Riforme, M5s: “Pronti a dimetterci per andare al voto”. Renzi: “Avanti anche senza Fi”

tutti a sinistra, la società civile, contestano Renzi come fosse piovuto dal cielo, non c’è nessuno a sinistra che non lo detesti.

MA IN PIAZZA NON C’è NESSUNO, E TUTTE LE MADAME IN DIFESA DELLA COSTITUZIONE? LE AGENDE ROSSE, QUELLI DI SE NON ORA QUANDO?

 FORSECHE SE E’ IL MR B A VOLERLA MODIFICARE APRITI CIELO MA SE E’ IL RENZI  O PD CHE SIA, IN FONDO VA BENE???

 LA SOLITA COERENZA DELLA SINISTRA

Dopo una lunga maratona notturna, approvati i 40 articoli che riscrivono la Costituzione. Il premier su Twitter: “Un abbraccio a gufi e sorci verdi”. A marzo il via libera finale a ddl Boschi. Grillini sul piede di guerra, Alfano: “Riaprire dialogo con Forza Italia”

14 febbraio 2015

(ansa)ROMA – “Noi parlamentari M5s siamo pronti alle dimissioni per far cadere il parlamento e andare alla urne”. Lo dice l’esponente del direttorio Movimento 5 Stelle,  Alessandro Di Battista, in piazza Cola di Rienzo a Roma davanti al gazebo della raccolta firme #fuoridall’euro. “Ma siamo certi che le altre opposizioni non lo faranno, sono attaccati alle poltrone”.

La dichiarazione arriva all’indomani della maratona notturna alla Camera sul ddl riforme. L’esame degli emendamenti e l’approvazione quindi dei 40 articoli che riscrivono la Costituzione avviene però in un’aula semivuota: le opposizioni infatti, come annunciato, non sono rimaste sedute ai loro banchi, con l’eccezione di una manciata di deputati del M5s e di Fi a presidio – secondo quanto spiegano loro stessi – del regolare andamento dei lavori. “Credo che a rammaricarsi debbano essere il centrodestra, le opposizioni – commenta il premier Matteo Renzi parlando in Transatlantico – noi bene così, andiamo avanti”. E poi su Twitter: “Grazie alla tenacia dei deputati terminati i voti sulla seconda lettura della riforma costituzionale. Un abbraccio a #gufi e #sorciverdi”. Un chiaro riferimento alle parole pronunciate qualche ora prima dal capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta durante una conferenza stampa congiunta delle opposizioni. Ma in serata arriva l’affondo più duro contro i forzisti: “Berlusconi ha cambiato le idee tante volte e anche stavolta. Mi dispiace essenzialmente per lui. Ha cambiato il passato dell’Italia non gli permetteremo di cambiare il futuro. Se vuole sa dove siamo, altrimenti faremo le riforme da soli”.

In mattinata peraltro il premier aveva annunciato nuove misure in materia economica: Cprovvedimenti su partite Iva, co.co.co e maternità che saranno approvati nel Consiglio dei ministri di venerdì.

Mentre il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi ha ribadito:

Nella maggioranza, però, a guastare la soddisfazione del governo è la minoranza Pd che ieri aveva insistito affinché i dem trovassero un accordo coi pentastellati sull’articolo 15 (il referendum). E se Pippo Civati e Stefano Fassina hanno deciso di non partecipare al voto in disaccordo palese col resto del partito, oggi è stato Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera ed esponente della minoranza Pd, a far sapere che se a marzo, al momento del voto finale sulle riforme, si dovesse ripetere l’assenza di tutte le opposizioni, la minoranza dem non prenderebbe parte allo scrutinio: “Aver votato in una notte oltre 350 emendamenti a una riforma costituzionale – sottolinea – non so se rappresenta un record. Ma se lo è, è un record negativo”. Alfredo D’Attorre, però, ci tiene a precisare:  “Quella di Boccia è una posizione personale. Come minoranza del Pd noi dobbiamo lavorare per riportare le opposizioni in Aula e non per uscire anche noi”.

Dal suo blog, Beppe Grillo ha invece tuonato: “Siamo al limite del golpe bianco. C’è una sola via d’uscita: le opposizioni si dimettano, Mattarella sciolga il Parlamento e si vada subito a nuove elezioni”. Mentre Nichi Vendola, a margine del corteo a Roma in sostegno di Tsipras, ha commentato: “Questa sequenza di 40 voti con gli applausi tra di loro è stata greve e goliardica. Hanno compiuto una cosa così istituzionale con lo stile del bullismo istituzionale di Renzi”.

Le assenze hanno rappresentato “una ferita istituzionale”, ha ammesso però il deputato Pd Ettore Rosato chiudendo i lavori dell’assemblea che sono stati accolti da un applauso. Anche se, ha aggiunto, “il percorso è ancora lungo e riusciremo a fare in modo che tutti sentano propria” questa riforma. A sottolineare poi l’importanza del passaggio conclusosi nella notte la presenza del premier che ha fatto il suo ingresso nell’emiciclo poco prima della chiusura dei lavori.

VIDEOSCHEDA Come sarà il nuovo Senato

Duri i commenti da parte del M5S: “2.53 I ‘pdittatori’ si sono fatti la Costituzione da soli. A questo punto paga le tasse solo chi vota Pd. Qui aula, passo e chiudo. Notte”, ha scritto su twitter Carlo Sibilia, deputato e membro del direttorio 5 stelle. Lo stesso Sibilia ha rincarato la dose su Facebook: “Alla fine una delle pagine più buie per la democrazia italiana è stata scritta. Le dittature non vengono subito in camicia nera o con i carri armati. Le dittature arrivano e non ti avvisano. Le dittature arrivano di notte”.

Ironico il tweet di Brunetta: “Matteo Renzi buuuuuuu…Ride bene chi ride ultimo, in Etruria e dintorni”.

