Ucraina: i golpisti bombardano Donetsk e Lugansk, catastrofe umanitaria

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Ucraina: i golpisti bombardano Donetsk e Lugansk, catastrofe umanitaria

Sembra accelerare ulteriormente l’offensiva militare del regime golpista ucraino contro le città in mano agli insorti da tempo sottoposte ad un crudele assedio e a continui attacchi. Da molte ore ormai l’esercito regolare ucraino sta bombardando le postazioni degli insorti a Donetsk, provocando gravi danni in tutta la città. Anche nel corso della notte scorsa le forze militari assedianti avevano bombardato per almeno 20 volte alcune zone di Donetsk. Secondo le autorità municipali, un edificio residenziale “è stato distrutto” ed è stata colpita e danneggiata anche un’ala del Policlinico numero 18 ferendo alcuni pazienti. 

In un’accorata dichiarazione, il nuovo primo ministro della Repubblica di Donetsk, Alexander Zakharchenko ha affermato che di fronte alla catastrofe umanitaria e al rischio di un bagno di sangue in città le milizie popolari sarebbero pronte ad un cessate il fuoco. “Ma se l’esercito ucraino continuerà il bombardamento dei civili, i difensori del Donbass combatteranno fino alla fine” ha affermato, aggiungendo che è necessario istituire immediatamente dei corridoi umanitari per la città, in quanto al momento non posso essere consegnati medicinali e altri prodotti di prima necessità. A causa del blocco e dei continui bombardamenti della giunta non è possibile riparare la rete elettrica danneggiata e ripristinare la normale fornitura dell’acqua. “Siamo pronti per un cessate il fuoco al fine di evitare la proliferazione di un disastro umanitario nel bacino del Don” – ha concluso Zaharchenko – “Ma con la continua aggressione dell’esercito ucraino sulla milizia del nostro popolo saremo pronti a combattere in qualsiasi condizione. La battaglia si svolgerà in ogni strada, in ogni casa, in ogni metro della nostra terra! Difenderemo il nostro diritto alla libertà e all’indipendenza!”
La situazione è particolarmente critica nella città orientale di Lugansk, lasciata dagli assedianti senza acqua né luce da una settimana e colpita centinaia di volte dai tiri di artiglieria e dai bombardamenti dell’aviazione di Kiev. Il governo di Mosca, anche in accordo con la Croce Rossa, sta spingendo per una missione umanitaria di sostegno alla città, ma la giunta golpista spalleggiata da Stati Uniti e Unione Europea afferma che si tratterebbe di un trucco per portare armi ai ribelli e mascherare l’ingresso di truppe di Mosca nelle regioni orientali del paese. Kiev ha anche affermato di aver sventato, per via diplomatica, un tentativo della Russia di far entrare sul territorio ucraino un convoglio apparentemente “umanitario” ma, in realtà, militare. Secondo Kiev una colonna motorizzata carica di aiuti sarebbe stata scortata da “soldati” russi e avrebbe trasportato “equipaggiamento” bellico, cercando di sconfinare nel Donbass. Ma Mosca ha respinto l’accusa: “Le forze russe non hanno cercato di attraversare il confine”, ha dichiarato Dmitri Peskov, portavoce del presidente russo Vladimir Putin. 
Sempre nella regione di Lugansk l’aviazione ucraina ha attaccato la città di Krasny Luch. “Hanno bombardato la sede dell’agenzia delle Entrate locale, che ospita il quartier generale delle forze separatiste, e una caserma. Alcuni colpi sono finiti vicino a dei condomini e ad un terreno privato. In città mancano gas, elettricità ed acqua” ha detto un rappresentante della Repubblica Popolare.
Situazione simile anche nelle cittadine di Yasinovataya, Avdiyivka, Krasnogorovka, Marinka, Gorlovka e nei villaggi di Staromihaylovka, Verhnetoretskoye, Krasny Partizan e Spartak, sottoposti a continui bombardamenti e da tempo privi di acqua ed elettricità.
Aumentano non solo le vittime civili tra gli abitanti delle regioni insorte, ma anche il bilancio delle vittime militari nell’esercito assediante. Secondo un portavoce militare golpista nelle ultime ore i combattimenti avrebbero provocato la morte di 13 soldati, dopo i 15 uccisi nei giorni scorsi.

Briganti

Bronte, Sicilia, 10 agosto 1860:

“All’alba del 10 agosto, i rivoltosi siciliani condannati vennero portati nella piazzetta antistante il convento di Santo Vito e collocati dinanzi al plotone d’esecuzione di Nino Bixio, braccio destro dell’eroe dei due mondi. Alla scarica di fucileria morirono tutti ma nessun soldato ebbe la forza di sparare a Fraiunco (lo scemo del villaggio, incapace di intendere e di volere e arrestato solo perchè aveva suonato una trombetta per strada). Fraiunco risultò incolume. Il poveretto, nell’illusione che la Madonna Addolorata lo avesse miracolato, si inginocchiò piangendo ai piedi di Bixio invocando la vita.
Ricevette una palla di piombo in testa e così morì, colpevole solo di aver soffiato in una trombetta di latta.”

Ferdinando Mainenti, L’eccidio di Bronte del 1860

“QUANDO C’ERA IL DUCE…” BASTA CAZZATE, SFATIAMO IL MITO

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Matteo Gracis

Posted by  on giugno 8, 2014

mussolini

Con questo articolo sfatiamo i grandi cavalli di battaglia usati da vecchi e nuovi fascistelli, nostalgici di quel “grand’uomo” di Benito Mussolini. E’ sufficiente una minimaverifica storica dei fatti per portare a galla la verità. Buona lettura.

1) Se non c’era il Duce col cavolo che prendevi la pensione, visto che l’INPS la inventò lui!
Il primo sistema pensionistico in Italia a tutela dello stato di sopraggiunta invalidità sul lavoro o nel caso di impossibilità al lavoro per vecchiaia venne costituito nel 1898 quando venne introdotta la CNP, Cassa Nazionale di Previdenza nella quale venivano iscritti i lavoratori di alcune categorie e definitivamente dal 1919 quando l’ente divenne CNAS (Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali) prevedendo l’iscrizione obbligatoria per tutti i lavoratori.

