Intervista a Foietta: “Aspetto una risposta da Plano, non da Bussoleno”

martedì, gennaio 19, 2016
Intervista a Foietta: “Aspetto una risposta da Plano, non da Bussoleno”

Per chi avesse ancora dubbi sul ruolo del tavolo governativo presieduto da Foietta è giunto il momento di fare i conti con la realtà. Proponiamo quest’intervista del Commissario Foietta, uomo del partito trasversale degli affari, vecchia volpe della politica italiana.
Per onor di cronaca, checcè ne dica Foietta, i sindaci chiesero un tavolo di confronto con il governo, fu il minsitro Del Rio a tramutare il tavolo tecnico-politico in un tavolo di concertazione (come successe con l’osservatorio Virano) dove dispensare soldi e compensazioni cercando di vendere fumo all’Europa, parlando di dialogo e pacificazione.

Qui in Val Susa, siamo testardi, se crediamo di avere ragione non cambiamo idea, a meno che non ci si convinca che la ragione sta da un’altra parte, ma, abbiate pazienza, gli argomenti fin’ora son stati pochini e di certo non ci hanno ben disposto.
Quindi siamo per il dialogo, ma in condizioni eque ed onesta, lo sai anche tu Foietta, è da vent’anni che dialoghiamo, andando ovunque a far conoscere le ragioni della nostra lotta, ma tutti i politici e i commissari che si son succeduti, guarda un po’, non hanno mai avuto orecchie per noi ma solo la voce grossa per i loro slogan pro-opera e pro-affari loro.
Quindi caro Foietta non venire a darci lezioni di democrazia, per una volta imparala tu la lezione: qui non tutto ha un prezzo, per cui mettiti l’anima in pace che in Valle non cambia il vento.

da Valsusaoggi.it

Commissario Foietta, dopo la scelta del Comune di Bussoleno, come farete ad avviare il tavolo di dialogo con i sindaci? 

Sa cosa le dico? Che il mio interlocutore si chiama Sandro Plano e l’Unione dei Comuni. Sono loro che devono dirmi se le cose sono cambiate, e non il Comune di Bussoleno. È il presidente dell’Unione, insieme ai vari Sindaci, ad aver chiesto di aprire un tavolo con il governo, non siamo stati noi  a farlo. È questa la cosa paradossale: prima chiedono una cosa, poi ci ripensano. C’è troppa ambiguità.

Ma il Comune di Bussoleno ha espresso una posizione chiara e vincolante

Io aspetto da Plano una risposta su questo, e se davvero ora è così. Non è il Consiglio Comunale di Bussoleno a dover stabilire le regole del tavolo, ma l’Unione dei Comuni che ne parla con il governo. Il ministro ha assegnato questo compito al sottoscritto e a Plano. E do per scontato che, in realtà, il fronte dei sindaci non sia così omogeneo.

Ma nel nuovo tavolo coi sindaci, si può inserire questo terzo soggetto esterno a parlare di opzione zero, come chiesto da Bussoleno? 

No, non si può fare, perché non è nel mio mandato discutere in questo tavolo se l’opera Tav va fatta o no. Supera le mie competenze e l’incarico che mi è stato dato. Io sono un commissario tecnico, non ho questo potere. L’abbiamo detto da subito: il tavolo coi sindaci serve per migliorare il progetto e discutere dei problemi collegati all’opera. Il tavolo non si fa per decidere se la Tav si fa o no. Quello è già stato stabilito da tempo. E rinunciare alla Tav non è neppure nelle competenze del ministro. È il parlamento a decidere, e l’ha già fatto un sacco di volte, con ratifiche, atti pubblici, ecc. C’è la volontà dello Stato e il sì dell’Unione Europea. Noi siamo stati chiari da subito su questo, e durate la visita del ministro a Torino, nessuno dei sindaci ci aveva posto – come vincolante per il tavolo – la questione dell’opzione zero. I sindaci hanno chiesto di fare un tavolo, noi abbiamo detto sì, ponendo subito le condizioni chiare. E poi c’è un’altra cosa.

Cosa?

Siamo in uno Stato di diritto: la Val Susa non è una libera repubblica.  In un qualsiasi Stato di diritto, le scelte le fanno gli organi proposti, e queste scelte sono state già fatte. Chi lo nomina questo terzo “soggetto esterno”? Con quale legittimità? C’è il governo, ci sono i sindaci. Ci sono delle regole in democrazia.

Cosa sta succedendo tra sindaci e Movimento?

Il problema è tutto all’interno della Valle di Susa. È in atto un gioco di equilibri e di ruoli tra i sindaci e il movimento. Tra chi decide che cosa fare: il messaggio si ieri è stato chiaro. “Cari sindaci, non siete voi a decidere il modello di confronto con il governo, ma decidiamo noi del movimento”. Per arrivare a questo sono state utilizzate anche intimidazioni, con striscioni e scritte sui muri a Bussoleno. Il movimento No Tav non vuole perdere il controllo sulle scelte dei sindaci, ma anche su questo, molte cose sono cambiate rispetto al passato. Occorre capire se i sindaci della Val Susa hanno quindi  uno spazio di autonomia decisionale, essendo rappresentanti delle istituzioni e dei cittadini, o se sono sotto tutela del Movimento No Tav. Non so se tutti gli altri Comuni faranno quella delibera: Bussoleno è da sempre considerato il Comune più caldo sul fronte No Tav, la loro “Stalingrado”.

E quindi?

Penso che quanto avvenuto ieri  sia stato solo un pretesto, perché credo nell’intelligenza delle persone. La delibera di ieri è un pretesto del Movimento No Tav per ribadire che in realtà non si deve fare niente, nessun dialogo. D’altronde si chiama Movimento No Tav, e non “Movimento facciamo meglio la Tav”. Qualsiasi opzione di dialogo viene vista come nemico, come lotta di classe.

Cosa intende dire, riguardo il cambiamento delle scelte dei sindaci? 