Il secondo atto della partita sulle riforme non si è però ancora consumato: per il via libera finale al provvedimento occorrerà aspettare i primi giorni di marzo. Intanto la maggioranza ha superato la prova delle centinaia di proposte di modifica su cui in questi giorni si sono scontrati i partiti. E ovviamente, a causa della scelta delle opposizioni, al contrario delle scorse sedute notturne, questa volta i lavori sono andati avanti spediti e senza incidenti. A segnalare simbolicamente la disponibilità al confronto il Pd ha scelto di lasciare in coda l’esame dell’articolo 15 sul referendum, oggetto di un aspro braccio di ferro con il M5s che chiedeva l’eliminazione del quorum. La mossa di accantonare le misure in questione quasi fino alla fine non ha sortito però alcun effetto. E anche l’articolo 15 alla fine ha avuto il via libera.

Referendum a parte, tra le novità approvate dalla Camera spunta una modifica alla maggioranza parlamentare necessaria a deliberare lo stato di guerra: d’ora in poi per l’ok, che però con la riforma spetterà alla sola Camera dei deputati, servirà la maggioranza assoluta dei voti e non più solo quella semplice. Un passo che rappresenta un ragionevole punto di “mediazione” secondo il ministro Boschi. Opinione non condivisa da tutti: “Con una legge elettorale maggioritaria – ha osservato Rosy Bindi – che darà il 54-55% a chi vince, questo emendamento non è sufficiente a garantire che in futuro vi sia il rispetto della Costituzione”.

Soddisfatto del risultato Angelino Alfano che, in una nota, ha tenuto a sottolineare  il sostegno alle riforme da parte di Area popolare: “Noi di Ncd e Udc abbiamo votato le riforme costituzionali – ha scritto il ministro dell’Interno –  e siamo protagonisti di un nuovo patto costituente”. Ma è sulla rottura del patto del Nazareno che qualche ora più tardi il titolare del Viminale ha rilanciato ai microfoni di RaiNews24: “Io sono senz’altro per riaprire il dialogo con Forza Italia, costruire con Fi quel filo che ha garantito numeri più ampi nei primi passaggi di queste riforme, non sono dell’idea che bisogna fermarsi”. Un passaggio che fa il paio con le elezioni regionali alle porte e sulle alleanze nel centrodestra in vista del voto: rispetto a un’alleanza con Forza Italia – ha detto – “non c’è nulla di deciso, ma ci sono Regioni in cui abbiamo governato insieme ed è già un’ottima base di partenza”.

 http://www.repubblica.it/politica/2015/02/14/news/riforme_lunga_maratona_notturna_poi_approvati_gli_emendamenti_renzi_plaude_bene_cos-107279999/

LA GEOPOLITIQUE VUE DES USA : LES ANALYSES GEOPOLITIQUES ET GEOSTRATEGIQUES DE “STRATFOR INTELLIGENCE” SUR EODE

Luc MICHEL pour EODE think tank/

avec Stratfor/ 2015 02 16/

http://www.eode.org/

https://www.facebook.com/EODE.org

EODE - STRATFOR 001 vu des USA (2015 02 11) FR  (1)

“Se faire enseigner par l’ennemi est un devoir et un honneur”

– Général Haushofer, géopoliticien allemand

(le père du concept de « Bloc continental »).

Nous reproduirons dès la semaine prochaine avec l’aimable autorisation de STRATFOR certaines analyses géopolitiques et géostratégiques du principal groupe américain de renseignement privé et d’analyse stratégique.

STRATFOR inscrit son travail dans la lignée incontestable de l’« Ecole néo-machiavélienne américaine » (1) (voir les analyses de Raymond ARON), amorcée avec James BURNHAM (auteur des « Machiavéliens, défenseurs de la liberté » et du manifeste géopolitique américain « The Struggle for the World » en 1943, édition française en 1946 sous le titre « Pour la domination mondiale »), et continuée par de brillantes figures comme Henry KISSINGER ou Zbigniew BREZINSKI (et son livre « Le Grand Echiquier »).

C’est-à-dire une analyse géopolitique rigoureuse, quasi scientifique, loin des idéologies et des passions politiques vulgaires. Cette méthode scientifique est aussi celle de notre Ecole géopolitique (2). Même si l’idéologie américaniste messianiste, celle de la « Manifest destiny », revient souvent à la charge (3). A l’heure où Washington dicte l’agenda politique et militaire du monde, il est indispensable de connaître les analyses et les grilles de lecture de ses élites. En n’oubliant pas que celles-ci répondent évidemment aux intérêts des seuls USA et à leur vision du monde!

 – I –

 STRATFOR, « un think-tank et une société mondiale de renseignements, fournit aux journalistes et producteurs une nouvelle compréhension des événements mondiaux d’importance géopolitique ». Telle est l’auto-présentation de STRATFOR, qui affirme que « Notre perspective associe renseignements et analyse pour donner une meilleure compréhension de ce qui est derrière ces événements, relier les points entre eux, et prévoir ce qui va arriver dans les prochaines semaines » et que « STRATFOR est l’éditeur en ligne de premier plan du monde des renseignements géopolitiques. Notre équipe mondiale de professionnels du renseignement offre à nos membres un aperçu des développements politiques, économiques et militaires pour réduire les risques, identifier les opportunités, et rester au courant des événements à travers le monde ».

Strategic Forecasting Inc., plus communément connu comme STRATFOR , est en fait une entreprise privée basée au Texas, qui recueille des renseignements pour les sociétés et services des gouvernements américain et étrangers. En raison de son analyse et de ses prévisions précises, STRATFOR « sert souvent comme source pour les médias et continue de fournir des mises à jour quotidiennes de renseignements et des interviews d’experts pour les sites médias locaux, nationaux et internationaux. STRATFOR « fournit des informations publiées et un service de renseignement personnalisé pour les particuliers, les entreprises mondiales, et les services des gouvernements américain et étrangers à travers le monde. La liste des clients de STRATFOR est confidentielle, mais la liste de la publicité de la société comprend 500 sociétés de Fortune et des organismes gouvernementaux internationaux. Les professionnels du renseignement de STRATFOR apparaissent régulièrement à des conférences et comme experts en la matière dans les médias grand public ».

