VOCI DALLA FOGNA – Colonia, Madaja, Nordcorea, Mafia-PD e Quarto a 5Stelle

 MONDOCANE

SABATO 9 GENNAIO 2016

 
VOCI  DALLA  FOGNA
Colonia, Madaja, Nordcorea, Mafia Capitale PD e Quarto a 5 Stelle
 
La rete fognaria che ci scorre sotto ai piedi e riceve escrementi e rifiuti dal mondo di sopra e la migliore allegoria del nostro sistema mediatico e delle sue deiezioni. Vale per tutta la stampa e tv dell’Occidente, ma da noi non scarica neppure quelle occasionali verità cui è assegnato il compito di coprire il tanfo paralizzante della cloaca. Se ne è avuta una manifestazione concentrata in occasione dello scarico, particolarmente tossico in questi giorni dell’imminente assalto colonialista alla Libia, preparato alla bisogna dagli sfracelli dell’Isis e dei loro padrini Fratelli Musulmani a Tripoli e Misurata, con parallela decimazione, qui, di spopolati dalle nostre bombe e dai nostri mercenari islamisti, dei quali, per un attimo, si è vantata l’umanitaria accoglienza.
 
Perr il riattivato “scontro di civiltà”, tra la nostra superiore e la loro barbarica, dal letamaio mediatico sono precipitate scorie rigurgitate con orchestrata sintonia. Si succedono, come sparati a raffica da katiuscia, apocalittici, ma imprecisati e nebulosi, atti terroristici, sventati dalla formidabile perizia dei nostri servizi di sicurezza, in parallelo con vandalismi e terrorismi che l’imperizia di altri servizi non hanno saputo impedire. Onde per cui vanno subito adottati potenziamenti ulteriori di controlli, sorveglianza, repressione, misure di Stato di polizia, espulsioni di massa. E’ una situazione win-win.
 
Per celebrare la ricorrenza di Charlie Hebdo e successivo 13 novembre parigino, su cui la  lobby sionista de Il Fatto Quotidiano ha superato se stesso nella scala dei voti del Mossad (alla faccia del Travaglio che fustiga tutti i ciarlatani deontologicamente farabutti), il regime del mazzabubù Hollande è uscito in stracci: ha fulminato un barbone mentecatto che s’era presentato in un commissariato zeppo di armigeri brandendo un coltello da cucina (per la tv diventato “mannaia”, alla Isis). L’Italia del ciarlatano toscano (e quanto mi rode, in quanto battezzato, a mia insaputa, con l’acqua di Arno, dietro le porte del Ghiberti, della sputtanamento di Firenze e della Toscana operato da lui e dal suo giglio magico), rastrellando profughi con foto di jihadisti nello smartphone ed espellendoli, si è coperta di analoga miseria razzista. Le più assennate Svezia e Danimarca si sono limitate a blindare le frontiere, forse consapevoli, come il rigurgito fascio-xenofobo Orban e ormai tutti gli Stati europei, che lo spopolamento di Siria, Iraq, Afghanistan e Libia e il rovesciamento degli spopolati sull’Europa, sono pianificata strategia Usa.
False Flag Colonia
Colpo grosso invece della Germania della Merkel, forse anche questo all’insaputa dell’incosciente che s’era messa in casa un milione di jihadisti siriani (ma non dei suoi servizi segreti che nella loro lealtà preferiscono Cia e Mossad). I pogrom nella notte di San Silvestro di migliaia di bulli, evidentemente “nordafricani” e “arabi” (l’invasione Nato della Libia incombe) e di altre torme di teppisti in giro per il paese, a palpare culi e scippare donne, ha messo nel campo dello scontro di civiltà l’archetipo  che fa tremare l’immaginario collettivo nostrano del moro maschio che s’avventa sulle nostre libere donne. Ci hanno marciato alla grande le femministe (principesse anti-pisello del “manifesto”), tornate protagoniste del conflitto vero, quello di genere. Così l’arabo, il musulmano, Isis o non Isis, diventa il bruto che azzanna donne libere di circolare sole e vestite come gli pare, sorvolando sul fatto che nell’Iraq di Saddam, nella Siria di Assad, nella Libia di Gheddafi, nell’Afghanistan del comunista Najibullah, vigevano gli stessi liberi costumi. Sorvolando anche sul fatto che episodi del genere si verificano in tutti le tedeschissime Oktoberfest, senza che alcuno sollevi il sopracciglio. Una volta, al termine della sagra, hanno calcolato 23 stupri, 72 donne aggredite, 300 risse e 1.300 furti.
False Flag a gogò
Quando alcune coincidenze fanno un indizio e molte una prova. Nel cielo più sorvegliato della massima potenza mondiale, con missili pronti ad abbattere perfino aquiloni che si avvicinino a Manhattan, aerei, batterie di missili contraerei, servizi segreti che misurano i peli nel naso a ogni vivente, occhiuti vigilantes su quanto potrebbe infrangere la sicurezza della più importante città del mondo, aerei decollano, volano per decine di minuti, scendono acrobaticamente da 10mila a 100 metri e fanno crollare tre torri che ospitano il gotha del potere ecoonomico mondiale. Non c’ero e, se c’ero, dormivo. In effetti stavo compiendo esercitazioni aeree finalizzate proprio a contrastare (o a garantire?) un simile evento.
 
