La «secchiona» a 5 stelle che sfida il sistema Torino

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Amministrative. Chiara Appendino, candidata a sindaco, in corsa contro Fassino. Una candidatura forte che in caso di ballottaggio interroga anche la sinistra di Giorgio Airaudo. La consigliera comunale: «Il nostro orizzonte è il bene comune, a quel punto decideranno loro se votare per la discontinuità o per la continuità»

 Chiara Appendino

30.01.2016

Nessuno sollevò obiezioni quando il sindaco Piero Fassino, a fine dicembre 2011, annunciò in consiglio comunale che Torino non avrebbe rispettato il patto di stabilità per evitare un clamoroso fallimento (casse vuote e servizi a rischio a causa di 200 milioni di euro di debiti). Nemmeno la giovane consigliera comunale del Movimento Cinque Stelle: aveva 26 anni e non conosceva ancora la complessa macchina comunale di una città come Torino. «Ho comprato tre libri per capire cos’era il patto di stabilità e li ho letti durante le vacanze di Natale, alla prima seduta del consiglio comunale ho fatto il mio primo intervento in aula», ricorda Chiara Appendino sorseggiando una spremuta d’arancia. Un intervento puntuale e dettagliato, per qualcuno esasperante.

Da quel momento per il sindaco di Torino lei è «la secchiona dei Cinque Stelle», un tormento che ormai non può più liquidare con una battuta. Chiara Appendino è laureata alla Bocconi di Milano e dopo aver lavorato nel controllo di gestione finanziaria di una nota squadra di calcio locale (con maglia a strisce bianconere) ricopre le stesse funzioni per un’azienda torinese. Un profilo che certo non può spaventare la buona borghesia torinese. Nessuno qui, infatti, si prende gioco dei 5 Stelle, come accade altrove, e non è un caso se anche La Stampa ha un atteggiamento sostanzialmente equilibrato, «forse non ci aiutano ma non sono particolarmente ostili».

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A Torino ricordano ancora quella frase che Piero Fassino ha rivolto in maniera sprezzante alla prima della classe: «Un giorno si segga lei su questa sedia e vediamo se è capace di fare tutto quello che ho fatto io». Una profezia? Potrebbe essere. Oggi questa giovane donna candidata a sindaco potrebbe far saltare il «sistema Torino», quel grumo di interessi e poteri che da 23 anni detta legge sotto l’ala protettrice del Pd.

Adesso ha 31 anni, cinque di esperienza in più — è vice presidente della commissione Bilancio — ed è appena diventata mamma di una bambina (il sindaco le ha inviato un mazzo di fiori per salutare la piccola Sara). «Meno male che è femmina, altrimenti mio marito lo avrebbe chiamato Attila». Non ha ancora smesso di studiare. Conosce quasi tutte le delibere a memoria ma non è un vanto, lo dice solo per prendere in giro Piero Fassino: perché è un secchione anche lui. «Chiara studia tutte le delibere, va a letto a mezzanotte e si alza alle cinque del mattino per leggere i giornali, poi va nei mercati di periferia», dice con aria protettiva Paolo Giordana, il quarantenne funzionario del comune di Torino che è rimasto folgorato da quel primo intervento sul patto di stabilità. Mancano sei mesi alle elezioni e sono loro due (insieme ai 250 attivisti del M5S che l’avevano candidata all’unanimità alle primarie di novembre) ad indirizzare quel processo dal basso che potrebbe guastare i piani del partito della nazione tanto caro al presidente del Consiglio.

La convergenza dei due blocchi che per più di vent’anni si sono spartiti il potere non è un’invenzione giornalistica, soprattutto qui a Torino, dove la ricandidatura a sindaco di Piero Fassino è stata appoggiata ufficialmente da Enzo Ghigo — tra i fondatori di Forza Italia e già governatore del Piemonte con il centrodestra — e da Michele Vietti — uomo del centrodestra e già fedelissimo di Pierferdinando Casini. «Se singoli esponenti del centrodestra esprimono un apprezzamento per come ho governato la città, non posso che prenderne atto», ha alzato le spalle Piero Fassino per minimizzare l’operazione partito unico sotto la Mole. L’obiettivo del Pd è vincere al primo turno imbarcando pezzi di centrodestra (e di Comunione e liberazione) per non doversi misurare con il M5S in un ballottaggio che potrebbe risultare disastroso, soprattutto per le ripercussioni a livello nazionale.

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Da qui l’accusa di intelligenza con il nemico rivolta alla lista di sinistra di Giorgio Airaudo che sarebbe colpevole di spalancare la porta ai “barbari” di Grillo e Casaleggio. L’appello del Pd torinese a serrare le fila per dare forma a un’indistinta formazione centrista, con tutte le evidenti differenze del caso, ricorda un po’ la chiamata all’unità nazionale della Francia repubblicana contro il Front National. Ma il piano potrebbe rivelarsi un boomerang: il centrodestra, anche a Torino, è ridotto ai minimi termini (non hanno ancora scelto il candidato) e la delusione dell’elettorato di sinistra nei confronti di Piero Fassino è un fatto epidermico più significativo di un sondaggio; senza contare il fatto che buona parte dell’elettorato del centrodestra al ballottaggio potrebbe anche decidere di scegliere i Cinque Stelle. Ce la farà il Pd? I numeri, per quello che valgono a sei mesi dalle elezioni, dicono che il partito e le varie liste affiliate sono lontani dal 51%. I giochi sono aperti. Hanno paura di perdere. In Piemonte esiste già un piccolo precedente, significativo. Lo scorso anno, nel comune di Venaria, al ballottaggio tra Pd e M5S, la sinistra appoggiò il candidato grillino Roberto Falcone: oggi è sindaco (72%).

Chiara Appendino, con Paolo Giordana, ha scritto un piccolo libro per riflettere su una nuova concezione della politica in chiave post ideologica — La città solidale, per una comunità urbana (Luce Edizioni) — ma non possiamo cominciare da qui per riflettere sulla “transizione possibile”, perché nel libro che contesta l’egemonia dei “valori” del mercato e sposa l’approccio di Adriano Olivetti per «attualizzare una nuova concezione della politica» mancano due capitoli fondamentali per qualunque aspirante amministratore a cinque stelle: il rapporto con i vertici, o capi del movimento, e la selezione di una classe dirigente che non sempre si sta rivelando all’altezza della situazione quando si tratta di amministrare un comune. Parma, Livorno o Quarto forse non sono solo “fatti” di cronaca.

Le note dolenti. «Da quando sono stata eletta non ho mai avuto la sensazione di essere eterodiretta, anzi, semmai di essere lasciata allo sbaraglio, i territori sono molto autonomi. Anche con i parlamentari non ci confrontiamo quasi mai sui temi locali, non sono mai stata orientata su quali decisioni dovessi prendere in consiglio comunale. Ci parliamo, ma discutiamo soprattutto di temi più generali, in questi giorni per esempio ci siamo confrontati sulle unioni civili». Casaleggio? «L’ho sentito una volta dopo la mia candidatura, mi ha chiamato per farmi gli auguri». Chiara Appendino non si nasconde, governare è difficile e la selezione della classe dirigente è un problema molto serio, «ma per tutti, non direi che sono questioni che riguardano solo il Movimento Cinque Stelle».

Per ragionare in termini “post ideologici” con una giovane candidata dei Cinque Stelle bisogna maneggiare con cura un concetto chiave che per brevità chiameremo “sinistra”. Si dovrebbe anche essere disposti a comprendere perché, per una trentenne, oggi non sia così difficile raccontarsi a prescindere da una definizione sempre più svuotata di senso. Eppure, tra le righe di ogni ragionamento che guarda al “bene comune”, si intuisce quasi una sentimento di rivalsa che riguarda proprio il fallimento di quella promessa: «Le storiche divisioni tra destra e sinistra — scrive Chiara Appendino a pagina 6 del suo piccolo libro — sono state definitivamente superate: non esiste un singolo movimento politico di sinistra che abbia governato o che governi nell’occidente sviluppato e non si sia adeguato tanto al linguaggio quanto ai valori del Mercato».

Meglio non incartarsi sulle definizioni. Però qualcuno, nel Movimento, dice che lei sarebbe troppo di sinistra. Il suo collega Vittorio Bertola per esempio (il secondo consigliere dei Cinque Stelle al comune di Torino) che ha deciso di non ricandidarsi in seguito a una polemica su un altro tema scivoloso per il M5S: l’immigrazione. Bertola già si pensava vicesindaco, ma le cose sono andate diversamente.
Il discorso si potrebbe chiudere con la presentazione di certi titoli: «Ho votato per l’abolizione del reato di clandestinità e anche la mozione di Sel che chiedeva la chiusura del Cie di via Brunelleschi». Se non fosse che il tema della sicurezza, anche a Torino, potrebbe infiammare le prossime elezioni, «le periferie sono state abbandonate da questa amministrazione e non possiamo trascurare il fatto che laddove c’è paura dell’altro stanno emergendo sentimenti xenofobi».

I cinque stelle prendono le distanze dalla paranoia securitaria — «non servono più telecamere per presidiare il territorio» — e sognano di rivitalizzare le periferie creando una sorta di centro in ogni quartiere. Sono prudenti, sanno che il terreno è minato. «Stiamo organizzando molti incontri per coinvolgere le persone, non possiamo limitarci a liquidare come razzisti i cittadini che esprimono un disagio, la nostra strategia è l’ascolto, questo è il vantaggio di ripartire dal basso». Ritengono decisivo anche il Comitato Interfedi, un organismo poco utilizzato che già esiste e che dovrebbe favorire l’incontro tra le religioni.

