libertà di espressione si può calcolare, può avere un peso e una misura. O meglio, una soglia minima di libertà di espressione, finalmente, ce l’ha data Internet, e questo è certo. Ma non è possibile superarne una certo livello senza essere intralciati, e proprio qui, in questo punto nevralgico si condensa il problema: si è liberi di parlare sin quando la nostra opinione non si oppone a determinati interessi (spesso quelli dei poteri forti) o fin quando la nostra visibilità non attinge un elevato numero di persone. Come può un giornale di punta, ovvero una società per azioni che mira in primis all’aumento dei dividendi per gli azionari, una società collegata a gruppi economici ancora più grandi, criticare fino in fondo il sistema bancario e la speculazione, come può decidere di approfondire davvero questi temi, rischiando di andare contro chi la nutre?

E’ vero che gli oppositori del governo hanno uno spazio per esprimere il proprio dissenso (tv, giornali di opposizione, partiti, movimenti) e se questo venisse a mancare neanche l’ultimo degli illusi potrebbe chiamare la nostra una democrazia. Ma  daBallaròeServizio Pubblicosino aPorta a Porta, sono sempre stati rari i casi in cui a parlare è chiamato chi non sta dalla parte di nessuno, chi èhors du jeu. Chiunque critichi l’intero Sistema, è certo inevitabile che si ponga all’esterno stesso di quelli che sono i suoi organi principali, e non solo non troverà un vero canale di espressione, aperto al grande pubblico, ma verrà inevitabilmente marginalizzato dalla società.

Guardiamo a Paolo Barnard, ex-giornalista di La Stampa, Il Manifesto, Il Corriere della Sera, Il Mattino, Il Secolo di Genova, La Repubblica, ora ai margini del mondo politico e giornalistico dopo le sue nuove teorie economiche (MMT) ed i suoi libri sul conflitto israelo-palestinese e sul debito pubblico. Insomma la libertà di espressione esiste nella sfera privata, a casa o per strada, esiste su Internet se non ti ascolta nessuno. Wikileaks, appunto, al centro di uno scandalo enorme dagli echi devastanti, è sotto accusa per la rivelazione di attività illecite da parte del governo statunitense e adesso Assange, il fondatore, ha trovato asilo nell’ambasciata ecuadoriana di Londra. Un altro esempio lo può fornire Noam Chomsky, linguista ed attivista americano, non certo tacitato ma sicuramente preso in considerazione meno di quanto dovrebbe esserlo dai grandi mezzi di comunicazione per le sue critiche sulle politiche imperialiste del Governo Usa. Anche se ha una grande rilevanza nel mondo grazie alle sue battaglie sociali è stato definito e  stigmatizzato nel ghetto del “politicamente scorretto” – da parte del “politically correct” – come un nazista, un anti-israeliano (anche se di origini ebree), ed i suoi libri sono stati bruciati in una manifestazione a Toronto. Pensiamo anche allo stesso Pasolini, un intellettuale senza dubbio scomodo, assassinato in circostanze ambigue.

“Quando la società lo respinge, è un’altra prova della meschinità sociale; quando gli concede un posto onorevole, lo compra. Di fatto o un isolato, o un venduto” (Irving Howe sulle due strade dell’intellettuale).

Invece i nuovi blogger del sistema o gli attivisti che si battono per la libertà nei paesi che si oppongono ai poteri forti occidentali (ai governi, alle multinazionali e alle loro lobby etc…) vengono immediatamente elogiati dalla stampa e gli si dona per il loro “coraggio” tutto lo spazio necessario per renderli dei fenomeni del momento o dei casi-shok. Guardiamo ad esempio a Yoani Sanchez, la blogger cubana che parla della sua vita sotto il governo di Castro (vi lasciamo qui un’intervista che può chiarire molte cose), oppure alle Pussy Riot, o alle blogger iraniane. Stranamente tutti questi paesi hanno dei capi di governo (Castro, Putin, Ahjmadinejad) che si oppongono alle strategie occidentali, sia geopolitiche che economiche guidate dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea.

Per concludere, la libertà di informazione e di espressione esiste, esiste oltre la televisione, oltre i giornali, oltre le radio, oltre tutti quei mezzi di comunicazione di massa che sono ufficialmente in mano a società finanziarie con lo scopo primo del profitto e non dell’informazione, società in stretto rapporto con i partiti (pensiamo solo a Renzi e le sue ultime frequentazioni) ovvero i primi pilastri di questo Sistema basato su un’alternanza di punti di vista che, come abbiamo visto, sembrano essere più un’illusione che non una sincera dialettica.

Ogni intellettuale, ogni giornalista che abbia anche un’influenza politica, e che quindi rientra in questo schema descritto, infine, deve essere – per il semplice fatto di non avere una propria indipendenza – una prostituta intellettuale, anche se spesso è una prostituta e basta.

http://www.liberaopinione.net/wp/?p=7124

 

Tasse locali: nel 1990 si pagavano in 8 giorni di lavoro. Oggi serve un mese!

certamente sarà colpa degli evasori, mica della troika che vuole più soldi per il pareggio di bilancio

di MARIETTO CERNEAZ

Ieri, su queste pagine, abbiamo pubblicato un articolo in cui si dimostra che la tassazione arriva ad estorcere fino all’85% del frutto del lavoro di una piccola impresa. Ma le “medie in stile pollo di Trilussa”, di cui fanno uso gran parte delle associazioni varie, non mettono in evidenza certe storpiature, anche se confermano che il Fisco in Italia è intollerabile!