Intendo dire che non è necessario diventare amici, perché ora ci si può parlare senza farsi la guerra. I cantieri inizieranno anche in altre zone della Valle. C’è una terza via, che è questa: il dialogo, perché i cantieri ci saranno nei paesi, e i Comuni devono sapere le cose, e ragionare su come gestirli, e per intervenire su eventuali problematiche e proporre dei miglioramenti.

E riguardo l’audizione in parlamento? 

I sindaci hanno i loro canali, li utilizzino. Anche il ministro si è detto favorevole. Facciano domanda alle commissioni parlamentari, non è un problema. Se trovano una maggioranza che mette in discussione la Tav, facciamo delle proposte.

Dopo questa delibera di Bussoleno, cambierà  qualcosa?

No. Io continuerò a dialogare con i sindaci, anche più di uno, in delegazione o gruppi. Perché c’è uno Stato di diritto, la Val Susa non è una libera repubblica autonoma, e le scelte sui progetti le fanno gli organi preposti. La scelta sulla tav è stata già fatta. Ora si tratta di capire come gestire l’opera e i cantieri sul territorio, e migliorarla.

Il secondo messaggio del Monte Granier

… vero groviera, secondo il geologo Lodovic Ravanel …

170.000 mc precipitano a valle

Le ferrovie francesi sono avvisate


Il primo messaggio del Mont Granier era giunto nella notte tra il 24 e 25 novembre 1248, gli abitanti del posto se lo ricordano ancora oggi. Una parete intera del monte Granier (mt 1933), nel massiccio della Chartreuse, crolla e seppellisce cinque parrocchie di fango e di rocce, circa 500 milioni di mc si scaricano a valle. Bilancio ? 1000 morti, si è trattato della peggiore catastrofe naturale della storia delle Alpi.

Il secondo messaggio è stato inviato dalla montagna all’alba del 9 gennaio 2016, per fortuna senza morti o feriti, quando circa 170.000 mc di roccia sono precipitati a valle. E’ stato un avvenimento non inatteso dato che il massiccio è sorvegliato dal 1995 per mezzo di rilevatori che tuttavia non hano segnalato il crollo imminente. https://fr.wikipedia.org/wiki/Mont_Granier

Il Granier è una montagna calcarea con caratteristiche carsiche e contiene al suo interno una rete di grotte e di gallerie scavate dall’acqua per una lunghezza stimata di 66 km.

Questo crollo è un avviso indirizzato alle ferrovie francesi che sotto quella montagna vorrebbero fare passare la nuova linea ferroviaria Lione – Torino scavando la galleria della Chartreuse di 25 km.

granier1

http://www.tunnels-ferroviaires.org/tu73/73248.2.pdf

granier2

Google Earth

Mont Granier prima

Mont Granier dopo

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http://www.camptocamp.org/forums/viewtopic.php?id=285367

http://www.ledauphine.com/savoie/2016/01/11/ecroulement-du-granier-il-reste-un-risque-residuel-de-chute

 Qui la scheda della Galleria della Chartreuse: http://www.lyon-turin.info/sites/default/files/tunnel_de_chartreuse.pdf

Lunga circa 25 km, questa galleria comporta un primo tubo che sarà realizzato nella seconda tappa del progetto con l’obiettivo di favorire l’instradamento dei convogli merci e l’autostrada ferroviaria attraverso il massiccio della Chartreuse, tra Avressieux e la Combe di Savoia.

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http://www.ledauphine.com/savoie/2016/01/11/ludovic-ravanel-le-granier-est-un-vrai-gruyere

LE MAIL DI HILLARY CLINTON SVELANO IL SEGRETO DI PULCINELLA

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/mail-hillary-clinton-svelano-segreto-pulcinella-francia-116837.htm

dago18 GEN 2016 12:24

LE MAIL DI HILLARY CLINTON SVELANO IL SEGRETO DI PULCINELLA: LA FRANCIA DI SARKOZY ANDÒ A FARE GUERRA A GHEDDAFI PER TOGLIERE IL PETROLIO ALL’ITALIA E NON PER MOTIVI UMANITARI – PARIGI AVEVA UN ACCORDO COI RIBELLI PER PRENDERSI IL 35% DEL GREGGIO

La preoccupazione dei francesi era anche di ordine monetario. Si trattava di impedire che il Colonnello desse seguito al proprio vecchio pallino di creare una valuta panafricana che avrebbe pensionato il franco Cfa, valuta creata nel ’45 ed utilizzata da 14 ex colonie con svariati e benefici ricaschi per il Tesoro francese… –

SARKOTHON IL GIOCO CON GHEDDAFI CHE FINANZIA SARKOZY

SARKOTHON IL GIOCO CON GHEDDAFI CHE FINANZIA SARKOZY

M.G. per “Libero Quotidiano”

Il sospetto che la storia della Francia che muove guerra a Gheddafi perché unicamente interessata ad «assumere il proprio ruolo di fronte alla storia» ed a «difendere i libici che vogliono liberarsi dalla schiavitù» (parola dell’ allora presidente Nicolas Sarkozy) fosse una solenne presa in giro era venuto. Adesso arrivano le conferme. E viene fuori che no, dietro la decisione di Parigi di rovesciare con le cattive il Colonnello di idealismo ce n’era ben poco.

In compenso, c’erano altre considerazioni di carattere assai più venale: petrolio e quattrini. Due fondamentali interessi francesi in nome dei quali ci si è armati e si è partiti. E non solo chi, come i transalpini, aveva da guadagnarci. Ma anche chi, come l’ Italia, dell’ operazione ostile ordita a Parigi era la prima vittima designata.

SARKO GHEDDAFI

SARKO GHEDDAFI

 A fare luce su quegli eventi del 2011 soccorrono oggi le famose mail di Hillary Clinton, recentemente desecretate in seguito alle polemiche divampate intorno ai famigerati server privati dell’ ex Segretario di Stato. Nella mole di documenti declassificati, spiccano i messaggi inviati alla Clinton da Sidney Blumenthal, consigliere privato della signora e suo principale esperto sul campo di questioni libiche.

