Muos, Verzera: «Assolutamente abusivo». Le verifiche? «Un’impasse da cui non si esce»

Pubblicato: mer 20 Gen 2016
Ph. Il Sette e Mezzo

Ph. Il Sette e Mezzo

«L’impianto Muos è assolutamente abusivo». Non usa mezzi termini il procuratore di Caltagirone Giuseppe Verzera nella lunga intervista che ci ha concesso sulla questione Muos, sul Cara di Mineo, l’inchiesta sulla presunta parentopoli nel comune di Mineo e le infiltrazioni mafiose nel Calatino.

Per quanto riguarda il Muos, interrogato sulla certificazione antisismica di cui, secondo quanto rivelato da organi di stampa, la struttura sarebbe carente, Verzera dichiara che«non è stata oggetto di accertamenti nel procedimento penale, perché sovrastata dalla assoluta inedificabilità di quella zona e quindi l’opera comunque è assolutamente abusiva anche se manca il certificato antisismico».

Il procuratore interviene anche sulla ingarbugliata e spinosa questione delle verificazioni dell’impatto dell’impianto sull’ambiente e la salute dei cittadini. Verificazioni di fatto in stand-by, dopo che la Prefetta Maria Teresa Cucinotta di Caltanissetta ha dichiarato l’impossibilità di poter garantire che le verifiche potessero effettuarsi in condizioni di sicurezza per i cittadini. In buona sostanza, nessuno sa se e quanto possa nuocere alla salute il Muos attivato. Per saperlo bisognerebbe testarlo sulla pelle degli abitanti della zona. Ma per il principio di precauzione non si può. L’escamotage di utilizzare i dati forniti dalla Marina americana, senza quindi accendere l’impianto, appare alquanto bizzarra: dare per buone in una controversia le informazioni di parte, giuridicamente non regge.

Su questo punto il giudizio di Verzera è assai netto: «Il fatto che non si è in grado di sapere se anche l’attivazione minimale possa mettere a repentaglio l’incolumità dei cittadini del comune di Niscemi, mi pone un interrogativo: come è possibile verificare se l’impianto inquina se non lo si mette in funzione? Tanto è vero che la commissione incaricata di effettuare la verifica, ha rinviato sine die l’effettuazione di queste verifiche. Penso che ci si trovi in una situazione di impasse dalla quale sarà difficile uscire».

Il procuratore chiarisce inoltre che non è necessario il dissequestro temporaneo dell’impianto per poter effettuare le verifiche. «Per effettuare misurazioni, verifiche non è necessario il dissequestro, è necessaria semplicemente un’autorizzazione del giudice che consenta l’accesso, sotto la responsabilità del custode, del personale preposto ad effettuare le verifiche richieste. Dopodiché escono dall’impianto e vengono nuovamente apposti i sigilli». La struttura Muos ha un custode, che è un alto ufficiale dell’Aeronautica, il quale periodicamente concede agli Americani di accedere all’impianto per effettuare le opere di manutenzione. Similmente è stato consentito l’accesso alla commissione per effettuare la verifica in ordine all’eventuale impatto ambientale che ha la struttura Muos in termini di nocività per gli abitanti della zona.

Giuliana Buzzone – Giacomo Belvedere

INTERVISTA VIDEO

muos

PERSI NEI BOSCHI – PARLA VALERIANO MUREDDU, IL MASSONE CHE MISE IN CONTATTO PIER LUIGI BOSCHI E CARBONI

http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/persi-boschi-parla-valeriano-mureddu-massone-che-mise-contatto-116796.htm

dago

17 GEN 2016 13:54

PERSI NEI BOSCHI – PARLA VALERIANO MUREDDU, IL MASSONE CHE MISE IN CONTATTO PIER LUIGI BOSCHI E CARBONI: “HO FATTO AFFARI CON TIZIANO RENZI E CONOSCO BENE IL PAPÀ DELLA BOSCHI: ERA DISPERATO, COSÌ HO CHIESTO A FLAVIO CARBONI DI AIUTARLO. NEL PUZZLE, PERÒ, VI MANCA IL NOME PIÙ IMPORTANTE”

“Il piano di salvataggio pensato nell’ ufficio di Carboni non andò in porto perché la Banca d’Italia non era d’accordo nel far diventare una Spa la Popolare dell’ Etruria e allora il fondo del Qatar, il Qvs, che avevamo trovato si è tirato indietro. Sono massone, ho aderito all’Umsoi (Unione massonica stretta osservanza iniziatica), ma sono in sonno…” –

Giacomo Amadori per “Libero quotidiano”

VALERIANO MUREDDU

VALERIANO MUREDDU

Il suo rifugio ufficiale sino a poche settimane fa era un’ elegante mansardina nel centro storico di Arezzo. Qui gli uomini dell’ Agenzia delle dogane bussarono nel marzo del 2014 per perquisire la sua abitazione e contestargli i reati di associazione per delinquere, contrabbando oltre a una milionaria evasione fiscale.

Ma negli ultimi tempi di Valeriano Mureddu si sono perse le tracce. Forse perché da settembre è indagato dalla procura di Perugia, insieme con almeno altre cinque persone, anche per la violazione della legge Anselmi, quella sulle associazioni segrete. Infatti con una piccola agenzia investigativa illegale (messa in regola nel luglio 2014, dopo le perquisizioni) avrebbe realizzato dossier su persone e aziende.

Mureddu, 46 anni, è originario di Rignano sull’ Arno, il paese del premier Matteo Renzi, è un massone ed è intimo amico del presunto fondatore della Flavio Carboni. Ma, come ha rivelato Libero nei giorni scorsi, questo uomo dei misteri, ha condiviso diversi affari pure con Tiziano Renzi e con l’ ex vicepresidene di Banca Etruria Pierluigi Boschi.

FLAVIO CARBONI

FLAVIO CARBONI

 Signor Mureddu lei è indagato per colpa di una misteriosa struttura: la Sia.

«Non ha mai operato e non opera nemmeno ora, da quello che so io almeno».

Però quando gli investigatori hanno portato via i dossier della Sia lei gli ha suggerito di lasciarli al loro posto perché era materiale scottante, collegato ai servizi.

«Può essere».

Tra le carte che le hanno sequestrato c’ era pure il numero di telefono di Licio Gelli. È partecipe di qualche suo segreto?

«Non glielo direi nemmeno sotto tortura».

Il suo lavoro qual è?

«Ho relazioni in giro per il mondo. Mi vengono proposti degli affari e io a mia volta li propongo a chi penso che possa portarli a termine».

È amico di Carboni?

«Certo, ci conosciamo da almeno 8-9 anni. Gli voglio bene come a un padre, forse anche di più. Non voglio contraddire quello che dice Flavio…».

FLAVIO CARBONI

FLAVIO CARBONI

Carboni dice che lei lavora per servizi segreti.

«Io non lo sostengo…».

Non ha mai messo in giro questa voce?

«Guardi ho detto quanto basta, poi se la gente si fa i film…Mettiamo il caso che io faccia o abbia fatto qualcosa per aiutare un corpo o un’ istituzione perchè deve essere detto? Che importanza ha?».

Perché ha organizzato delle riunioni nell’ ufficio romano di Carboni con Boschi per trovare un direttore generale per Banca Etruria?

«Ho la disgrazia, forse, di conoscere un po’ di persone. Conosco anche Boschi e l’ ho presentato al mio amico fraterno Flavio».

Pier Luigi Boschi e i vestiti della figlia Maria Elena

PIER LUIGI BOSCHI E I VESTITI DELLA FIGLIA MARIA ELENA

Carboni dice che loro due, poi, si sono visti molte volte.

«Io c’ ero solo in un’ occasione, quando gliel’ ho presentato, poi dopo non so…».

Perché non andò in porto il piano di salvataggio pensato nell’ ufficio del presunto fondatore della P3?

«La Banca d’ Italia non era d’ accordo nel far diventare una Spa la Popolare dell’ Etruria e allora il fondo del Qatar, il Qvs, che avevamo trovato si è tirato indietro».

Quando ha conosciuto l’ex presidente di Bpel Lorenzo Rosi?

«Due anni fa, nel 2014, e poi non l’ ho più rivisto dall’ agosto-settembre dello stesso anno».

Che idea si è fatto di lui?

lorenzo rosi pier luigi boschi

LORENZO ROSI PIER LUIGI BOSCHI

«Di una persona precisa, ma non all’ altezza della situazione e non per mancanza di capacità, ma perché si trovava in una situazione un po’ pesante che non gli permetteva di svolgere il suo lavoro».

Per lei non era un vero banchiere?

«No, non penso proprio».

E Boschi che tipo è?

«Di poche parole, veloce ad arrivare al dunque».

Perché due banchieri, per quanto improvvisati, si sono rivolti a uno senza esperienza nel settore per salvare Banca Etruria?

PIER LUIGI BOSCHI

PIER LUIGI BOSCHI

«Forse hanno visto in me qualcuno che ha una serie di conoscenze in giro per il mondo e quindi adatto per uscire un po’ dalla piazza d’ Arezzo…magari per trovare qualcuno che in pochi minuti potesse parlare con qualcuno altro che dicesse io potrei conoscere tizio».

Lei conosce Matteo Renzi, anche perché siete entrambi di Rignano sull’ Arno. Che cosa pensa di lui?