2) Se non c’era il Duce e ti ammalavi, peggio per te, non prendevi lo stipendio. 
Con la legge 11 gennaio 1943 n.138 venne istituita la prima Cassa Mutua di Assistenza di Malattia che offriva tutele minime ai soli lavoratori dipendenti del pubblico impiego e nulla per gli altri. L’indennità di malattia è un dono della repubblica democratica visto che venne istituita con decreto legislativo del Capo provvisorio dello stato nr.435 del 13 maggio 1947 l’INAM, Istituto Nazionale per l’assicurazione contro le malattie, riformato nel 1968 che assisteva tutti i lavoratori, anche coloro che dipendevano da imprese private. E nel 1978, con Legge 23 dicembre 1978, nr. 883, veniva estesa, oltre che l’indennità retributiva in caso di malattia, anche il diritto all’assistenza medica con la costituzione del Servizio Sanitario Nazionale.

3) Il Duce ha inventato la Cassa Integrazione Guadagni per aiutare i lavoratori di aziende senza lavoro.
Nel 1939, tramite circolari interne, veniva prevista la possibilità, prevista senza un reale quadro normativo per poterla applicare, visto che allora era totalmente inutile. L’Italia, già coinvolta nelle guerre nelle colonie (Libia, Abissinia) si stava preparando all’entrata in guerra al fianco della Germania e l’industria (soprattutto quella bellica) era in gran fermento, motivo per cui non solo si lavorava a turni pesantissimi ma si assistette addirittura al primo esodo indotto di lavoratori dall’agricoltura all’industria. La Cassa Integrazione Guadagni, nella sua struttura è stata costituita solo il 12 agosto 1947 con DLPSC numero 869, misura finalizzata al sostegno dei lavoratori dipendenti da aziende che durante la guerra erano state colpite e non erano in grado di riprendere normalmente l’attività.

4) Quando c’era il Duce non vi era disoccupazione in Italia.
Vero, anche se in maniera discutibile. Unica precisazione da fare è che tale evento non era giustificato dal reale stato di benessere dell’economia ma da due eventi ben precisi: l’Italia stava preparando l’entrata in guerra e tutte le industrie (e l’artigianato) che direttamente o indirettamente fornivano l’esercito lavoravano a pieno regime. Per contro, l’accesso al lavoro era precluso a tutti coloro che non sottoscrivevano la tessera del Partito Nazionale Fascista, sanzione che era estesa anche ai datori di lavoro che eventualmente li impiegassero. Motivo per cui durante il fascismo assistemmo ai primi flussi migratori, di tutti coloro che per motivi politici non intesero allinearsi al regime ma avevano una famiglia da mantenere. Francia (prima dell’invasione nazista), USA, Argentina, Brasile e Africa le direttive principali dell’emigrazione Italiana: anche mio bisnonno da parte di padre fu costretto ad emigrare in Etiopia visto che nella Romagna nessuno intendeva rischiare dando lavoro a uno privo della tessera del partito. Gli extracomunitari attuali non esistevano visto che venivano direttamente sfruttati in loco nelle colonie, mentre i migranti erano i nostri poveri che non volevano tesserarsi al partito, motivo per cui in Italia, chi non lavorava per la guerra era indotto ad emigrare.

5) Se non c’era il Duce le grandi strade in Italia non venivano costruite.
Anche questo non è vero, visto che la necessità di realizzare infrastrutture in Italia fu un’idea di Giovanni Giolitti durante il suo quinto governo (15 giugno 1920/7 aprile 1921), avendo constatato l’impossibilità di uno sviluppo industriale in mancanza di solide strutture, sviluppo industriale dimostratosi necessario dal confronto con le altre grandi potenze che avevano partecipato al primo conflitto mondiale. Tale “rivoluzione” non potè essere attuata da Giovanni Giolitti, prima, e dal governo Bonomi che ne seguì solo per i sette mesi che resse a causa del boicottaggio e dell’ostruzionismo politico da parte del nascente fascismo, prima generico movimento popolare (1919) e poi soggetto in forma di partito dal 1921, con la costituzione del Partito Nazionale Fascista.

6) Quando c’era il Duce il popolo stava meglio!
Anche questa è un’affermazione discutibile. Infatti, a seguito delle sanzioni internazionali irrogate nel 1936 all’Italia a seguito dell’invasione dell’Etiopia, il 18 novembre di quell’anno venne indetto il “Giorno della fede” in cui gli italiani furono invitati, in teoria, a donare tutto il proprio oro alla Patria ricevendo, in cambio delle fedi nuziali (gli sposati) anelli in ferro con la scritta “ORO ALLA PATRIA – 18 NOV.XIV” che qualche anziano possiede ancora. Teoricamente perché, malgrado fosse fatto su invito volontario, chiunque venisse colto a possedere oro proprio anche in casa, veniva perseguito come traditore e nemico della patria dalle squadre del Fascio Littorio, ripassati (come si diceva allora) a manganello ed olio di ricino. E sempre per sostenere la guerra in Abissinia ed Eritrea prima, quella al fianco dei tedeschi poi, venne imposta l’autarchia: tutti i prodotti di importazione vennero soppressi come la maggior parte del grano utilizzato per la pasta e sostituito dall’”italico” riso, come ad esempio il caffè, sostituito dal “surrogato” fatto con cicoria tostata e il the, sostituito dal “coloniale” karkadè, misura che complessivamente peggiorò di molto la qualità della vita del popolo.
E il sequestro ai contadini della produzione agricola: agli agricoltori, come i miei parenti nell’alto forlivese, veniva imposta una elevata produzione agricola di cui solo una piccola parte veniva lasciata al contadino per il consumo personale e la vendita al mercato mentre una quantità esosa veniva “prelevata” dai fascisti locali “per il bene della patria”. E anche gli animali da carne.
Furono anni in cui calò l’allevamento dei maiali, animale ingombrante, oneroso da mantenere, visibile e quindi facilmente “prelevabile” in favore dell’allevamento del coniglio, più piccolo, più discreto e quindi più facilmente nascondibile; nel paese di Santa Sofia di Romagna (FC), tutta la collina della frazione di Camposonaldo, zona impervia da esplorare, divenne prima che territorio e base dei partigiani luogo di allevamento abusivo dei conigli, quelli che le famiglie contadine mangiavano la domenica e nei giorni di festa malgrado le disposizioni del regime.