I cinque stelle di Torino si sentono alternativi al Pd anche quando parlano di povertà, disoccupazione giovanile e sostegno alle piccole e medie imprese. Siamo (quasi) in campagna elettorale, logico che abbiano gioco facile nel dire «è colpa loro» se dopo ventitré anni la città è in queste condizioni. «Le disuguaglianze sono aumentate in maniera impressionante — spiega Appendino — e Torino è in sofferenza perché sono i lavoratori ad essere diventati poveri. La disoccupazione giovanile è al 44%, un record per il nord. Le piccole e medie imprese sono in difficoltà mentre in Comune si verificano sprechi inaccettabili». Con un taglio del 30% delle consulenze esterne, spiegano, si potrebbero risparmiare da subito 5 milioni di euro da destinare a un fondo per inserire i giovani nel mondo del lavoro.

A una domanda sola Chiara Appendino (quasi) non risponde. In caso di ballottaggio, come relazionarsi con la lista di sinistra di Giorgio Airaudo? «Il nostro orizzonte è il bene comune, a quel punto decideranno loro se votare per la discontinuità o per la continuità con il sistema Torino». Ecco un altro terreno minato, non solo per loro. È anche per questa possibile e inedita convergenza alle urne che la città della Mole oggi può diventare il laboratorio di un nuovo orizzonte politico. Con questo scenario la nuova sinistra torinese (e non solo) dovrà confrontarsi al più presto, per non rischiare di perdere la bussola. Lacerante, ma è un dibattito aperto.

NO NATO, UN BEL PASSO AVANTI

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 MONDOCANE

SABATO 30 GENNAIO 2016

Aver messo i piedi nel piatto nazionale (e internazionale) dell’indifferenza e della complice sudditanza nei confronti del North AtlanticTreaty Organization è merito del Comitato No Guerra No Nato che ha raccolto e cercato di dare espressione unitaria e istituzionale alle mobilitazioni che, non da ieri, sono state portate avanti da avanguardie e comunità in Sicilia (No Muos), Sardegna (No Nato), Vicenza (No Base Usa), Friuli (No Base Usa) e anche in Val di Susa (No Tav contro la militarizzazione del territorio e del mondo). Aver raccolto queste istanze, come espresse anche in una legge di iniziativa popolare depositata in Parlamento fin dal 2008, e averle interpretate in termini di messa in discussione del Trattato e della sua applicazione, se non dell’immediata uscita dell’Italia (e dell’Europa), quanto meno nell’esame dell’ipotesi e della fondamentale rivendicazione della neutralità del nostro paese, è una grande merito dei parlamentari Cinque Stelle. Tanto più che succede in coincidenza con uno Stoltenberg (forzando un po’: Montagna degli stolti, nomen omen), maggiordomo Nato con il logo SS tatuato sulle natiche, dalla Nato scovato in qualche manicomio criminale, che aveva appena finito di intimarci di spendere di più per agire e perire di guerre e di atomiche. Bella risposta, quella del 29 gennaio a Roma.
Il 29 gennaio, nella sala dei gruppi della Camera, si è svolto un convegno dal significativo titolo “Se non fosse NATO”, che già adombra, al di là delle puntualizzazioni di vario peso dei relatori e convenuti, un’Italia che non abbia subìto dal patto leonino con gli Usa l’affronto alla sua sovranità e alla sua Costituzione. Vogliamo essere fiduciosi e comprendere che una forza politica, inserita negli equilibri parlamentari e con per seguito non un blocco omogeneo, ma una varietà di sensibilità non ancora fuse in prospettiva coerente, non possa adottare la nettezza e immediatezza di proposte di comitati in cui tutti si riconoscono nella stessa parola d’ordine. Il dato di fatto è che un’iniziativa di questa portata non s’era mai vista nel nostro paese, neanche ai tempi del PCI meno consociativo, se non nei programmi delle sinistre extraparlamentari degli anni ’70.
Un impressionante video iniziale ci ha introdotto al tema mostrandoci le scelleratezze compiute nei decenni dai membri di un’organizzazione che è a totale dominio Usa. A partire da un’alleanza che si voleva difensiva, contro eventuali aggressioni dell’URSS, fino all’attuale mostro di aggressività ininterrotta che, prendendo a pretesto un terrorismo di propria produzione, ci trascina di guerra in guerra e distrugge nazione dopo nazione. Manlio Di Stefano, capogruppo M5S della Commissione Affari Esteri ha introdotto e moderato. Mairead Corrigan Maguire, che incontrai negli anni ’70 nel Nord Irlanda in lotta per il riscatto della minoranza repubblicana, quando capeggiò un movimento “contro la violenza di entrambe le parti”, un prologo ai successivi “né-né” spuntati a confondere ragioni e torti in Jugoslavia e altrove, ha dato al consesso l’aura “Premio Nobel” (non so quanto nobilitante alla luce dei tanti che ne furono insigniti). A suo indiscusso merito va assegnato che è stata capace di illustrare la sua esperienza tra i trasognati non-violenti di Siria senza cadere una sola volta nei tossici stereotipi della demonizzazione di Assad e, anzi, attribuendo la responsabilità di quella tragedia interamente a coloro a cui spetta. Andre Vltchek, collega inviato di guerra, ha raccontato alcuni episodi toccanti di vittime di guerre sullo sfondo dell’inevitabile scontro con i media embedded. Il giurista Claudio Giangiacomo ha illustrato la legge di iniziativa popolare da lui redatta.
Alessandro Di Battista ha chiuso il giro di relatori definendo punti e limiti della politica estera del M5S. Alcuni, ovviamente la vorrebbero più audace e aggressiva. Per altri, soprattutto fuori da quella sala, apparirà temeraria e irresponsabile. Tutto sommato credo che, nel panorama della cronica sudditanza italiana al dispotismo militare ed economico della cosca euro-atlantica, rappresenti un bel passo avanti.
Hanno poi dato un prezioso contributo i protagonisti di alcune validissime lotte sul campo, vere punte avanzate della mobilitazione per strappare alla Nato la presa mortale su territori e sull’intero paese ridotto a piattaforma di lancio di guerre imperialiste e avvelenato da poligoni, sperimentazioni di industrie belliche, esercitazioni: Elio Teresi per i No Muos siciliano, ora vittorioso grazie ai sigilli imposti alla base Usa sotto pressione delle grandi lotte del movimento, “Gettiamo le basi” della Sardegna con la storica leader Mariella Cau, Enrico Marchesini di “No Dal Molin”, Valter  Lorenzi di “Disarmiamoli” che, ricordato opportunamente come dalla base Usa di Camp Darby a Pisa siano usciti il rettile Gladio e le varie forme di destabilizzazione terroristica del nostro paese, è poi uscito dal seminato parlando di “imperialismi contrapposti”, laddove lo stesso M5S ha saputo bene distinguere e contrapporre le forze in campo e sottolineare il ruolo positivo di Putin e l’imbecillità strumentale delle sanzioni euro-Nato contro la Russia.
Per il Comitato No Guerra No Nato, assente perché fuori Italia Giulietto Chiesa, Di Stefano ha menzionato un suo messaggio scritto, senza dargli lettura “per mancanza di tempo”. Stessa sorte è toccata ad altre realtà organizzate. Tre minuti sono stati concessi al sottoscritto, intervenuto per No Guerra No Nato, e all’associazione  No War, con Nella Ginatempo. Quanto è bastato per denunciare, anche alla mano di episodi vissuti, dall’Irlanda del Nord ai Balcani alla Libia, il ruolo di istigatore e giustificatore di tutte le guerre, assunto da un sistema mediatico mainstrea. Vero menzognificio  alternativamente correo, complice, o succubo, delle nequizie belliche o “colorate” dell’imperialismo. La prima urgenza in assoluto è il ricupero di quell’informazione libera e corretta che è scomparsa dai radar dopo la guerra al Vietnam. Un’informazione di cui si sono eliminate le voci altre, e dunque la dialettica, ovviamente temendole, distruggendone fisicamente le fonti, a Belgrado, Tripoli, Baghdad, Damasco. O cancellandole dai satelliti, come nel caso di Press TV in Iran. Dopo aver fatto riferimento alla necessità, per non restare spettatori ineffettuali, di non limitarsi a deplorare i crimini di guerra, ma di schierarsi con chi esercita il diritto alla difesa e alla liberazione, contro chi aggredisce, depreda e schiavizza, cosa pervicacemente evitata dai famigerati né-né, avevo esaurito i miei tre minuti.
Peccato. Si sarebbe potuto ancora dire molto. E’ vero che il passo di un Movimento presente su tutto il territorio nazionale, impegnato nella gara elettorale, deve essere misurato sul possibile e sugli eventuali contraccolpi a mosse intempestive. Ma è anche vero che chi agisce in autonomia sul territorio deve avere il passo più deciso e lungo per suscitare quella mobilitazione di massa che occorre a sostegno di battaglie istituzionali.
Oggi il M5S interviene acchè i trattati internazionali siano sottratti all’arbitrio di trattative tra governi, spesso segrete, e rimessi all’autorità del parlamento. Ricorda che il Patto Atlantico prevede la possibilità dell’uscita dei suoi membri dopo vent’anni, ribadisce la preminenza della nostra Costituzione antiguerra su qualsiasi trattato, si batte contro il nucleare e le armi nucleari depositati e pronte all’impiego in un paese che ha escluso queste presenze in un referendum. E questo ce lo mettiamo in tasca.
Ci metteremmo volentieri anche in tasca la contestazione in parlamento delle ben 26 missioni militari condotte dall’Italia sotto il cappello Nato, o Onu, o UE, o multinazionale, la cancellazione degli 80 milioni al giorno e dei 13 miliardi dal 2004 che queste operazioni neocoloniali, tutte sotto padrinaggio Usa, ci costano e ci sono costate. Apprezziamo anche che il M5S è l’unica forza in parlamento e in un deserto sociale animato da poche oasi, si batta contro il trattato-capestro Usa-Ue, TTIP, assalto davvero finale a quanto ci resta di sovranità, autodeterminazione, libertà individuale e collettiva, diritti sociali e ambientali. Trattato di cui la Nato, con la sua ferrea presa politica e militare sulle istituzioni e sul territorio, è garante e strumento impositivo.
Ovviamente, avremmo poco da pretendere dai rapprentanti dei cittadini se non fossimo all’altezza della bisogna in termini di sostegno di massa all’azione politica, attraverso il nostro lavoro di informazione (tipo Pandora tv), coscientizzazione e mobilitazione capillare. I No Muos, No Tav, No Nato, ci indicano la via. E anche la poderosa mobilitazione dei No Triv che si ribellano alla devastazione di mari e territori, alla distruzione di economie vitali, come le vuole un potere sovranazionale di cui la Nato è la pistola nella fondina. Ce la annebbiano fino a farla scomparire, invece, tutti quegli spiaggiati che, un giorno sì e l’altro pure, fanno rinascere, sulle logore pagine del “manifesto”, nanetti da giardino rossi che si definiscono “sinistra di lotta e di governo”. E che non si sono mai sognati, lacrimando sui rifugiati dalle guerre Nato, sui neoliberismi sociocidi in ultima istanza imposti dalla soggezione alla potenza politico-militare Nato, di anche solo pronunciare la parola “Nato”. Non stupisce che su un’iniziativa, che non è esagerato definire storica, voluta da un Movimento  che ha seminato humus e sementi sul terreno inaridito dall’onanismo sinistrato, il “manifesto” non abbia speso una parola, pubblicato un rigo.
Pubblicato da alle ore 18:12