STRATFOR a été cité par des médias tels que CNN, Bloomberg, Associated Press, Reuters, The New York Times et la BBC comme « une autorité sur les questions stratégiques et tactiques ». STRATFOR a aussi été diabolisée par certains « théoriciens du complot » et présenté comme une « CIA de l’ombre ». C’est évidement  une méconnaissance fondamentale de ce qu’est le travail de renseignement sur les sources ouvertes. STRATFOR a été spécialement l’objet d’un article en couverture dans BARRON intitulée « The Shadow CIA » (Jonathan R. Laing. “The Shadow CIA”. Recherche 2007-09-17).

D’origine hongroise, George FRIEDMAN est le PDG et fondateur en 1996 de l’agence de renseignement privée STRATFOR et l’auteur de “THE NEXT 100 YEARS” (4). Remarquablement, FRIEDMAN affirme que « les Etats-Unis – loin d’être sur le point de déclin – ont en fait juste commencé leur ascension. » Peut-être de façon anachronique, FRIEDMAN « fait valoir que la puissance navale est toujours centrale, même au XXIe siècle. Parce que l’Amérique contrôle à la fois l’Atlantique et le Pacifique, elle est pratiquement assurée d’être la puissance mondiale dominante » (The New York Times, Octobre 2009). Dans “THE NEXT 100 YEARS”, FRIEDMAN affirme également: « En temps voulu, l’ordre géopolitique se déplacera à nouveau, et l’époque américaine prendra fin. Peut-être même plus tôt, la puissance des États-Unis va décliner. Mais pas encore, et pas dans ce siècle » (New Statesman; Août 2009).

EODE - STRATFOR 001 vu des USA (2015 02 11) FR  (2)

 – II –

 L’axe principal  de la vision du monde de FRIEDMAN et de STRATFOR, c’est que depuis 2008  le monde a changé et est entré dans une nouvelle ère géopolitique: « cette année a redéfini le système géopolitique mondial, ouvrant la porte à une résurgence de la puissance russe et révélant la fragmentation sous-jacente de l’Europe et les faiblesses de l’OTAN (…) Après l’été 2008, il n’est plus de mise de parler de l’Europe en tant qu’unique entité, ni de l’OTAN en tant qu’alliance en état de fonctionner pleinement, ni d’un monde dans lequel l’Etat-nation serait obsolète. De fait, c’est le contraire : l’Etat-nation s’est avéré la seule institution en état de marche… », écrit FRIEDMAN.

 Cette nouvelle ère géopolitique résulte de deux facteurs principaux :

* d’une part la crise économique de 2008, qui a donné un premier coup d’arrêt à la globalisation et marque le retour du rôle des états-nations (prématurément déclarés obsolètes, « L’Etat-nation rugissait à nouveau à la vie, après avoir semblé s’abîmer dans l’insignifiance… »),

 * d’autre part le retour de la Russie comme grande puissance mondiale (la leçon donnée à la Géorgie et à l’OTAN lors de la guerre de l’Eté 2008 marquant cette résurrection de l’Etat russe, amorcée dès l’arrivée de Poutine au pouvoir).

 « Quant au basculement de l’année 2008, il est double, et il tourne autour de deux dates : le 7 août, et le 11 octobre…, analyse George FRIEDMAN (Le retour de l’Etat-nation, Stratfor Geopolitical Intelligence Report, 27 octobre 2008). Le 7 août, l’armée géorgienne attaquait ‘sa’ (les guillemets sont de Friedman) région séparatiste d’Ossétie du Sud. Le 8, les troupes russes répliquaient, en envahissant la Géorgie. La réponse occidentale, quant à elle, fut essentiellement d’ordre rhétorique. Durant le week-end du 11 octobre, les pays du G-7 se réunirent, à Washington, afin de planifier une réponse conjointe à la crise financière mondiale. Plutôt que la définition d’un plan conjoint, la décision – par défaut – consista en ce que chaque pays agirait de manière à sauver son propre système financier, au moyen d’une série de lignes directrices décidées, en gros (mais pas dans le détail), d’un commun accord. Les événements du 7 août et du 11 octobre ne sont liés entre eux que par leurs seules conséquences. Les uns et les autres ont démontré la faiblesse des institutions internationales, et ils ont confirmé la primauté de l’Etat-nation, ou, plus précisément, de la nation et de l’Etat (…) Ensemble, les deux événements ont représenté des défis qui dépassaient de très loin la prégnance des guerres en Irak et en Afghanistan ».

Cette ère géopolitique nouvelle est marquée par la double fracture de l’OTAN entre les USA et les pays européens, et entre les Européens eux-mêmes. Et la crise ukrainienne depuis janvier 2014 confirme cette analyse. Même si les USA font tout, du chantage sur le passé des dirigeants européens aux révolutions de couleur (comme celle rampante contre le régime Orban en Hongrie depuis la fin 2014), pour réduire ces fractures.

Une division qui oblitère l’avenir de l’Alliance atlantique et aussi celui de l’Union Européenne, dit FRIEDMAN : « La guerre russo-géorgienne a soulevé de profondes questions quant à l’avenir de l’alliance militaire multilatérale (qu’est l’OTAN). Chaque pays membre a consulté ses propres intérêts nationaux, et a conduit sa propre politique étrangère. Dès lors, la coupure entre les Européens et les Américains est garantie sur facture, mais la division entre Européens est tout aussi profonde. Si l’on ne pouvait pas dire que l’OTAN fonctionnait effectivement, on ne savait pas non plus très bien, après le 8 août, en quel sens les Européens existaient effectivement, sinon en tant qu’Etat-nations individuels (…) Ce qui avait été démontré en termes politico-militaires par la guerre de Géorgie, le fut, ensuite, en termes économiques, par la crise financière. L’ensemble du système multinational créé après la Seconde guerre mondiale s’est effondré, durant cette crise – ou, plus précisément, la crise a largement dépassé leurs prévisions et leurs ressources. Aucun des systèmes financiers n’a été en mesure de faire face, et beaucoup se sont effondrés (…) Le 12  (octobre 2009), lors de la tenue de leur sommet eurozone par les Européens, il devint évident qu’ils agiraient, en tant que nations, individuellement ».