7) Il Duce amava l’Italia.
«Mi serve qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo delle trattative» enunciò il Duce il 26 maggio 1940 (fonte: L’Italia nella seconda guerra mondiale, Milano, Mondadori, 1946, p. 37): e così fu, visto che nella disastrosa “campagna di Russia”, solo per compiacere Hitler con una presenza italiana del tutto male equipaggiata e fornita nelle sue operazioni di guerra, persero la vita ufficialmente 114.520 militari sui 230.000 inviati al fronte, a cui aggiungere i dispersi, ovvero le persone che non risultavano morte in combattimento ma nemmeno rientrate in patria, che fonti UNIRR stimano in circa 60.000 gli italiani morti durante la prigionia in Russia. Il Duce amava talmente l’Italia da aver introdotto leggi razziali antisemite nel 1938 solo per compiacere l’alleato nazista, inutili perché in Italia gli ebrei, a differenza che in Germania, non avevano un’importanza rilevante in un sistema economico di cui la dittatura volesse provvedere all’esproprio. E i fascisti, soprattutto durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana (o di Salò) collaborarono attivamente ai massacri di rappresaglia a seguito delle operazioni partigiane e alla deportazione nei lager di cittadini italiani.
In Italia inoltre il fascismo fu istitutore e gestore di “lager”: la bibliografia ufficiale stima 259 campi di prigionia, alcuni normali campi di detenzione, altri campi di smistamento in attesa della deportazione in Germania, altri ancora autentici campi di sterminio come la Risiera di San Sabba a Trieste, dove il tenore dei massacri era inferiore solo ai campi di Germania e Polonia.

8) Il Duce diede il voto alle donne.
Errato, perché le donne erano ammesse alle votazioni solo per piccoli referendum locali mentre erano escluse al voto per le elezioni politiche. La prima volta che le donne furono democraticamente ammesse al voto fu al referendum repubblica/monarchia del 1946.

fascismo bufale

I numeri del fascismo in Italia
42 fucilati nel ventennio su sentenza del Tribunale Speciale.
28.000 anni complessivi di carcere e confino politico.
80.000 libici sradicati dal Gebel con le loro famiglie e condannati a morire di stenti nelle zone desertiche della Cirenaica.
700.000 abissini barbaramente uccisi nel corso della impresa Etiopica e nelle successive “operazioni di polizia”.
350.000 militari e ufficiali italiani caduti o dispersi nella Seconda Guerra mondiale.
45.000 deportati politici e razziali nei campi di sterminio, 15.000 dei quali non fecero più ritorno.
640.000 internati militari nei lager tedeschi di cui 40.000 deceduti ed i 600.000 e più prigionieri di guerra italiani che languirono per anni rinchiusi tra i reticolati, in tutte le parti del mondo.
110.000 caduti nella Lotta di Liberazione in Italia e all’estero.
Migliaia di civili sepolti vivi tra le macerie dei bombardamenti delle città.
Innumerevoli combattenti degli eserciti avversari ed i civili che morirono per le aggressioni fasciste.

L’invito è di condividere questo articolo sul web e soprattutto di farlo leggere a quei nostalgici di cui si accennava all’inizio.
Chiunque, abbia un minimo di intelligenza e di conoscenza della storia, non può sostenere che Benito Mussolini e il fascismo abbiano fatto il bene dell’Italia.

Associazione ACAD, conosciamola meglio

di Leonardo Capella

Durante il convegno “Voci di donne sulla violenza di Stato” tenutosi a Susa il 14 giugno abbiamo fatto la conoscenza dell’associazione ACAD (Associazione Contro gli Abusi in Divisa). Abbiamo intervistato una delle fondatrici di ACAD, Rossana Noris di Bergamo, per approfondire la conoscenza dell’associazione.

Quali sono le motivazioni che hanno fatto nascere questa associazione?

L’associazione è stata pensata subito dopo la morte di Federico Aldovrandi nel 2005. Questa vicenda mi ha inquietata e mi ha spinto a interessarmi quotidianamente delle vicende legate agli abusi in divisa. Grazie alla collaborazione del centro sociale bergamasco Pacì Paciana, di cui faccio parte, è quindi iniziata attività di monitoraggio costante sulle vicende di abusi in divisa. 

Come si è sviluppata la nascita dell’associazione?

Abbiamo cominciato invitando la famiglia Aldovrandi alla proiezione di un documentario su Federico. Poi nell’arco di qualche anno si sono susseguite altre vicende simili (Cucchi, Uva, Ferrulli) che ci hanno fatto comprendere che vi erano diverse situazioni di questo tipo. Quando succede un problema nella quotidianità tutti si rivolgono alle Forze dell’Ordine, ma quando il reato  viene da li a chi bisogna rivolgersi? La risposta a questa domanda ci ha spinto a far nascere una piccola rete con lo scopo di creare uno strumento concreto che potesse fungere, se non da punto di riferimento, ma almeno di appoggio per chi si trovasse in queste situazioni.

Come è organizzato oggi e quale supporto è dato oggi dall’associazione? 

Abbiamo fatto una presentazione ufficiale a gennaio di quest’anno con un a quindicina di famiglie che hanno avuto casi di abusi e nello stesso giorno abbiamo aperto un numero verde, aperto 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, che è 800588605. Lo scopo è quello di raccogliere le segnalazioni relative a abusi subiti o visti. Il numero verde è collegato a una rete nazionale di avvocati. Crediamo sia molto importante segnalare questi abusi, anche quelli non mortali, per poter portare portare all’attenzione dell’opinione pubblica questo fenomeno che stando ai numeri delle chiamate ricevute pare preoccupante. Assume molta importanza anche  la segnalazione di abusi avvenuti in passato perché molte volte i reati non sono ancora caduti in prescrizione e quindi è ancora possibile una qualche azione. Inoltre questa rete può dare coraggio a chi intimorito non vuole esporsi. Dall’inizio dell’anno oltre 300 chiamate al numero verde indicano che siamo sulla strada giusta. 

Non avete nei vostri programmi l’inserimento di un’assistenza psicologica?

Ci stiamo ragionando, al momento interveniamo come attivisti ma ci rendiamo conto che molte situazioni richiedono una competenza specifica e che quindi un supporto psicologico professionale sarebbe più indicato.

Qualche altra iniziativa in cantiere?