ASSASSINO A CHI? MEMORIA DI CHE? A margine, l’Isis rivisitato

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GIOVEDÌ 28 GENNAIO 2016

Iran, vituperio delle genti e della memoria
Preceduto e accompagnato, dall’arrivo alla partenza, dalla campagna d’ordinanza di vituperi e diffamazioni, ordinata dalla coppia israelosaudita, il presidente iraniano, Hassan Rouhani, ha suscitato l’entusiasmo di coloro che le sue aperture all’Occidente faranno partecipare al banchetto offerto da un mercato di 80 milioni di dinamicissimi abitanti. Ho fatto esperienza diretta e recente dell’Iran (vedi il docufilm “Target Iran”) e dubito che quel popolo intelligente, progredito e fiero, abbia accolto con grande soddisfazione tali “aperture”. Con Ahmadinejad, il governo aveva promosso le classi popolari, rafforzato l’antimperialismo, sviluppato infrastrutture e tecnologia, tagliato le unghie ai ceti famelici, quelli che nel 2009, con la famigerata “rivoluzione colorata”, avevano minacciato di riportare il paese ai nefasti filoccidentali dello Shah, il più spietato dei tiranni, e il più amato in Occidente. Il cedimento al ricatto delle sanzioni che, nelle promesse di Obama e Hillary Clinton, dovranno ritornare non appena l’Iran sgarri dalla retta via “moderata” e inoffensiva (e in parte sono già state rinnovate col pretesto dei missili balistici), ha privato il paese della tecnologia nucleare. Tecnologia rigorosamente civile, con l’arricchimento dell’uranio al 20% (ora ridotto all’inutile 3%), essenziale per energia e medicina, ma assolutamente insufficiente per l’uso militare. Che del resto l’Iran non aveva mai contemplato, avendo firmato il trattato di Non Proliferazione Nucleare (diversamente dall’ipernuclearizzato Israele) ed emesso fatwe contro l’arma atomica.
Il lato positivo è che, per poche ore, l’Italia si è potuta risparmiare l’annuale martellamento di tutte le lobby atlantico-sioniste sulla Giornata della Memoria, con la parossistica strumentalizzazione dell’Olocausto ai soliti fini del tutto impropri (vedi Norman Finkelstein, figlio di genitori periti nei campi, “L’Industria dell’Olocausto”) della distrazione di massa da eventi recenti, comprovati e di una letalità più estesa e in buona parte attribuibili ai figli e nipoti di vittime tramutate in paraventi. Palazzo Chigi, abitato, oltreche da malviventi, da idioti e ignoranti  che non hanno mai visitato né Persepoli, nè musei e mostre d’arte a Tehran, strutture tutte generose di nudi, ha ordinato  di rinchiudere in scafandri di cartone i nostri ignudi di marmo perchè non offendessero il medievale senso del pudore attribuito all’ospite persiano, hanno versato cianuro sulla benzina della lobby. Che ha potuto isterizzare i suoi strepiti con l’accusa ai codardi di aver steso la civiltà occidentale.a tappeto sotto i calzari del levantino oscurantista e ottenebrato. Potendo ancora una volta oscurare sotto ignoranza e diffamazione eurocentrica il dato, evidente a chiunque veda quel paese come l’ho visto io, che l’Iran rispetta i diritti umani e la democrazia molto, ma molto meglio e censura molto meno (vedi il premiatissimo cinema iraniano, spesso assai critico) di questo ipocrita, truffaldino, bigotto e poliziesco Occidente cristiano. Di cui si è fatto ottuso portavoce Marco Travaglio nell’editoriale sul “Fatto” del 28 gennaio, quando, tramutatosi in un criptosalvini, lui che si specializza nelle sacrosante scudisciate ai leccapiedi dei potenti renziani, ha leccato i piedi e tutto il resto ai più ottenebrati e disonesti divulgatori di falsità e pregiudizi sui paesi invisi alle cosche giudaico-cristiane del basso impero occidentale in atto.
Fosse solo questo. La Comunità ebraica di Roma si è indignata anche per la coincidenza temporale della visita dell’infame negazionista (Rouhani non ha mai negato nulla) e pianificatore della distruzione di Israele (mai pianificata. Semmai Ahmadinejad aveva auspicato la fine del regime razzista, esclusivista e genocida, non la distruzione del popolo ebraico) con la concomitante (non proprio, Rouhani era già partito, ma tutto fa brodo) giornata della memoria che ricorda lo sterminio del popolo ebraico. “E’ intollerabile che, mentre un intero apparato è impegnato a mantenere la memoria della Shoah, questa viene passata in seconda scena dalla celebrazione dei negazionisti” (Riccardi Segni, rabbino capo). Con il che, oltre a rinnovare l’accusa mortale di negazionismo, atta a dare forza all’impulso, anche in Italia, a una legge che metta la mordacchia a qualsiasi ricerca storica non conforme, vale a dire a qualsiasi ricerca storica tout court, e ne sbatta in galera i cultori, la lobby inavvertitamente scopre il suo irato risentimento per una pur breve interruzione di una sua, di manovre.
Donne isolate dietro la rete di separazione. Sinagoga, non moschea.
Che è quella di far scomparire con il tambureggiamento sulla Shoah, avvenimento unico nella storia fin dall’ Homo Erectus, alcune cose tanto infime, quanto imbarazzanti. Che so,il settantennale genocidio strisciante di un popolo espropriato sulla sua terra usurpata, sublimatosi nelle ultime settimane nell’assassinio di quasi 200 ragazzi palestinesi perché, da morti, gli hanno trovato un coltello addosso (in Colombia, li chiamano “falsi positivi”, quando ai contadini uccisi mettono accanto un’arma); il tiro a tre Obama-Netaniahu-Saud che va facendo passare il carro carico di jihadisti sui corpi straziati di Libia, Siria, Iraq, Yemen, Somalia, Afghanistan, paesi africani vari; l’impennata militarista di Obama che rioccupa con migliaia di soldati Afghanistan e Iraq e spedisce Forze Speciali, eufemismo per “squadroni della morte” a sostegno dei mercenari Nusra e Isis in fuga davanti all’avanzata delle forze patriottiche irachene e siriane sostenute dai russi. L’infanticidio continuato a Gaza. L’elenco delle nefandezze da nascondere potrebbe continuare da qui a dieci post successivi.
Ma è interessante anche notare come l’arrivo del leader iraniano e la celebrazione sionista dell’unica memoria degna di essere celebrata, siano stati preceduti ed affiancati dalla campagna che marchia di assassino sia Rouhani (nonostante tutta la sua buona volontà, pur sempre poderoso rivale e concorrente in Medioriente dei gemelli democratici saudisraeliani), sia Vladimir Putin. Si tratta di bombe assordanti, di sostanza nulla, ma di grande effetto acustico. Putin “probabile” assassino di Litvinenko secondo l’alto magistrato Sir Owen che sentenzia colpevolezze in base alla sua idea di “probabilità”, ripresa con foga dalla lobby, e Rouhani e tutto l’Iran musulmano (ma scita, di quelli cattivi)  forsennato esecutore di pene capitali. La fonte delle notizia sul migliaio di giustiziati dal governo Rouhani in un anno è un’oscura Ong iraniana dei diritti umani, subito rilanciata al diapason tonitruante da Amnesty International, con l’aggiunta dell’orripilante esecuzione anche di bambini di 9 anni. E così nessuno ha più fiatato, o saputo, dei 57 impiccati dall’amica Arabia Saudita nei primi 20 giorni di gennaio (che, se tanto mi da tanto, il primato mondiale a dicembre non glielo leva nessuno). Oppure degli 8000 giustiziati in tre mesi dai sauditi in Yemen a forza di bombe teledirette dagli Usa e fornite da Roma.
Assassini probabili e assassini indiscutibili
Putin, intollerabile vincitore in Siria e che rimette in sesto un po’ di diritto internazionale, serve a nascondere una manina israelo-italiana nella faccenda dello spione russo al servizio dell’intelligence britannica. Gli ultimi a pasteggiare con Litvinenko non furono due presunti agenti russi, bensì il noto ma sbianchettato pregiudicato Mario Scaramella, che nell’occasione, prudentemente, non toccò né cibo né bevanda. Scaramella, faccendiere attivo in Israele e con la mafia ebraica, condannato per traffico d’armi e attivissimo in quello di sostanze nucleari, è anche il provocatore che imbastì la famosa farsa dell’inchiesta Mitrokhin, con cui si volle attribuire al povero Prodi, militante di tutt’altra affiliazione, la qualifica di spia del KGB. A forza di maneggiare polonio, ne rimase leggermente intossicato anche lui, ma si riprese subito. E tracce di polonio si trovarono sull’aereo British Airways su cui Scaramella andava e veniva da Israele. Il che non impedisce al superlobbista Furio Colombo di omaggiare, insieme al discepolo Leonardo Coen, il governo inglese “che ha fatto luce sulla tenebrosa storia”.
 Ma il discorso va allargato. Vogliamo parlare di assassini? Ma che figura ci fanno Rouhani, che giustizierebbe adulteri e Putin, che ammazzerebbe giornalisti, davanti a un primatista assoluto del masskilleraggio come Obama, che non si preoccupa neanche di dare veste giudiziaria ai suoi omicidi? E i cui omicidi non sono “probabili”, come quel pagliaccio di giudice inglese ha definito quello presunto di Litvinenko, ma certi ed eseguiti con protervia illimitata davanti agli occhi del mondo. Cifre rispettose dell’irritazione amerikana parlano di appena 2000 ammazzati dai droni tra Pakistan e Afghanistan, di cui il 90% riconosciuto di civili. buona parte partecipanti a funerali e matrimoni, perlopiù frantumati dal secondo missile, destinato ai soccorritori. Cifre ammesse dallo stesso Osservatorio dei diritti umani in Siria, messo su dall’intelligence britannico, parlano di quasi 300mila siriani uccisi da quando Nato, Israele e Golfo hanno deciso di far fuori la Siria. E dovremmo mettere sul conto del presidente dell’ “Yes we can” (possiamo ammazzare chi ci pare) anche qualche centinaio di migliaia tra Iraq, Libia, Yemen, Somalia. Tutti con droni, bombardieri e Forze Speciali e senza processi, accuse, avvocati, giudici. Nessun presidente degli Stati Uniti, paese pur votato alle aggressioni belliche e ai genocidi dall’inizio della sua vicenda, si era mai dato una licenza di uccidere di tale portata, qualitativa e quantitativa. E ci deve pure provare gusto, l’uomo del rinnovamento democratico e pacifista, l’uomo dei diritti umani da far piovere ovunque, se è vero che ogni settimana riunisce nello studio ovale tutti i suoi servizi segreti e decide personalmente quali dei sospetti sottopostigli debba essere tolto di mezzo.
 Leader dell’Irgun, inventori del terrorismo
Putin e Rouhani? Ma di cosa stiamo parlando?  Li chiamano assassini? Anzi, Putin è anche corrotto. Secondo il regime più corrotto del mondo, è, nelle parole alate del sottosegretario al Tesoro Usa, l’immancabile israelita Szubin, il più corrotto di tutti i corrotti. Tanto è vero che ha cacciato a pedate gentiluomini dabbene come gli oligarchi Berezkovsky, Khodarkovsky, Abramovic (tutti ebrei, guarda un po’). Eltsin, al confronto, era Catone il censore e, dunque, intimo del regime Usa. Davanti a tanta nequizia, si sono consolati i cittadini Usa che, al 75%, avevano giudicato il proprio governo pervaso e infettato da corruzione.  Ma davvero hanno la faccia come il culo. E’ come se Torquemada desse dell’assassino a Giordano Bruno. E non abbiamo neppure parlato di Netaniahu, o Tzipi Livni, col loro fosforo bianco e le loro SS su Gaza, o tutti i loro predecessori dal 1948, ognuno indefettibilmente killer di massa di prim’ordine. Rischieremmo di mettere in ombra perfino Obama, o la Clinton che, fatti i suoi 100mila morti in Libia, va in estasi mistico-fisica davanti al corpo violato di Gheddafi.
 Ci togliamo però il gusto di un ricordino che sfugge agli specialisti della memoria da far incombere su tutti a perenne spada di Damocle.Tutti colpevoli. In eterno se si è tedeschi. Allora cos’è che non ricordano i nipotini delle vittime del nazismo? Forse che i benemeriti primi ministri Begin e Shamir, erano cresciuti prodi sionisti nella brigata terrorista dell’Irgun? Quell’Irgun di cui i documenti ci rivelano quanto efficacemente abbia brigato con il regime di Adolf Hitler per la soluzione della questione ebraica.Quell’Irgun, levatrice dell’attuale Israele pacifica, democratica e rispettosa dei diritti di popoli e confessioni, che al regime nazista aveva assicurato appoggio nei propositi di dominio europeo in cambio della sua collaborazione nel trasferimento degli ebrei in terra di Palestina?  Sentiamo un po’, non deve essere a tutti i costi mantenuta e nutrita la memoria?
Convegni liberi e convegni in linea
Si intensificano, man mano che ci si rende conto di chi siano i veri criminali di guerra e contro l’umanità, le operazioni di marketing in sintonia con gli sterminatori, spesso organizzate da Ong per i diritti umani e la solidarietà tra i popoli. Relatori la
créme de la créme del giornalismo embedded.e del fiancheggiamento Nato-jihadisti nella distruzione di Libia e Siria e dei rispettivi popoli. Gente che sta con i genocidi dall’inizio della montatura di una ribellione democratica contro Gheddafi e Assad, quando già ratti armati, pagati, addestrati, venivano convogliati da Usa, Israele, Nato, Turchia e tiranni del Golfo, per eliminare dalla faccia della Terra il cuore nobile della nazione araba.
Operazione salutare di verità, internazionalismo antimperialista, sostegno alla sovranità e autodeterminazione dei popoli domenica 16 gennaio, a Campodarsego di Padova. Nell’incontro ottimamente organizzato da Francesca Salvador, mezzo migliaio di persone nel palazzo dei convegni “Alta Forum” hanno ascoltato Giulietto Chiesa in diretta da Mosca dopo il suo Blitz in Siria, Massimo Mazzucco, il famoso demistificatore di tutte le False Flag sionimperialiste, Bruno Ballardini, autore di un libro sull’Isis e il sottoscritto, moderati da Claudio Messora del sito web Bioblù. Il titolo della conferenza “E’ la stampa, bellezza!” era preso da un mio recente post sul blog e ha permesso, alla mano dell’esegesi del menzognificio mediatico occidentale, di spaziare su una serie di argomenti relativi allo scontro planetario in corso per il dominio mondiale dei globalizzatori: guerre appaltate, terrorismo  mercenario, UE, sovranità, TTIP, quadro politico europeo e nazionale, Nato.