 La nouvelle politique de puissance de Berlin, qui projette seule celle-ci, hors de la diplomatie de l’UE, sur la Mittel-Europa, l’Ukraine ou encore l’Afrique, démontre bien ces « Européens qui existent effectivement en tant qu’Etat-nations individuels » (5).

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 III

 C’est en Eurasie que la nouvelle ère marque le plus grand bouleversement, l’échec annoncé de l’Union Européenne – que jusque là seul Jean THIRIART (6) (le père du concept de «Grande Europe» ) avait envisagée dès le milieu des années 60 – et le retour de la Russie comme grande puissance avec le régime de Poutine s’ajoutant aux conséquences de la crise et modifiant les équilibre du continent. « cette année (2008) a redéfini le système géopolitique mondial, ouvrant la porte à une résurgence de la puissance russe et révélant la fragmentation sous-jacente de l’Europe et les faiblesses de l’OTAN. La plus importante manifestation de ce phénomène est l’Europe. Face à la puissance russe, il n’y a pas de position européenne unifiée. Face à la crise financière, les Européens se coordonnent entre eux, mais ils n’agissent pas de manière unie. Après l’été 2008, il n’est plus de mise de parler de l’Europe en tant qu’unique entité, ni de l’OTAN en tant qu’alliance en état de fonctionner pleinement, ni d’un monde dans lequel l’Etat-nation serait obsolète ».

 FRIEDMAN rappelle le rôle géopolitique central de la Russie en Europe et en Eurasie, clé de la domination mondiale : « Nous devons insister sur le fait que l’importance de la puissance russe réside en ceci : dès lors que la Russie domine le centre du continent eurasiatique, la force fait intrusion en Europe. La Russie, unie avec le reste de l’Europe, est une force mondiale écrasante. Une Europe résistant à la Russie – et on est là dans la problématique initiée par notre Ecole géopolitique « euro-soviétique » dès le début des année 80 (7) – définit l’ensemble du système mondial. Une Russie fragmentée ouvre la porte à d’autres problèmes géopolitiques. Une Russie unie et puissante monopolise la scène mondiale ».

Enfin, FRIEDMAN annonce l’échec annoncé de l’Union Européenne, loin des visions optimistes des Eurocrates pour qui le succès de l’UE est un horizon inévitable et indépassable. Il évoque une UE réduite à « un arrangement voué à gérer l’économie européenne ». Et dans son livre « LES CENT PROCHAINES ANNEES », l’UE fini, sortie de l’Histoire, comme un petit ensemble réduit à sa dizaine de fondateurs, sous la domination résiduelle d’une Allemagne qui, elle aussi, a renoncé à la puissance.

 Il ajoute à propos de l’UE dès 2008 que « Sa bureaucratie, basée à Bruxelles, a accru son autorité et son efficacité, tout au long de la décennie écoulée. Le problème, avec l’Union européenne, c’est qu’il s’agissait d’une institution prévue pour gérer la prospérité. Une fois confrontée à une sérieuse adversité, toutefois, cette institution a été gelée, remettant le pouvoir aux Etats membres (…) En fin de compte, ce n’est pas l’entité « Europe » qui détient le pouvoir, mais bien plutôt les pays membres pris individuellement. Ce n’est pas Bruxelles qui mettait en musique les décisions prises à Strasbourg ; les centres de pouvoir (au pluriel) étaient à Paris, à Londres, à Rome, à Berlin et dans les autres capitales de l’Europe et du monde. Le pouvoir incombait aux Etats qui gouvernaient des nations. Ou, pour être plus précis, les deux crises jumelles ont mis en évidence le fait que le pouvoir n’avait jamais quitté ces capitales historique ». Et il  conclut sur « la fragmentation sous-jacente de l’Europe » et sur le fait qu’ « Après l’été 2008, il n’est plus de mise de parler de l’Europe en tant qu’unique entité ». Le choc de l’égoisme allemand et de la crise grecque en ce début 2015 illustre le propos.

 Sept ans plus tard, la prédiction de FRIEDMAN, que nous partagions, est en cours de réalisation. ET il faut plus que jamais lire STRATFOR, se laisser « enseigner par l’ennemi » …

 Luc MICHEL

 # NOTES ET RENVOIS :

 (1) La pensée de Machiavel est à bon droit tenue pour la fondation de la philosophie politique moderne. Une pensée politique débarrassée de la théologie et de la morale moralisatrice pour s’en tenir à la réalité effective des choses. L’influence de Machiavel est évidente sur les sociologues et philosophes des XIXe et XXe siècles qui se sont consacrés à la compréhension du rôle politique des élites : Roberto Michels, Benedetto Croce, Vilfredo Pareto, le grand-européen Thiriart … ou encore l’américain James Burnham.

On doit prendre Le prince dans un sens général : Machiavel nous donne une théorie générale de la classe dirigeante : comment la former, comment la recruter, comment distinguer ceux qui sont aptes à en faire partie.