Analoga esercitazione, condotta da una ditta israeliana, è in corso nei trasporti di Londra, proprio mentre quattro ragazzotti li fanno saltare per aria (anche se poi risulta fotograficamente che non è stato uno zaino abbandonato in una vettura ad aver causato la strage, bensì una bomba collocata tempo prima (durante l’esercitazione?) tra i binari,sotto la vettura. A Parigi due terroristi farlocconi sbagliano l’ingresso a Charlie Hebdo, se lo fanno indicare da passanti, girano per minuti attorno all’edificio, prima e dopo il massacro, fanno fuori un poliziotto. Niente protezione a uno dei bersagli che dovrebbero figurare tra i più ambiti da islamisti sbertucciati e offesi per anni. Macchine della polizia che osservano tutto dal fondo della strada, si allontanano, si fanno passare davanti i terroristi in fuga senza neanche smettere di ascoltare la musichetta dalla radio e, men che meno, mettere mano alle armi. Però, porca miseria, si rifanno catturando la carta d’identità depositata da uno dei farlocconi sulla vettura.
 
Passano tre giorni e lo stranoto pregiudicato Coulibaly penetra nello stranoto supermercato ebraico kosher, obiettivo d’eccellenza per qualunque fanatico islamista, di quelli a cui bastano vignette per scatenarsi contro una conventicola di disegnatori ebrei razzisti. Arriva, lemme lemme, la polizia di una Parigi in preda a psicosi terrorista, fulmina quattro ostaggi, ma, soprattutto, Coulibaly quando appare, disarmato e arreso, nel quadro della porta. Gli attentatori non devono parlare. Mai.
A questo punto, però, i due commedianti dello spettacolo, Hollande e Valls, si danno da fare. Che non si dica che, alla falla dei servizi segreti e della gendarmerie, non abbiano posto rimedio  e messo in sicurezza il popolo di Parigi. Alle cospicue forze già in campo si sommano ben 10mila gendarmi. Non c’è “obiettivo sensibile” che non sia guardato e difeso a vista. Tranne, ma guarda che sfiga, alcuni famosissimi locali in pieno centro, come il Bataclan, non per niente di proprietari ebrei, dove attentatori, anche questi stranoti a polizia, magistratura e carceri per precedenti malefatte, hanno modo di allestire mattanze di alcune ore, convinti di offrire le loro vite ad Allah e alle 72 vergini che li attendono nell’aldilà. Curioso che qualcuno si stronchi la vita a vent’anni per un nobile ideale, quando fino a ieri gozzovigliava in bordelli, locali notturni, spacci di droga, senza mai aver aperto un corano, tanto da meritarsi che Allah lo cacciasse nel più profondo del jehannam.
 
False Flag di massa
E a Colonia? Come non c’è servizio segreto senza falla, così non c’è polizia senza ritardi. Salvo quando questi nostri protettori annunciano tremendi attentati sventati. Pratico la stazione di Colonia fin da quando, da un albergo di fronte, accanto al più bel duomo gotico della Germania, ho potuto osservarlo sbriciolarsi, insieme al resto della città, poi percorsa da torce umane accese dal fosforo bianco. Grande impresa di Churchill, uomo sensibile alla bellezza di una delle più preziose città d’arte della Germania. Ci sono tornato via via, fino ai tempi presenti quando era diventata una specie di Fortezza Bastiani, difesa e controllata da una superfetazione di agenti armati.
 