«Ritengo che sia una brava persona, che ha fatto tutto quello che poteva per cambiare un sistema. Che riesca ad andare avanti è un altro discorso».

Lei ha frequentato pure Tiziano Renzi. Che rapporti avete?

«Mah… da quando il figlio è diventato premier non mi va di andare a disturbare».

tiziano renzi

TIZIANO RENZI

Nel 2007 Tiziano e il suo amico imprenditore Andrea Bacci vendettero un terreno a sua moglie, lo ricorda?

«Come no… Però un pezzo di quel terreno lo presi prima io. Vede che le sue informazioni sono incomplete».

In paese dicono che quell’ acquisto fu per lei poco conveniente.

«Tiziano non mi ha mai dato una fregatura, anzi. È una persona che stimo molto».

Carboni sostiene che lei avrebbe fatto grandi favori sia a Pierluigi che a Tiziano è vero?

«Quello che dice Flavio per me è sempre vero. Mai contraddirlo. Però la gentilezza non va scambiata per altro».

Li ha aiutati solo per amicizia?

tiziano renzi sulla gru

TIZIANO RENZI SULLA GRU

«Si».

Carboni non pare dello stesso avviso: ci ha detto che se lei parlasse di quei favori cadrebbe il governo…

«Addirittura, allora meglio non parlarne».

Lei e Carboni avete frequentato pure Sergio Tulliani, il suocero di Fini. È vero?

«Non ho grande stima di quella persona. Ho preferito non proseguire i rapporti».

Mi risulta che si siano raffreddati pure quelli con Pierluigi Boschi…

«Erano buoni fino a pochi mesi fa, poi non l’ ho più rivisto.  Forse perchè lui non cerca me ed io non cerco lui. Ma non ne ho capito il motivo».

Ritorniamo a Banca Etruria?

«So che è una banchetta».

TIZIANO E MATTEO RENZI

TIZIANO E MATTEO RENZI

Perché ha accettato di interessarsene?

«Ho visto che Boschi e Rosi erano disperati, ho capito il marasma che aveva lasciato la gestione precedente. La situazione era drammatica e a ogni proposta la Banca d’ Italia gli chiudeva la porta in faccia o almeno questo era ciò che percepivo. Li ho visti così giù».

E quindi lei gli ha dato una mano?

«Dovevo dargli una mano per forza».

A quel punto lei ha chiamato Carboni che ha chiamato Ferramonti…

«Ferramonti, chi è Ferramonti?».

Non lo conosce? È l’ imprenditore, amico di Licio Gelli a cui si è rivolto Carboni.

«Boh, non so. Sta parlando di Gianmario?».

Sì. Mi risulta che non abbia preso parte a quelle riunioni…

«E se io le dicessi che a tutte le riunioni c’ era Ferramonti?».

Potrebbe essere interessante…

(Ride)

massoni segreti

MASSONI SEGRETI

Lei è massone?

«Perché negarlo».

Lo sono anche Boschi e Renzi?

«Non ci crederei nemmeno se li vedessi».

Qual è la sua loggia?

«Per fortuna non ho logge io… Ho aderito all’Umsoi (Unione massonica stretta osservanza iniziatica ndr), ma sono in sonno da moltissimo tempo».

Mi suggerisca una domanda cruciale che non le ho fatto…

«Lei mi ha fatto un sacco di nomi, ma non mi ha fatto quelli più interessanti, le mancano dei tasselli fondamentali. Anzi le sfugge il più importante».

Che cosa manca al mio elenco?

«Caro signore le mancano diverse cose. Possiamo parlarne domani? Per oggi basta. Domani la potrò sicuramente illuminare».

UN PASSATO NEI BOSCHI

20 GEN 2016 13:49

UN PASSATO NEI BOSCHI – LA POSIZIONE DI BABBO PIER LUIGI È AL VAGLIO DEI PM PER IL CASO ETRURIA, MA IL ”BANCHIERE CONTADINO” FU INDAGATO SEI ANNI FA PER TURBATIVA D’ASTA ED ESTORSIONE. VENNE DUE VOLTE PROSCIOLTO SU RICHIESTA DEL MAGISTRATO ROBERTO ROSSI, CHE OGGI INDAGA SU ETRURIA (ED È CONSULENTE DI PALAZZO CHIGI)

La vicenda, che fino al 2014 coinvolse Pier Luigi Boschi e altri otto indagati, riguardava la compravendita, nel 2007, di una grande tenuta agricola dall’Università di Firenze. Malgrado il proscioglimento, restano senza risposta due domande, relative a 250mila euro che un successivo acquirente affermò di avere personalmente consegnato a Boschi…

lorenzo rosi pier luigi boschi

LORENZO ROSI PIER LUIGI BOSCHI

DaPanorama‘ in edicola domani

       La posizione di Pier Luigi Boschi, ex vicepresidente di Banca Etruria, è al vaglio della Procura di Arezzo insieme a quella di altri membri del disciolto consiglio d’amministrazione. Non sarebbe comunque la prima volta che il padre del ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, si trova indagato.

andrea scanzi twitta le cariche di pier luigi boschi

ANDREA SCANZI TWITTA LE CARICHE DI PIER LUIGI BOSCHI

       Nel numero in edicola da domani, giovedì 21 gennaio, il settimanale Panorama ricostruisce nei dettagli una vicenda giudiziaria risalente a sei anni fa, nella quale Boschi padre fu indagato ad Arezzo per i reati di turbativa d’asta ed estorsione, e venne per due volte prosciolto su richiesta del magistrato Roberto Rossi, oggi divenuto procuratore della città toscana, nonché lo stesso magistrato che oggi indaga sul dissesto di Banca Etruria e che è stato consulente del governo Renzi.

IL PATRIMONIO DI PIER LUIGI BOSCHI BY FRANCO BECHIS E LIBERO

IL PATRIMONIO DI PIER LUIGI BOSCHI BY FRANCO BECHIS E LIBERO

        La vicenda, che fino al 2014 coinvolse Pier Luigi Boschi e altri otto indagati, riguardava la compravendita, nel 2007, di una grande tenuta agricola posseduta dall’Università di Firenze. Malgrado il proscioglimento, restano senza risposta due domande, relative a 250 mila euro in contanti che un successivo acquirente di parte della tenuta affermò di avere personalmente consegnato a Boschi. Da una parte non si sa dove siano effettivamente finiti quei soldi, ma non si sa nemmeno perché la Procura di Arezzo non abbia mai indagato per calunnia chi affermava fossero stati versati.

ROBERTO ROSSI

ROBERTO ROSSI

Finlandia, ex direttore servizi segreti: se entriamo nella NATO, la Russia reagirà

16:28 20.01.2016

La Russia sta aumentando il potenziale militare, anche se questo fatto non rappresenta una minaccia diretta per la Finlandia. Ma se il Paese entrerà nella NATO, Mosca reagirà sicuramente, ha dichiarato l’ex capo dei servizi segreti finlandese in un’intervista al quotidiano “Huvudstatsbladet”.

La Russia prenderà provvedimenti se la Finlandia si unirà alla NATO: le autorità finlandesi ne dovrebbero tenere conto, ha detto in un’intervista al giornale “Huvudstatsbladet” l’ex direttore dei servizi segreti del Paese Sakari Vallinmaa.

Negli ultimi anni il colonnello ha seguito attivamente lo sviluppo della situazione politico-militare in Russia, ed ha posto l’accento sul rafforzamento delle sue capacità di difesa.

“La Finlandia deve riconoscere che il nostro vicino è una superpotenza, che nell’ultimo periodo ha attivamente allargato il suo potenziale militare, modernizzando gli equipaggiamenti, effettuando le esercitazione precedentemente pianificate e senza preavviso, un fenomeno nuovo,” — discute Vallinmaa.

Tuttavia il rafforzamento del potenziale bellico della Russia non equivale ad una minaccia militare diretta contro la Finlandia, almeno i servizi segreti del Paese non hanno trovato riscontri a questa tesi.

Tuttavia Vallinmaa rileva la decisa posizione della Russia nei confronti della NATO. Ritiene che Mosca da molto tempo cerchi di impedire che Helsinki si unisca all’Alleanza Atlantica. La posizione russa è inequivocabile: se i finlandesi entreranno nell’Alleanza Atlantica, Mosca risponderà, ha affermato sicuro.

Helsinki ne deve tenere conto.

“Naturalmente l’adesione alla NATO è una questione di politica interna per la Finlandia, ma non possiamo semplicemente respingere le pretese di un Paese vicino con una pacca sulle spalle,” — ha chiarito Vallinmaa.

Ha richiamato l’attenzione sull’importanza di un dialogo aperto con la Russia e ha aggiunto che la situazione attuale, in cui la Finlandia collabora con la NATO senza tuttavia spingere per un ingresso, non suscita alcuna reazione negativa di Mosca.

Prima di Capodanno Vladimir Putin aveva approvato la nuova strategia di sicurezza nazionale della Russia, in cui il concentramento delle capacità militari della NATO in Europa orientale viene considerato una minaccia.

Vallinmaa rileva che questa posizione è nota da tempo agli esperti.

“La Russia guarda in altro modo l’ordine mondiale, questo approccio occidentale del momento non va bene,” — ha chiarito il colonnello finlandese.