Abbiamo iniziato una campagna chiamata “ACAD in ogni città” per la creazione di ACAD Point su tutto il territorio  nazionale. Speriamo che questo possa essere un deterrente al verificarsi di ulteriori abusi perché guardando i numeri abbiamo la sensazione che non si sia di fronte a “poche mele marce” ma ad un problema più vasto e qualcuno dovrà renderne conto. Per il completamento di questa campagne penso ci vorranno almeno due anni. Abbiamo notato che un numero elevato di cittadini non ha una conoscenza su quali siano le procedure di fermo, arresto, perquisizione e non conoscano appieno i propri diritti. Stiamo lavorando sulla preparazione di un opuscolo rivolto sia ai militanti che al comune cittadino dove saranno raccolte informazioni utili a comprendere come comportarsi e quali sono i diritti che tutelano il cittadino. Vogliamo inoltre indire la prima giornata nazionale contro gli abusi in divisa con una grossa manifestazione a Roma verso la fine dell’anno, per raggiungere questo scopo dobbiamo far crescere la consapevolezza perché vogliamo che davvero tutta la nazione si muova perché ormai questi abusi sono sotto gli occhi di tutti e non è più possibile fare finta di niente. 

(L.C. 10.08.14)

Ospedale di Susa. Comunicato stampa della consigliera Stefania Batzella del M5S

OSPEDALE DI SUSA (TO) – Batzella (M5S): “Grave la carenza di personale, serve maggiore attenzione per gli ospedali montani”.

Oggi (8 Agosto 2014 ndr) la consigliera regionale M5S Stefania Batzella si è recata presso il Presidio ospedaliero di Susa (TO) per verificare in prima persona le problematiche della struttura in seguito a diverse segnalazioni di dipendenti e cittadini. Si è svolto un colloquio con il Direttore sanitario e il Direttore intersede, i quali hanno dimostrato apertura al dialogo e al confronto con l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi e dell’assistenza.

“E’ sempre più grave la carenza di personale di comparto ed in particolare quello medico – afferma Stefania Batzella – i medici anestesisti sono appena cinque (più il primario) mentre dovrebbero essere quantomeno otto per poter lavorare in condizioni ottimali. Sono sottoposti a turni massacranti poichè devono occuparsi di vari servizi quali Pronto soccorso, sala operatoria, prestazioni ambulatoriali e di reparto in caso di urgenza. La situazione non cambia per quanto riguarda i medici chirurghi ed ortopedici, i quali presentano una carenza di almeno 4 unità per ciascuna categoria. Il tutto comporta una riduzione di servizi e prestazioni oltre all’allungamento dei tempi di attesa”.

Per quanto riguarda il punto nascite (maternità e neonatologia) le condizioni non sono migliori in quanto persiste la scarsa affluenza delle gestanti, e di conseguenza il numero di parti è diminuito drasticamente, poiché le utenti che presentano fattori di rischio vengono indirizzate al presidio sanitario di Rivoli (To). Queste condizioni determinano un minore afflusso anche per le gestanti che non presentano complicanze. E’ necessario dunque intervenire tempestivamente per rilanciare e potenziare un reparto che fino a due anni fa era il fiore all’ occhiello dell’ospedale di Susa.

“L’assessorato alla Sanità insieme al direttore generale dott. Cosenza ed al direttore di struttura dott. Chiappa – prosegue Batzella – dovranno cercare soluzioni adeguate attraverso nuovi progetti, protocolli meno rigidi ed iniziative di informazione alla popolazione per rilanciare l’attività di reparto, di sala parto ed ambulatoriale. Ad inizio settembre chiederò un incontro con il dott. Cosenza per avere delucidazioni in merito a quali sono i progetti che ha intenzione di mettere in atto per il miglioramento dell’intera struttura. Sarà mio compito continuare a vigilare sul buon funzionamento del presidio ospedaliero che rappresenta il punto di riferimento dell’ intera valle di Susa fondamentale per garantire a tutti i cittadini il diritto inalienabile alla salute, alla cura ed all’assistenza”.

“Vincerò, ne sono sicuro”. Lettera di Francesco dal carcere di Cremona

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“Vincerò, ne sono sicuro”. Lettera di Francesco dal carcere di Cremona

 Cremona, 2/8/14

“Il racconto, il racconto per intero!”

(un + a chi ha colto l’oscura citazione)

Mi è stato dato ad intendere che ci siano idee vaghe sul mio luogo di detenzione, ammetto che io per primo quando mi hanno portato in matricola a S. Vittore per il trasferimento e mi hanno detto: “Cremona” , ho sgranato gli occhi e ho ripetuto incredulo: “Cremona?” Non sapevo neanche che ci fosse un carcere!

Durante il tragitto mi hanno dato l’opportunità di diventare nostalgico: Piazza Napoli, Ticinese, lo svincolo per Alessandria… Dopodiché, mi sono addormentato per risvegliarmi a Caorso e di lì a poco alla nuova dimora. Dopo un’attesa che a me è sembrata infinita, in una cella microscopica con dentro niente se non scritte di tutta la gente passata di lì, mi hanno fatto la visita di rito, perquisa e mi hanno detto che sarei andato nella sezione “C”, me l’hanno detto come se dovessi sapere cosa fosse.

A quanto pare la sezione “C” è l’unica sezione a celle chiuse di tutto il carcere, dove ci sono definitivi di lunga durata (anche 15-18 anni) e la gente che ha fatto casino nelle altre sezioni. Dopo due settimane a S. Vittore con celle aperte 12 ore al giorno e, per quanto affollate, più ampie del 4×2 (a essere generosi) in cui sono ora, l’impatto è stato forte. Il mio compagno di cella (uno zingaro di 23 anni) mi ha ribadito, come molte scritte sui muri, che questo è un carcere di merda dove non funziona niente…

Due giorni dopo l’hanno messo in un’altra cella ed è da allora che sono da solo. Superato l’impatto iniziale, però, mi sono abituato. Il fatto che le celle siano chiuse non rappresenta in realtà un grosso problema e tutti i detenuti della sezione (o quasi) affermano che si sta più tranquilli qui. L’ala nuova con celle aperte e da 3 persone (qui son da due, anche se ci sono stati tempi dove riuscivano a fare un tetris da 3), doccia in cella e tavolo dove mangiare, vengono descritte come più casiniste e infatti la maggioranza di quelli che hanno fatto casino durante i saluti erano proprio lì.

In molti mi hanno giurato che farebbero carte false pur di star soli in cella, e devo dire che non hanno tutti i torti. La sera tengo la tv spenta e con un sottofondo di cicale rispondo alle vostre lettere!

Ci concedono 4 ore d’aria al giorno + 2-3 di socialità. 3 volte alla settimana al posto dell’aria (che è un cubotto di cemento 15×20 con muri da 5 metri) si va in un simpatico campetto con calcetto, campo da tennis e mezza pista d’atletica: sì, è divisa in due.