E lì che si è svolto il fattaccio di ben 2000 bruti organizzati (Duemila! Quando basta una marcetta di qualche decina di pacifisti o ambientalisti per scatenare in tutta Europa le mazzate degli sbirri!), davanti a qualche centinaio di poliziotti attrezzati a fermare perfino le orde di Gengis Khan, ma impassibili  per tutta la durata dello spettacolo, fino a quando non si son visti tirare addosso dei mortaretti. Fattaccio simultaneamente realizzato con perfetto sincronismo non solo in varie città tedesche, ma anche in Svizzera, Slovacchia, Cechia, Svezia  e altrove. Tanto ben preparato da teppisti avvinazzati (i musulmani, salvo i principi sauditi, non bevono alcol), da portarsi addosso e consegnare alle vittime bigliettini  con frasi sconce, tipo “fatti baciare, fatti toccare, fatti…”.
 
Fattaccio transeuropeo allestito da quella birba del proconsole Nato in Medioriente, Al Baghdadi, o, per essere deliranti complottisti, da coloro che di False Flag hanno un cirruculum più lungo dei peccati di sesso di Alessandro Borgia. Intanto si lecca le ferite e guarda con apprensione alle prossime elezioni la Merkel, unico, ma poderoso, governante europeo che ogni tanto alza un pochino la testa, economica e geopolitica, davanti ai supremi di Washington (vedi pace di Minsk, vedi l’oleodotto North Stream tra Russia e Germania, vedi le riserve sulle sanzioni a Mosca) e osa oppporsi allo scorticamente programmato dagli Usa per tutti i paesi europei, rimpolpando il suo apparato produttivo con un milioncino di baldi, giovani e qualificati siriani.
 
Fattaccio o segno di una falla poliziesca più vasta di Ground Zero, o dimostrazione di un’originalissima False Flag all’insegna del palpeggio di chiappe. Fatto definito rivoltante da una Merkel che, dopo aver subito il tracollo Volkswagen dell’affidabilità germanica, ora vede svaporare il mito storico dell’efficienza dello Stato. Giusta punizione, a parere di alcuni dei suoi concittadini, ma anche di altre entità più lontane, per aver dato posti di lavoro fin lì sguarniti ai siriani ed aver così trasformato una migrazione come cavallette d’Egitto, programmata per tagliare le gambe a Europa e Germania, in ulteriore rafforzamento della sua potenza produttiva.
 
Madaja per dimenticare Riyad
Di rincalzo allo tsunami della diabolizzazione di arabi e musulmani, di nuovo con epicentro Assad, le urlate lamentazioni sulla città siriana di Madaja, con tanto di false foto in Tv di bambini morenti prese da altre situazioni, dove 40mila civili morirebbero di fame a causa dell’assedio delle truppe governative. Irrilevanti 250mila siriani ammazzati e quattro milioni sradicati (su 22), due milioni  dispersi nel mondo, un popolo decimato, un’antichissima terra depredata da sanzioni feroci, da feroci subumani da noi pagati, addestrati, armati e incaricati di genocidio. Irrilevante il particolare che quella città è occupata dalle bande di mercenari Nato-Golfo, detti Isis, che rubano ai cittadini i rifornimenti di cibo della Croce Rossa e dell’ONU, eppure risultano disporre di illimitati mezzi e vengono magnificati come saggi ed efficienti amministratori e munifici operatori umanitari in un rivoltante documentario del menzognificio propagandistico intitolato “Piazza Pulita” (La7, giovedì 7 gennaio). Da tagliagole, stragisti, stupratori, infanticid, torturatori, a ragionevoli interlocutori in vista della risistemazione di Siria e Iraq,titolari di uno Stato islamico che verrà riconosciuto come “Sunnistan”. Chi, davanti a tali crimini di Assad, si ricorda ancora delle decapitazione di massa in Arabia Saudita? 
 