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“La Polonia sta facendo impazzire le autorità UE”

© AP Photo/ Alik Keplicz

10:56 17.01.2016

Il governo polacco ha iniziato a preoccupare i burocrati di Bruxelles subito dopo la vittoria alle elezioni. Le leggi adottate sono scandalose e vergognose. E’ sorprendente perché la UE non abbia prestato attenzione in precedenza allo stato d’animo del Paese, scrive “Business Insider”.

Il nuovo governo polacco mostra un comportamento irrequieto. Tutto fa pensare che presto per Varsavia sorgeranno seri problemi con il Consiglio d’Europa, scrive “Business Insider”.

Il partito “Legge e Giustizia” aveva introdotto precedentemente delle modifiche alla legge sui media, che assicura al governo un maggiore controllo sui media pubblici.Questi cambiamenti sono così ambigui, che per la prima volta è condotta una verifica sulla legge di un Paese dell’Europa per controllare se vengono rispettati “i valori fondamentali dell’Unione Europea”, ricorda la rivista.

Nessuno poteva immaginarsi che la Polonia, che con successo si è convertita dai principi del comunismo ai valori liberali europei, si sarebbe trovata in una situazione del genere, si afferma nell’articolo.

La situazione attuale ha portato al fatto che la Polonia si scambia taglienti osservazioni con vari Paesi e le istituzioni europee. Varsavia accusa di ingerenza nei suoi affari interni, mentre la Commissione Europea dichiara di fare il suo lavoro, scrive il giornale.

Il governo della destra conservatrice polacca ha iniziato a preoccupare i funzionari europei non appena è entrato in carica. Oltre alle modifiche alla legge sui media, ha approvato la riforma alla legge sulla Corte Costituzionale, ritenuta ostile, limitando l’indipendenza della magistratura. Ai burocrati europei non piace che tutte queste riforme del partito “Legge e Giustizia” si realizzino così velocemente.

“In qualche modo l’Unione Europea e la Germania sono riuscite ad ignorare i sentimenti antidemocratici in Polonia, che si trovavano in superficie. La vittoria di “Legge e Giustizia” li ha colti di sorpresa. Ora la Commissione europea è costretta a comportarsi in modo antidemocratico, controllando le azioni di un governo legittimo eletto. La situazione è molto complicata, “- sottolinea “Business Insider”.

Ciò che preoccupa di più è che le divergenze tra le istituzioni europee e i singoli Stati membri della UE possano diffondersi. In molti paesi della UE crescono i sentimenti radicali e populisti, i partiti estremisti godono del sostegno degli elettori, riassume la rivista.

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Il sindaco Patrizio in merito all’intervista a Foietta

Con riferimento alle recenti dichiarazioni di Foietta, contenute nell’intervista in oggetto che allego, ritengo indispensabile convocare urgentemente il Consiglio dell’Unione dei Comuni al fine di condividere una tempestiva e puntuale risposta di merito.

Con l’occasione vi riassumo quanto segue.

Nel corso dell’incontro con Delrio abbiamo ribadito la nostra contrarietà di sempre all’opera, ritenuta inutile e dannosa, e abbiamo richiesto la sospensione dei lavori. Nelle dichiarazioni finali Plano ha comunicato ai giornalisti che ognuna delle parti è rimasta sulle proprie posizioni.

Giovedì 12 novembre alle ore 21,00 si è riunito il Consiglio dell’Unione per svolgere valutazioni circa l’incontro avvenuto con il Ministro Delrio e decidere se e a quali condizioni partecipare al Tavolo di confronto ipotizzato.

L’esito della riunione, votato all’unanimità dei presenti ( assenti Bussoleno, Mattie, Bruzolo, Vaie ) è stato il seguente ( riporto dai miei appunti e mi scuso per eventuali imprecisioni ) :

Si partecipa al tavolo alle seguenti condizioni

1)      Luogo del tavolo Torino

2)      Il tavolo è politico con supporto tecnico

3)      L’incontro sarà trasmesso in streaming

4)      Il Tavolo discute della possibilità di sospendere l’opera entrando nel merito delle argomentazioni ( opzione zero )

5)      Richiesta di informazioni circa la realizzazione dell’opera di fonte ministeriale, come promesse da Delrio

6)      Richiesta di audizione dei nostri tecnici presso la Commissione Trasporti di camera e Senato

Giovedì 19 novembre alle ore 21,00 Il Consiglio ha incontrato i propri tecnici ( Poggio, Giunti, Vela, Cancelli,Franchino, Tartaglia,Clerico ) e ha ribadito le condizioni per convocare il tavolo di confronto approvate nella riunione precedente ( assenti San Giorio, Chianocco, Mattie, Bussoleno,Bruzolo).

Anticipando la mia posizione, condivisa dell’amministrazione che rappresento, preciso inoltre quanto segue :

Se si esclude l’Osservatorio, riteniamo in generale utile il confronto perché è prerogativa del ruolo rappresentativo dei sindaci e potrebbe restituire al territorio un’attenzione istituzionale e mediatica corretta finora negata. 

La pubblicizzazione delle nostre argomentazioni potrebbe inoltre contribuire a far crescere il consenso dei cittadini circa la contrarietà all’opera ed evidenziare contraddizioni palesi circa la progettualità, i costi economici, i finanziamenti, le modalità di realizzazione dell’opera e il mancato adeguato confronto con la popolazione che rappresentiamo.

La partecipazione ai tavoli non può tuttavia essere fine a se stessa ma deve avere un obiettivo che nel caso specifico non può essere la realizzazione dell’opera o l’accettazione delle compensazioni, in quanto ciò sarebbe contrario a quanto dichiarato esplicitamente nel programma elettorale di “Avigliana Città Aperta”, lista che rappresento.

Ritengo pertanto che la nostra risposta debba partire dalla condivisione dei paletti fissati della riunione del 12 novembre che, considerate le dichiarazioni ripetute di Foietta, non sono compatibili con l’istituzione di un Tavolo, in primis perché egli sostiene di non avere mandato per entrare nel merito dell’opzione zero.

In conclusione, mi sembra del tutto evidente che Foietta non può essere considerato un nostro interlocutore in quanto emerge con chiarezza che il suo obiettivo reale non è il tavolo ma la spaccatura dei sindaci che si oppongono all’opera. 

Auspico che ciò non avvenga in quanto sarebbe un indebolimento del fronte istituzionale che si oppone alla Torino. Lione.

Ribadisco altresì la necessità di una totale autonomia dei sindaci, legittimati dai cittadini sulla base del programma elettorale, tesa ad escludere in modo categorico di farsi strumentalizzare da Foietta così come da qualsiasi altro soggetto interessato a condizionare le loro scelte.

Mi scuso per la lungaggine, Angelo Patrizio

95° Anniversario del Congresso di Fondazione del PCdI – Livorno 21 gennaio 1921

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Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza – per il Comunismo (CARC)
Via Tanaro, 7 – 20128 Milano – Tel/Fax 02.26306454

e-mail: carc@riseup.net – sito:
www.carc.it

95° Anniversario del Congresso di Fondazione del PCdI – Livorno 21 gennaio 1921

Riproponiamo di seguito l’articolo pubblicato su Resistenza n. 11/12 – 2015 in occasione dell’Anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, tratto da “Principi del Leninismo” di Stalin.
Cosa c’entra con la fondazione del PCdI? In verità c’entra molto:

  1. perché mette in un contesto storico e politico il Congresso di fondazione del PCdI del 1921 alla luce dei principi e dei criteri elaborati da Lenin (e ripresi in questo testo da Stalin) riguardo alla natura e ai compiti dei partiti comunisti che furono protagonisti della prima ondata della Rivoluzione Proletaria Mondiale;

  2. perché offre elementi, per quanto in breve, che aiutano i comunisti a ragionare sulla natura che deve avere e suoi compiti che deve assumere il partito comunista oggi (e quindi sul che fare);

  3. perché afferma una concezione dialettica della storia del movimento comunista: marxismo, leninismo, maoismo come tappe attraverso cui si è sviluppata la scienza dei comunisti e, di conseguenza, anche l’organizzazione dei comunisti.

Il PCdI non è stato capace di costruire la rivoluzione socialista sviluppando i risultati che aveva raggiunto, in particolare con la vittoria della Resistenza sul fascismo: fino all’avvento dei revisionisti moderni è un esempio contraddittorio di eroismo, di spinta all’emancipazione, di legame con la classe operaia e con le masse popolari e di limiti e arretratezze ideologiche della sua componente di sinistra (i Secchia), incapace di elaborare e attuare la linea per vincere la lotta di classe di in Italia. Questa contraddizione si riflette nella storia del nostro paese: un grande movimento di conquiste politiche, economiche, culturali e civili e una vasta rete di organismi di massa che hanno caratterizzato il periodo del dopoguerra e una direzione opportunista, revisionista e riformista che ha sedimentato nella classe operaia e nelle masse popolari quelle concezioni che oggi sono inadeguate e nocive a fare fronte alla situazione: l’economicismo (concepire la lotta di classe come insieme di richieste economiche) e il riformismo elettoralista (riporre fiducia nelle autorità e nelle istituzione dei vertici della Repubblica Pontificia).

Il 21 gennaio 1921 è nato il partito comunista di Gramsci, unico grande dirigente comunista italiano di valore internazionale, è nato il partito comunista dei volontari nella guerra di Spagna (di cui quest’anno ricorre l’80° Anniversario), è nato il partito comunista della vittoria della Resistenza.

