Raid in Siria: Israele teme reazioni, ma prepara un secondo attacco

Ancora scontro all’interno delle opposizioni che chiedono le dimissioni di al Khatib per aver ipotizzato un dialogo con Damasco 

Matteo Bernabei

Cresce in Israele il timore per le possibili reazioni, da parte di Damasco, al raid compiuto mercoledì scorso dalle forze armate di Tel Aviv in territorio siriano. Il governo israeliano ha infatti elevato lo stato di allerta nelle proprie ambasciate e schierato nelle aree di confine una nuova batteria di missili da difesa antiaerea Iron Dome (foto), gli stessi utilizzati per fermare i razzi Qassam provenienti dalla Striscia di Gaza, mentre nelle città di frontiera ha ordinato l’apertura dei rifugi pubblici. Azioni che rendono evidente come le autorità di Tel Aviv siano consce del fatto di essere andate a provocare un nemico pericoloso che, pur essendo alle prese con una difficile crisi interna, non resterà certamente immobile a subire l’ennesima violazione del proprio territorio nazionale. Ne sa qualcosa la Turchia che lo scorso anno si è vista abbattere un caccia mentre questo compiva una ricognizione illegale oltre confine. Anche allora della violazione dello spazio aereo siriano si parlò poco e nulla, la comunità internazionale occidentale ribaltò infatti l’accaduto, trasformando quanto avvenuto in un attacco ingiustificato dell’artiglieria antiaerea di Damasco a un velivolo turco.
Nonostante il timore di reazioni da parte delle forze armate del Paese arabo, tuttavia, l’opportunità di agire senza pagare le dovute conseguenze a livello internazionale potrebbe spingere Tel Aviv a colpire ancora. Secondo quanto riportato dalla stampa locale, infatti, il governo israeliano che questa volta ha agito ufficiosamente, senza cioè confermare l’attacco, potrebbe presto colpire anche ufficialmente. “Se il segnale inviato alla Siria e Hezbollah per dir loro di cessare il traffico incontrollato di armi dell’esercito siriano non sarà ricevuto, nella prossima operazione i responsabili dovranno agire apertamente”, scrive il quotidiano Yediot Aharonot, che poi sottolinea come Tel Aviv sia inoltre preoccupata dalla possibilità che le armi in questione possano finire nelle mani dei gruppi armati estremisti sempre più attivi nel vicino Paese arabo. “Hizbollah è un problema – si legge ancora sul quotidiano – ma i gruppi jihadisti che potrebbero prendere il controllo della zona di frontiera con il Golan non sono meno pericolosi: avranno le stesse armi ma minor senso di responsabilità”.
Eventualità che si è trasformata in realtà questo pomeriggio, quando un gruppo di ribelli siriani ha ingaggiato dei violenti scontri con alcuni militari libanesi nella valle della Beqaa, lungo il confine fra i due Paesi, impossessandosi delle armi e dei mezzi di questi ultimi. Secondo fonti militari citate dall’agenzia locale Dpa, il bilancio dell’assalto ai soldati di Beirut è di almeno dieci vittime, tra le quali tre militari e Khaled Hmeid, responsabile del rapimento di sette estoni in Libano nel 2011 e legato alle milizie del Les, braccio armato delle opposizioni estere al governo di Damasco.
Opposizioni sempre più caratterizzate da una forte componente islamista al loro interno, in particolare quella dei Fratelli musulmani, e che anche per questo si mostrano ogni giorno più divise agli occhi del mondo. Un esempio delle frizioni interne ai movimenti dissidenti lo si è potuto vedere di nuovo oggi, con il vespaio di polemiche suscitato dalla proposta avanzata nella riunione de Il Cairo da Ahmed Moaz al Khatib, leader della Coalizione di Doha. Quest’ultimo ha ipotizzato l’avvio di un dialogo con il regime di Bashar al Assad per giungere alla fine della crisi suscitando le proteste di alcuni suoi “colleghi”. “La prossima riunione sarà decisiva perché noi vogliamo le sue dimissioni – ha affermato Kamal al Labuani, dissidente presente al vertice egiziano – o chiede scusa e cambia idea oppure si deve dimettere. In realtà lui non rappresenta nessuno e per questo noi lo costringeremo alle dimissioni”. Un fulgido esempio della democrazia che regna all’interno del fronte delle opposizioni, le stesse che hanno rimandato a data destinarsi la formazione di un governo in esilio in attesa che i loro sponsor internazionali versino nelle loro casse la cifra promessa per questo golpe: tre miliardi di dollari.

01 Febbraio 2013 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=18812

 

Raid in Siria: Israele teme reazioni, ma prepara un secondo attaccoultima modifica: 2013-02-02T22:20:00+01:00da davi-luciano
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