Dal carteggio emergono le reali preoccupazioni dei francesi in ordine alla crisi libica. La prima è quella relativa al petrolio, business faraonico da cui le aziende transalpine erano tagliate fuori ad opera – anche – di quelle italiane (prima dell’ inizio della guerra due terzi della concessioni erano dell’Eni).

gheddafi sarkozy x

GHEDDAFI SARKOZY X

Tramite il riconoscimento preventivo del Cnt e la di esso successiva installazione al potere, Parigi contava di riequilibrare la situazione a proprio vantaggio: l’ accordo coi ribelli era di trasferire in mano ai francesi, a titolo di ringraziamento per il supporto fornito, il 35% del crude oil del Paese. A questo scopo, elementi dell’ intelligence francese avevano iniziato fin dalla primavera del 2011 a fornire supporto di ogni tipo agli anti-Gheddafi.

La seconda preoccupazione dei francesi era di ordine monetario. Si trattava di impedire che il Colonnello desse seguito al proprio vecchio pallino di creare una valuta panafricana. All’uopo, Gheddafi era pronto ad impiegare le proprie riserve (143 tonnellate d’ oro e quasi altrettante d’ argento, per un valore complessivo di circa sette miliardi di dollari). Scenario da incubo per la Francia, dacché la nuova moneta avrebbe pensionato il franco Cfa, valuta creata nel ’45 ed utilizzata da 14 ex colonie con svariati e benefici ricaschi per il Tesoro francese.

gheddafi ucciso dai ribelli

GHEDDAFI UCCISO DAI RIBELLI

A completare il quadro dei veri motivi dietro all’ attacco, secondo il carteggio, ci sono poi due grandi classici di queste situazioni: i sondaggi, con l’ esigenza per Sarkozy di riguadagnare popolarità in vista delle incombenti elezioni presidenziali, e i militari, cui premeva avere un’ occasione per riaffermare la propria posizione di potenza di livello mondiale.

Come è andata a finire è cosa nota: l’ azzardo di francesi e britannici funziona, Casa Bianca e Palazzo di Vetro danno l’ok e la guerra a Gheddafi si fa. Guerra in cui, pur avendo intuito che non sarebbe stato esattamente un affarone, partecipa anche l’Italia. Questione di qualche mese e il gioco è fatto: Gheddafi è rovesciato e al suo posto ci sono gli ormai ex ribelli del Cnt.

gheddafi

GHEDDAFI

I risultati non tardano ad arrivare: la moneta panafricana finisce in archivio prima ancora di essere nata e si procede alla grande redistribuzione del petrolio (in cui, ironia della sorte, i francesi porteranno a casa meno di quanto sperato a vantaggio di russi e cinesi). Sopratutto, l’ influenza italiana nell’ area si riduce drasticamente. Proprio come auspicato dall’ inquilino dell’ Eliseo.

GLI USA IN IRAQ NON ATTACCANO ISIS MA INFRASTRUTTURE CIVILI IRACHENE

I cosiddetti attacchi aerei anti-Daesh da parte della coalizione a guida USA stanno infliggendo gravi danni ad infrastrutture irachene cosi come le zone residenziali nello stato arabo secondo una fonte militare.

Ahmed al-Asadi, portavoce per Mobilitazione Forze Popolari ha detto al giornale Al Ghadi che gli edifici e le infrastrutture civili irachene sono state il bersaglio  di attacchi aerei ‘scatenati’ da parte delle forze guidate dagli USA.

I jet statunitensi hanno distrutto quasi l’80% delle infrastrutture nella citta’ liberata di Ramadi in provincia di Anbar, ha detto Asadi, aggiungendo che il grave danno arriva mentre le autorita’ irachene hanno chiesto a piu’ riprese, le forze a guida USA di fermare gli attentati distruttivi.

Numerosi rapporti mostrano molti civili vittima della campagna di bombardamenti dagli USA in Iraq ed in Siria nel corso dell’anno passato.

Fonte: http://www.presstv.ir/Detail/2016/01/15/445919/Iraq-US-airstrike-Ramadi-Anbar/

TAV, SINDACI E DIALOGO / INTERVISTA A FOIETTA: “ASPETTO UNA RISPOSTA DA PLANO, NON È BUSSOLENO A DECIDERE. DELL’OPZIONE ZERO NON SI PUÒ PARLARE, L’OPERA È GIÀ STATA DECISA”

Giornale online indipendente – Diretto da Fabio Tanzilli – redazione@valsusaoggi.it

     01/19/2016    

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Commissario Foietta, dopo la scelta del Comune di Bussoleno, come farete ad avviare il tavolo di dialogo con i sindaci? 

Sa cosa le dico? Che il mio interlocutore si chiama Sandro Plano e l’Unione dei Comuni. Sono loro che devono dirmi se le cose sono cambiate, e non il Comune di Bussoleno. È il presidente dell’Unione, insieme ai vari Sindaci, ad aver chiesto di aprire un tavolo con il governo, non siamo stati noi  a farlo. È questa la cosa paradossale: prima chiedono una cosa, poi ci ripensano. C’è troppa ambiguità.

Ma il Comune di Bussoleno ha espresso una posizione chiara e vincolante

Io aspetto da Plano una risposta su questo, e se davvero ora è così. Non è il Consiglio Comunale di Bussoleno a dover stabilire le regole del tavolo, ma l’Unione dei Comuni che ne parla con il governo. Il ministro ha assegnato questo compito al sottoscritto e a Plano. E do per scontato che, in realtà, il fronte dei sindaci non sia così omogeneo.

Ma nel nuovo tavolo coi sindaci, si può inserire questo terzo soggetto esterno a parlare di opzione zero, come chiesto da Bussoleno? 