Come comunisti italiani abbiamo il dovere di studiare e comprendere le differenze del contenuto fra quel Partito Comunista, di cui celebriamo la nascita, e il partito comunista di Togliatti e Berlinguer: la Carovana del (n)PCI ha elaborato un bilancio del movimento comunista nel nostro paese e lo ha riassunto nel Manifesto Programma del (n)PCI di cui consigliamo lo studio.

Quando si leggono commenti alla situazione attuale del tipo “c’è bisogno di comunismo”, per non essere superficiali occorre dire che c’è bisogno del partito comunista, occorre ragionare su quale partito comunista, occorre ragionare guidati dallo spirito e dalla consapevolezza che siamo a pieno titolo in una fase rivoluzionaria in sviluppo.

98° Anniversario della Rivoluzione d’Ottobre

Il Partito è la testa, il cuore e il motore della Rivoluzione

La Rivoluzione d’Ottobre è stata la prima dimostrazione pratica su larga scala che la classe operaia, attraverso il suo partito comunista, può guidare il resto delle masse popolari a fare la rivoluzione e a instaurare il socialismo (transizione verso il comunismo), può fare a meno dei padroni e dirigere un paese molto meglio di loro.

Essa provò, nella pratica, la giustezza della teoria leninista, che da allora venne considerata una nuova e superiore tappa della concezione comunista e più precisamente l’aggiornamento della teoria marxista “all’epoca dell’imperialismo e della rivoluzione proletaria”.

Visto il pattume che la propaganda borghese nelle sue varie salse ha sparso sul “superamento della forma partito”, celebriamo l’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre concentrandoci su uno degli aspetti in cui il leninismo ha sviluppato la concezione comunista: la teoria del partito comunista. Tale teoria definisce chiaramente la natura del partito rivoluzionario, le caratteristiche cui universalmente deve conformarsi nel periodo dell’imperialismo per essere all’altezza del suo compito e guidare il proletariato alla presa del potere. Il partito leninista è un partito concepito per guidare la rivoluzione e instaurare la dittatura del proletariato: è profondamente diverso dai partiti che lo avevano preceduto, quelli della Seconda Internazionale, sorti e cresciuti in un periodo di sviluppo pacifico nel quale la presa del potere non era all’ordine del giorno: questi erano principalmente comitati elettorali per la partecipazione del proletariato alla democrazia borghese, in secondo luogo promotori con i sindacati delle lotte rivendicative del proletariato e in terzo luogo animatori della formazione culturale su larga scala del proletariato.

Di seguito riportiamo alcuni stralci dal testo Principi del leninismo, dove vengono enunciate da Stalin le caratteristiche e la natura del partito elaborate da Lenin e dai bolscevichi. Il testo integrale di “Principi del leninismo” è reperibile in www.nuovopci.it/classic/stalin/princ_leninismo/prilenin.html

Il partito, reparto di avanguardia della classe operaia. Il partito deve essere, prima di tutto, il reparto di avanguardia della classe operaia. Il partito deve assorbire tutti i migliori elementi della classe operaia, la loro esperienza, il loro spirito rivoluzionario, la loro devozione sconfinata alla causa del proletariato. Ma per essere effettivamente il reparto di avanguardia, il partito deve essere armato d’una teoria rivoluzionaria, deve conoscere le leggi del movimento, deve conoscere le leggi della rivoluzione. Se no, non è in grado di dirigere la lotta del proletariato, di condurre dietro a sé il proletariato. (…) Il partito deve porsi alla testa della classe operaia, deve vedere più lontano della classe operaia, deve condurre dietro a sé il proletariato e non trascinarsi alla coda del movimento spontaneo. (…)

Non v’è esercito in guerra che possa fare a meno di uno stato maggiore sperimentato, se non vuole condannarsi alla disfatta. Non è chiaro che a maggior ragione non può fare a meno di un tale stato maggiore il proletariato, se non vuol darsi in pasto al suo nemico giurato? Ma dove è questo stato maggiore? Questo stato maggiore può essere soltanto il partito rivoluzionario del proletariato. La classe operaia, senza un partito rivoluzionario, è un esercito senza stato maggiore. Il partito è lo stato maggiore di lotta del proletariato. (…)

La distinzione fra l’avanguardia e la restante massa della classe operaia, fra i membri del partito e i senza partito, non può scomparire fino a che non saranno scomparse le classi (…) finché elementi provenienti da altre classi affluiranno nelle file del proletariato, finché la classe operaia sarà privata della possibilità di elevarsi, nel suo insieme, al livello del reparto d’avanguardia. Ma il partito cesserebbe di essere il partito se questa distinzione si trasformasse in rottura, se esso si racchiudesse in se stesso e si distaccasse dalle masse senza partito. Il partito non può dirigere la classe se non è legato con le masse senza partito, se non esiste una saldatura tra il partito e le masse senza partito, se queste masse non accettano la sua direzione, se il partito non gode tra le masse di un credito morale e politico. Il partito è parte inseparabile della classe operaia. (…)

Il partito, reparto organizzato della classe operaia. (…) In regime capitalista i compiti del partito sono straordinariamente grandi e vari. Il partito deve dirigere la lotta del proletariato in condizioni straordinariamente difficili di sviluppo interno ed esterno, deve condurre il proletariato all’offensiva quando la situazione esige l’offensiva, deve sottrarre il proletariato ai colpi di un avversario potente quando la situazione esige la ritirata, deve infondere in masse di milioni di operai senza partito, disorganizzati, lo spirito di disciplina e di metodo nella lotta, lo spirito d’organizzazione e la fermezza. Ma il partito può adempiere questi compiti soltanto se esso stesso è la personificazione della disciplina e dell’organizzazione, se esso stesso è un reparto organizzato del proletariato. (…)

Ma il partito non è solo la somma delle organizzazioni di partito. Il partito è in pari tempo il sistema unico di queste organizzazioni, la loro unione formale in un tutto unico, nel quale esistono organi di direzione superiori e inferiori, nel quale esiste una sottomissione della minoranza alla maggioranza, nel quale esistono delle decisioni pratiche, obbligatorie per tutti i membri del partito. Senza questa condizione, il partito non è in grado di essere un tutto unico organizzato, capace di assicurare una direzione organizzata e sistematica della lotta della classe operaia. (…)

Il partito, forma suprema dell’organizzazione di classe del proletariato.

Il partito è il reparto organizzato della classe operaia. Ma il partito non è l’unica organizzazione della classe operaia. Il proletariato ha tutta una serie di altre organizzazioni, senza le quali non può lottare con successo contro il capitale (…) L’enorme maggioranza di queste organizzazioni non sono organizzazioni di partito e soltanto una parte di esse aderiscono direttamente al partito o ne sono una ramificazione. (…) senza di esse è impossibile temprare il proletariato come forza chiamata a sostituire all’ordine borghese l’ordine socialista. Ma come organizzare una unità di direzione, data una tale abbondanza di organizzazioni? (…) Qual è l’organizzazione centrale che non solo è capace, possedendo la necessaria esperienza, di elaborare questa linea comune, ma ha anche la possibilità, possedendo il prestigio sufficiente per farlo, di stimolare tutte queste organizzazioni e mettere in pratica questa linea allo scopo di realizzare l’unità di direzione e di escludere la possibilità di incoerenze?

Quest’organizzazione è il partito del proletariato. Il partito ha tutti i requisiti per questa funzione, perché in primo luogo, il partito è il punto attorno al quale si raccolgono i migliori elementi della classe operaia, che hanno legami diretti con le organizzazioni proletarie senza partito e molto spesso le dirigono; perché, in secondo luogo, il partito. come punto attorno al quale si raccolgono i migliori elementi della classe operaia, è la scuola migliore per la formazione di capi della classe operaia capaci di dirigere tutte le forme di organizzazione della loro classe: perché in terzo luogo, il partito, in quanto è la scuola migliore dei capi della classe operaia, è per la sua esperienza e per il suo prestigio l’unica organizzazione capace di centralizzare la direzione della lotta del proletariato e di trasformare quindi le organizzazioni operaie senza partito, di qualsiasi genere esse siano, in organi ausiliari e in cinghie di trasmissione che lo colleghino con la classe. Il partito è la forma suprema dell’organizzazione di classe del proletariato. (…)

Il partito, strumento della dittatura del proletariato. (…) Il partito non è solo la forma suprema dell’unione di classe dei proletari. Esso è, in pari tempo, uno strumento nelle mani del proletariato per la conquista della dittatura finché questa non è ancora stata conquistata, per il consolidamento e l’estensione della dittatura quando questa è già stata conquistata. Il partito non avrebbe potuto acquistare un’importanza così grande, nè prevalere su tutte le altre forme di organizzazione del proletariato, se il proletariato non si fosse trovato davanti al problema del potere, se le condizioni esistenti nel periodo dell’imperialismo, l’inevitabilità delle guerre, l’esistenza della crisi, non avessero richiesto la concentrazione di tutte le forze del proletariato in un sol punto, l’accentramento in un sol punto di tutti i fili del movimento rivoluzionario, allo scopo di rovesciare la borghesia e conquistare la dittatura del proletariato. (…)

Ma il partito è necessario al proletariato non solo per la conquista della dittatura; ancor più esso gli è necessario per mantenere la dittatura, per consolidarla ed estenderla, nell’interesse della vittoria completa del socialismo. (…)

Il partito è lo strumento della dittatura del proletariato.