Il cibo del carrello è spesso improponibile, si salva giusto l’insalata, la frutta (difficile farle male), le uova sode e poco altro. Tutti quelli che possono si cucinano per i fatti loro con il sopravvitto, anch’io mi sto organizzando in tal senso, anche se con i tempi della spesa ci vorrà un po’. Inoltre qui, per qualche assurda regola, non entrano i cibi fatti in casa, cosicché dovrò rinunciare alle leccornie che mi entravano a S. Vittore.

Se a S. Vittore si trovava qualche secondino esaltato o comunque convinto del suo ruolo (all’arrivo in matricola ne ho visto uno con una collanina d’argento con le manette… giuro!), qui tali elementi sembrano assenti. Svolgono il loro lavoro con lo stesso automatismo e la stessa naturalezza con cui lo farebbe un impiegato delle poste e, effettivamente, qui sembra che la tua vita sia in mano a degli impiegati comunali… Detta così fa rabbrividire, e un po’ a ragione, ma la burocrazia è oltremodo ordinaria, così si riescono ad attuare delle strategie di sopravvivenza e a entrare nel ritmo.

Devo dire subito che la rassegnazione qui è massima, talmente alta che sembra a volte che in molti cerchino di far finta di non essere in galera e sono disturbati da qualsiasi cosa glielo ricordi. Le grida di libertà arrivate da fuori sono state accolte da alcuni con molta indifferenza e, io credo, quasi fastidio. Libertà qui è una parola sussurrata (come “cazzo” alle elementari) che il vero detenuto, quello che sa farsi la galera (odiosa espressione del linguaggio carcerario), non pronuncia.

Ammetto che ci sia di sottofondo un’intenzione difensiva, se sai che devi stare chiuso come una gallina in un pollaio per degli anni, cerchi di mettere in atto degli strumenti psichici difensivi che ti permettano di resistere. C’è chi sta sulle sue e chi fa gruppo, chi fa il capo e chi il gregario, l’obiettivo non è il riscatto ma la sopravvivenza.

A questo bisogna aggiungere la questione dello sconto sulla pena. Ignoravo, prima di venire qui, che ci fosse una legge che garantisce 75 giorni di sconto per ogni semestre passato senza rapporti. Questo vuol dire 5 mesi di abbuono per ogni anno trascorso in buona condotta, non è poco per chi si deve fare le annate. Un siciliano oggi mi ha mostrato orgogliosamente i suoi 9 semestri di buona condotta. Se aggiungiamo a questo il fatto che ti possono fare rapporto per qualunque cazzata, dal litigio con un detenuto fino a rispondere male a una guardia, si capisce come con questo sistema siano riusciti a pacificare completamente la situazione nelle carceri. Sebbene un detenuto qui in sezione si vanti dei suoi 37 rapporti maturati in quasi 6 anni di detenzione.

I detenuti di lunga esperienza mi raccontano di una galera completamente diversa prima dell’introduzione di questo sistema. Pestaggi di guardie, rivolte scioperi. Tutto questo, per quel che ho potuto vedere, è del tutto sparito. Sono riusciti a scambiare la rabbia per la rassegnazione, rendendo per loro più gestibile tutto il carrozzone.

A S. Vittore avevo trovato qualche detenuto che usava la parola “compagni”, ma se già lì faticavano a mettermi a fuoco, qui non riescono proprio a capire chi io sia. Il più informato mi ha detto che una volta ha letto un articolo sulla Torino-Lione. Per farmi capire un po’ devo tradurre compagni con amici e solidarietà con famiglia.

Generalmente sono tutti sorpresi dai saluti e dalla mole di posta, nonché da qualche mio racconto sulle attestazioni di solidarietà: dalle raccolte di soldi ai numeri delle manifestazioni, non so dirvi quanto tutto questo sia apprezzato, ma genera molta curiosità, vedremo se si può infilare qualcosa di più.

I motivi della contestazione per i quali sono dentro sono abbastanza oscuri, anche alle guardie, ma la cosa in sé non è vista male e viene generalmente ricondotta ad un immaginario di rivolta. C’è chi mi chiama No Tav, BR o Acab, a seconda delle giornate. Gli stranieri sono quelli più solidali, e quelli meno avvezzi ai compromessi. Molti italiani che si atteggiano a “veri detenuti” ridono e scherzano con le guardie in un rapporto semi-amicale che a me lascia molto perplesso, ma d’altro canto molti dei secondini provengono dalle stesse zone d’Italia e condividono la stessa cultura, cultura si fa per dire, in senso sociologico più che letterario.

Questo è un luogo d’attesa. Sembra una bolla temporale rimasta al diciannovesimo secolo, un tempio della burocrazia dove ciecamente vengono applicate decisioni prese altrove da qualcun’altro. Il tempo non ha lo stesso significato che ha fuori. Si potrebbe fare un parallelo con la teoria della relatività, altrimenti non saprei come spiegarvelo. Le giornate passano lente, ma il tempo sembra volare, forse perché lo si spreca. Non c’è l’ansia di fare che c’è fuori, o meglio, c’è (di ansia ce n’è moltissima), ma sai anche che, se chiedi tramite modulo un manico di scopa, potrebbero passare anche 5 giorni. Vissuta per anni, una condizione del genere fa molti danni, basta guardare in faccia i miei compagni di sventura. Al momento io cerco di vivermela al meglio, come una specie di Erasmus nell’Ancièn Regime.

Un detenuto veneto una volta mi ha detto che qui mi sarei laureato anche in pazienza, e va bene, prendiamo anche questo titolo, non posso permettermi di farmi avvelenare il sangue, ne uscirei distrutto in pochi giorni. Ma non posso neanche dissociarmi al punto di non ricordare quanto mi facciano cagare questi posti e le persone che li amministrano.

Sarà un difficile equilibrio, ancora più difficile in una guerra di nervi quale è la galera, ma vincerò, ne sono sicuro.

Ora vi saluto perché vedo che la grammatica, l’ortografia e la lucidità stanno diminuendo rispetto alle prime righe. A far niente ci si stanca moltissimo.

A sarà düra!

Un abbraccione gioioso a tutti e tutte!

Il testo delle risoluzioni approvate in Commissioni Ambiente e Attività produttive contro il fracking

In Commissione Ambiente e Commissione Attività produttive sono state approvate risoluzioni che impegnano il governo ad assumere ogni iniziativa volta a prevedere il divieto della tecnica della fratturazione idraulica.