Giulietto Chiesa ci ha illustrato una situazione geopolitica all’interno della quale si profila il terzo conflitto mondiale, provocato dall’aggressività dei circoli imperialisti che utilizzano gli Usa e la Nato come strumento per eliminare ogni ostacolo alla marcia verso un dominio mondiale assoluto e totalitario. A questo disegno si oppone con forza la Russia di Putin che, in Siria come in Ucraina, come a livello globale, ha saputo neutralizzare la pretesa statunitense di costituire l’unica e decisiva potenza in un mondo unipolare costruito sulla negazione della sovranità nazionale degli Stati, sulle violazioni costanti del diritto internazionale, sulla produzione di terrorismo e guerre. La brillante oratoria di Mazzucco ha illustrato il filo rosso che lega tutte le maggiori operazioni terroristiche realizzate in Occidente dall’11 settembre di New York ai recenti attentati di Parigi, attraverso le operazioni di Londra, Madrid, Boston, Oklahoma City e molte altre. Tutte realizzate contemporaneamente a esercitazioni programmate dalle autorità dei rispettivi Stati e che si proponevano di simulare proprio quanto poi è avvenuto ed è stato attribuito a terroristi, poi sistematicamente uccisi. Una strategia False Flag finalizzata a promuovere, con la creazione in provetta di un Islam votato alla distruzione dell’Occidente cristiano (fola strumentale che ancora serpeggiava tra alcuni interlocutori del convegno), la cosiddetta guerra al terrorismo, effettiva guerra a chiunque non fosse disposto a sottomettersi alla volontà e agli interessi dei manovratori dell’imperialismo.
L’Isis rivisitato
Ballardini ha scritto e illustrato nell’occasione un curioso libro in cui, per ben 287 pagine è riuscito a non menzionare gli inventori, addestratori, finanziatori, armatori del jihadismo. Viene rappresentato un Isis, o Stato Islamico, autogerminato, autogestito, autoamministrato e autodiretto. Sparisce dal racconto il nubifragio di prove, ammissioni, documenti, rivelazioni che inchiodano Turchia, Arabia Saudita, Emirati, Qatar, Kuweit, Israele, tutti paesi o Nato, o associati, o comunque clienti degli Usa, al ruolo di responsabili del fenomeno sotto padrinaggio Usa e Nato, attraverso finanziamenti, addestramenti, armamenti, rifornimenti, reclutamenti. Accreditare l’Isis come realtà statuale organizzata, in termini di autonomia e indipendenza, da istigatori, reclutatori, manipolatori, finanziatori, armieri, in grado di amministrare territori e comunità, struttura evidentemente del tutto scissa da sponsor esterni (Usa, Nato, Israele, Golfo), è un fenomeno recente e rappresenta un cambio di paradigma. Non si sa quanto innocentemente, o consapevolmente, rilanciato da certi comunicatori.
Mercenariato terrorista, o vero Stato Islamico?
Fino a ieri, ma anche ancora oggi, si trattava di coltivare nel pubblico occidentale deliri prepolitici e tardomedievali sulla minaccia dei mori all’assalto della sedicente “comunità internazionale”. Da cui, dopo gli altri, gli attentati stragisti a Parigi, cuore dell’Europa colta, civile, repubblicana, democratica, erede dell’illuminismo e della rivoluzione. Un Islam feroce, sanguinario e belluino, stragista, torturatore, efferato in tutte le sue manifestazioni. Un Islam che, dopo aver annegato nel sangue e nell’orrore un paese musulmano dopo l’altro, punta alla cristianità (senza paradossalmente mai importunare Israele). I disperati espulsi dalle loro  terre dal feroce Saladino (che così spiana la strada, guarda un po’, proprio al ritorno degli odiati colonizzatori crociati), dovranno essere percepiti tutti come terroristi, attuali o potenziali, che insidiano la nostra tanto civile convivenza, i nostri valori e, soprattutto, archetipo decisivo, le nostre donne. Una liturgia dei “valori occidentali” che passa disinvolta sopra 15 secoli di crimini della cristianità crociata e poi colonialista nei confronti del resto del mondo e, in particolare, del mondo musulmano.
La campagna ha prodotto ottimi risultati. Sugli stati di coscienza alterata di popolazioni narcotizzate passano misure che sarebbero state inammissibili ancora poco tempo fa. Chiusura delle frontiere, assalti polizieschi a rifugiati in stracci, sottrazione di catenine d’oro e dei quattro soldi, quanto rimane dei risparmi dopo il taglieggiamento di scafisti e doganieri, codificazione del reato di fuga dalla morte, espulsioni di massa per avere nei cellulari “immagini di jihadisti”, o in tasca il corano, decerebrazione collettiva, panico di pubblico e isterismo delle autorità, evacuazione della più grande stazione del paese perché un tizio circolava col fucilino giocattolo da regalare al figlioletto. A buttarla nel ridicolo ci voleva un ministro degli Interni con la coppola sulle sinapsi che ha definito la figura di merda “grande dimostrazione di efficienza del sistema di sicurezza”.
Rimanendo seri, si tratta di psicosi collettiva programmata per radere al suolo ogni residua resistenza, o anche solo critica. Mica tanto ai bombardamenti genocidi su popolazioni innocenti, quella si è spenta da anni, ma, più immediatamente, al diluvio di misure liberticide, antidemocratiche  repressive, di sorveglianza e criminalizzazione universale che introducano a uno Stato di Polizia in grado di imporci la seconda “crisi”. Cioè l’ulteriore e definitivo spostamento verso l’alto di quanto resta di ricchezza sociale.
Ma dicevo del nuovo approccio a Isis, Al Nusra, Al Qaida e sigle varie. Per ora marcia in parallelo con la satanizzazione dei tartari in arrivo dal deserto, arabi, africani, o asiatici che siano, comunque musulmani. Mai sottovalutare l’effetto che si può trarre dal profondo della  memoria collettiva, quella di Lepanto (1571), o di Poitiers (732), quando dalle orde musulmane ci salvò Carlo Martello, uno che tagliò più teste lui che tutti i sultani messi insieme. Ma incomincia a serpeggiare un nuovo approccio. E’ esemplificato dal libro di  cui sopra, ma soprattutto in articoli e trasmissioni televisive. Da noi ha incominciato, prendendola alla  lontana, un’associazione pacifista che si è premurata di far sapere al mondo terrorizzato che, dopottutto, quelli di Al Nusra (edizione mediorientale dell’Al Qaida di Bin Laden, massimo bau bau prima dell’epifania di Al Baghdadi), non erano tanto male. Dove erano in controllo si comportavano discretamente e, forse forse, li si poteva anche prendere in considerazione per rimpiazzare il masskiller Assad. Altre Ong si allineano. Ultimamente si è posto in prima linea, “Un ponte per…”. Ong cara al mainstream, a suo tempo venuta alla ribalta con la sconcertante sceneggiata delle due Simone rapite in Iraq (ne ho scritto l’altra volta) e che ora si inorgoglisce a dare ospitalità e credibilità ad alcuni dei più collaudati corifei mediatici dei “ribelli” siriani. Corifei di “diritti umani” come intesi dai terroristi in Libia e Siria, di quelli  che riportino territori e nazioni all’età della pietra. Al tempo dell’assalto alla Libia, nel classico transfert freudiano, a me e a Marinella Correggia hanno dato, a scelta, dei venduti al dittatore, o dei cretini irretiti dalle sue balle. Di sicuro loro prendono i soldi da editori imparziali come la Rai. Noi no.
Il nuovo approccio viaggia in parallelo con la propaganda islamofobica fondata sulle scelleratezze di Isis e affini. Due lame della stessa forbice. Questa è necessaria a mantenere in fibrillazione psicotica i sudditi in Europa e Occidente allo scopo di giustificare, uno, guerre mediorientali e interventi militari in paesi africani troppo intrecciati economicamente a Cina e Russia e, due, i totalitarismi in marcia a casa nostra. Quello serve a preparare il terreno a una legittimazione, in loco e agli occhi delle cancellerie e opinioni internazionali, di un jihadismo riqualificato come “moderato“, per poterne fare il protagonista del disegno di frantumazione degli Stati arabi ancora in piedi. Con il ministro della Difesa, Moshe Yaalon, che dichiara di preferire l’Isis all’Iran (e ovviamente ad Assad), con Netaniahu che abbraccia i jihadisti feriti nelle sue cliniche sul Golan, con i Peshmerga che, dopo averci bisticciato un po’ sulle reciproce fette di Iraq da divorare, cogestiscono con l’Isis la spartizione del paese, con Erdogan che nutre l’Isis e se ne nutre con i traffici di petrolio, non sorprende e, anzi, visti i mandanti della trasmissione, c’era da aspettarselo, che Formigli, su Piazza Pulita, mandasse in onda un forbito e spettacolare documentario di Daish a esaltazione di quanto gli ex-scuoiatori e crocefiggitori fossero diventati bravi. Stessa cosa ha fatto il nostro relatore al convegno. E’ proprio la stampa, bellezza.
Questo documentario, virale in rete, accompagnato da una serie di reportage dai contenuti e obbiettivi analoghi nei media di tutto l’Occidente, viaggia in parallelo, incurante del paradosso, con la caccia al “jihadista della porta accanto” che deve continuare a terrorizzarci e mantenerci succubi, o addirittura collaborazionisti della nostra riduzione a schiavi. La combinazione produce episodi grotteschi. Come quel poveretto di Cosenza che, volendo andare in Turchia e avendo sul cellulare immagini di musulmani cattivi, è stato immediatamente arrestato ed espulso. Pensa che lavoro toccherà ora alle nostre zelanti autorità, al comando dell Obersturmstammfuehrer Alfano, per cacciare dal paese tutti coloro cui è rimasta appesa in rete, o nel telefonino, qualche fotogramma dello tsunami di grandiosi video prodotti da Daish e diffusi, prodigiosamente all’istante, dall’israelita di obbedienza Usa, Rita Katz.
La nuova rappresentazione non mostra più bambinelli che sparano alla nuca di infedeli, non più lame che tranciano gole, non più schiave sessuali dei matrimoni a ore, non più prigionieri in gabbia incendiati o calati nello stagno. Quella resta la comunicazione destinata a tenerci nella condizione di subalterni angustiati, ma  decerebrati complici nella crociata di civiltà contro il male. Ma vi si affianca la proiezione di un jihadismo, totalmente scisso da qualsiasi sponsor, padrino, mandante e che dimostra sul campo di saper essere anche saggio e efficiente governante. Vigili sorridenti che dirigono il traffico, distribuzione di generi alimentari e abbigliamento, scuole che si aprono ai bambini (rigorosamente maschi), cliniche, trasporti pubblici, tribunali, tasse, ricostruzione, gente serena e affaccendata in vite normali. Se ne sparge subliminalmente la sensazione che prima tutto questo non c’era. Che i governi siriano e iracheno erano fossili residui di un oscuro medioevo. E se ne deve trarre la convinzione che, dopottutto, per quei popoli laggiù non tutto il male viene per nuocere e ci si può anche stare.
Tutto questo è lo scaltro perseguimento di un’opinione pubblica internazionale che accetti e approvi lo schema imperialsionista che, per comodità chiamiamo di “Oded Yinon”, primo uomo politico, consigliere del primo ministro israeliano, ex-terrorista, Menachem Begin, a dare compiuta formulazione al disegno strategico della rivincita colonialista e della Grande Israele. La disgregazione degli Stati nazionali arabi lungo linee etnico-confessionali, utilizzando le fin lì laicamente sopite divergenze islamiche, i curdi e altre minoranze.Una Grande Israele che spazzi via, oltre alla storicamente legittimata unità araba, anche i singoli Stati unitari.padroni del petrolio, risorsa vitale per il capitalismo. Un Occidente che trovi spianata la strada all’assedio di Iran, Russia e Cina e alla nuova sottomissione dell’Africa dalle irrinunciabili materie prime. Se domani, oltre ai vari protettorati curdi (escluso l’incontrollabile PKK in Turchia) in via di definizione, si vuole realizzare un Sunnistan, egemone su quelle che risulteranno inoffensive minoranze scite (ovest della Siria, sud dell’Iraq), toccherà pure riabilitare coloro che ne hanno conquistato il territorio su mandato israeliano e occidentale.
Vedrete che pian piano spariranno le immagini e le vulgate delle atrocità jihadiste dalle aree mediorientali  e si diffonderanno sempre più quelle di uno Stato Islamico nascente, razionale e compatibile. Avrà anche cambiato nome. Meno Isis e più Daish. O “Repubblica democratica di Mesopotamia”. Le atrocità terroristiche affidate da Cia, Mossad e servizi sicari ai “fanatici islamisti” le riserveranno a noi. Libri e documentari, come quelli di cui si è trattato qui, ci avranno abituati  e convinti.
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Aggiungo un commento al mio ultimo post, degno di nota e considerazione
 Ho vissuto in Russia, conosco bene i Russi.
Il problema dell’omofobia non ha nulla a che vedere con Putin né con l’attuale politica russa, quanto piuttosto è atavico retaggio cristiano e patriarcale esattamente com’era in Italia fino a qualche anno fa.
L’omofobia è più diffusa nelle aree rurali conservatrici che nelle grandi città dov’è normale incontrare coppie omosessuali che passeggiano mano nella mano. Ne ho viste tante. Una coppia gay vive tranquillamente da 10 anni in un appartamento accanto a quello dei genitori di una persona a me molto cara. Nessuno ha mai pensato di disturbare questa coppia in alcun modo.
Sappiate pure che nelle grandi città russe ci sono taxi notturni messi a disposizione esclusiva della comunità LGBT per permettere a queste persone di ritirarsi dai locali in tutta sicurezza. E che la famosa “legge omofoba” tanto strombazzata dai media occidentali non è una legge contro gli omosessuali bensì una legge contro le marchette minorili maschili, molto diffuse nelle zone più povere e disagiate del Paese. Purtroppo però l’informazione codina si dimentica sempre di contestualizzare i fatti…