Da questo deriva che, con la scomparsa della classi, con l’estinguersi della dittatura del proletariato, deve estinguersi anche il partito.

Il partito, unità di volontà, incompatibile con l’esistenza di frazioni. La conquista e il mantenimento della dittatura del proletariato non sono possibili senza un partito forte per la sua coesione e la sua disciplina di ferro. Ma una disciplina ferrea nel partito non è concepibile senza unità di volontà, senza una completa e assoluta unità di azione di tutti i membri del partito. Ciò non significa, naturalmente, che in questo modo si esclude la possibilità di una lotta di opinioni in seno al partito. Al contrario, la disciplina ferrea non esclude, anzi presuppone la critica e la lotta di opinioni in seno al partito. A maggior ragione ciò non significa che la disciplina deve esser “cieca”. Al contrario, la disciplina ferrea non esclude, anzi presuppone la coscienza e la volontarietà della sottomissione, perché solo una disciplina cosciente può essere effettivamente una disciplina ferrea. Ma finita la lotta di opinioni, esaurita la critica, presa una decisione, l’unità di volontà e l’unità di azione di tutti i membri del partito sono una condizione indispensabile, senza la quale non sono concepibili nè un partito unito, nè una disciplina ferrea nel partito. (…) Il partito è un’unità di volontà che esclude ogni frazionismo, ogni divisione di poteri nel partito. (…)

Il partito si rafforza, epurandosi dagli elementi opportunisti. Fonte del frazionismo nel partito sono i suoi elementi opportunisti. (…) Fare la guerra all’imperialismo avendo alle spalle simili “alleati”, significa trovarsi nella posizione di gente che è presa a fucilate da due parti: di fronte e alle spalle. Perciò la lotta spietata contro questi elementi, la loro espulsione dal partito, è condizione pregiudiziale del successo della lotta contro l’imperialismo. (…) Alla vigilia della rivoluzione e nei momenti della lotta più accanita per la vittoria di essa, le minime esitazioni in seno al partito possono perdere tutto, possono far fallire la rivoluzione, strappare il potere dalle mani del proletariato, perché questo potere non è ancora solido, perché l’attacco contro di esso è ancora troppo forte. Se in un momento simile i capi tentennanti si tirano in disparte, questo non indebolisce, ma rafforza sia il partito, sia il movimento operaio, sia la rivoluzione.

Senza questa definizione teorica e la creazione pratica di un partito di questo tipo non ci sarebbe stata nessuna Rivoluzione d’Ottobre. Per questo motivo leghiamo idealmente, in quest’articolo, l’anniversario dell’assalto al Palazzo d’Inverno a quello della fondazione del (n)PCI: esso rappresenta, per la nostra epoca e il nostro paese, ciò che il partito bolscevico rappresentò per la Russia di inizio ‘900.

Questa somiglianza non va intesa nel senso di una semplice riproposizione del partito bolscevico di Lenin e Stalin, ma nel senso più completo della creazione, frutto di un attento bilancio dell’esperienza del movimento comunista, di uno strumento adatto a costruire e condurre la rivoluzione nel nostro paese (imperialista) e nella nostra epoca (imperialismo, regime di controrivoluzione preventiva).

Esso raccoglie quindi quanto elaborato da Lenin e lo arricchisce dei nuovi criteri apportarti da Mao Tse-tung (il maoismo come terza superiore tappa della concezione comunista) e in generale degli insegnamenti ricavati dallo stesso (n)PCI dall’esperienza del movimento comunista: la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata come strategia universale della rivoluzione proletaria, la linea di massa come metodo di azione, la lotta tra due linee nel partito e la riforma morale e intellettuale dei sue membri come mezzo per contrastare l’influenza della borghesia ed essere all’altezza dei propri compiti, la clandestinità come discriminante per prevenire la borghesia e non dipendere da essa per la sua attività. [leggi sul sito]

L’ultima follia del Pd: “In galera chi vende i gadget di Mussolini”

L’ultima follia del Pd: “In galera chi vende i gadget di Mussolini”

sabato 16 gennaio 2016 – 11:27

Vendere gadget con la faccia di Mussolini, con i fasci littori e le aquile nere potrebbe costare caro, anche il carcere. Almeno secondo le intenzioni del deputato dem Emanuele Fiano. Il parlamentare Pd ha presentato un’assurda proposta di legge che punta a equiparare la vendita di souvenir nostalgici – che inondano mercatini delle pulci di tutta Italia e che in Romagna ha dato vita a un business di nicchia – all’apologia di fascismo. Non solo: con la sua proposta vorrebbe far includere nel codice penale la legge Scelba. Una proposta di chiaro stampo ideologico e senza senso.

Gadget di Mussolini fuori legge. Ma c’è chi la pensa diversamente

Ma non tutti la pensano così. Basti pensare che a Predappio, il Comune che ha dato i natali a Benito Mussolini e meta ogni anno di turisti e stranieri, nei mesi scorsi proprio il sindaco del Pd Giorgio Frassineti, in netta controtendenza col pensiero unico della sinistra,  ha acquistato la Casa del fascio per valorizzarla e farne un Museo del Ventennio. Lui, a differenza dei suoi colleghi di partito, di guerre iconoclaste e ideologiche non ne vuole proprio sentire parlare: è convinto, infatti, che dopo settant’anni dalla morte del Duce certi tabù siano “finalmente” caduti. Ma a sinistra certi temi, come quello dell’antifascismo, fanno sempre breccia. E così, in un momento in cui Pd è coinvolto in scandali e inchieste non hanno altro di meglio  a cui pensare che a sanzionare chi vende gadget nostalgici.

Inserire la legge Scelba nel codice penale

Ecco come Fiano arriva a sanzionare le vendita dei gadget. Fiano non punta a dichiarare direttamente reato il commercio dei gadeget mussoliniani, ma ci arriva in maniera indiretta tirando in ballo, per l’appunto, la legge Scelba. Il deputato dem chiede, infatti, che la legge che fu varata subito dopo la guerra  e che punisce l’apologia del fascismo diventi una norma del codice penale italiano. Se ciò accadesse  immediatamente verrebbero sanzionati  una serie di atti e comportamenti, come la vendita dei souvenir o gadget con chiari riferimento a Mussolini.

Sterminiamo gli evasori! E non restò che l’inferno… Ucraina 1933

http://libertycorner.eu/index.php/2016/01/13/1163/?utm_campaign=shareaholic&utm_medium=facebook&utm_source=socialnetworkPosted on gennaio 13, 2016 da  in Classici // Nessun commento

di Maurizio Blondet

Per ogni gallina che i contadini allevano, devono pagare 3,50 rubli al mese d’imposta al governo, oppure fornire 30 uova. Ho chiesto (ai dirigenti del Partito, ndr) come si poteva pretendere che una gallina faccia un uovo al giorno, e che margine resta al contadino se deve dare tutto il profitto allo Stato. Mi è stato risposto che per ogni gallina dichiarata si deve logicamente ritenere che ce ne siano due non dichiarate


È il 16 maggio 1932, comincia la lotta al kulako. Il viceconsole d’Italia a Kharkhov, Sergio Gradenigo, nel suo rapporto al ministero degli Esteri (Nr.diProt. 262/73), descrive uno dei metodi con cui il regime staliniano espropria i piccoli coltivatori diretti per imporre la collettivizzazione delle terre. È un metodo tributario:

Per ogni gallina che i contadini allevano, devono pagare 3,50 rubli al mese d’imposta al governo, oppure fornire 30 uova. Ho chiesto (ai dirigenti del Partito, ndr) come si poteva pretendere che una gallina faccia un uovo al giorno, e che margine resta al contadino se deve dare tutto il profitto allo Stato. Mi è stato risposto che per ogni gallina dichiarata si deve logicamente ritenere che ce ne siano due non dichiarate.

Vi ricorda qualcosa questo metodo? Questa, diciamo, «cultura fiscale» dei poteri pubblici? Non so voi, ma in questi ultimi tempi mi capita sempre più spesso di incontrare persone che – quando faccio notare che l’eccessiva torchia tributaria, l’esazione del 60% dei profitti che distrugge le imprese, gli artigiani, desertificando l’economia reale – mi rispondono pressappoco così: «Bene, anzi bisogna alzare l’aliquota fino al 100%, così si costringono gli evasori a sputare il dovuto». Invariabilmente, queste persone sono «di sinistra», hanno votato PCI e ora il PD o suoi satelliti, si ritengono progressisti – oppure sono dipendenti pubblici.

È tutto quel blocco di interessi e di potere convinto che il problema dell’Italia non sia l’enorme spesa pubblica parassitaria, lo spreco e la corruzione delle caste pubbliche inadempienti, bensì l’Evasione Fiscale. Che non c’è nessun bisogno di ridurre emolumenti e stipendi scandalosi né di snellire la pletora pubblica – se solo si riesce a metter le mani sul tesoro che l’Evasore Fiscale nasconde all’Agenzia delle Entrate. Tale tesoro occulto viene da essi valutato con sicurezza in 200 miliardi di euro, almeno.