No, non si può fare, perché non è nel mio mandato discutere in questo tavolo se l’opera Tav va fatta o no. Supera le mie competenze e l’incarico che mi è stato dato. Io sono un commissario tecnico, non ho questo potere. L’abbiamo detto da subito: il tavolo coi sindaci serve per migliorare il progetto e discutere dei problemi collegati all’opera. Il tavolo non si fa per decidere se la Tav si fa o no. Quello è già stato stabilito da tempo. E rinunciare alla Tav non è neppure nelle competenze del ministro. È il parlamento a decidere, e l’ha già fatto un sacco di volte, con ratifiche, atti pubblici, ecc. C’è la volontà dello Stato e il sì dell’Unione Europea. Noi siamo stati chiari da subito su questo, e durate la visita del ministro a Torino, nessuno dei sindaci ci aveva posto – come vincolante per il tavolo – la questione dell’opzione zero. I sindaci hanno chiesto di fare un tavolo, noi abbiamo detto sì, ponendo subito le condizioni chiare. E poi c’è un’altra cosa.

Cosa?

Siamo in uno Stato di diritto: la Val Susa non è una libera repubblica.  In un qualsiasi Stato di diritto, le scelte le fanno gli organi proposti, e queste scelte sono state già fatte. Chi lo nomina questo terzo “soggetto esterno”? Con quale legittimità? C’è il governo, ci sono i sindaci. Ci sono delle regole in democrazia.

Cosa sta succedendo tra sindaci e Movimento?

Il problema è tutto all’interno della Valle di Susa. È in atto un gioco di equilibri e di ruoli tra i sindaci e il movimento. Tra chi decide che cosa fare: il messaggio si ieri è stato chiaro. “Cari sindaci, non siete voi a decidere il modello di confronto con il governo, ma decidiamo noi del movimento”. Per arrivare a questo sono state utilizzate anche intimidazioni, con striscioni e scritte sui muri a Bussoleno. Il movimento No Tav non vuole perdere il controllo sulle scelte dei sindaci, ma anche su questo, molte cose sono cambiate rispetto al passato. Occorre capire se i sindaci della Val Susa hanno quindi  uno spazio di autonomia decisionale, essendo rappresentanti delle istituzioni e dei cittadini, o se sono sotto tutela del Movimento No Tav. Non so se tutti gli altri Comuni faranno quella delibera: Bussoleno è da sempre considerato il Comune più caldo sul fronte No Tav, la loro “Stalingrado”.

E quindi?

Penso che quanto avvenuto ieri  sia stato solo un pretesto, perché credo nell’intelligenza delle persone. La delibera di ieri è un pretesto del Movimento No Tav per ribadire che in realtà non si deve fare niente, nessun dialogo. D’altronde si chiama Movimento No Tav, e non “Movimento facciamo meglio la Tav”. Qualsiasi opzione di dialogo viene vista come nemico, come lotta di classe.

Cosa intende dire, riguardo il cambiamento delle scelte dei sindaci? 

Intendo dire che non è necessario diventare amici, perché ora ci si può parlare senza farsi la guerra. I cantieri inizieranno anche in altre zone della Valle. C’è una terza via, che è questa: il dialogo, perché i cantieri ci saranno nei paesi, e i Comuni devono sapere le cose, e ragionare su come gestirli, e per intervenire su eventuali problematiche e proporre dei miglioramenti.

E riguardo l’audizione in parlamento? 

I sindaci hanno i loro canali, li utilizzino. Anche il ministro si è detto favorevole. Facciano domanda alle commissioni parlamentari, non è un problema. Se trovano una maggioranza che mette in discussione la Tav, facciamo delle proposte.

Dopo questa delibera di Bussoleno, cambierà  qualcosa?

No. Io continuerò a dialogare con i sindaci, anche più di uno, in delegazione o gruppi. Perché c’è uno Stato di diritto, la Val Susa non è una libera repubblica autonoma, e le scelte sui progetti le fanno gli organi preposti. La scelta sulla tav è stata già fatta. Ora si tratta di capire come gestire l’opera e i cantieri sul territorio, e migliorarla.

Il consiglio comunale di Bussoleno dice no alle compensazioni e al commissario Foietta

post — 19 gennaio 2016 at 14:03

bussolenoconsiglioSi chiude con un lungo applauso il consiglio comunale di bussoleno del 18 gennaio  2015. La sala è strapiena, all’ordine del giorno un unico punto, tav, nuova linea Torino Lione, progetti e tavoli di discussione. Si giunge alla serata con non poche difficoltà dopo un dicembre difficile dal punto di vista istituzionale e una valle intera in subbuglio alla lettura dei quotidiani locali e non. Al centro della scena ci sono il ministro alle infrastrutture e ai trasporti Del Rio e il commissario di governo incaricato Foietta.

Ad appena pochi mesi dal suo incarico ecco che viene tesa l’ennesima trappola per le istituzioni della valle di Susa no tav. I sindaci chiedono da mesi un incontro con il nuovo ministro che sembra evitare con cura l’argomento e nell’ottobre 2015 accetta. Un incontro veloce a margine di una visita torinese con poche dichiarazioni alla fine del veloce dibattito a porte chiuse. Viene ripetuto il mantra del tav “è un’opera essenziale, non si può tornare indietro…”.

I sindaci chiedono ancora un confronto, chiedono di poter spiegare le ragioni di un territorio e allo stesso tempo dell’intero paese, l’antieconomicità del progetto, i rischi ambientali, l’inutilità stessa dell’opera laddove già le alternative di traffico su ferro ci sono, da poco rimodernate e utilizzate neanche per un terzo delle loro capacità. Il ministro, per tutta risposta, consigliato dal PD torinese, presenti Chiamparino, presidente della regione, Fassino, sindaco di Torino e presidente della città metropolitana, e Foietta, dirigente di coordinamento della città metropolitana nonchè commissario di governo per la Torino Lione alta velocità, incarica quest’ultimo di proseguire nel dialogo fissando altri incontri e tavoli di discussione. L’amara sorpresa (e neanche troppo sorpresa) è che l’architetto Foietta non avrà margine di trattativa nè di discussione sull’opera, non potrà parlare di opzione zero, ovvero se all’opera si può rinunciare, nè tantomeno affrontare una seria analisi costi-benefici. Un tavolo o una discussione che per voce dello stesso commissario dovrà vertere unicamente sulle “ricadute positive” che il progetto potrà dare al territorio, in parole povere compensazioni, tentativi di corruzione pubblica della valle di Susa.