Aggiungo una nota di Marinella Correggia che fa luce sulla sporca campagna anti-Assad relativa a Madaja:
Ieri sera ero eccezionalmente davanti al Tg1 e ho visto lunghi minuti di denuncia dell'”Assedio di Assad a Madaya”, con foto terribili di sottonutrizione estrema, tipo bambini africani con il kwashiorkor.Viste le menzogne dette su Yarmuk (il punto è sempre “chi assedia”, “chi muore”) mi sono ripromessa di indagare, ed ecco qui – da vedere e diffondere- un video https://www.youtube.com/watch?v=f2jyWMu5kRY nel quale vanessa Beeley, attivista, chiarisce diversi punti, non ho tempo per tradurre ma sostanzialmente, 1) fra le immagini diffuse, molte appartengono ad altri scenari (un giornale inglese si è già scusato), 2) il quartiere è occupato da 600 Nusra e armati vari, la Croce rossa int ha portato a fine ottobre viveri per due mesi, dove sono finiti? I “ribelli”) li hanno accaparrati, 3) a fine dicembre l’Onu ha evacuato “militanti” feriti, possibile che abbia lasciato lì bambini alla fame?
 
Cui prodest allora?  Ho un sospetto: che faccia comodo agli stessi che stanno lanciando l’accozzaglia Isis su Ras Lanuf, massimo terminale libico da ricuperare ad ogni costo per Exxon, Shell, Total ed Eni? O a quelli che decapitano in massa sciti e loro capi spirituali perché il pandemonio interconfessionale determini l’annientamento di chi resiste alla triade Usa-Israele-Golfo e, nell’immediato, il fallimento dei programmati colloqui di pace a Ginevra? O, ancora, agli oligarchi di qua e di là dal mare che dal rinnovato “mamma li mori!” traggono pretesto per fascistizzare la loro società? L’ardua sentenza non ai posteri. Meglio chiarircela subito.
 
Israele-Nord Corea 200 a 1
Le piogge acide del nubifragio mediatico di questi giorni hanno contaminato l’intero globo terracqueo. Hanno allagato di puttanate sesquipedali e pure paradossali anche la Corea del Nord. Quelle sesquipedali riguardano la solita giaculatoria dei buffoni di corte delle antidemocrazie occidentali sugli orrori del regime di Kim, campi di concentramento, morti di fame e torture, lo zio di Kim Jong Un fatto sbranare dai cani e poi ricomparso in vita e in carriera, roba che i quadri di Hyeronimus Bosh sono un idillio bucolico. Non  conosco la Corea del Nord, ma avendo confrontato ciò che ho visto e ciò che i politici hanno detto e gli sguatteri mediatici ripetono sull’Iraq di Saddam, la Jugoslavia di Milosevic, la Siria di Assad, il Venezuela di Chavez, la Libia di Gheddafi, la Russia di Putin, so che quanto riferiscono della Nordcorea non merita il minimo credito.Tanto più che, se quel paese soffre di difficoltà economiche e quindi sociali, la colpa ne va attribuita alle più pesanti sanzioni mai inflitte, dopo quelle all’Iraq (che uccisero 1,5 milioni di persone)   
 
Le minchiate paradossali sono anche le più oscene: le cancellerie della sedicente “comunità internazionale” indignate e inorridite per l’esperimento atomico appena effettuato (da bravi controsensi se ne inorridiscono e, al tempo stesso, lo ridicolizzano definendolo petardo). Geremiadi di un’ipocrisia sublime. Ululano alla violazione del diritto internazionale, quando Pyongyang non ha firmato il Trattato di non Proliferazione e quindi non ha violato una mazza. Latrano sulla provocazione, quando ogni par di mesi Usa e sudcoreani allestiscono esercitazioni sul confine e sparanosu isole del Nord. Strepitano contro la minaccia al Giappone, quando il governo del tardo-samurai, Shinzo Abe, ha appena travolto la costituzione pacifista e si è attrezzato a mercenario di Washington e quando Okinawa subisce da anni una rivolta di popolo contro la sua colonizzazione da parte della più forte e violenta occupazione militare Usa.
 