Certo, certo: «Per ogni gallina dichiarata si deve logicamente sospettare che ce ne siano due non dichiarate». Questa resta la dottrina tributaria del Partito, nonché della nostra burocrazia esattoriale. Dite che esagero? Mi pregio ricordarvi che solo pochi mesi fa, il povero Stefano Fassina, viceministro comunista all’Economia, per aver ammesso che in Italia oggi esiste anche un’evasione «di sopravvivenza», è stato aspramente rimproverato , anzi condannato dalla senatrice Anna Finocchiaro, l’intramontabile e più sinistra apparatchik, e costretto all’autocritica. È chiaro che il giovane Fassina aveva violato l’ideologia ufficiale del Partito: non esiste evasione di sopravvivenza, essa resta un delitto capitale. Da Siberia (ah, se tornassero i bei tempi!). 

Conservate lo scontrino fiscale!

Il 16 dicembre 1932 il viceconsole Gardenigo racconta, nel suo rapporto (Nr.diProt. 613/175 Kharkov) come le polizia tributaria sovietica prende in castagna l’evasore fiscale:

Alla porta di un contadino indipendente si presenta una commissione composta di tre elementi; due sono armati di grossi bastoni o di piedi di porco di ferro, il terzo è un membro della GPU. Si chiede al contadino se è in regola con il pagamento delle imposte. Gli si domanda la ricevuta o un documento attestante che ha pagato o versato ciò che è tenuto a dare. Dopo gli si fa notare che queste contribuzioni in denaro o in natura sono state quintuplicate e che perciò deve immediatamente versare quattro volte l’importo che ha già dato, a meno che non preferisca far parte del kolkoz del villaggio. Se rifiuta, entrano in azione i due compari. Cominciano a fracassare la stufa e il camino, poi le finestre, le porte, i mobili e tutto ciò che possono. Segue la confisca di tutto quel che è ancora confiscabile, ossia la vacca e il cavallo. 

Infatti non esiste «evasione di sopravvivenza», come sa ancor oggi la senatrice Finocchiaro. I metodi sullodati ottengono gli splendidi effetti che sappiamo. Il miglior risultato della politica tributaria sovietica: l’holodomor

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Il viceconsole deve segnalare (Nr.diProt. 262/73 Kharkov, 19 maggio 1932) che «sul mercato libero non si vende più nessun tipo di pane, nemmeno quei pezzetti, resti di pasti privati che si potevano comprare nei panieri per 5 kopeki al pezzo, e nemmeno le fette di pane nerastro a 50 kopeki al pezzo. Al buffet della stazione di Poltava si vende un pane confezionato con farina gialla ed altri cereali mescolati a giallo d’uovo, a 12 rubli il pezzo da 250 grammi». 

(Un operaio di fatica prendeva allora da 40 a 60 rubli il mese, un muratore esperto al massimo 200)

Le file di gente che aspettano la distribuzione di pane sono diventate INTERMINABILI, si vedono persone lungo un marciapiede per 300-400 metri. 

Le autorità comuniste devono soprassedere, ma mantenendo una tassazione esorbitante:

Il decreto che autorizza i kolkoziani ad allevare ancora del bestiame per proprio conto ha avuto un successo molto magro, in quanto per ogni vacca si esige una contribuzione allo stato di cinque litri di latte al giorno dietro compenso di 20 kopeki al litro. Dato che una vacca dà in media 10 litri al giorno, il proprietario potrebbe trarre un profitto di un rublo per i primi cinque litri, e di 12-15 rubli per gli altri cinque. Ma dato che doveva tenerne 2 per sè, una bestia poteva renderli al massimo 10 rubli al giorno. E oggi con 10 rubli al giorno non si dà da mangiare a una vacca, perché il foraggio costa di più. Inoltre il capitale investito può, dall’oggi al domani, essere espropriato….

Non so a voi, ma a me anche questo ricorda qualcosa: le «riforme economiche» degli ultimi tempi – da Bersani a Monti, da Letta a Saccomanni a Befera – tipo l’abolizione dell’IMU che diventa un’altra mezza dozzina di tasse, o la messa sulla strada di centinaia di migliaia di esodati per calcolo sbagliato, per incompetenza arrogante, per ignoranza delle vere condizioni dell’economia italiana – e per l’ossessione dii non fare un favore fiscale all’Evasore che cova in ciascun suddito. Dite che esagero? Secondo me, è solo differenza di grado, non di genere: la cultura è quella. La stupidità, identica.

Ben presto anche il quasi pane a 48 rubli al chilo diventa un sogno. I rapporti dei nostri diplomatici evocano sempre più il dilagare di fame, sporcizia, del tifo, parlano di bande armate di ribelli nelle campagne, e la comparsa di torme di contadini spossessati affamati nelle città – accolti con estrema ostilità dalla popolazione cittadina, «spinta da un oscuro sentimento di difesa o dall’odio che la propaganda suscita deliberatamente o da un irresistibile istinto a fare la parte del carnefice». La propaganda bollava questi affamati contadini come evasori fiscali che occultavano il loro grano da qualche parte, «il tutto esacerbato dai mercati kolkoziani dai prezzi esorbitanti»: ecco chi ha colpa dei rincari, della scomparsa del pane! E i cittadini collaborano «volentieri» alla lotta all’Evasione, aiutando la GPU nella «caccia ai contadini ferocemente sferrata dalla polizia per ricacciarli fuori di città». 

Dalla capitale, l’ambasciatore Bernardo Attolico (Telespresso N. 1945/787 Mosca, 19 aprile 1932) segnala: «Ricomparsa dei bambini abbandonati a Mosca». Questi abbandonati dai genitori incapaci di sfamarli (besprizornye), «la cui cifra ufficialmente ammessa a circa 4 milioni era stata riportata a proporzioni quasi nulle a seguito della repressione feroce della GPU nelle grandi retate del 1929-30», sono tornati in massa. «S’è riferito a gennaio che i besprizornye erano numerosi a Tiflis dove hanno commesso delitti crudeli; un membro del GPU locale ne è stato vittima». Questo ha firmato la condanna dei piccoli delinquenti che nello spazio di una notte sono stati completamente sterminati (va ricordato che i besprizornye sono legalmente definiti «fuorilegge» e dunque possono essere massacrati impunemente dal primo venuto). 

… Mendicanti e besprizornye, numerosi a Mosca, sono numerosissimi a Kharkov. Da quel che mi segnala il viceconsole Gradenigo, tutti questi besprizornye sono stati presi a retate improvvise e costretti a partire per destinazione ignota…Si sarebbe impresso a tutti un segno indelebile sulla mano sinistra e si sarebbe ordinato loro di non farsi rivedere a Mosca o a Kharkov sotto pena di essere fucilati.

I resoconti diventano sempre più spaventosi: raccolti perduti per mancanza di braccia – migliaia di braccia sono state deportate o sono morte – villaggi nelle cui isbe si putrefanno cadaveri, penuria eppure sprechi di prodotti agricoli dovuti al caos amministrativo e all’incompetenza presuntuosa dei capi del Partito divenuti dirigenti economisti, perdita dell’80 per cento del patrimonio zootecniuco, e infine l’inevitabile, inimmaginabile:

Nr.diProt. 17/9 Kharkov, 6 gennaio 1933:

… Bisogna aggiungere un commercio sempre più importante di carne umana. I piccoli sarebbero ridotti a carne per salsicce, i grandi da carne per taglio. Due casi del genere sono stati ufficialmente confermati fino ad oggi.

E il 6 agosto dello stesso anno:

… Citerò due casi verificati. Il primo risale a un mese fa. Si stavano raccogliendo a Kharkov ogni notte quasi 250 cadaveri di persone morte di fame e di tifo. Si è notato che moltissimi fra questi non avevano più il fegato, prelevato con un vasto taglio. La polizia ha finito per cogliere sul fatto alcuni dei misteriosi amputatori: hanno confessato che con questa carne confezionavano il ripieno di piroiki (frittelle ripiene) che vendevano poi sul mercato. Il secondo caso s’è prodotto in casa del signor Ballovich, un impiegato del nostro consolato (…) qualche settimana fa s’è presentata una donna che vendeva osso buco…

, immaginate voi il resto. 

Sorvolo perché mi preme raccontare come hanno a tutta prima reagito le autorità comuniste di fronte alla resistenza passiva, poi alla sparizione fisica dei contadini. Quale soluzione hanno cercato? Ah, ma certo!

L’abolizione del contante

Ecco la soluzione. Come non averci pensato prima? 

I contadini (si parla naturalmente solo di kulaki) sono accusati oggi, nelle sedute del PC, di accumulare il denaro, e per conseguenza della rarefazione della moneta; tutto ciò prelude forse, come si dice da qualche tempo, all’abolizione del rublo, che colpirà i kulaki che lo occultano mentre la creazione di una nuova moneta restituirà all’operaio la possibilità di acquistare le derrate sul mercato che gli è oggi chiuso,

scrive il solito viceconsole Gradenigo, il 6 dicembre 1932. 

Insomma: perché non spendete, maledetti kulaki? Perché gli italiani riducono i consumi? Non sapete che così facendo aggravate la recessione?

A Kharkov, segnala ancora il viceconsole,

una delle ragioni per cui i rifornimenti sono insufficienti fino ad oggi e resta insufficiente in tutti i negozi, è la seguente: da qualche tempo la Banca di Stato incassa ogni tre e quattro ore tutto il denaro che le casse dei negozi e spacci accumulano con la vendita al pubblico. La automobili della GPU incaricate del servizio fanno di continuo la navetta rilasciando solo delle ricevute; ricevute con cui le botteghe non possono, beninteso, riapprovvigionarsi di nuove merci. Di qui l’ingorgo e contemporaneamente la penuria di tutto. 