Dopo, come dicevamo, un non troppo sereno dibattito, ecco che ieri sera arriva la risposta più bella che il territorio interessato potesse dare. Un chiaro no alle compensazioni, all’opera e a tutti gli incaricati del governo per la costruzione del progetto. Uno schiaffo morale e politico dato da un’amministrazione PD del cuore della valle di Susa, Bussoleno, cuore della lotta no tav, ai corrotti e affaristi dirigenti piemontesi del partito democratico.

Una richiesta di dialogo sì, ma a condizioni eque ed oneste dove le parti interessate possano avere voce con una pari dignità. Una delibera congiunta votata all’unanimità che rimanda al mittente le proposte oscene giunte in questi mesi e che ribadisce citando anche la sentenza del tribunale permanente dei popoli il protagonismo e la centralità delle istituzioni locali nelle decisioni che riguardano la vita e il futuro dei territori.

LA RUSSIA STA INFRANGENDO IL MONOPOLIO DEL PREZZO DEL PETROLIO AMERICANO

19/01/2016

DI F. WILLIAM ENGDAHL – journal-neo.org

La fine del “petroldollaro” significherà la fine simultanea della capacità degli Stati Uniti di imporre l’egemonia globale.

La Russia ha appena intrapreso passi significativi che infrangeranno l’attuale monopolio del prezzo del petrolio di Wall Street, almeno per una parte ingente del mercato mondiale del petrolio. La mossa fa parte della strategia di lungo termine di dissociare l’economia russa dal dollaro americano, a tutt’oggi tallone d’Achille dell’economia russa e, in modo speciale, proprio la sua significativa esportazione di petrolio.

A novembre inoltrato il Ministro dell’Energia russo ha annunciato che si sarebbe cominciato a mettere alla prova dei mercati un nuovo parametro di riferimento per il petrolio russo. Mentre per molti questo suonerebbe come una cosa da niente, in realtà è di portata enorme. Se avrà successo, e non c’è ragione perché non lo abbia, l’accordo connesso al parametro di riferimento per i futures relativi al petrolio greggio russo, negoziato secondo tassi di cambio russi, fisserà il prezzo del petrolio in rubli e non più in dollari americani. Ciò è parte di una de-dollarizzazione, mossa che Russia, Cina e un numero crescente di altri Paesi hanno intrapreso senza tanti strepiti.

Lo scenario di un prezzo del parametro di riferimento del petrolio è al centro del metodo usato dalle più grandi banche di Wall Street, in modo tale da controllare i prezzi del petrolio mondiale. Il petrolio è la materia prima più diffusa al mondo, in termini di dollaro. Oggi il prezzo del petrolio greggio russo è considerato in riferimento a ciò che è chiamato prezzo al Brent. Il problema è che il campo del Brent è in ribasso notevole, insieme agli altri campi petroliferi più importanti del Mare del Nord, il che significa che Wall Street può usare un parametro di riferimento pressoché nullo per fare leva sul controllo di volumi di petrolio di gran lunga più significativi. L’altro problema è che l’accordo del Brent è controllato essenzialmente da Wall Street e dalle manipolazioni dei derivati di banche come Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP MorganChase e Citibank.

La fine del “petroldollaro”

La vendita del petrolio, denominata in dollari, è essenziale per il supporto dato al dollaro americano. Mantenendo la richiesta di dollari da parte delle banche centrali mondiali per le loro riserve di valuta, in modo tale da dare supporto al commercio estero di Paesi come Cina, Giappone o Germania, è essenziale, a sua volta, che il dollaro americano rimanga la principale valuta di riserva al mondo. Lo status di valuta di riserva principale è uno dei due pilastri dell’egemonia americana sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il secondo pilastro è la supremazia militare mondiale.

Guerre americane finanziate con i dollari degli altri

Poiché tutte le altre nazioni hanno bisogno di acquisire dollari per comprare le importazioni di petrolio e della maggior parte delle altre materie prime, un Paese come Russia o Cina di solito investe i dollari in eccedenza derivati dal commercio che le sue compagnie guadagnano sotto forma di bond o di titoli simili del governo americano. L’altro unico candidato di una certa importanza, l’euro, è considerato più rischioso sin dalla crisi greca del 2010.

Il ruolo di riserva principale rivestito dal dollaro americano sin dall’agosto 1971, quando il dollaro ha infranto il corrispettivo in oro, ha permesso essenzialmente al Governo americano di gestire deficit di bilancio in apparenza illimitati, senza dovere preoccuparsi dell’incremento dei tassi d’interesse, che è come avere un credito permanente scoperto presso la propria banca.

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Ciò ha permesso effettivamente a Washington di creare un record di 18.6 trilioni di debito federale senza grandi preoccupazioni. Oggi il rapporto del debito governativo americano, rispetto al prodotto interno lordo, si attesta al 111%. Nel 2001 quando George W. Bush ha preso l’incarico e prima che siano stati spesi trilioni nella “Guerra al Terrore” afghana e irachena, il debito americano rispetto al prodotto interno lordo si attestava alla metà, ossia al 55%. Il modo di dire superficiale di Washington è che il “debito non conta”, così come la supposizione che il mondo – Russia, Cina, Giappone, India, Germania – comprerà sempre il debito americano con i propri dollari in eccedenza, derivati dal commercio. La capacità di Washington di mantenere il ruolo di valuta di riserva principale, una priorità strategica per Washington e Wall Street, è allacciata in modo vitale al modo in cui sono determinati i prezzi del petrolio mondiale.