 (2) Cfr. Karel HUYBRECHTS : « Aux confluents de deux grands courants, l’Ecole néo-machiavélienne (notamment la science politique de Machiavel et la sociologie de Pareto, Roberto Michels, etc) et du Marxisme-Léninisme, Luc MICHEL, mène une analyse froide, sans passion superflue, sans tomber dans les pièges de l’idéologie, de la propagande ou de l’histoire partisane »,

in ANTICIPER L’EVENEMENT : LUC MICHEL ET L’ANALYSE PROSPECTIVE GEOPOLITIQUE,

sur http://www.lucmichel.net/2014/01/24/lucmichel-net-anticiper-levenement-luc-michel-et-lanalyse-prospective-geopolitique/

 (3) Cfr. Luc MICHEL, THEORIES DE L’IMPERIALISME AMERICAIN : LA REPONSE DES PEUPLES, CONFÉRENCE AU “YOUTH CAMP FOR GREEN, PEACE AND ALTERNATIVE MOVEMENTS”

(ALLEMAGNE, JUILLET 2001),

sur http://www.pcn-ncp.com/youthcamp2001fr.htm

 (4) Georges FRIEDMAN, THE NEXT 100 YEARS: A FORECAST FOR THE 21ST CENTURY (2009). Doubleday, ISBN 0-385-51705-X.

 (5) Cfr. EODE-TV/ LE GRAND JEU. AU CŒUR DE LA GEOPOLITIQUE MONDIALE: LA GRANDE-ALLEMAGNE DE RETOUR /PARTIE 1. UNE MENACE POUR L’EUROPE ?

Conception et direction Luc MICHEL /

Coproduction Luc MICHEL – EODE-TV – Afrique Media.

Video complète sur EODE-TV : https://vimeo.com/119400138

 (6) Cfr. Luc MICHEL, “CONCEPTIONS GEOPOLITIQUES DE JEAN THIRIART : LE THEORICIEN DE LA NOUVELLE ROME”,

CYCLE DE CONFERENCES “JEAN THIRIART : L’HOMME, LE MILITANT ET L’ŒUVRE”, organisé par l'”Institut d’Etudes Jean Thiriart” et l’ “Ecole des Cadres Jean Thiriart” (Départements de l’Asbl “Association Transnationale des Amis de Jean Thiriart”),

Sur http://www.pcn-ncp.com/Institut-Jean-Thiriart/cf/cf01.htm

Et http://www.pcn-ncp.com/Institut-Jean-Thiriart/cf/cf01-2.htm

 (7) Au début des Années 80, THIRIART fonde avec José QUADRADO COSTA et moi-même l’« Ecole de géopolitique euro-soviétique » où il prône une unification continentale de Vladivostok à Reykjavik sur le thème de « l’Empire euro-soviétique » et sur base de critères géopolitiques.

Théoricien de l’Europe unitaire, THIRIART a été largement étudié aux Etats-Unis, où des institutions universitaires comme le « Hoover Institute » ou l’ « Ambassador College » (Pasadena) disposent de fonds d’archives le concernant. Ce sont ses thèses antiaméricaines « retournées » que reprend largement BRZEZINSKI, définissant au bénéfice des USA ce que THIRIART concevait pour l’unité continentale eurasienne.

Sur l’Ecole de géopolitique euro-soviétique, cfr. :

José CUADRADO COSTA, Luc MICHEL et Jean THIRIART, TEXTES EURO-SOVIETIQUES, Ed. MACHIAVEL, 2 vol. Charleroi, 1984 ;

Version russe : Жозе КУАДРАДО КОСТА, Люк МИШЕЛЬ и Жан ТИРИАР, ЕВРО-СОВЕТСКИЕ ТЕКСТЫ, Ed. MACHIAVEL, 2 vol., Charleroi, 1984.

Ce recueil de textes fut édité en langues française, néerlandaise, espagnole, italienne, anglaise et russe.

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Interventismo occidentale e mentalità coloniale

di Tim Anderson – 10/02/2015

Fonte: byebyeunclesam

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 L’eredità coloniale ancora presente nelle culture imperialiste ha portato a ribaltare il significato delle parole attraverso la colonizzazione del linguaggio progressista e la banalizzazione del ruolo degli altri popoli.