Solo un’aggiunta.
I Russi sono mille anni avanti a noi.
E per livello culturale, e -soprattutto- per livello umano.
In Russia ho imparato cosa sia la generosità. Prima non lo sapevo. Qui non l’avevo mai sperimentata.
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P.S. Pressenza, newsletter del Partito Umanista curata da Olivier Turquet, dopo aver dato credito e diffusione al grottesco reportage sul fantastico numero di esecuzioni in Iran, fatto circolare da una Ong iraniana già impegnata per conto di Cia e Mossad nella “rivoluzione colorata del 2009 e ripresa con slancio da Amnesty International, senza minimamente curarsi di una verifica con dati ufficiali, sia del governo, sia dell’ONU, ha anche dato un nuovo contributo alla propaganda Nato sull’intervento risolutore russo in Siria contro i mercenari Nato-Israele-Golfo:Titolo del capitolo: “Vergognoso silenzio della Russia sulle vittime civili degli attacchi in Siria”. Basta la parola. E questo signore voleva farsi capo della comunicazione di un organismo che combatte la Nato.
Pubblicato da alle ore 16:46

Tav. Notte agitata in Val Clarea

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VALSUSA NOTIZIE

Voci indipendenti dalla Val Susa

 

Una cronaca “anonima”. Dialoghi e riflessioni.