Nel periodo verso la fine degli anni ’80 i prezzi del petrolio mondiale erano determinati grandemente dal reale approvvigionamento quotidiano e dalla richiesta. Era sfera di competenza dei compratori e degli acquirenti del petrolio. Allora Goldman Sachs ha deciso di comprare negli anni ‘80 la piccola intermediazione per la materia prima J.Aron, presso Wall Street. Avevano messo gli occhi sulla mutazione del commercio del petrolio sui mercati mondiali.

Era l’avvento del “petrolio di carta”, il petrolio commerciato in futures, contratti indipendenti dalla consegna di greggio fisico, più facile da manipolare da parte delle grandi banche sulla base di dicerie e furberie del mercato dei derivati, in quanto una manciata di banche di Wall Street dominava i commerci dei futures del petrolio e ne era a conoscenza solo chi deteneva posizioni, un ruolo conveniente di membro insider, menzionato raramente per policy aziendale. Era l’inizio della trasformazione del commercio del petrolio in un casinò dove Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP MorganChase e alcuni altri colossi bancari di Wall Street gestivano i tavoli da gioco.

Successivamente all’incremento del prezzo del petrolio dell’OPEC di circa il 400% avvenuto nel 1973, nel giro di pochi mesi successivi alla guerra dello Yom Kippur dell’ottobre 1973, il Tesoro americano ha inviato un emissario di alto livello a Riyadh, Arabia Saudita. Nel 1975 l’Assistente Segretario al Tesoro americano, Jack F. Bennett, è stato inviato in Arabia Saudita per assicurare un accordo con la monarchia che prevedeva che il petrolio saudita e tutto quello dell’OPEC fosse commerciato solamente in dollari americani, non in Yen giapponesi o in Marchi tedeschi o in qualsiasi altra valuta. Bennett ha poi assunto un ruolo prestigioso presso Exxon. I Sauditi hanno ottenuto ragguardevoli garanzie militari e attrezzatura in cambio e, da quel momento, nonostante sforzi notevoli dei Paesi importatori, il petrolio oggigiorno è venduto sui mercati mondiali in dollari e il prezzo è fissato da Wall Street tramite il controllo dei derivati o scambi di futures come l’Intercontinental Exchange o ICE a Londra, la Borsa delle materie prime NYMEX a New York, o il Dubai Mercantile Exchange che fissa il riferimento dei prezzi del petrolio greggio arabo. Tutti sono di proprietà di un gruppo intrecciato di banche di Wall Street, Goldman Sachs, JP MorganChase Citigroup e altri. A quel tempo il Segretario di Stato Henry Kissinger, a quanto riferito, ha dichiarato, “Se si controlla il petrolio, si controllano nazioni intere.” Il petrolio è stato al centro del Sistema del Dollaro dal 1945.

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L’importanza del parametro di riferimento russo

Oggigiorno i prezzi per le esportazioni di petrolio russo sono fissati secondo il prezzo del Brent in vigore, così come è commerciato a Londra e a New York. Ciò è destinato a cambiare probabilmente in modo molto drastico con l’avvio del parametro di riferimento commerciale russo. Si negozierà il nuovo accordo per il petrolio greggio russo in rubli, non in dollari, sulla International Mercantile Exchange di San Pietroburgo (SPIMEX).

L’accordo per il parametro di riferimento del Brent è usato attualmente per fissare il prezzo non solo del petrolio greggio russo. È usato per stabilire il prezzo di più di due terzi di tutto il petrolio commerciato a livello internazionale. Il problema è che la produzione della miscela del Brent nel Mare del Nord sta diminuendo al punto tale che oggigiorno solamente 1 milione di barili di miscela Brent, fissa il prezzo del 67% di tutto il petrolio internazionale commerciato. Una volta riconosciuto, l’accordo in rubli russi potrebbe intaccare in maniera più significativa la richiesta di dollari derivati dal petrolio.

La Russia è il più grande produttore di petrolio al mondo così che, per usare un eufemismo, è significativa la creazione di un parametro di riferimento del petrolio russo indipendente dal dollaro. Nel 2013 la Russia ha prodotto 10.5 milioni di barili al giorno, leggermente di più dell’Arabia Saudita. Poiché in Russia è usato principalmente il gas naturale, non meno del 75% del petrolio può essere esportato. L’Europa è di gran lunga il principale cliente per il petrolio russo, comprando 3.5 milioni di barili al giorno, ossia l’80% delle esportazioni di petrolio russo. La Miscela degli Urali, un composto di varietà di petrolio russo, è la qualità principale di petrolio russo che viene esportato. I principali clienti europei sono Germania, Paesi Bassi e Polonia. Mettendo in prospettiva la mossa russa relativa al parametro di riferimento, gli altri grandi fornitori di petrolio greggio all’Europa – l’Arabia Saudita (890.000 barili al giorno), la Nigeria (810.000 barili al giorno), il Kazakhstan (580.000 barili al giorno) e la Libia (560.000 barili al giorno) – restano indietro rispetto alla Russia. Tanto quanto la produzione nazionale di petrolio greggio in Europa che è in rapida diminuzione. La produzione di petrolio proveniente dall’Europa è appena scesa al di sotto della quota del 2013 di 3 milioni di barili al giorno, seguendo i ribassi fissi nel Mare del Nord, alla base del parametro di riferimento del Brent.

Porre fine all’egemonia del dollaro in vigore per gli Stati Uniti

La mossa russa di fissare il prezzo in rubli, rapportandolo al nuovo parametro di riferimento del petrolio russo presso la International Mercantile Exchange di San Pietroburgo, per le sue grandi esportazioni di petrolio ai mercati mondiali, in modo particolare all’Europa occidentale e in modo crescente alla Cina e all’Asia, per mezzo della conduttura ESPO e altri percorsi, non è affatto l’unica mossa per ridurre la dipendenza degli Stati dal dollaro per il petrolio. Ben presto nel corso del prossimo anno la Cina, secondo più grande importatore di petrolio al mondo, pianificherà l’avvio del suo proprio accordo sul parametro di riferimento del petrolio. Così come quello russo, il parametro di riferimento cinese non sarà denominato in dollari ma in Yuan cinesi. Sarà negoziato presso la International Energy Exchange di Shanghai.