Israele, che non ha mai firmato il Trattato ed è il paese canaglia più canaglia del mondo, possiede almeno 200 bombe atomiche. Ha avuto in dono dai tedeschi, grazie a una perenne estorsione fondata sull’ “incancellabile colpa” della Germania da qui all’eterenità, sommergibili nucleari in grado di lanciare missili atomici. Pakistan e India sviluppano da anni il loro potenziale atomico. Tra loro Usa e Russia dispongono di 20mila testate di cui la metà pronte al lancio. Gli esperimenti di Francia, Usa e Regno Unito, hanno decimato le genti degli atolli e contaminato mezzo Pacifico. Washington ha appena stanziato un trilione (mille miliardi) di dollari per ammodernare il suo arsenale nucleare e, nel frattempo, ha commesso genocidi da uranio in Iraq e nei Balcani.  Sono da sempre un antinuclearista al 100%, ma so anche che il paese che si dota dell’arma atomica è sicuro di non finire mangiato vivo, come quelli che se ne sono privati.
 
Quarto: il bue e l’asino
Dove il paradosso, o un’ipocrisia degna di un Renzi al cubo, raggiunge il parossismo è a Quarto, comune campano amministrato dai 5Stelle. I sabotaggi politico-mediatici di altri sindaci pentastellati, da Gela a Livorno, ne erano i prodromi. Sono alle porte pericolosissime elezioni amministrative, probabile giudizio di popolo anche sulle nefandezze della cosca mafio- e guerra-dipendente che ci governa. Il M5S, inattaccabile per come opera in Parlamento, a fronte di un branco di corrotti, poltronisti e trasformisti, può essere aggredito là dove deve combattere contro l’eredità di  ladrocinio, sprechi, appalti camorristi, lasciatagli dagli avvoltoi delle precedenti amministrazioni. Da una parte, a Quarto, i 5Stelle hanno dovuto prendere atto, una volta scoperto, denunciato ed espulso De Robbio, consigliere in puzza di camorra, che parte dei loro voti nel Comune ad alta densità criminale erano venuti da chi era riuscito ad infiltrarli. Magari su spinta di coloro che il Comune precedente l’avevano governato, spolpato e perduto. Magari nel plauso di chi dei 5Stelle a livello nazionale, sente il fiato sul collo.
 
Tranquilli, è solo complottismo.
 
Il discorso si allarga. Da una parte un Comune conquistato dal nemico mortale, ma che istantaneamente, senza presunzione di innocenza fino al terzo grado, ha cacciato la mela marcia. Cosa doveva denunciare la sindaca Capuozzo rispetto a un consigliere, ancora intonso, che l’aveva amichevolmente avvisata che un abuso edilizio dei suoi famigliari (se esiste) poteva sollecitare le autorità a causarle dei guai? L’infiltrato, una volta scoperti i fili che lo legano al malaffare, è stato fatto volare fuori a pedate. Un infortunio, certo, classico difetto di una disinvolta selezione della classe dirigente, ma anche una trappola allestita da chi ha più malavita tra le sue schiere dell’ultima repubblica delle banane.
 
Dall’altra parte il PD, con i suoi fratellastri spuri, boss delle larghe intese a più alto tasso di mafiosità della Seconda Repubblica, che vanta 50 comuni sciolti per mafia, consigli regionali zeppi di pregiudicati, condannati, carcerati, Mafia Capitale, la Campania governata da un personaggetto appoggiato dai cosentiniani, condannato per abusi vari, Il sindaco della contigua Ischia arrestato per tangenti presi dalla Cooperativa cara a Poletti. E poi il PD dei quattro sottosegretari indagati, esecutore extragiudiziale a Roma del primo sindaco perbene in un quarto di secolo e dentro fino al collo nella Roma dei Buzzi, Carminati e Spezzapollici. Quello che si tiene in casa gli arrestandi Genovese e Azzolino e, fino all’ultimo gradi di giudizio, un centinaio di “presunti innocenti”, che è coniugato per la buona e cattiva sorte con quell’uomo dabbene di Verdini, inseguito da un nugodo di magistrati. Il PD delle banche, di indagati di bancarotta e malversazione come papà Renzi e papà Boschi. Il PD che doveva assolutamente scongiurare l’effetto che stava facendo sui futuri elettori l’arresto del suo assessore Ozzimo per Mafia Capitale, scagliando i suoi gazzettieri e sodali contro Quarto. Un PD del premier con i suoi compari traffichini che a Riyad, sui Rolex donati dai jihadisti, allestiscono una rissa  da far sprofondare nell’imbarazzo principotti che da un secolo si sgozzano a vicenda, ma intanto rapinano il mondo.
 