Derrate che marcivano nei vagoni perché nessuno poteva comprarle, come si sono avute derrate marcite nei campi per mancanza di braccia (fisicamente eliminate). Non è geniale, questa idea di andare a riscuotere il denaro dalle imprese ogni 3-4 ore, rilasciando ricevute non spendibili? Non è un astutissimo modo di stroncare l’economia ? Mi domando cosa aspetti Equitalia ad adottare il sistema: perché così gli Evasori Fiscali, dovranno cacciar fuori i tesori che nascondono sotto la mattonella, maledetti!

Queste misure sono solo iniziali. Mentre passano i mesi, la mortalità, dopo lo sterminio nelle campagne, decima la popolazione delle città. «Krasnodar che aveva più di 200 mila abitanti ne ha già perduti 40 mila; 20 mila persone sono perite a Stavropol…». 

Cosa pensate che facciano i dirigenti del Partito? 

Intensificano la lotta all’evasione

Le autorità non prendono alcuna misura per alleviare le condizioni della popolazione. Al contrario, negano l’esistenza della carestia e dicono che si trova del grano: basta cercarlo attorno alle case dei contadini, dov’è stato seppellito. Brigate della gioventù comunista fanno pattuglie apposta per trovarlo, e scavano laddove la terra ha l’aria di essere stata smossa. Effettivamente s’è trovato del grano nascosto in diversi posti, anche in un cortile di villaggio i cui abitanti erano tutti morti.

È, diciamolo, il punto ideale a cui tende l’Agenzia delle Entrate: avere i produttori tutti morti, ma strappar loro l’ultimo sacco di grano.

Ai criminali del Partito del 1933, che mai avevano preso in mano una vanga, nemmeno veniva alla mente il perché quei contadini non avessero divorato quelle granaglie nascoste, ultimo pasto prima di morir di fame. Perché quelle erano le sementi, consumate le quali non ci sarebbe stato nessun raccolto l’anno dopo, l’umanità non avrebbe mangiato, e la sapienza contadina divenuta istinto ordina di salvare le sementi a qualunque costo, anche della vita. Un atto di generosità eroica verso il genere umano, veniva dai persecutori scambiato per sabotaggio ed evasione. 

Victim of the Ukrainian famine/genocide dead from starvation on the streets of Kharkiv 1933

Anche questo mi ricorda (non so a voi) l’azione dell’Agenzia nostrana: perseguitare i piccoli imprenditori fino a ridurli al suicidio, alla distruzione della piccola impresa, ma esigere dalla vedova i tributi da cui il marito aveva sperato di salvarsi con la morte. Più tasse, sovrattasse, interessi di mora e penali.

Come vedete, l’efficienza dei torchiatori tributari aumenta di giorno in giorno, e presto toccherà l’ideale raggiunto in Ucraina nel 1933. Del resto, come segnala Gradenigo, sul giornale Kharkov’skij Proletary il 10 settembre, appare un articolo sulla condizione delle campagne. Un articolo lirico. Comincia così: «Nell’isba del kolkoziano Shevcenko una vita radiosa, facile ed evoluta è apparsa…». Insomma, come ci hanno detto Monti, Letta, Saccomanni: 

La luce in fondo al tunnel

Aggiungo solo due parole sulla fonte delle suddette informazioni. È il volume Lettere da Kharkov: La carestia in Ucraina e nel Caucaso del Nord nei rapporti dei diplomatici italiani. 1932-33, Torino, di un docente italiano, lo storico Andrea Graziosi. Pubblicato in Italia da Einaudi nel 1991, dunque vent’anni fa e allora passato sotto il silenzio che meritavano le opere di verità sulle atrocità del comunismo, è stato ripubblicato in questi mesi in Francia – dove invece ha suscitato molto interesse. [1] Graziosi non ha fatto che trar fuori dagli archivi dello Stato italiano, dove dormivano impolverati, i rapporti dei nostri diplomatici nella Russia staliniana. Oltre all’ambasciata a Mosca (con a capo Attolico), avevamo quattro consolati: a Batum, a Novorissisk, a Kharkhov, ad Odessa, che fu l’ultimo a chiudere nel 1939, alla vigilia della guerra. Documenti eccezionali che danno informazione precisa e circostanziata della tragedia prodotta del regime sovietico.. 

Erano diplomatici dell’Italia fascista; il duce lesse attentamente quelle relazioni (sono da lui siglate). Dopo aver riconosciuto la eccezionale «aderenza ai fatti e l’assenza di ricorso a facili spiegazioni ideologiche» e l’acutezza politica «senza schemi preconcetti» di queste relazioni, Graziosi si sente in dovere di dire qualcosa di antifascista: e si domanda come mai Mussolini non le abbia «utilizzate per la sua propaganda anticomunista», e se la spiega con «una certa affinità» fra le due dittature. 

Osservazione disonorevole per chi la fa, soprattutto se è uno storico di professione. Non solo a quei tempi i rapporti diplomatici erano per essenza riservati, e la loro segretezza era assolutamente rispettata anche per la sicurezza dei redattori, La divulgazione delle atrocità sovietiche sarebbe stata un atto politico inutile per «togliersi una soddisfazione», avrebbe esposto il nostro personale consolare a ritorsioni, accecato i nostri occhi nell’URSS e sicuramente portato ad un incidente diplomatico gravissimo con quasi il solo paese con cui l’Italia Fascista (e la Germania nazista), messe al bando dalle «democrazie» e colpite da sanzioni, avevano buone e normali relazioni diplomatiche. 

Piuttosto, il professor Graziosi avrebbe dovuto porre la stessa domanda alle «democrazie» occidentali: cosa gli riportavano i loro diplomatici? Certo è che tacquero e non denunciarono lo sterminio ucraino, e questo silenzio ebbe talora carattere di omertà e complicità (in Francia governava il Fronte Popolare socialcomunista), in USA una certa specifica lobby di banchieri simpatizzava col sistema leninista, e lo finanziava. [2]

Avrebbe potuto almeno alludere ai silenzi del PCI, alle centinaia di italiani comunisti riparati in quello che credevano il paradiso dei lavoratori e massacrati nel Gulag, spesso su delazione del fuoriuscito numero uno, Palmiro Togliatti. Avrebbe potuto ricordare che uno dei sopravvissuti, il militante comunista Dante Corneli (scappato in Russia per aver assassinato il segretario del Fascio di Tivoli), dopo dieci anni di prigionia nel lager di Vorkuta ) , tornò in Italia nel 1965 a gridare la verità sull’inferno sovietico. Trattato come un lebbroso dal Pci, come un appestato dalla Democrazia Cristiana tesa al compromesso storico, ma non solo: le sue memorie – praticamente un Arcipelago Gulag italiano – furono rifiutate dall’editore Rizzoli, tanto che dovette stamparsele in proprio. Dante Corneli fu ridotto al silenzio, divenne una non-persona nella «libera» Italia degli anni ’70. E Graziosi si interroga sul silenzio del regime fascista….

Facciamo il confronto fra Stalin e il duce? 

Meglio avrebbe fatto, invece di ipotizzare «affinità» tra i due regimi, a lumeggiarne le differenze. Mai e poi mai Mussolini avrebbe potuto anche solo concepire – né il fascismo realizzare – non si dice qualcosa di simile allo Holodmor per eliminare in massa intere classi avverse, ma nemmeno tollerato un solo morto per fame nell’Italia fascista, fosse pure un avversario politico. Nel rigore della Grande Depressione mondiale, anche per le classi misere non mancò il cibo. Mai nell’Italia fascista le botteghe furono obbligate ad esporre in vetrina forme rosse e tonde di formaggio olandese – che erano in realtà modelli di legno verniciato – come scoprirono i fuoriusciti comunisti nostrani appena giunti nel Paradiso dei Lavoratori. 

Là c’erano i morti insepolti che puzzavano nelle isbe, qui la battaglia del grano per conseguire l’autosufficienza alimentare. Di quale affinità si parla? 

Anzi, diciamola tutta. Anche dopo la guerra sbagliata, le devastazioni e i bombardamenti, il regime morendo lasciò ai futuri italiani un’industria aereonautica di prim’ordine, un’industria chimica avanzata, un’industria farmaceutica più che decente, cantieri navali, siderurgia allo stato dell’arte, industria elettromeccanica capace di evolvere in robotica, buone università, apparati di ricerca, un «capitale umano» di competenti ben formati in una scuola destinata a formare classe dirigente modello, il liceo classico di Giovanni Gentile. Ci sono voluti gli ultimi cinquant’anni perché un’ottusa, ignorante classe imprenditoriale privata, una dirigenza politica furbesca e irresponsabile, superficiale ed asservita ad interessi stranieri – ma «antifascista», sia chiaro – per dissipare, svendere, guastare, sprecare e disperdere tutto questo patrimonio umano, tecnico e patriottico. 