Inserito il 30 gennaio 2016

Ennesima iniziativa dei Partigiani Resistenti Non Violenti No Tav ai margini della devastazione della nostra terra nel “cantiere” dei mafiosi protetto da decine di inutili figuri che approfittano della situazione per intascarsi qualche centinaio di euri di trasferta e straordinario. In questa nostra nuova iniziativa no stop su tre giorni e’ stato organizzato un presidio con un telo cerato, un tavolo, qualche termos e un bidone con un fuoco per scaldarsi a circa 300 metri dallo sbarramento eretto dai nostri “tutori dell’ordine” con griglie e sbarramenti di cemento armato assolutamente insormontabili. Qualcuno di noi sta a ridosso di tale blocco e, come spesso avviene, qualcuno lancia un paio di petardi e tre o quattro fuochi d’artificio. Giochi pirotecnici che qualunque ragazzino puo’ comprare in qualunque tabaccheria. Peccato che i giochi di luci del secondo fuoco non si sono ancora spenti che gia’ gli “eroi in divisa” cominciano il bombardamento dei gas lacrimogeni. Cazzo!! Non ho nulla per proteggermi!! Non ho pensato nè a maschera antigas, nè Maalox, ne limoni!! Ma non avrei mai immaginato che un tranquillissimo presidio potesse motivare un tale bombardamento!! Sopra di noi il cielo e’ stupendamente punteggiato di stelle, la luna calante e’ struggente, ma sulla strada sterrata c’e’ un’incredibile, surreale, cinematografica nebbia in cui non e’ possibile respirare/vedere/camminare/cazzocomefaccioarespirare!!!! Stamattina mi viene da chiedermi: Ma sti “fenomeni” non dovrebbero avere delle “regole d’ingaggio”? Potrei capire se “dovessero” disperdere una folla minacciosa e aggressiva e che li mette in possibile pericolo, ma noi stanotte eravamo 3-400 persone a presidiare la nostra terra senza nessuna velleita’ “pericolosa”!! Decido quindi di rientrare: ho ancora una volta “timbrato” presenza come da quindici anni a questa parte. Passo davanti al punto-ristoro. I fumi al Cs sono piu’ radi, ma sono anche qui, a piu’ di 300 metri di distanza, dove ci sono una quindicina di anziani che, nonostante lacrime e colpi di tosse, offrono vin brule’ e torta chiacchierando con tutti come nulla fosse.

Pochi metri piu’ in la’, mi aggrego a una ventina dei nostri, anziani e signore che son sulla via del ritorno. Non passiamo dalla strada sterrata perche’ un’ordinanza prefettizia ne ha interdetto l’uso fino a questa mattina alle sette e quindi arrivati nella borgata San Giovanni di Giaglione decidiamo di passare da un’altra strada piu’ alta, parallela a quella interdetta: non e’ il caso di aggiungere lavoro evitabile ai nostri cari avvocati. Scendiamo a fianco del Municipio e vediamo che ad aspettarci ci sono ben tre blindati che scaricano decine di “playmobil”, svariate pattuglie e macchine anonime con gente della Digos in borghese che ci vengono incontro minacciosamente

FUORI I DOCUMENTI E CONTRO IL GUARDRAIL SUBITO!!! Ma se siamo in una strada pubblica e non interdetta!

NON FATECI PERDERE TEMPO FUORI  I DOCUMENTI!! Fateci vedere i vostri documenti MA VATTINNE CHE TI METTO UNA MANO IN FACCIA!!! Volevamo andare in Clarea, sapete se ci sono casini? No perche’ se ci sono casini noi non andiamo

SILENZIO!! (dopo circa cinque minuti restituiscono i documenti a tutti e quindici). Ora possiamo andare?

SI SI ANDATE ANDATE SIAMO IN DEMOCRAZIA GIUSTO?? UAH!UAH!UAH!UAH! Mi avvio alla macchina parcheggiata mentre i reparti schierati (forse per contrastare i pericolosissimi anziani armati di vin brule’), sbraitano sguaiatamente MA QUANDO ARRIVANO? NON VEDO L’ORA CHE COSI MI SCALDO CON STE MMERDE!!

E’ dal 1977 che frequento piazze e manifestazioni, ma, forse “romanticamente”, mi aspetterei agenti fermi, anche inflessibili, ma con il garbo e l’educazione dato dall’autorevolezza. Cosi’ come sono i poliziotti francesi, che abbiamo conosciuto nella “gita” fatta tempo addietro a Lione. Veri professionisti! Non certo come i “tutori dell’ordine” nostrani: sciatti, ignoranti, maleducati, arroganti, prepotenti, e come dimostrato dalla scorsa notte anche inutilmente violenti e “bombardieri”. Quante serie televisive poliziesche dovranno fare per condizionare in modo subliminale le popolazioni che sanno direttamente come sono veramente questi “poverazzi”? Mi auguro che siano strategie volute. Perche’ nella comodita’ della vacanza pagata al cantiere di Chiomonte, i No Tav rompicoglioni li obbligano a stare fuori nei boschi, al freddo della notte, e quindi prima ci “sgomberano” e prima possono tornare al caldo a guardarsi il “grandefratello2016”. Perche’ se sono prepotenti e maleducati magari gli fai scegliere di non venire piu’ “arompereicoglioni”.

Questi erano i miei pensieri mentre guidavo nella notte della mia Valle. Mi guardavo dentro chiedendomi se ero in colpa per qualcosa, se mi meritavo questi trattamenti da delinquente. Vedevo solo una persona onesta, con ideali, con principi, che paga con le sue tasse gli stipendi a questi loschi figuri. Son contento e mi sento a posto con la mia coscienza e son contento e orgoglioso di essere un No Tav.

CLAMOROSO! RENZI E’ STATO UFFICIALMENTE DENUNCIATO DAL PRESIDENTE DELL’ADUSBEF, ELIO LANNUTTI

http://direttainfo.blogspot.it/2016/01/clamoroso-renzi-e-stato-ufficialmente_28.html

giovedì 28 gennaio 2016

Si mette male per Matteo Renzi. Stando a quanto scrive il ilfattoquotidiano.it , il Premier sarebbe stato denunciato dal Presidente Adusbef, Elio Lannutti.Riportiamo l’articolo:

L’ex senatore Elio Lannutti, presidente dell’Adusbef, ha presentato un esposto. Elencati i big che avrebbero usufruito della depenalizzazione. Oltre l’ex Cavaliere, anche Profumo e Prada.Tra i reati ipotizzati, il falso in atto pubblico.

Una denuncia penale alla Procura di Roma. Con trasmissione degli atti al Tribunale dei ministri. Il tutto per accertare se ladelega fiscale abbia travalicato le normali competenze «costituendo in tal modo un reato commesso nell’esercizio delle funzioni del ministro o del presidente del Consiglio».
Guai in vista per Matteo Renzi, preso con le mani nel sacco per le impronte digitali lasciate sul luogo del “delitto”. E’ stato il premier in persona, del resto, ad ammettere che la famosa “manina” di Palazzo Chigi che aveva scritto le norme più contestate era proprio la sua. Un’ammissione che ora rischia di costargli un’indagine per falso in atto pubblico. Per l’esposto-denuncia presentato dall’ex senatore Elio Lannutti, presidente dall’Adusbef (Associazione di utenti bancari finanziari assicurativi e postali) allaProcura della Repubblica di Roma in seguito alla vicenda della norma salva-Silvio, spuntata la vigilia di Natale nella delega fiscale dopo che il Consiglio dei ministri aveva già deliberato sul provvedimento. L’associazione di Lannutti vuole vederci chiaro e per questo chiede alla magistratura di accertare se con la normativa, «probabilmente scritta da studi legali che difendono imputati eccellenti di frodi fiscali a danno della fiscalità generale e dei contribuenti onesti tartassati», anche per colpa «di evasori che sottraggono circa 120 miliardi l’anno» all’Erario, il premier non sia andato oltre i limiti  delle norme che regolano le sue competenze e la correttezza dei procedimenti legislativi.
La vicenda è nota. Con il pretesto della certezza del diritto nei rapporti tra contribuenti e fisco, la norma voluta dal premier avrebbe finito per depenalizzare, con effetto retroattivo, i reati di frode ed evasione fiscale qualora l’Iva o le imposte sui redditi evase non superassero il limite del 3 per cento rispettivamente sull’ammontare dell’imposta o dell’imponibile dichiarato. Risultato: chi più evade più guadagna, senza rischiare la galera, ma solo sanzioni amministrative. «Chi fattura un milione di euro, poteva evadere fino a 30 mila euro, chi fattura un miliardo poteva evadere, per effetto del 3 per cento, 30 milioni di euro – si legge nell’esposto dell’Adusbef – Uno schiaffo ai contribuenti onesti spina dorsale della fiscalità generale» e un vero e proprio regalo per una serie di famosi personaggi e aziende di primo piano finite nel mirino dell’amministrazione finanziaria e delle procure.
 