Senza parlare di un PD, che ci ruba i soldi per darli ai generali suoi e della Nato. Qui il lezzo di fogna e di zoccole si fa particolarmente acuto

 
Pubblicato da alle ore 20:47

LA TRIMURTI DEL TERRORE: ISRAELE, TURCHIA, ARABIA SAUDITA

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MONDOCANE

LUNEDÌ 4 GENNAIO 2016

Se insisti a concedere scuse, finisci col dare la tua benedizione al campo degli schiavi, alle forze della codardia, a giustizieri organizzati, al cinismo dei grandi mostri politici. Alla fine consegni i tuoi fratelli”. (Albert Camus)
Stati conquistati abituati alla libertà e al governo delle proprie leggi possono essere dominati dal conquistatore in tre modi diversi. Il primo, è distruggerli; il secondo è che il conquistatore ci vada e vi risieda personalmente; il terzo è di consentirgli di continuare sotto le proprie leggi, assoggettati ai tributi e di crearvi un governo dei pochi che mantengano l’amicizia con il conquistatore”. (Nicolò Machiavelli)
La trimurti del terrore in Medioriente, Israele-Turchia-Arabia Saudita, sta alla triplice del dominio mondiale, USA, UE, sionismo, come il papa sta alla SS Trinità. Nella strategia, la prima obbedisce alla seconda, nella tattica ogni tanto ne diverge. Quello che sta succedendo in questi giorni in Medioriente va inquadrato nella prima ipotesi, o nella seconda? Questo è il problema. A loro volta le due triadi sono gli strumenti del Grande Inganno Planetario, noto anche come Dollaro, l’entità suprema che, nel nostro piccolo, negli anni ’70 delle stragi e del terrorismo di Stato, avevamo definito il Grande Vecchio. Il cataclisma innescato dai mostriciattoli di Riyad e che minaccia l’apocalisse rispetto alla quale quella di San Giovanni potrebbe sembrarci una scaramuccia, è iniziativa propria, autoctona, o esegue un mandato superiore?  Ce lo diranno gli sviluppi.
Intanto atteniamoci ai fatti sul terreno. La decapitazione e crocefissione del massimo clerico scita in Arabia Saudita, insieme a quella di altri oppositori della petrodittatura, fatti passare per Al Qaida che, poi, paradossalmente, è una creatura spurgata dal grembo tossico dello stesso regno in concorso con Cia e Mossad, è in prima istanza un’operazione diretta a sventare il poker d’assi calato sul campo da Putin. Il progetto di riordino del Medioriente, formulato dall’israeliano Oded Yinon nel 1981 per sventare la minaccia di una Nazione Araba che, riunendo i vari Stati liberatisi dal colonialismo, ponesse sulla scena mondiale un nuovo, formidabile attore, dotato di numeri, volontà, petrolio e paradigma sociale alternativo, risponde certamente agli obiettivi comuni dei soggetti sopra elencati. E’ sul metodo che divergono. Se sia meglio il fosforo bianco che incenerisce subito, o l’uranio che uccide nel tempo.
Cuba e Iran, come affrontati da Obama nella fase terminale del suo mandato, rappresentano il metodo soft, quello in cui certi poteri economici si ripromettono il dominio globale attraverso la corruzione e l’addomesticamento di avversari gradualmente omologati al proprio modello. Israele, Arabia Saudita, Turchia e altri poteri economici USA-UE, come il complesso militarindustriale, di cui sono espressione politica i neocon (Hillary compresa), puntano all’annientamento tout court. Nel loro caso prevale anche un’altra considerazione: l’urgente necessità di liquidare un dissenso interno gravido di potenziale insurrezionale: palestinesi qua e oppositori interni là. Come anche  di superare una crescente crisi economica. La soluzione di questa è vista nel controllo del petrolio tutto, ovunque si trovi, sangue che fa battere il cuore del capitalismo imperialista. Alla faccia della farsa allestita a Parigi, con i fuochi fatui del COP21, e della stessa sopravvivenza di tutti quanti (tanto, per i furbi della negazione del mutamento climatico, il rischio non esiste e, se esistesse, lo superano i miracoli tecnologici delle geo-ingegneria).