Mercoledì 6 agosto 2014 in Commissione VIII (Ambiente) e Commissione X (Attività produttive) sono state approvate alcune risoluzioni, che riproponiamo in testo unificato, che impegnano il governo, tra altre importanti misure, ad assumere ogni iniziativa, anche normativa, volta a prevedere il divieto della tecnica della fratturazione idraulica, dando così seguito alla Risoluzione 8-00012 approvata il 18 settembre 2013 dalla Commissione VIII della Camera, che ha impegnato il Governo a escludere proprio l’utilizzo della fratturazione idraulica nel territorio italiano;a definire regole comuni per i paesi che si affacciano sul Mediterraneo a partire dal recepimento della direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza nelle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e dalla ratifica del Protocollo Offshore incluso nella Convenzione di Barcellona; a non mettere a rischio e a non pregiudicare, neanche potenzialmente, lo stato delle aree di reperimento di parchi costieri e marini e di aree marine protette così come definite dall’articolo 31 della legge n.979/82, e dagli articolo 34 e 36 della legge 394/91, nonché i beni individuati ai sensi delle leggi n.184/77, n.77/2006 e n.689/1994; a incrementare per le nuove concessioni di coltivazione le aliquote delle royalty fino al 50 per cento rispetto a quelle attualmente vigenti in funzione della produttività degli impianti, anche per individuare misure compensative a favore delle comunità rivierasche o comunque interessate, mutuando schemi quali quello dell’articolo 16 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.1.

7-00034 Mariastella Bianchi: Revisione del sistema delle autorizzazioni per nuove attività di prospezione e coltivazione di giacimenti petroliferi e modifica della normativa sulla materia.
7-00086 Cominelli: Revisione del sistema delle autorizzazioni per nuove attività di prospezione e coltivazione di giacimenti petroliferi e modifica della normativa sulla materia.

Le Commissioni riunite VIII e X, premesso che:

l’attività di esplorazione e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare o in terraferma ha un rilevante valore economico e contribuisce all’approvvigionamento di combustibili fossili ma comporta per sua natura operazioni invasive e potenziali rischi non eliminabili per l’ambiente e per la salute così come l’aumento di emissioni climalteranti;
di particolare delicatezza sono le operazioni che si svolgono nel bacino del Mar Mediterraneo, un mare piccolo e semichiuso, vulnerabile nel suo complesso agli effetti che attività di esplorazione e coltivazione di idrocarburi possono produrre in qualunque punto del Mediterraneo; è perciò di assoluta importanza la definizione e l’adozione di regole comuni in questa per tutti i paesi che si affacciamo sul bacino del Mediterraneo come previsto dalla direttiva europea 2013/30/UE e dalle norme incluse nella convenzione di Barcellona;
è altresì di particolare delicatezza ogni attività di esplorazione e coltivazione di idrocarburi che si progetti nelle aree di particolare pregio paesaggistico e naturalistico e soggette a rilevante rischio sismico e vulcanico o in aree con vocazioni economiche e produttive che possono essere danneggiate da eventuali attività estrattive come è il caso del turismo, della pesca e dell’agricoltura;
l’articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ha novellato la normativa relativa alle attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare ed in particolare il regime autorizzatorio connesso alle medesime attività. In particolare, il comma 1 del citato articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012 ha sostituito l’articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come già modificato dal decreto legislativo n. 128 del 2010;
in base alla precedente normativa era vietato cercare ed estrarre gas o petrolio all’interno di aree marine o costiere protette a qualsiasi titolo sulla base di norme nazionali e internazionali. Detto divieto era poi esteso per ulteriori 12 miglia all’esterno di tali aree. Eccezione alla proibizione di cui sopra era prevista per il petrolio, per il quale, lungo tutta la fascia marina della penisola italiana, il divieto di ricerca e coltivazione era limitato entro cinque miglia dalla costa. Tale divieto comprendeva non solo le attività di ricerca e coltivazione già in atto, ma anche i procedimenti autorizzatori in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010, mentre venivano fatti salvi i titoli già rilasciati alla medesima data;
il nuovo articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, fissa un’unica e più rigida fascia per l’estrazione dell’olio e del gas, pari ad un’estensione di dodici miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, per qualunque nuova attività di prospezione, ricerca e coltivazione. Rimane immutato il divieto con riferimento alle attività suddette all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette sulla base di norme nazionali, comunitarie e internazionali (in tal modo aggiungendosi per legge anche i sic e le zps marine e costiere di promanazione comunitaria);
la nuova disciplina nasce quindi con l’evidente intento di perseguire una maggiore tutela ambientale in tema di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi in mare, anche mediante un aumento sia pur contenuto delle relative royalty che restano, comunque, ancora esigue. Da questo buon proposito si genera tuttavia un effetto controproducente: infatti, il nuovo articolo 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006, come modificato dal decreto-legge n.83 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, stabilisce che il divieto di ricerca ed estrazione entro i limiti territoriali fissati, faccia salvi i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010. Così disponendo, esso fa salvi in modo retroattivo i procedimenti autorizzatori già in corso prima del 26 agosto 2010;