In questi tempi di ‘rivoluzioni colorate’ il linguaggio è stato ribaltato. Le banche sono diventate i protettori dell’ambiente naturale, i fanatici settari sono ora ‘attivisti’ e l’impero protegge il mondo dai più grandi crimini, di cui non è mai responsabile.
La colonizzazione della lingua è in atto in tutto il mondo, fra le popolazioni con alti livelli di istruzione, ma è particolarmente virulenta nella cultura coloniale. ‘L’Occidente’, l’autoproclamatasi epitome della civiltà avanzata, sta reinventando con vigore la propria storia, col fine di perpetuare la mentalità coloniale.
Scrittori come Fanon e Freire hanno notato che i popoli colonizzati hanno subito danni psicologici e che è necessario ‘decolonizzare’ le loro menti, al fine di renderli meno deferenti verso la cultura imperiale e di affermare i valori positivi delle loro culture. D’altra parte, l’eredità coloniale è ben evidente nelle culture imperiali. I popoli occidentali continuano a mettere la loro cultura al centro o a considerarla universale, e hanno difficoltà ad ascoltare o ad imparare dalle altre culture. La modifica di ciò richiede uno sforzo notevole.
Le potenti élites sono ben consapevoli di questo processo e cercano di cooptare le forze vitali all’interno delle loro società, colonizzando il linguaggio progressista e banalizzando il ruolo degli altri popoli. Per esempio, dopo l’invasione dell’Afghanistan nel 2001, venne promossa l’idea che le forze della NATO stessero proteggendo le donne afghane ed essa ottenne molta popolarità. A dispetto dell’ampia opposizione all’invasione e all’occupazione, questo fine umanitario faceva appello al sentimento missionario della cultura occidentale. Nel 2012, Amnesty International poteva innalzare cartelli che affermavano ‘NATO: sosteniamo il progresso’, in riferimento ai diritti delle donne in Afghanistan, mentre l’Istituto George W. Bush raccoglieva fondi per promuovere i diritti delle donne afghane.
Il bilancio della situazione, dopo tredici anni di occupazione NATO, non è però così incoraggiante. Il rapporto 2013 dell’UNDP mostra che solo il 5,8% delle donne afghane ha un’istruzione secondaria (la settima posizione più bassa al mondo), la donna afghana ha una media di 6 figli (un tasso pari al terzo più alto del mondo, e legato al basso livello d’istruzione), la mortalità materna è di 470 su 100,000 (pari alla nona-decima fra le più alte del mondo) e l’aspettativa di vita è di 49,1 anni (pari alla sesta più bassa del mondo). Questo ‘progresso’ non è di certo impressionante.
Per molti aspetti, la lunga ‘guerra femminista’ in Afghanistan è stata basata sull’eredità britannica dell’India coloniale. Come parte della grande ‘missione civilizzatrice’, l’impero affermò di proteggere le donne indiane dal ‘sati’, una pratica in cui le vedove si gettano (o vengono gettate) nella pira funebre del marito. In realtà, il dominio coloniale ha portato ben pochi cambiamenti in questa rara pratica. D’altra parte, la crescita dell’emancipazione fra le fanciulle e le donne sotto l’impero britannico è stata una triste burla. Nell’anno dell’indipendenza, il tasso di alfabetizzazione degli adulti aveva raggiunto appena il 12%, mentre quello delle donne era di molto inferiore. Se l’India è per molti aspetti ancora arretrata, il progresso educativo è stato però molto più rapido a partire dal 1947.
Questi fatti non hanno frenato storici come Niall Ferguson e Lawrence James, che hanno cercato di riscrivere la storia coloniale britannica, per difendere soprattutto i più recenti interventi. Potrebbe sembrare difficile giustificare il colonialismo, ma l’argomento sembra avere una migliore possibilità fra i popoli con una storia coloniale, quelli che cercano una qualche forma di rivendicazione dall’interno della propria storia e cultura.
Il linguaggio nordamericano è un po’ diverso, poiché gli Stati Uniti d’America affermano di non essere mai stati una potenza coloniale. Il fatto che le dichiarazioni sulla libertà e l’uguaglianza furono scritte da proprietari di schiavi e autori di pulizie etniche (la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti ha fama di attaccare i britannici per l’imposizione di limiti nella confisca delle terre dei nativi americani) non ha attenuato l’entusiasmo per quegli ideali positivi. Tale abile tradizione ha influito senza dubbio sulla presentazione dei recenti interventi effettuati da Washington.
Dopo le invasioni dell’Afghanistan e dell’Irak, abbiamo assistito a un cambiamento di prospettiva, con le grandi potenze che hanno arruolato fanatici settari contro gli Stati indipendenti della regione. Compreso il nuovo Stato iracheno, riemerso dalle ceneri dal 2003, attaccato da questi fanatici. La ‘primavera araba’ ha visto la Libia calpestata da una pseudo-rivoluzione, sostenuta dai bombardamenti della NATO, poi consegnata ai gruppi di Al-Qaeda e ai collaboratori di quei poteri. Il piccolo Paese, che una volta aveva i più alti standard di vita dell’Africa, è stato retrocesso di decenni.
Poi è stata la volta della coraggiosa Siria, che resiste a un prezzo terribile; e mentre la guerra di propaganda si fa sempre più forte, pochi sembrano essere in grado in Occidente di districarvisi. La sinistra occidentale condivide le stesse illusioni della destra. Quella che all’inizio dicevano essere una ‘rivoluzione’ nazionalista e secolare – una rivolta contro un ‘dittatore’ che assassinava il suo popolo – ora sarebbe diretta da ‘ribelli moderati’ o ‘islamisti moderati’. Gli estremisti islamici, che in ripetute occasioni hanno fatto conoscere le loro atrocità, sono ora una specie diversa, contro la quale Washington finalmente ha deciso di lottare. Molto di questo può apparire ridicolo agli Arabi o ai Latinoamericani istruiti, ma conserva un certo fascino in Occidente.
Uno dei motivi di questa differenza è che la Nazione e lo Stato hanno un altro significato in Occidente. La sinistra occidentale ha sempre visto lo Stato come qualcosa di monolitico e il nazionalismo come qualcosa di simile al fascismo. Tuttavia, le ex-colonie hanno mantenuto una speranza nello Stato-Nazione. I popoli occidentali non hanno mai avuto un Ho Chi Minh, un Nelson Mandela, un Salvador Allende, un Hugo Chavez o un Fidel Castro. Di conseguenza, per quanto gli intellettuali occidentali possano criticare i loro governi, non saranno disposti a difendere gli altri. Molti di quelli che criticano Washington o Israele non difendono Cuba né la Siria.
Per questo le guerre sporche si vendono più facilmente in Occidente. Potremmo anche dire che è stata una tattica di relativo successo per l’interventismo imperiale, a partire dalla guerra dei Contras in Nicaragua fino a quella degli eserciti islamisti in Libia e in Siria. Finché la grande potenza non partecipa direttamente, il pubblico occidentale trova abbastanza attraente l’idea che essi stiano aiutando gli altri popoli ad emanciparsi e ad ottenere la loro ‘libertà’.