Sono 162 i giorni di lavoro “divorati dal fisco” in un anno in Italia. E’ la stima di uno studio di Confesercenti sulla situazione della pressione fiscale in cui si sottolinea “l’impressionante avanzata delle tasse locali, frutto del federalismo”: nel 1990 bastavano 8 giorni per pagarle e ora ne servono 26. Confesercenti ricorda che il “Tax Freedom Day” che nel 1990 scattava a maggio, ora e’ scivolato al 12 giugno. “Comparando il nostro peso fiscale con gli altri Paesi

Jaffa, rinvenute fosse comuni risalenti al periodo della Nakba

all’Onu interessa percaso approfondire ed aprire un’inchiesta?

Non sarebbe opportuno immagino, sarebbe un atto antisemita

 Al-Quds (Gerusalemme) – InfoPal. La Fondazione al-Aqsa per il patrimonio e i beni religiosi, attiva nella manutenzione dei luoghi sacri islamici in Palestina, ha rivelato che una fossa comune è stata rinvenuta nell’area del cimitero storico di al-Kazakhana, situato nel quartiere di al-Jabaliya, a Jaffa (centro dei territori del ’48).

 La fondazione ha aggiunto, in un comunicato stampa diramato lunedì 27 maggio, che la fossa contiene salme di palestinesi uccisi nel 1948, durante gli avvenimenti della città di Jaffa.

Al-Aqsa, riportando dal responsabile del progetto di restauro del cimitero di al-Kazakhana, Mohammed al-Ashkar, ha riferito di “fosse comuni contenenti scheletri di centinaia di martiri palestinesi, caduti nelle battaglie contro le bande sioniste nella città di Jaffa”. Ha sottolineato che la scoperta è stata fatta durante i lavori di restauro, avviati dal Movimento islamico della città, per il ripristino di alcune tombe crollate a causa di fattori naturali.

Al-Ashkar ha dichiarato: “Durante i lavori di restauro abbiamo scoperto diverse fosse comuni, risalenti al periodo della Nakba palestinese e all’epoca della rivoluzione contro l’occupazione britannica, nel 1936. Le tombe in questione contengono i resti dei martiri caduti allora; i teschi e gli scheletri dimostrano la loro appartenenza a diverse generazioni, bambini inclusi, e ciò combacia con i racconti fatti dagli anziani della città”.

http://www.infopal.it/jaffa-rinvenute-fosse-comuni-risalenti-al-periodo-della-nakba/

 

COMMISSIONE UE PROMUOVE IL BILANCIO ITALIANO: PERCHE’?

 la madre affettuosa come Letta definisce la Ue ci ricatta ancora:

 Fra due giorni Bruxelles archivierà la procedura di infrazione relativa al nostro paese: sono sei le raccomandazioni da rispettare per non tornare nella “lista nera”.

 Ne abbiamo dette e lette di cotte e di crude sull’economia italiana e sul suo bilancio in condizioni disastrose: allora perché fra due giorni esatti la Commissione Europea chiuderà la procedura di infrazione per deficit eccessivo che riguarda proprio il Belpaese?

 Il documento non è ancora ufficiale, ma le indiscrezioni fanno pensare in questa maniera. Anzitutto, bisogna capire di cosa si sta parlando e assegnare un significato ben preciso alle parole.

 Bruxelles esige dagli stati membri dell’Ue il massimo sforzo per evitare disavanzi eccessivi di bilancio, in modo da far funzionare al meglio l’Unione Monetaria. I due parametri da rispettare sono quelli del rapporto tra il disavanzo e il prodotto interno lordo non superiore al 3% e quello tra debito pubblico e Pil mai al di sopra del 60%. Quando si superano queste soglie scattano le procedure, come accaduto per l’Italia, a patto che si introducano delle misure per correggere la situazione.source

Ora si dà per certa l’archiviazione, ma dovremo rispettare sei raccomandazioni per non tornare nella “lista nera”. Anzitutto, Bruxelles pretende dall’Italia il rafforzamento del bilancio statale, ma anche un funzionamento più efficiente della pubblica amministrazione, così da rendere competitivo il sistema produttivo. Inoltre, è necessario perfezionare il sistema bancario.

 Dal punto di vista del lavoro, poi, è stata richiesta l’applicazione della riforma Fornero, con maggiore spazio alla flessibilità.

 Le ultime due raccomandazioni riguardano il rilancio della formazione dei lavoratori e la riduzione delle tasse su lavoro e imprese, in mood da favorire la concorrenza. Insomma, siamo un paese promosso, ma con molti dubbi e perplessità da sciogliere: questa estate bisognerà “studiare” molto, in particolare il governo Letta deve capire che la priorità è quella occupazionale, ancora prima dell’Imu, con un pacchetto di misure e interventi previsto per il prossimo mese di luglio.