con l’introduzione dall’articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012, viene inoltre confermata la disposizione secondo cui le attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA). Tuttavia, sono fatte salve, rispetto al regime di sottoposizione alla VIA, le attività di cui all’articolo 1, comma 82-sexies, della legge 23 agosto 2004, n. 239, autorizzate, nel rispetto dei vincoli ambientali da esso stabiliti, dagli uffici territoriali di vigilanza dell’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse, che trasmettono copia delle relative autorizzazioni al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Si tratta delle attività finalizzate a migliorare le prestazioni degli impianti di coltivazione di idrocarburi, compresa la perforazione, se effettuate a partire da opere esistenti e nell’ambito dei limiti di produzione ed emissione dei programmi di lavoro già approvati. Anche in questo caso, le modifiche proposte avranno inevitabili conseguenze sull’ambiente marino, sfuggendo ad ogni preventiva verifica di natura ambientale;
l’estrazione di petrolio è un processo altamente inquinante. Per raggiungere il giacimento le trivelle utilizzano sostanze chimiche dette «fanghi e fluidi perforanti» necessari per eliminare gli strati rocciosi, controllare la pressione, lubrificare e raffreddare lo scalpello delle trivelle e consolidare il foro di perforazione. In particolar modo nei pozzi petroliferi off-shore si usano dei fanghi del tipo SBM (Synthetic Based Mud) costituito da oli sintetici con un certo grado di tossicità. Tali fluidi sono difficili e costosi da smaltire ed hanno la capacità di contaminare acque e terreni. I fanghi devono essere smaltiti con particolari procedure. Generalmente il controllo per le trivellazioni sulla terraferma costringe allo smaltimento. In mare, invece, la prassi ordinaria è quella di rigettarli nelle acque;
secondo gli studi effettuati il petrolio presente nei nostri fondali oltre ad essere esiguo è anche ricco di impurità, e di difficile estrazione. Il petrolio estratto nell’Adriatico si presenta dunque come una fanghiglia corrosiva, melmosa e densa che necessita di una lunga lavorazione per l’utilizzo di destinazione, a processo che inizia già sulle piattaforme marine;
nonostante il prodotto estratto nei mari italiani sia poco e di scarsa qualità, le compagnie petrolifere trovano molto vantaggiose le condizioni fiscali offerte in Italia per le attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi: le prime 50 mila tonnellate di olio prodotte annualmente in mare, così come i e i primi 80 milioni di metri cubi di gas, sono esenti dal pagamento di aliquote allo Stato, mentre le royalties sulla produzione sono del 7 per cento per il petrolio e del 10 per cento per il gas;
è noto come la maggior parte degli sversamenti di idrocarburi in mare, circa l’80 per cento, sia dovuto allo svolgimento di attività di routine di manutenzione degli impianti, di estrazione e trasporto degli idrocarburi. Una piattaforma in mare nell’arco della sua vita rilascia mediamente 90.000 tonnellate di sostanze inquinanti; il Mediterraneo ha una densità di catrame pelagico di 38 milligrammi per metro quadro, una percentuale altissima ormai assolutamente insostenibile. Anche gli incidenti sulle piattaforme non sono rari;
i permessi di ricerca di idrocarburi interessano zone costiere di particolare rilevanza naturale, ambientale e paesaggistica la cui tutela verrebbe irrimediabilmente compromessa come la costa teatina, il canale di Sicilia e le isole Tremiti. In Sardegna il «Progetto Eleonora», che prevede trivellazioni per la ricerca di gas naturale ad Arborea, rischia di compromettere il delicato ecosistema dello stagno S’Ena Arrubia, sito di interesse comunitario, tutelato anche per la presenza di uccelli palustri come aironi e fenicotteri rosa;
si è recentemente svolta, a Venezia, la «Conferenza internazionale delle regioni adriatiche e ioniche» dove si è discusso di salvaguardia delle coste delle regioni del mare Mediterraneo dall’estrazione di idrocarburi in mare. Al termine dei lavori le regioni promotrici dell’iniziativa hanno votato un ordine del giorno che invita tra l’altro il Parlamento italiano a sostenere la ratifica da parte dell’Unione europea del protocollo offshore che impone una serie di condizioni da soddisfare prima che sia consentito l’avvio delle attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi, e a promuovere con gli stessi Paesi dell’Unione europea, ma anche altri Paesi che si affacciano su Adriatico e Ionio una cooperazione inter-istituzionale che porti, in breve tempo, a firmare un protocollo di intesa per una regolamentazione comune delle attività estrattive e di esplorazione degli idrocarburi;
le attività di prospezione e di coltivazioni di idrocarburi presentano elementi di impatto potenziale negativo sull’ambiente tale da richiedere nella concessione dei titoli autorizzativi il coinvolgimento del ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare anche in relazione a specifiche criticità ambientali quali la presenza di falde acquifere e di rilevanti fragilità geologiche dei territori e quello degli enti locali dei territori interessati, così come la massima partecipazione dei cittadini e delle comunità coinvolte con le opportune forme di pubblicità,