Perfino Noam Chomsky, autore di molti libri sull’imperialismo nordamericano e sulla propaganda occidentale, condivide molta dell’apologetica occidentale sull’intervento in Siria. In un’intervista del 2013 a un giornale dell’opposizione siriana, ha affermato che l’insurrezione islamista appoggiata dall’estero sia stata un ‘movimento di protesta’ represso che è stato costretto a militarizzarsi e che gli Stati Uniti e Israele non avevano alcun interesse nella caduta del governo siriano. Chomsky ha ammesso di essersi sentito ‘esaltato’ dalla rivolta della Siria, però ha respinto l’idea della ‘responsabilità di proteggere’ e si è opposto all’intervento diretto della Casa Bianca, senza un mandato dell’ONU. Nonostante ciò, si è unito alla causa di chi vuole ‘costringere’ il governo siriano a dimettersi, sostenendo che ‘nulla può giustificare il coinvolgimento di Hezbollah’ in Siria, dopo che questo gruppo ha lavorato con l’esercito siriano per un’inversione di tendenza contro i jihadisti.
Come mai gli antimperialisti occidentali arrivano a conclusioni simili a quelle della Casa Bianca? Al primo posto c’è l’idea anarchica o di ultra-sinistra di opporsi a qualunque idea di Stato. Questo porta ad attacchi contro il potere imperiale, però nello stesso tempo all’indifferenza o ad opporsi a Stati indipendenti. Molte persone occidentali di sinistra esprimono addirittura entusiasmo all’idea di rovesciare uno Stato indipendente, pur sapendo che le alternative, come in Libia, saranno il settarismo, gli aspri scontri e la distruzione di importanti istituzioni nazionali.
In secondo luogo, la dipendenza dalle fonti d’informazione occidentali ha portato molta gente a credere che i massacri di civili in Siria fossero opera del governo siriano. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Una lettura attenta delle prove mostrerà che quasi tutti i massacri di civili in Siria (Houla, Daraya, Aqrab, l’Università di Aleppo, Ghouta Orientale) sono opera dei gruppi islamisti settari, mentre a volte si è incolpato falsamente il governo, al fine di far innalzare il livello dell’‘intervento umanitario’.
Il terzo elemento che distorce le idee antimperialiste occidentali è la natura limitata e autoreferenziale delle discussioni. I parametri sono controllati dai guardiani dei grossi gruppi di potere e allo stesso tempo rafforzati dalla grande illusione occidentale sul suo potere civilizzatore.
Solo un numero limitato di giornalisti occidentali ha fornito informazioni sufficientemente dettagliate sul conflitto siriano, ma le loro prospettive rimangono quasi sempre condizionate dal racconto occidentale. E in effetti, negli ultimi anni, la difesa più aggressiva dell’‘interventismo umanitario’ proviene proprio da mezzi di comunicazione liberali, come il britannico The Guardian, e da ONG come Avaaz, Amnesty International e Human Rights Watch. I pochi giornalisti che mantengono una prospettiva indipendente, per esempio l’arabo-statunitense Sharmine Narwani, pubblicano per lo più al di fuori dei canali dei grandi media più famosi.
L’industria culturale imperialista condiziona anche gli aiuti umanitari. La pressione ideologica non viene solo dalle banche di sviluppo, ma anche dalle ONG, che mantengono un forte senso di missione, compreso un ‘Complesso del Salvador’, riguardo alle loro relazioni con il resto del mondo. Mentre ‘la cooperazione allo sviluppo’ poteva una volta includere idee di risarcimento per il dominio coloniale o di aiuto durante la transizione all’indipendenza, oggi si è convertita in un’industria da 100mila milioni di $ all’anno, con una presa delle decisioni saldamente nelle mani degli organismi finanziari occidentali.
Lasciando da parte la disorganizzazione di molti dei programmi di aiuto, questa industria resta profondamente antidemocratica, con potenti connotazioni coloniali. Tuttavia, molti operatori umanitari occidentali credono realmente di poter ‘salvare’ i popoli poveri del mondo. L’impatto culturale è profondo. Le agenzie di aiuto non solo cercano di determinare la politica economica, ma spesso intervengono nei processi politici e costituzionali, e lo fanno in nome del ‘buon governo’, della lotta alla corruzione e di ‘un rafforzamento della democrazia’. Indipendentemente dai problemi dei governi locali, raramente si ammette che le agenzie di aiuto esterno siano fra i giocatori meno democratici.
Per esempio, all’inizio di questo secolo, mentre Timor Est otteneva la sua indipendenza, gli organismi di aiuto hanno utilizzato la loro capacità finanziaria per impedire lo sviluppo delle istituzioni pubbliche nel settore agricolo e nella sicurezza alimentare, e hanno fatto pressione su questo nuovo Paese per creare partiti politici competitivi lontani dall’idea originaria di un governo di unità nazionale. Nella crisi del 2006, l’Australia ha cercato di trarre vantaggio all’interno della ‘comunità dei donatori’, aggravando il livello dello scontro politico. In mezzo al caos delle dispute sui limiti marittimi e le risorse petrolifere, accademici e consulenti australiani hanno approfittato del momento delicato per sollecitare il partito principale di Timor Est in senso ‘riformista’, per far abolire l’esercito nazionale e per far adottare nel Paese l’inglese come lingua nazionale. Anche se i timoresi avevano resistito a tutte le pressioni, in quel momento sembrava come se molti degli ‘amici’ australiani immaginassero di aver ‘ereditato’ quel piccolo Paese dagli ex governanti coloniali. Questo è lo specifico significato della ‘solidarietà’ occidentale.
Le culture imperialiste hanno creato una grande varietà di bei pretesti per intervenire nelle ex colonie e nei paesi di nuova indipendenza. Tra questi pretesti ci sono la protezione dei diritti delle donne, la garanzia di un ‘buon governo’ e perfino la promozione di ‘rivoluzioni’. Il livello di ipocrisia è notevole.
Questi interventi creano problemi a tutti. Le persone indipendenti devono imparare nuove forme di resistenza. A quelle di buona volontà nelle culture imperialiste farebbe talvolta piacere riflettere sulla necessità di decolonizzare la mentalità occidentale.
Un tale processo, ritengo, richiederebbe di considerare (a) i punti di vista storicamente diversi sulla Nazione-Stato, (b) le funzioni importanti e particolari degli Stati postcoloniali, (c) la rilevanza e l’importanza del principio dell’autodeterminazione, (d) la necessità di ignorare i mezzi di comunicazione sistematicamente ingannevoli, e (e) la sfida delle illusioni riguardo alla presunta influenza civilizzatrice occidentale. Tutti punti che sembrano far parte di una mentalità neocoloniale, e che potrebbero aiutare a spiegare l’incredibile cecità occidentale di fronte ai danni causati dall’interventismo.