 Consiglio questa lettura scritta da Agata Marino QUI

http://finanzanostop.finanza.com/2013/05/27/commissione-ue-promuove-il-bilancio-italiano-perche/

Ecco come lo stato chiede il pizzo a norma di legge

di LEONARDO FACCO

 Che lo Stato sia ladro han cominciato a capirlo in molti. Che sia anche un estorsore para-mafioso, invece, risulta ancora ostico da metabolizzare per molte persone. Chissà che la dettagliata, e documentata, storiella che vi racconterò non apra gli occhi anche a chi insiste nel sostenere che “lo Stato siamo noi”.

 Siamo alle porte di Milano, dove un amico – un professionista che si occupa di restauro di immobili – un brutto giorno riceve un’infausta raccomandata in busta verde. Il mittente è l’Agenzia delle Entrate, una garanzia per far ribollire il sangue a chiunque. Il destinatario è uno dei tanti contribuenti da spennare, ma soprattutto da infamare agli occhi dell’opinione pubblica come “evasore fiscale”.

 Tutto inizia con l’accertamento, ad opera dei funzionari del Fisco, delle dichiarazioni dei redditi “incongruenti” degli anni 2011 e 2012. In quel biennio, il mio amico ha acquistato un immobile d’un certo valore da rimettere a nuovo e poi rivendere. Per farlo, ha dapprima alienato un altro immobile di cui era proprietario e, successivamente, ha aumentato il suo “fido bancario” presso l’istituto di credito con cui lavora da sempre. Per la dottoressa “Vattalapesca”, dipendente di Befera, le cose starebbero diversamente e – a rigor di redditometro – l’ingegner, dottor “Spennato” non sarebbe per nulla congruo con le tabelle statali. Nel dettaglio: “Spennato” avrebbe “non dichiarato redditi per un valore di 250.000 euro” per ciascun anno preso in esame. Ergo, le imposte evase ammonterebbero a 102.000 euro il primo anno e 101.000 euro l’anno successivo.

 A questo punto, inizia il calvario. L’ingegnere contesta la cartella e la relativa multa da oltre duecentomila euro. Si reca (più di una volta), con dottore commercialista di fiducia appresso, negli uffici di madame “Vattalapesca” e mostra – con la sfilza di documenti alla mano e gli estratti conto del caso – che le cose non stanno come sostiene l’Agenzia delle Entrate. Tempo sprecato. Per “Vattalapesca” i numeri continuano a non quadrare. Il signor “Spennato” – su suggerimento del suo consulente (una spesa extra per la cronaca) – insiste nel trattare ragionevolmente con “Vattalapesca”, la quale, però, ribadisce: “Mi spiace, lei non è congruo, se non le va bene quel che diciamo può iniziare ufficialmente la contestazione per via giudiziaria, ma prima versa un terzo – come prevede la legge – di quanto le abbiamo elevato come sanzione”. In soldoni, per dimostrare le sue ragioni, “Spennato” avrebbe dovuto m ettere sul tavolo 60.000 euro circa per iniziare la trafila presso il giudice tributario. Qualora non avesse ottenuto giustizia in primo grado, avrebbe sempre potuto appellarsi e, versando un altro terzo della sanzione elevatagli, vedersi finalmente riconosciuta la ragione, come accade – stando alle cronache – nel quasi 70% dei casi simili al suo.

 Però, come spiegotogli dalla dottoressa “Vattalapesca”, onde evitare lungaggini del caso ed esborso di ulteriori denari. l’ingegnere avrebbe potuto conciliare, semplicemente pagando 7.500 euro. Traduzione: chiarito che non sono state evase le imposte – l’attività di “Spennato” è risultata a debito, come da fidi bancari ed estratti conto vari – per l’Agenzia delle Entrate il reddito del professionista continuava ad essere incongruente col “mitico” redditometro. “Spennato” s’è trovato, obtorto collo, di fronte ad un bivio: o conciliare l’incongruenza pagando 7.500 euro (tecnicamente si chiama “accertamento con adesione”), oppure vedersi aprire il contenzioso di cui sopra, con odissea connessa (che, tra l’altro, contempla anche che il reato amministrativo di “evasione fiscale” apra anche le porte ad un processo penale ed eventuale galera).

 Finale della storia? “Spennato” ha optato per sborsare 7.500 euro e i due avvisi di accertamento sono stati parzialmente annullati, chiudendo così la pratica.

 La morale della favola sta tutta in queste parole di Sheldon Richman:“In sintesi, il potere di imposizione produce necessariamente due classi: coloro che creano ricchezza e coloro che la estorcono con la predazione”. Lo Stato sono loro, anzi cosa loro…

 http://www.lindipendenza.com/ecco-come-lo-stato-vi-chiede-il-pizzo-a-norma-di-legge/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=ecco-come-lo-stato-vi-chiede-il-pizzo-a-norma-di-legge