Perché la riduzione forzata del prezzo del petrolio, se era diretta inizialmente a sfiancare protagonisti energetici  concorrenti, come Russia, Iran e Venezuela, a lungo andare ha minato anche la tenuta sociale, economica e dunque politica, di chi l’ha promossa. Ed ecco che chi molto petrolio ce l’ha, come i sauditi e annessi subalterni del Golfo, chi non ne ha, ma se lo fa pompare dai vassalli curdi, nel caso di Turchia e Israele, ha preso l’abbrivio ed è partito alla conquista del resto. Grazie all’Isis, forse oggi più saudita-turco-israeliano che statunitense (gli Usa vantano l’autosufficienza energetica), in Iraq, secondo detentore mondiale di riserve, Libia, terzo, e Siria, produttore minore, ma strategicamente irrinunciabile per le vie del petrolio, le cose si stavano mettendo bene. Prima che arrivassero i russi .
Poi c’è l’Iran, per la trimurti mediorientale nemico pubblico numero uno. Washington e Tehran hanno trovato un modus vivendi che si pensa possa favorire gli Usa nel loro tentativo di isolare ed assediare la Russia e, al tempo stesso, consentire, grazie all’attuale presidenza di Rouhani, espressione dei ceti altoborghesi filoccidentali, la penetrazione e manomissione delle multinazionali nordamericane. L’Iran, come Cuba, mette in gioco quanto il predecessore di Rouhani,  Ahmadinejad, aveva realizzato a favore di un’equa distribuzione della ricchezza, della crescita politica e sociale delle classi popolari, del ruolo geopolitico.  Ma per Arabia Saudita e Israele, che da anni strepitano contro l’accordo sul nucleare, e per la Turchia, che è arrivata addirittura alle mani con la Russia, abbattendo il  cacciabombardiere Su-24, è lampante che un Iran rientrato nei giochi rappresenta l’inizio di un possibile processo di marginalizzazione del proprio potere contrattuale rispetto al resto del mondo. Il gioco è d’azzardo,  ma confida nel fatto che, alla resa dei conti riuscirà perché, nella scelta, gli Usa e i poteri che ne fanno uso militare, escatologicamente, non avranno… scelta.
La sanguinaria impennata dei sauditi, oltretutto in crescente difficoltà in Yemen dove, nonostante gli stermini bombaroli e l‘affamamento di tutto un popolo, nononstante l’impiego di mercenari Blackwater colombiani, americani e francesi, non riescono ad aver ragione delle forze patriottiche a egemonia Houthi (sciti), punta a portare alle estreme conseguenze lo scontro confessionale tra sciti e sunniti. Lo schieramento scita di Iran, Iraq, Siria, Yemen, Hezbollah, con le popolazioni scite insofferenti e sempre più insorgenti in Bahrein e nella stessa Arabia Saudita, grazie all’intervento russo  si è collocato stabilmente nella metà campo dell’avversario. Al quale non è rimasto che puntare ai rigori. Sperando di poter far tirare dal dischetto anche il contravanti statunitense, convinto dal dato oggettivo di giocare in una squadra da sempre amica, piuttosto che trasferirsi in una in cui non può essere certo di essere bene accolto. Hai visto mai che torni Ahmadinejad, o uno come lui.
Insomma siamo al redde rationem. Sauditi, turchi e israeliani vogliono giocarsi il tutto per tutto e forzare gli Usa e i padroni del dollaro a rinsaldare, nell’Armageddon, gli antichi e comprovati vincoli. Il passo è lungo. E definitivo. Più lungo, forse, della gamba. Resta da vedere quanta carica antimperialista resta nell’Iran di Rouhani, quanta determinazione e tenuta avranno i russi, se il gioco sunniti contro sciti riuscirà a coinvolgere masse sufficienti per un rogo generale, ora che Baghdad, Damasco e i loro alleati stanno riducendo l’incendio Isis a grigliata sotto la pioggia.. E resta da vedere a quale dei suoi referenti in alto, ai suoi burattinai, darà retta Obama.
Chiudo con una nota su quanto vanno farneticando certi gazzettieri, dall’abisso della loro ignoranza, o allineamento alla vulgata del divide et impera, sul presunto, storico e ontologico, conflitto sciti-sunniti. Prima che il colonialismo nel mondo arabo e, più recentemente, il generale Petraeus in Iraq, cospirassero per suscitare quella divisione, sciti e sunniti, sui documenti di identità, nei certificati di nascita e matrimoniali e nell’anima, non avevano scritto la confessione. C’era solo scritto iracheno, siriano, arabo. Tutt’al più musulmano.
Pubblicato da alle ore 18:48