Il caso di Silvio Berlusconi, già condannato in via definitiva per frode fiscale e che ovviamente avrebbe beneficiato pure lui del “condono”, non è neppure il più eclatante. Perché, come ricorda Lannutti, quella norma rischiava di far saltare una lunga serie di processi in corso. «Dai presunti fondi neri e tangenti in relazione agli appalti per il Sistri dell’inchiesta Finmeccanica a quella per presunta frode fiscale nella cosiddetta “operazione Brontos”, che vede indagato anche l’ex amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo (si parla di 245 milioni di euro sottratti al fisco dal 2007 al 2009), di cui la Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio nel giugno scorso». Tra i potenziali beneficiari c’è anche la famiglia Riva, già proprietaria dell’Ilva di Taranto, finita nei guai proprio per frode fiscale. Ma c’è anche la famiglia Aleotti, proprietaria della Menarini Farmaceutici, nella bufera per i «178 milioni spesi per acquistare il 4% di Banca Mps», che gli inquirenti sospettano siano arrivati «da 1,2 miliardi di euro accumulati con la contestata truffa sui principi attivi dei farmaci, con la corruzione di pubblici ufficiali e con numerosi reati di frode fiscale». Senza contare i vantaggi che ne avrebbero tratto big dell’imprenditoria «come Prada (ha sborsato 470 milioni, ma la procura di Milano come “atto dovuto” ha ancora aperto un fascicolo per “omessa o infedele dichiarazione dei redditi”, che vede indagati proprio Miuccia Prada, Patrizio Bertelli, e il loro commercialista) e Armani (270 milioni)».

Susa, città spenta e spogliata, alla ricerca di un futuro

29 gennaio 2016

piazza iv novembre

Una città spenta. Così ci sembra oggi Susa,nel suo insieme. Basta passeggiare per le  sue strade per rendersene conto. Nella centralissima piazza del Sole hanno chiuso due bar su tre e ha chiuso anche una antica cartoleria dove negli anni sono passate intere generazioni di studenti a comperare quaderni e penne. Fai due passi e il glorioso cinema è chiuso (per sempre?). Anni fa in quel cinema c’erano anche  delle belle stagioni teatrali. Quante volte è venuto a recitare, per esempio, Gipo Farassino? E così a Susa arrivava gente da tutta la Valle.  La penosa storia del Teatro Civico non va neppure raccontata, tanto umilia tutta la città.

Ma i veri problemi sono quelli del lavoro. A occhio e croce, negli anni Sessanta, la città offriva ancora migliaia di posti di lavoro. Grandi nomi: Assa, Cotonificio, Imp,  Calzificio.

La gente partiva dal Sud e veniva a Susa perché forse un posto di lavoro in “fabbrica” lo trovava. Come si sono chiuse quelle fabbriche in un assordante silenzio, chi ha un po’ di memoria se lo ricorda. Comunque il grande piazzale dell’ex Assa è ancora lì a  dircelo.

piazza d'armi e caserma henry

Da sempre poi  Susa era una città militare. Come se ne sono andati via gli alpini, è storia ancora  recente. Ma non tutte le “piazze”militari sono state trattate così (male). Che pena quel pezzo di caserma Henry mai restaurato. Davvero un bel biglietto da visita. E la caserma Cascino, che dopo il primo rifugio degli albanesi, ve lo ricordate?, è sempre più decadente?

Perso il Tribunale (e il Giudice di pace) la già depressa via Palazzo di Città, che pur è una bella via, sembra avere solo più una vocazione: garage all’aperto.

L’antico mix: lavoro, commercio e turismo, che era (almeno un po’) la fortuna di Susa (la porta d’Italia!), è come un jolly che non ha più in mano.

campanile5

E così non sa più che carte giocare. In una recente intervista al Nostro Tempo l’architetto Virano (quello della Lione/Torino) ha già annunciato che se ne andrà anche l’autoporto e già se ne sta andando la Guida sicura.

Così, più che spenta, Susa ci sembra una città spogliata. Verrebbe voglia di scrivere: il re è nudo (è o non è la città di Cozio?).

Abbiamo almeno  voglia di aprire un dibattito sul presente e il futuro di Susa? O siamo tutti rassegnati, compreso chi scrive?

Passeggiata notturna con lacrimogeni, appuntamenti di Sab 30/01

post — 30 gennaio 2016 at 03:54

clarea2E’ partita alle 21,30 la passeggiata notturna che ha visto centinaia di No Tav riprendere i sentieri della Clarea e con fiera determinazione andare a contestare il fortino militarizzato.

Dopo le prime due ore di osservazione è iniziato il fronteggiamento, con i No Tav impegnati nel lancio di fuochi d’artificio e la polizia nel rispondere con numerosi lacrimogeni fino a rendere, ma solo per pochi minuti, l’aria irrespirabile.

Dopo aver resistito per circa mezzora le prime fila sono rientrate con tranquillità al campo base e mentre vi scriviamo, alle 2,30 di notte, un nuovo attacco ai jersey lungo il sentiero e alla polizia è in corso, con nuovamente un lancio di lacrimogeni verso i No Tav.

Da sottilineare come anche questa volta i tutori dell’ordine non si siano risparmiati arrivando a lanciare, da almeno 30 metri di altezza, pietre sulla testa dei manifestanti.

A nulla è valso l’attacchinaggio fatto stamane dalla questura torinese, al campo sportivo di Giaglione, dell’ordinanza prefettizia che fino a domani mattina alle 7, sabato 30 gennaio, vieta l’avvicinamento al cantiere.

Già nel tardo pomeriggio di oggi erano state montate le strutture per permettere ai No Tav una notte più confortevole e il campo base, così è stato rinominato, è immediatamente diventato luogo di raccolta di varie cibarie e di piacevoli chiacchiere.

I No Tav hanno deciso di rimanere tutta la notte e continuare domani a presidiare i sentieri,  invitano quindi tutti e tutte a partecipare agli appuntamenti:

Sabato 30/01

ore 12 in Clarea al “campo base” (che troverete camminando lungo il sentiero principale) pranzo con i Fornelli in Lotta

ore 19 in Clarea polentata con Mariano&co.

La Resistenza si fa un passo alla volta, tutti insieme.

Avanti No Tav, ci vediamo in Clarea!

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Le ferrovie e il Dipe smentiscono il commissario Foietta

Spinta dal Bass

Le ferrovie e il Dipe smentiscono il commissario Foietta

Le Amministrazioni Comunali di Alpignano, Avigliana, Rivalta di Torino, Sant’Ambrogio di Torino e Venaria Reale richiamano l’attenzione dei media su quanto sotto riportato

Presidenza del Consiglio e Ferrovie smentiscono le affermazioni di Foietta sulla Torino Lione. I Sindaci contrari, interessati dalla tratta nazionale, chiedono al Ministro Delrio quale sia l’interlocutore per il dialogo da lui proposto.

Le parole di Foietta – “Il CIPE dovrà approvare”. E’ quanto sancisce il Commissario di Governo Paolo Foietta, in merito al progetto preliminare della tratta nazionale della Torino Lione. Questa netta affermazione è contenuta nel documento programmatico approvato all’unanimità dall’Osservatorio lo scorso luglio(1).

Nello stesso documento si afferma che è già stato dato “inizio alle attività di progettazione definitiva (RFI-ITALFERR) alla fine del 2014”, grazie ad un “avvio in anticipazione” richiesto dallo stesso Commissario (allora Virano).

Le verifiche dei Comuni – L’iter della tratta nazionale è fermo da anni(2) e l’opera è priva di finanziamento(3). Pertanto, allarmati dalle asserzioni di Foietta, i Comuni contrari della Torino Lione hanno richiesto conferme ufficiali, come illustrato nella conferenza stampa dello scorso 20 novembre(4) .

Le smentite ufficiali a confronto con le affermazioni di Foietta – La risposta del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (DIPE) della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sull’annunciata approvazione del CIPE:

Commissario di Governo Paolo Foietta(1): “Entro l’autunno 2015, il CIPE dovrà approvare, eventualmente in linea tecnica, il progetto preliminare della tratta nazionale, aggiornando il fasaggio (definito il 14.11.2012), sbloccando la Progettazione Definitiva di adeguamento della linea storica Bussoleno – Avigliana e finanziando attività collaterali già contenute nel Progetto Preliminare.

Presidenza del Consiglio dei Ministri – DIPE(5): “[…] si precisa preliminarmente che nessuna proposta d’iscrizione all’ordine del giorno del CIPE del progetto “Cintura di Torino e connessioni al collegamento TorinoLione” è mai pervenuta a questo Dipartimento.”

“Riguardo ai poteri del CIPE, il Comitato è l’unico organo deputato ad approvare i progettipreliminari e definitivi delle opere strategiche e, in quanto organo di derivazione eminentemente politica, opera in assoluta autonomia e nessun organismo terzo ha il potere d’impegnare pro futuro il Comitato ad assumere specifiche decisioni.”

La risposta della Direzione Programmi Investimenti – Direttrice Nord di RFI, sul presunto inizio della progettazione definitiva della tratta nazionale:

Commissario di Governo Paolo Foietta(1): “L’avvio in anticipazione, su richiesta del Commissario di Governo a RFI (8/8/2014), della Progettazione Definitiva della TAPPA 1 ha consentito l’inizio alle attività di progettazione definitiva (RFI-ITALFERR) alla fine del 2014.”

Rete Ferroviaria Italiana(6) : “[…] la presunta e pretesa progettazione definitiva che il Commissario avrebbe preventivamente autorizzato ed RFI/Italferr eseguito, in realtà non è mai stata avviata, in quanto ad oggi non è ancora intervenuta la delibera CIPE approvativa del progetto preliminare.”