C’è voluto un costante sforzo tenace di antifascisti, intensificato fino alle ultime «lenzuolate» di Bersani, le «riforme» di Monti e quelle della Fornero (il regime fascista non venne mai meno alle obbligazioni contratte verso il lavoro italiano, rifiutando di pagarne le pensioni, nemmeno a Salò), e le escogitazioni tributarie di Befera per farci regredire come siamo, un popolo corrotto, smarrito, senza più risorse e senza prospettive. Solo da pochi giorni infatti l’Italia, a forza di scendere, è caduta dietro la Russia che sale nella graduatoria del prodotto lordo pro capite.

Saggio di Maurizio Blondet,  apparso nel dicembre 2013 sul blog “Rischio Calcolato

Note

[1]  La versione francese, si può leggere sul web qui.
[2] Nel rapporto N. 474/106 Kharkov, 31 maggio 1933, il viceconsole Gradenigo si domanda «come mai il mondo resti indifferente a una simile catastrofe» e risponde: il mondo «tace pudicamente di fronte a questa macelleria organizzata dal governo sovietico, nella quale (macelleria) gli ebrei hanno un ruolo molto importante, anche se non di primo piano». Poi aggiunge: «In effetti non è dubbio che 1) la fame è causata da una carestia organizzata e voluta per dare una lezione ai contadini, e 2) che nessun ebreo si trova fra le vittime, al contrario questi sono tutti grassi e ben nutriti, nel girono fraterno della GPU». E infine, il console ricorda quello che gli ha detto «un ebreo, pezzo grosso della GPU locale»: i contadini sono «materiale etnografico che deve essere rimpiazzato». E’ il solo accenno che Graziosi giudica «antisemita» nelle relazioni del nostro personale consolare. Poi c’è, ma molto più tardi, nel 1938, il rapporto del console di Odessa Gino Scarpa: riferisce che le purghe staliniane del 1937 vengono interpretate dai russi come la liquidazione, da parte di Stalin, degli ebrei di cui s’era servito per lo sterminio in Ucraina. Qualche mese dopo, Scarpa segnala «arresti in massa di ebrei nel Donbass», la NKVD (nuovo nome della GPU) «purgata dai suoi giudei» e treni carichi di ebrei diretti verso la Siberia. Antisemitismo? Era la pura verità. A parte che il vero artefice tecnico delle atrocità staliniane, Lazar Kaganovic, era ebreo e restò a fianco del dittatore come numero 2. 

Stato dell’arte nelle lotte, movimenti e penetrazione delle società: che fare?

movimentopost — 20 gennaio 2016 at 17:23

di Mattia Fonzi per news-town.it

sangiorionotav

Quindici anni dopo il G8 di Genova, le lotte autenticamente dal basso e i movimenti popolari in Italia sono cambiati. Mutati sono i metodi di approccio al territorio e alle battaglie; mutati, almeno in parte, sono i soggetti che le ingaggiano. Mutate, in alcuni casi, sono persino le esigenze.

Alcuni dei movimenti territoriali attivi oggi da Nord a Sud, si sono incontrati il weekend scorso a Susa (Torino), nel mezzo di quella Valle di Susa che per molti rappresenta l’esempio più emblematico di come si dovrebbe ingaggiare e condurre unabattaglia in difesa dei beni comuni su un determinato territorio.

C’erano i movimenti che si oppongono alle trivellazionipetrolifere nella metà delle regioni italiane, c’era chi in Sicilia lotta addirittura contro gli strumenti tecnologici della guerra planetaria, come nel caso dei No Muos, c’era chi si oppone al terzo valico del Tav in Liguria, chi all’autostrada pedemontana in Brianza e chi all’Aquila, con un paradigma leggermente diverso rispetto ai precedenti, non lotta contro specifiche grandi opere, ma sta tentando di costruire un terreno sociale e culturale per unaricostruzione post-sisma [in senso lato] diversa.

Ascoltando le diverse esperienze, si aveva la sensazione di essere immersi in una fase di introspezione cruciale: la percezione comunitaria di sentirsi come accerchiati da chi vuole devastare, arricchirsi e speculare sul proprio territorio. La Basilicata come il Delta del Niger, compiendo un azzardato volo pindarico terzomondista, e facendo, ovviamente, le dovute proporzioni. Si ha insomma il sentore che da Paese colonizzatore e industrializzato si stia passando a Paese in parte colonizzato. Con tutte le storture e le falle di una tipica fase di transizione: la difesa delterritorio dal petroliere di turno, e contemporaneamente la difesa delle fasce più strumentalizzate della società [migranti in primis] dal territorio e dalle sue comunità.

Battaglie che partono dalle viscere della popolazione, che spesso trovano come prime e più agguerrite avversarie le istituzioni locali e quella sorta di potere feudatario (e fiduciario dei governi centrali) pre-costituito. Battaglie che hanno tutte un elemento forte comune: l’aggressione politica, economica e speculativa ai territori e, conseguentemente, alle comunità che li abitano.

In questi anni i movimenti di lotta delle popolazioni sono stati sfiancati: dalla repressione giudiziaria sempre più dura; dai tanti, troppi fronti aperti – legati alla difesa ambientale e alle fasce economicamente più deboli, soprattutto – ma anche dalle divisioni interne tra chi, sostanzialmente, spingeva per un elettoralismo esasperato e, diciamolo, anche totalmente infruttuoso; e chi vedeva l’unica via nell’arida spettacolarizzazione del conflitto. “Che fine hanno fatto i movimenti?“, in molti si sono chiesti, e si continuano a chiedere.

Questi aspetti hanno notevolmente indebolito i soggetti che operavano, e operano, nelle grandi città. Certo, negli agglomerati urbani più importanti, il seme è rimasto, e la consapevolezza politica – e anche lo studio della politica – permangono ancora forti. Ma c’è più difficoltà ad avvicinare un individuo sempre più chiuso in se stesso.

E poi c’è la provincia, dove vive la maggior parte della popolazione. Ed è lì che si agisce, ancora in difesa degli attacchi speculativi. Sicuramente in maniera sfilacciata, certamente senza la capacità di costruire forti reti relazionali – e proprio questo era motivo e obiettivo dell’incontro in Valle di Susa – ma certamente con paradigmi diversi rispetto a quelli della metropoli, per forza di cose.

Le relazioni sui territori meno densamente abitati sono per definizione più intense. L’atomizzazione dell’individuonella vita quotidiana esiste anche lì, ma è meno totalizzante. La lotta abbraccia dunque molteplici aspetti della vita delle persone: in Val di Susa si è costruita negli anni una rete solidale e mutualistica che permette a coloro (e sono tanti) che si oppongono alla costruzione del Tav, di compenetrarsi nella e con la società, fino ad esserne diventata, con l’attraversare del tempo, la parte maggioritaria.

E’ questa la sfida per il cambiamento del vento politico, culturale e sociale dei prossimi anni. E lo è anche alla luce delle caratteristiche del nuovo potere liquido, quello che qualcuno chiamerebbe smart. Un governo centrale sempre più aperto – apparentemente – alla società civile, che dà continuamente colpi ai cerchi e alle botti, al fine di soffocare sul nascere dissenso e conflittualità, e che rappresenta la faccia uguale e contraria alla medaglia berlusconiana che ha guidato il Paese per un ventennio: autoritaria, arrogante e reazionaria. Un ventennio che ha avuto, in alcune delle sue fasi, l’involontario merito di radicalizzare chi è invece oggi più moderato, perché caduto nella ragnatela di una socialdemocrazia parlamentare che si apre apparentemente sempre al confronto, e quindi riesce a tenere buona quella parte dell’opposizione popolare che si fida di lei. In altre parole, una socialdemocrazia che ha il (solo) merito di sopprimere il conflitto sociale, linfa vitale di cui si dovrebbe nutrire ogni comunità, per ristabilire bilance dei poteri e delle diseguaglianze.

La sfida della penetrazione sociale è ardua, e le possibilità di vittoria dipendono anche dall’humus dei territori. Costruire reti mutualistiche reali, creare reddito dal basso per la sopravvivenza dei territori (soprattutto quelli periferici), abbracciare le tante sfaccettature della società comunitaria che vive un circoscritto territorio: sono tuttepratiche politiche da intraprendere per iniziare finalmente a seminare.

Se, dopo 25 anni di battaglie, si può affermare senza ombra di dubbio che la comunità valsusina sia decisamente contraria al Tav, è perché il potere ha involontariamente e maldestramente deciso di bucare una montagna su un territorio che è sempre stato terreno di attraversamento infrastrutturale (già ora c’è un’autostrada, due statali e una ferrovia veloce a doppio binario da e per la Francia) e, conseguentemente, terreno di attraversamento di persone, di attacco e di difesa dei territori. Da quando le comunità antiche costruivano i borghi sulle creste (anziché sul fondovalle, perché quest’ultimo veniva attraversato dalle orde barbariche) fino ai periodi più recenti della lotta partigiana e della sinistra extraparlamentare, presente in gran forza negli anni Settanta e Ottanta in quella zona.

Non tutti i territori hanno queste stesse caratteristiche. Non tutti hanno una storia di resistenza e, anzi, molti sono spesse volte stati terra di conquista. Per questo si rende oggi necessaria la costruzione a medio e lungo termine dicontropoteri e di alternative sociali e popolari alla vita nelle comunità italiane.

Per fertilizzare la terra, compenetrarsi con le società, e uscire da un impasse che i soggetti che per scelta sono fuori dalla politica istituzionale vivono da tanto, troppo tempo.