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Un passo alla volta, Russia, Cina e altre economie emergenti stanno prendendo le misure per diminuire la loro dipendenza dal dollaro americano, in modo da attuare la procedura di “de-dollarizzazione”. Il petrolio è la materia prima commerciata su più vasta scala al mondo e il prezzo è pressoché fissato in dollari. Se tutto ciò avesse fine, la capacità del complesso industriale militare americano di muovere guerre senza fine si troverebbe in un grosso guaio.

Forse ciò aprirebbe le porte a idee più pacifiche su come spendere i dollari del contribuente americano, nella ricostruzione dell’infrastruttura economica di base degli Stati Uniti, deteriorata in modo orrendo. L’American Society of Civil Engeneers ha valutato nel 2013 la necessità negli Stati Uniti di un investimento per l’infrastruttura di base che ammonta a 3.6 trilioni di dollari, nei prossimi cinque anni. Viene riportato che un ponte su 9 in America, più di 70.000 in tutto il Paese, è in condizione carente. Quasi un terzo delle strade più importanti negli Stati Uniti è in condizione mediocre. Solamente 2 dei 14 porti più importanti che si trovano sulla costa orientale saranno in grado di accogliere le navi cargo di grande stazza, le quali passeranno ben presto per il Canale di Panama ampliato di recente. Ci sono più di 14.000 miglia di binari ad alta velocità in funzione in tutto il mondo, ma non ve ne sono negliStati Uniti.

Quel genere di spesa che riguarda l’infrastruttura di base sarebbe una fonte, di gran lunga più benefica dal punto di vista economico, di vero lavoro e di vere entrate erariali per gli Stati Uniti, più delle guerre senza fine di John McCain. L’investimento per l’infrastruttura, come ho osservato in articoli precedenti, ha un effetto moltiplicatore nel creare nuovi mercati. L’infrastruttura crea efficienze economiche ed entrate erariali, nella proporzione di 11 a 1 per ogni dollaro investito, mentre l’economia diviene più efficiente.

Un declino drammatico del ruolo del dollaro come valuta di riserva mondiale, se accoppiato a una ridefinizione nazionale secondo lo stile russo nell’ambito della ricostruzione dell’economia nazionale americana e, piuttosto che esternalizzare tutto, si potrebbe percorrere una strada più importante, in modo da trovare un nuovo equilibrio per un mondo che va pazzo per la guerra. La de-dollarizzazione, in modo paradossale, negando a Washington la capacità di finanziare guerre future con l’’investimento nel debito del Tesoro americano partendo dal debito cinese, russo e di altri acquirenti di bond stranieri, potrebbe dare un contributo prezioso per un’autentica pace mondiale. Non sarebbe bello, tanto per cambiare?

 F. William Engdahl

Fonte: http://journal-neo.org

Link: http://journal-neo.org/2016/01/09/russia-breaking-wall-st-oil-price-monopoly/

8.01.2016

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di NICKAL88

Bussoleno vota un documento contro il “tavolo” e ne chiede un altroCasel: “I comuni hanno chiesto un luogo per dichiarare l’opzione zero”

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MARIO TONINI 19 GENNAIO 2016

BUSSOLENO – Un consiglio comunale monotematico si è aperto ieri sera a Bussoleno, con grande partecipazione di pubblico. Ha aperto la seduta il sindaco Anna Maria Allasio denunciando come intimidatori e offensivi i volantini e gli striscioni apparsi in paese, in questi giorni, che riportavano scritte contro l’amministrazione. E’ stato il capo gruppo di maggioranza Valter Amprimo ad entrare nel dettaglio: “E’ tradizione di questo comune anche in un clima anche duro ci sia il confronto tra parti politiche senza mai venir meno al rispetto. Tutto da parte nostra nostra avviene alla luce del sole e nella massima trasparenza, questi gesti ci offendono; chiediamo un atto di condanna anche da parte della minoranza”. Luigi Casel, della minoranza, ha ribadito di non conoscere il contenuto delle scritte e di non sapere nulla di striscioni. Casel ha poi affermato: “Condanniamo se si sono sporcati muri o imbrattato beni; ma se le scritte riflettono la posizione del PD di questa amministrazione non c’è nulla da disapprovare”. La minoranza ha poi esposto con chiarezza e in modo approfondito la propria richiesta affinchè l’amministrazione non partecipi in alcun modo ad un “tavolo” di lavoro composto da amministratori locali e rappresentanti del Governo. “E’ chiaro che questo luogo d’incontro, con l’architetto Foietta, non è altro che un altro Osservatorio composto da quelle amministrazioni che hanno dichiarato di non volere un dialogo” ha detto Casel chiarendo “sono i comuni ad aver chiesto un tavolo per incontrare il Ministro per chiarire che le amministrazioni sono per l’opzione zero, adesso non può trasformarsi in altro”. Ha poi preso la parola nuovamente il capo gruppo di maggioranza che ha ribadito che i principi elencati dalla minoranza sono in larga parte comuni e quindi ha proposto un documento comune seppur rivisto in minima parte. La seduta è stata sospesa per un incontro tra maggioranza e opposizione. Al riavvio dei lavori è stato letto un documento che indicava la contrarietà, e tutte le sue ragioni, e aggiungeva un nuovo punto: la richiesta di uno spazio di confronto tecnico tra amministrazioni e Governo presieduto da una figura terza. Tutto il Consiglio Comunale ha votato  favore.