NAZIONE ARABA

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MONDOCANE

DOMENICA 3 GENNAIO 2016

Giorni fa si sono visti messaggi in rete dati sul sostegno all’Isis da parte della popolazione araba a Mosul. Dati che intendevano convincerci che, dopotutto, l’Isis è bene accetto tra le popolazioni invase. Si tratta, con evidenza solare, di dati propagandistici e grotteschi per chiunque avesse anche solo una limitata conoscenza, sul posto, degli arabi e della loro anima.
Ora sul Fatto Quotidiano, a firma Guido Rampoldi (ex-Repubblica, uno informato, ma impostato malamente su balle imperialiste), esce qualcosa di più attendibile. Riguarda l’intero mondo arabo che a che fare con l’Isis e, prima, con Al Qaida (di cui Rampoldi accredita l’autenticità, autodeterminazione e autogerminazione).
Li riporto per rettificare certe illusioni seminate dal nemico. Sono tratti da un sondaggio di ben altra competenza e correttezza: 18.311 interviste – non quattro a Mosul – in 12 paesi dell’ “Arab Opinion Index 2015”, con margine d’errore 2-3%.
Solo il 7% degli arabi ha dell’Isis un parere favorevole, o anche solo in parte favorevole. Un arabo su due, più astuto di Rampoldi, lo considera il prodotto di potenze straniere, come già accadde con Al Qaida e Osama bin Laden. Il 72% ritiene che “nessuno abbia il diritto di dichiarare infedeli i seguaci di altre religioni”.
Mentre, per merito delle forze patriottiche irachene e siriane, con il supporto di Iran e Hezbollah e a dispetto dei continui rifornimenti della Coalizione Usa all’Isis e dei bombardamenti sulle truppe patriottiche in avanzata e a dispetto di curdi e turchi che cercano di arginare la vittoria degli aggrediti, si profila la sconfitta militare del cosiddetto Stato islamico, ne è già pienamente consumata la disfatta culturale: il progetto di un’Umma integralista frazionata tra i vari staterelli che l’imperialismo ha progettato di far nascere dalle divisioni nazionali formulate da Sikes-Picot nel 1915.
A questo proposito va contrastato il discorso di vari utili idioti pacifisti e di sinistra, come di amici del giaguaro proni all’imperialismo, secondo cui quei confini erano arbitrari e si farebbe bene a ridisegnarli lungo linee tribali, etniche, confessionali, alla maniera della balcanizzazione.
Quelle configurazioni di nazioni multietniche e multiconfessionali furono, sì, imposizioni arbitrarie, funzionali al controllo colonialista. Ma, primo, servirono a superare un’arcaica e imbelle struttura tribale, come faceva gioco agli imperi precedenti, romano, bizantino, ottomano, italiano (vedi la Libia di Gheddafi, ora rispedita nel Medioevo). E, secondo, nella successiva lotta di liberazione dal colonialismo e di resistenza a sionismo e imperialismo, quei popoli “diversi” forgiarono un’unità ideale, ideologica, politica, culturale. Unità che rispondeva poi, in buona parte, al loro lontano retaggio geografico, culturale e storico. Solo la Siria, che organicamente racchiudeva anche Libano e Palestina, fu divisa in tre pezzi. Detto con pieno rispetto per le poi maturate istanze nazionali dei palestinesi, anche queste con radicata legittimità storica.
 
E se questi elementi strutturali e strutturanti non bastassero, credo che la storia di gran parte d’Europa, frazionata in mille contee e principati fino all’Ottocento, ci insegna a riconoscere come formativa e legittimante di una nazione la volontà dei popoli che vi si riconoscono. E su questo, per quanto riguarda gli Stati arabi che si sono dissanguati nel contrasto a sionismo e imperialismo, non credo vi possano essere dubbi.
 
Pubblicato da alle ore 17:35