Riferimenti bibliografici
Tim Anderson (2006) ‘Timor Leste: the Second Australian Intervention’, Journal of Australian Political Economy, n. 58, Dicembre, pp. 62-93
Tony Cartalucci (2012) ‘Amnesty International is US State Department propaganda’, Global Research, 22 Agosto, online: http://www.globalresearch.ca/amnesty-international-is-us-state-department-propaganda/32444
Ann Wright and Coleen Rowley (2012) ‘Ann Wright and Coleen Rowley’, Consortium News, 18 Giugno, online: https://consortiumnews.com/2012/06/18/amnestys-shilling-for-us-wars/
Noam Chomsky (2013) ‘Noam Chomsky: The Arab World And The Supernatural Power of the United States’, Information Clearing House, 16 Giugno, online:http://www.informationclearinghouse.info/article35527.htm
Bush Centre (2015) ‘Afghan Women’s Project’, George W. Bush Centre, online:http://www.bushcenter.org/womens-initiative/afghan-womens-project

[Traduzione di M. Guidoni – il collegamento inserito è nostro]

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=50372

BANCA ETRURIA, MPS, BAZOLI, CONSOB…ITALIA: COLPO DI STATO!

ah non ci sono privilegi? Caspita, è per questo che il Tesoro è entrato a far parte di MPS così alla bisogna inietta denaro nella banca rossa, quella “proletaria”….

Bella roba, scatta il commissariamento DOPO l’incasso….ma per favore

 Scritto il 12 febbraio 2015 alle 11:30 da icebergfinanza

Italia …colpo di Stato! Ora l’ironia non basta più, ora è il tempo di mettere insieme il puzzle, ricomponendo i tasselli che si trovano sul tavolo del decreto legge sulle banche popolari in attesa che qualcuno ci imponga anche quello sulle banche di credito cooperativo.

Bankitalia commissaria Banca Popolare dell’Etruria. «Emerse gravi perdite»

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Ieri l’onorevole Boschi, figlia del vice presidente di Banca Etruria, su twitter…

E ci mancherebbe che una banca non venga commissariata perchè la figlia del vice presidente è un ministro di un Governo non eletto da nessuno, piuttosto la domanda è per quale motivo non è stata commissariata prima che volasse in borsa di oltre il 60 %, chi mai avrebbe acquistato le azioni di una banca commissariata?

Il secondo tassello è questo…

Dopo mesi di gelo con palazzo Chigi e indiscrezioni che davano ormai per imminente l’annuncio di una rivoluzione della vigilanza dei mercati, il presidente della Commissione avrà l’insperata occasione di mettere in difficoltà il governo durante l’audizione sui sospetti di insider trading legati alla riforma degli istituti popolari

Banche Popolari e rialzi in Borsa.

Riforma banche popolari, Giuseppe Vegas (Consob) accerta “vendite anomale” con plusvalenze per oltre 10 milioni

Se questi tasselli non bastano per farvi intravvedere il grande mosaico delle popolari aggiungo questo…

Bazoli, bene decreto sulle popolari

… che si incastra alla perfezione con quest’altro.

Ubi Banca nella bufera, indagati i vertici del gruppo e Giovanni Bazoli

Avviamente nessuno sapeva nulla, nella finanza accadde tutto per caso e quindi …

Serra scommette sulle Popolari.

Oggi invece, sapeva o non sapeva prima del dovuto le intenzioni di Renzi, Serra ha confessato di aver in pancia una quota azionaria importante di una popolare e di aver preso contatti con il management dell’istituto di credito per studiare una eventuale strategia comune. L’indiziato numero uno è il Banco Popolare, l’istituto di credito entrato in crisi dopo le ricapitalizzazioni resesi necessarie per i buchi finanziari creati dai derivati di Banca Italease e mai ripresosi. L’annuncio del governo è avvenuto venerdì 16 gennaio, a mercati chiusi, dopo che il Banco Popolare aveva archiviato una seduta in rialzo del 4,35%. Il giorno prima il titolo aveva guadagnato il 2,8%, mentre nelle tre sedute successive all’annuncio è salito dell’8, del 5 e del 9%.

L’altra banca popolare di cui Serra sembra essere stato azionista, e forse lo è tuttora, è la Ubi, l’istituto nato dalla fusione tra la bresciana Banca Lombarda e la Popolare di Bergamo. Non è un caso che la benedizione alle operazioni sul capitale delle popolari voluto dal governo sia giunto anche da Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo e considerato da sempre il nume tutelare (sponda bresciana) di Ubi Banca, tanto da finire in una inchiesta della procura di Bergamo per le presunte combine nelle nomine dei vertici con Emilio Zanetti, capofila dei soci bergamaschi.

Prendiamo i due tasselli del Banco Popolare e di Ubi Banca, mettiamoli insieme e facciamo una “supernove”, immaginatevi il volo delle azioni nelle prossime settimane!

Ma non è finita qui! Per quale motivo il ministro Lupi si è tanto agitato nei giorni scorsi, scagliandosi contro il decreto delle Popolari…

Banche popolari, Lupi demolisce la riforma.

…forse perchè crede nel sistema cooperativo? Ma certo dev’essere proprio cosi…

Ubi Banca, perquisita Compagnia delle Opere. “Illecita influenza sull’assemblea…

La Compagnia delle Opere ha svolto un ruolo determinante nell’organizzazione dell’assemblea di Ubi Banca del 2013, raccogliendo deleghe e organizzando militarmente gli iscritti per ottenere le maggioranze assembleari volte a nominare gli attuali vertici.

E infine proprio per non farci mancare nulla, gli ultimi tasselli, in attesa della mitica “BAD BANK” gruppo musicale, che verrà ingaggiato per suonare gli italiani…

Mps, perdita record da 5,3 miliardi e aumento di capitale da 3 miliardi

Carige: 543,6 mln perdite 2014, aumento capitale sale a 700 mln

Il resto immaginatelo Voi. Buona Consapevolezza e …se vedete la Maria Elena ditele che Dum Romae consulitur, “italia” expugnatur

http://icebergfinanza.finanza.com/2015/02/12/banca-etruria-mps-bazoli-consob-italia-colpo-di-stato/