 

Grecia, la vittoria dei “No Tav” ellenici: via i canadesi che volevano estrarre oro

post — 18 gennaio 2016 at 15:10

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Dopo le proteste dei comitati locali e lo stop del governo la Eldorado Gold, attiva in una miniera nel nord del Paese, ha deciso di fare i bagagli lasciando a casa 2mila dipendenti. Kyriakos Mitsotakis (Nea Dimokratia): “Tsipras bastona gli unici che hanno qualche euro da spendere”

di Francesco De Palo Il Fatto Quotidiano – Mentre la troika si appresta a iniziare il primo check up dell’anno sui conti greci, con alcune indiscrezioni che parlano di insoddisfazioni sulla riforma della previdenza, ecco che gli investitori di Eldorado Gold, i canadesi che tentavano di estrarre oro da una miniera nel nord del Paese, hanno deciso di fare bagagli. Via dalla Grecia, lasciando a casa 2mila dipendenti. Si tratta di una società presente nel Paese da alcuni anni, che sotto i governi greci dal 2003 in poi aveva avuto il nulla osta per estrarre il prezioso materiale. Falso, sostengono gli aderenti al comitato del no, secondo cui la società vuole costruire arricchirsi nonostante non abbia ottenuto nessuna licenza, come dimostra l’interruzione dei lavori di costruzione del giugno 2013. Tra l’altro l’opera era stata osteggiata dal movimento Nominiera, composto da cittadini e attivisti ambientalisti, secondo cui le schiume rosse e il costante inquinamento nel ruscello di Karatzàserano direttamente riconducibili all’attività della Eldorado Gold. Da quando tredici anni fa lo Stato decise per il sì alla cessione delle aree estrattive il loro valore si è moltiplicato fino alla cifra di 2 miliardi di euro. Ma nessun governo si è impegnato a pattuire una remunerazione sui materiali, accusano gli oppositori.

Nell’anno della crisi, il governo all’epoca guidato da Antonis Samaras aveva difeso a spada tratta la presenza dei canadesi, convinto che l’azione di facoltosi investitori andasse protetta senza se e senza ma. Nel frattempo però i residenti avevano strappato a Syriza la promessa di un appoggio. Così nel 2015, salito al potere Alexis Tsipras, è arrivato il no dell’allora ministro dell’energia Panagiotis Lafazanis allo “sfruttamento di un pezzo della nostra terra a tutto vantaggio di una multinazionale”.

La “guerra dell’oro” in Grecia dura dal 1978, quando i minatori di Bodossakis avevano bloccato le strade per protesta: chiedevano salari più alti e il diritto a respirare aria pulita nelle gallerie. Ma le prime mobilitazioni organizzate contro l’estrazione dell’oro si verificarono nel 1996 quando la società Tvx oro aveva deciso di investire in un impianto di trasformazione. La Tvx aveva acquistato le miniere dallo Stato, che a sua volta le aveva rilevate a seguito del fallimento di un’altra società. Il progetto fu “congelato” a causa di forti proteste dei residenti e della caduta del prezzo dell’oro a livello internazionale.

Poiché questa situazione continuò sino al 2002, nel febbraio 2003 la società fallì. Il movimento “nominiera” festeggiò per una battaglia vinta, ma l’intera regione registrò l’impennarsi del tasso di disoccupazione a causa della chiusura. Così pochi mesi dopo, l’allora governo presieduto dal socialista Kostas Simitis decise la messa sul mercato delle azioni della Tvx oro: la parte da leone la fece la Aktor dell’oligarca Iorgos Bobolas, proprietario tra l’altro del quotidiano Ethnos, della Pegasus Publishing, del canale televisivo Mega Channel, della piattaforma satellitare Nova e del 49% del casinò di Parnitas.. Bobolas nel 2007 trasferì la maggior parte delle sue azioni alla European Goldfields. Per arrivare nel 2012 alla canadese Eldorado Gold.

Oggi il ministero dell’industria di Atene, pur di raggranellare qualche euro in vista della valutazione della troika, ha chiesto ai canadesi tasse arretrate e ha comminato loro multe per mancate licenze e perpendenze con l’erario. Il partito di Nea Dimokratia, forte della nuova leadership con il 47enne Kyriakos Mitsotakis, già ministro di impronta liberale e figlio dell’ex premier Kostantinos Mitsotakis, accusa Tsipras di far fuggire gli investitori, quando invece avrebbe dovuto convincerli a restare. Magari con una “no tax zone” per far rifiatare l’economa greca. “Tsiprasbastona gli unici che hanno qualche euro da spendere” attacca, forte dei sondaggi che per la prima volta dal 2013 a oggi danno i conservatori in vantaggio su Syriza. E i canadesi raddoppiano la dose:“Andiamo via per colpa dellanegligenza dello Stato nell’adottare regole moderne e semplificate su fisco e giustizia per disciplinare gli investimenti”. Per dire, in Grecia ancora non esiste ancora un catasto nazionale.

Le motivazioni dell’assoluzione per Erri De Luca

post — 19 gennaio 2016 at 10:51

erri de luca

“La Tav va sabotata”. Queste parole, dette il primo settembre del 2013 in una intervista all’Huffington Post e poi confermate qualche giorno più tardi all’Ansa, vanno lette in un “contesto preciso”, ossia come dichiarazioni dirette a un pubblico vasto “del tutto variegato e che non ha un particolare interesse verso il tema Tav.”

Sono questi alcuni dei passaggi delle motivazioni della sentenza di assoluzione per Erri De Luca che di fatto boccia su tutta la linea il processo imbastito dalla procura di Torino allora diretta da Giancarlo Caselli. L’ennesima batosta, dal punto di vista interno, per la crociata portata avanti dai pm con l’elmetto e dal procuratore, che riconosce il diritto di espressione, o meglio la legittimità della “parola contraria” di uno scrittore.

Del resto, poco prima della sentenza Erri aveva letto una dichiarazione dove sosteneva “Sono incriminato per avere usato il verbo sabotare. Lo considero nobile e democratico.” ed oggi è scritto anche su una sentenza del tribunale di Torino: fatevene una ragione e lucidate l’elmetto.