Foietta è un interlocutore credibile per il dialogo proposto da Delrio? – Le Amministrazioni di Alpignano, Avigliana, Rivalta di Torino, Sant’Ambrogio di Torino e Venaria Reale sono costrette a prendere atto del contenuto delle risposte ricevute, in base alle quali risulta difficile trovare un riscontro alle importanti affermazioni formulate dal Commissario Foietta e appare arduo ricondurre le contraddizioni emerse a semplici problemi di interpretazione.

In base al mandato assegnatogli dal Ministro Delrio lo scorso 28 ottobre al Lingotto, il Commissario Foietta avrebbe dovuto contribuire a creare condizioni di chiarezza e fiducia, propedeutiche per l’avvio di qualsiasi sede di confronto. Viceversa, l’operato del Commissario contribuisce a suscitare nei cittadini sensazioni di confusione, disorientamento e sfiducia.

I Sindaci di Alpignano, Avigliana, Rivalta di Torino, Sant’Ambrogio di Torino e Venaria Reale hanno indirizzato una lettera al Ministro Delrio, nella quale ribadiscono la loro contrarietà alla Torino-Lione e chiedono un intervento diretto del Ministro per considerare l’operato del Commissario da lui indicato come interlocutore in un eventuale tavolo di confronto.

Dossier Il dossier con la documentazione completa è disponibile sulla homepage del sito internet www.comune.rivalta.to.it

Note e riferimenti

(1) “Programmazione delle attività dell’osservatorio tecnico Torino – Lione – 7 luglio 2015“ – approvazione: www.governo.it/presidenza/osservatorio_torino_lione/riunioni/report.html – documento: www.governo.it/Presidenza/osservatorio_torino_lione/PDF/20150807_PROGRAMMA_OT_DEFINITIVO.pdf

(2) Progetto preliminare RFI, marzo 2011 www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Info/406

(3) Contratto di Programma RFI 2012-2016 www.rfi.it/cms/v/index.jsp?vgnextoid=20bd8c3e13e0a110VgnVCM10000080a3e90aRCRD

(4) Comune di Rivalta di Torino, conferenza stampa 20 novembre 2015 www.comune.rivalta.to.it/interna.asp?idArea=26&idSottoarea=&idTL=&idNews=2920

(5) Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (DIPE) nota Prot. DIPE-0005455-P-17/12/2015 del 17 dicembre 2016: contenuto nel dossier disponibile sulla homepage del sito www.comune.rivalta.to.it

(6) RFI Direzione Programmi Investimenti Direttrice Nord, nota Prot. RFI-DIN.DPI.NORD\A0011\P\2015 843 del 18 dicembre 2015: contenuto nel dossier disponibile sulla homepage del sito www.comune.rivalta.to.it

Tav. Sindaci denunciano le bugie di Foietta

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VALSUSA NOTIZIE

Voci indipendenti dalla Val Susa

Presentati documenti ufficiali che ne smentiscono operato e affermazioni. Il Commissario di governo è un interlocutore inadeguato e inaffidabile. Ribadita la richiesta di confronto tecnico a tutto campo. Denunciate le debolezze dell’intero progetto Torino-Lione: “Si può fermare”. Ma in serata, i sindaci di Avigliana e S. Ambrogio si contraddicono e accettano di continuare nel “dialogo” senza sbocchi con Foietta.

Inserito il 30 gennaio 2016

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di Fabrizio Salmoni

Bugie e disinformazione sono da sempre il metodo dei Commissari di Governo, prima Virano poi Foietta, per dividere i sindaci e l’opposizione popolare alla Torino-Lione. Non è la prima volta che vengono smascherati, ma un’informazione complice non si premura di farlo sapere con l’eguale rilievo con cui diffonde le veline dei devastatori.

Il caso odierno è fornito da cinque sindaci, di Alpignano, Avigliana, Rivalta, S. Ambrogio e Venaria Reale, tutti Comuni usciti dall’Osservatorio tecnico condotto dal Commissario Foietta per polemica contro il suo operato, che smentiscono due cruciali affermazioni del soggetto e ne ribadiscono l’inadeguatezza a svolgere il poco stimabile compito affidatogli, quello di guidare un Osservatorio spopolato di rappresentanti del territorio e di fare opera di sovversione tra i primi cittadini pilotando le compensazioni verso quelli di loro che chinano il capo.

Nello specifico, le affermazioni di Foietta con oggetto la tratta nazionale della linea ferroviaria gestita da Rfi (Rete Ferrovie Italiane) risalgono al Luglio 2015 quando l’agente del Governo, con evidente forzatura, dichiarò:

  1. che il Cipe “avrebbe DOVUTO approvare entro l’autunno il progetto preliminare della tratta nazionale”
  2. che su sua richiesta “l’avvio in anticipazione della progettazione definitiva…ha consentito l’inizio alle attività… alla fine del 2014“.

Affermazioni smentite dal Dipe (Dipartimento per  la programmazione e il coordinamento di Politica Economica della Presidenza del Consiglio) e dalla stessa Rfi in due note separate. La prima del 17 dicembre 2016 in cui si dice testualmente che “…nessuna proposta d’iscrizione all’OdG del Cipe del progetto… e connessioni al collegamento Torino-Lione è mai pervenuta a questo dipartimento...” e che “nessun organismo terzo ha il potere d’impegnare pro futuro il Comitato ad assumere specifiche decisioni“. La seconda rivela che “…la presunta e pretesa progettazione definitiva che il Commissario avrebbe preventivamente autorizzato…non è mai stata avviata”. Brutta figura.

Conclusioni? La solita fuffa mediatica, quella di Foietta, per ingannare una volta di più l’opinione pubblica. La verità è che il progetto non c’è e non ci sono nemmeno i soldi. E Foietta non può essere un interlocutore affidabile. Punto e basta.

I sindaci, affiancati dai tecnici Giunti, Poggio e Tartaglia, veri elementi di forza dell’opposizione popolare alla Torino- Lione, hanno poi aggiunto osservazoni e aggiornamenti sull’intero progetto: ci sono “enormi criticità ambientali e incongruenze operative” nell’annunciata proposta di realizzare una stazione di Buttigliera (Patrizio);  “Tutto è inaccettabile dell’opera perchè devastante per Venaria e perchè gli interessi dei cittadini sono diversi da quelli di chi la propone’“(Falcone); “L’opera è ferma, la tratta francese è rinviata, la parte italiana ad oggi  non è finanziata (Poggio);  Tartaglia si collega alle esitazioni del ministro Del Rio riscontrate al più recente incontro (“…potete anche avere ragione ma l’opera non si può fermare. E’ stata presa una decisione politica…“) per rispondergli: “L”opera si può fermare. Non è stato fatto alcun atto formale che avvii l’opera. Gli appalti riguardano solo le opere preliminari e possono essere rigettati con qualche decina di milioni di eventuali penali a fronte di almeno 20 miliardi di spesa mentre finora è stato speso circa un miliardo. E non ci sono nè penali nè punti vincolanti negli accordi politici da cui ci si può sfilare“.

Tutti ribadiscono con forza a un potere politico ottuso e corrotto la richiesta di un tavolo tecnico di confronto a tutto campo. Con questi tecnici non si dovrebbe aver paura di niente.

Peccato che due degli stessi sindaci (Fracchia- S. Ambrogio e Patrizio- Avigliana) in serata soccombano alle pressioni del Pd di Valle e accettino di continuare il “dialogo” con quello stesso Commissario che al mattino avevano denunciato come bugiardo e inaffidabile. Il commento più benigno che gira in rete: “Mendicanti!”.

(F. S. 30.1.2016)

Così Torino si collegherà con la Genova-Rotterdam

Si sono accorti che la direttrice nord sud e più importante della TorinoLione ?

http://www.lastampa.it/2016/01/29/cronaca/cos-torino-si-collegher-con-la-genovarotterdam-hvjobRNCGX7FidEvOXe5ZI/pagina.html

Ma servono 30 milioni per far passare i container dalla ferrovia 

29/01/2016
maurizio tropeano
torino
Un investimento di 30 milioni per rendere compatibile la linea ferroviaria tra Torino ed Alessandria al passaggio dei container navali e rendere possibile collegarsi con il corridoio Reno-Alpino quello che da Rotterdam arriva fino a Genova.
Lunedì scorso nel corso della riunione dell’Osservatorio tecnico della Torino-Lione il responsabile di Rfi per il Piemonte, Paolo Grassi, ha presentato lo studio di fattibilità degli interventi che potrebbero essere completati – ammesso che si trovino i fondi – in 12 e 18 mesi «in tempo per intercettare l’aumento del traffico merci che arriverà in Piemonte a partire dal 2017 quando diventerà operativo il tunnel del Gottardo in Svizzera», spiega Paolo Foietta, presidente dell’Osservatorio.  

Lo studio di Rfi spiega che per adeguare la linea al transito dei treni merci che trasportano container navali e sostanze pericolose che per motivi di sicurezza non possono transitare dal passante ferroviario di Torino.
Si tratta di adeguare o rifare 12 cavalcaferrovia nella tratta che da Trofarello va ad Alessandria che adesso non permettono il passaggio delle sagome dei container.  

Nel piano di specifica che sono necessari 4 interventi di adeguamento che dovrebbero costare 2 milioni e di otto rifacimenti con lavori per altri 28 milioni.  

«Questi interventi – spiega Foietta – rendono possibile l’utilizzo della linea ferroviaria per trasportare merci da e per il porto di Genova e dovrebbero incrementare il flusso dello scalo di Orbassano in attesa dell’entrata in servizio della Torino-Lione».  

L’intervento sulla linea per Alessandria, servirebbe insomma per rompere «l’isolamento di Torino» e per aumentare il flusso di merci su rotaia che vanno verso il porto di Genova. Senza dimenticare che, almeno secondo i piani dell’assessore ai Trasporti della Regione, Francesco Balocco, questo dovrebbe permettere di «dare più vigore allo sviluppo del nodo di Alessandria».  

La connessione con il porto di Genova e con il corridoio Reno-Alpino rientra nella strategia di Foietta di valorizzare lo sc