impegnano il Governo:

1. a definire regole comuni per i paesi che si affacciano sul Mediterraneo a partire dal recepimento della direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza nelle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e dal la ratifica del Protocollo Offshore incluso nella Convenzione di Barcellona;
2. a promuovere durante il semestre di Presidenza Italiana del Consiglio dell’Unione Europea tutte le iniziative necessarie per definire a livello europeo e dell’intero bacino del Mar Mediterraneo una disciplina comune delle attività estrattive e di esplorazione in mare anche con una apposita conferenza dei Paesi rivieraschi, sul modello della citata «Conferenza internazionale delle regioni adriatiche e ioniche», per definire una regolamentazione comune delle attività di sfruttamento degli idrocarburi all’interno del bacino del Mediterraneo;
3. ad operare una ricognizione e valutazione della disciplina in materia, a partire dalla disciplina recata dall’articolo 6, comma 17 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 – come modificato dall’articolo 35 del decreto legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 – nella parte in cui sono fatti salvi i procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128, ed i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonché l’efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell’ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi nel rispetto delle finalità del decreto legislativo n. 128/2010 e dei commi 11 e 13 dell’articolo 6 e del comma 2 dell’articolo 9 della legge n. 9/1991, nell’ambito di un disegno di legge di iniziativa governativa o parlamentare di riordino delle procedure autorizzative;
4. a valutare le linee di base delle acque territoriali lungo l’intero perimetro costiero nazionale ai fini del divieto entro le 12 miglia delle attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare;
5. a non mettere a rischio e a non pregiudicare, neanche potenzialmente, lo stato delle aree di reperimento di parchi costieri e marini e di aree marine protette così come definite dall’articolo 31 della legge n. 979/82, e dagli articolo 34 e 36 della legge 394/91, nonché i beni individuati ai sensi delle leggi n. 184/77, n. 77/2006 e n. 689/1994;
6. a prevedere la sospensione delle attività in zone di elevato rischio sismico, vulcanico, tettonico, così come indicato da indagini scientifiche, preventive di supporto effettuate dagli enti di ricerca INGV, ISPRA e CNR, nonché a prevedere il blocco del rilascio di autorizzazioni in zone di particolare ripopolamento ittico, così come opportunamente indicato da indagini scientifiche preventive di supporto effettuate dagli enti di ricerca INGV, ISPRA e CNR, prevedendo altresì adeguate compensazioni economiche nel caso di danni arrecati agli stock ittici esistenti;
7. ad affiancare alle procedure di valutazione di impatto ambientale una accurata analisi dei costi e benefici in relazione alle future eventuali attività esplorative e di coltivazione da autorizzare in zone di pregio turistico ed economico, con particolare riguardo agli eventuali impatti negativi che tali attività possono avere sull’economia dei territori coinvolti nei diversi settori produttivi;
8. ad adottare le necessarie iniziative volte a una revisione del sistema delle autorizzazioni per le trivellazioni prevedendo il coinvolgimento del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare anche redigendo apposite griglie di valutazione in grado di recepire in modo oggettivo specifici punti di criticità quali ad esempio la presenza di falde acquifere o elevati rischi sismici e rilevanti fragilità geologiche dei territori interessati dall’ipotesi di ricerca, esplorazione e coltivazione di idrocarburi, supportate dal contributo delle analisi di ISPRA, INGV e CNR, così come il coinvolgimento degli enti locali e una maggiore trasparenza e pubblicizzazione dei risultati;
9. a incrementare per le nuove concessioni di coltivazione le aliquote delle royalty fino al 50 per cento rispetto a quelle attualmente vigenti in funzione della produttività degli impianti, anche per individuare misure compensative a favore delle comunità rivierasche o comunque interessate, mutuando schemi quali quello dell’articolo 16 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1;
10. ad adottare tutte le iniziative necessarie, anche normative, affinché i titolari di concessioni per ricerca ed estrazione di idrocarburi garantiscano gli adeguati piani di emergenza e le risorse economiche per la copertura degli interventi immediati di sicurezza, disinquinamento e bonifica in caso di incidente, anche attraverso il deposito di adeguate cauzioni oltre ad assicurare che le imprese responsabili reperiscano le risorse necessarie a finanziare le attività di decommissioning delle piattaforme da avviare a dismissione;
11. a verificare la sussistenza dei requisiti economici e tecnici delle società titolari di permessi di ricerca in modo da garantire efficienza tecnica, sicurezza e pieno rispetto di tutte le prescrizioni e dei vincoli stabiliti dalle autorità competenti: non solo degli obblighi – stabiliti dal Ministero dello sviluppo economico – per la gestione degli impianti e la sicurezza mineraria – ma anche, in particolare, dei vincoli disposti da Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e dagli enti locali per gli aspetti di compatibilità ambientale nella realizzazione e gestione di impianti e pozzi, tenuto conto delle tecniche e delle conoscenze più avanzate per il «buon governo» dei giacimenti;
12. a prevedere che nell’esercizio della delega per il recepimento della direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza nelle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi sia garantito che, durante la fase di rilascio delle autorizzazioni, si proceda ad una scrupolosa verifica del possesso, da parte delle società richiedenti, dei requisiti tecnico-organizzativi ed economico-finanziari tali da garantire la disponibilità di risorse fisiche, umane e finanziarie sufficienti per prevenire gli incidenti gravi legati alle attività in mare nel settore degli idrocarburi, lo svolgimento costante di tali attività in modo sicuro, la copertura integrale dei costi derivanti dal verificarsi di un incidente grave, a partire da quelli conseguenti ai danni provocati dall’inquinamento all’ambiente marino e delle economie costiere, l’individuazione certa, fin dal rilascio dell’autorizzazione, dei responsabili del risarcimento dovuto in caso di incidente grave;
13. a prevedere che nella fase di recepimento della direttiva 2013/30/UE sia adeguatamente garantito, in attuazione degli obblighi derivanti dalla convenzione di Árhus, il diritto di partecipazione dei cittadini alle attività amministrative in materia di attività in mare nel settore degli idrocarburi, al fine di contribuire a tutelare il diritto dei cittadini di vivere in un ambiente adeguato ad assicurare la salute e il benessere delle persone garantendo quindi con le forme opportune il massimo grado di pubblicità delle attività progettate, in corso di realizzazione e di svolgimento;
14. ad assicurare in ogni momento l’indipendenza e l’obiettività dell’autorità competente nello svolgimento delle funzioni di regolamentazione previste dalla direttiva 2013/30/UE prevedendo, come prescritto dalla direttiva, che le funzioni di regolamentazione dell’autorità competente siano svolte da un’autorità che sia indipendente da qualsiasi delle funzioni in materia di sviluppo economico delle risorse naturali in mare, di rilancio di licenze per le operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e di riscossione e gestione degli introiti derivanti da tali operazioni;
15. ad assumere ogni iniziativa, anche normativa, volta a prevedere il divieto della tecnica della fratturazione idraulica, dando così seguito alla Risoluzione 8-00012 approvata il 18 settembre 2013 dalla Commissione VIII della Camera, che ha impegnato il Governo a escludere proprio l’utilizzo della fratturazione idraulica nel territorio italiano;
16. a prevedere in maniera chiara ed univoca che il parere degli enti locali sulle installazioni da assoggettare a VIA sia acquisito e vagliato nell’ambito dello stesso procedimento di VIA al fine di assicurare la previsione e la conseguente valutazione del parere degli enti locali in relazione alle istanze di rilascio di titoli minerari;
17. a far adottare agli impianti autorizzati o in fase di autorizzazione quanto previsto dalla direttiva 2010/75/UE in termini di emissioni industriali per il quale lo stato può avviare e imporre le clausole di salvaguardia;
18. ad assumere iniziative per prevedere che gli impianti di ricerca, sviluppo e coltivazione di idrocarburi siano sottoposti a controllo annuale da parte della autorità competenti con i costi di verifica a carico delle società concessionarie;
19. ad adottare ogni provvedimento anche di natura strategica per promuovere ulteriormente lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e dell’efficienza energetica in modo da accelerare in modo significativo la progressiva emancipazione dalle fonti fossili.

(8-00074) «Mariastella Bianchi, Ginefra, Borghi, Realacci, Braga, Bratti, Carrescia, Cassano, Cominelli, Dallai, Del Basso de Caro, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Mariani, Marroni, Mazzoli, Morassut, Moretto, Giovanna Sanna, Zardini, Scalfarotto, Antezza, Oliverio, Cominelli, Segoni, Famiglietti».

ALLEGATO 2

7-00113 Zan: Revisione del sistema delle autorizzazioni per nuove attività di prospezione e coltivazione di giacimenti petroliferi e modifica della normativa sulla materia.

Le Commissioni VIII e X, impegnano il Governo

a prevedere la riformulazione decreto interministeriale 12 settembre 2013 al fine di garantire maggiori benefici alle regioni interessate dalle attività estrattive.

(8-00075) «Zan, Pellegrino, Zaratti, Lacquaniti, Ferrara, Matarrelli, Melilla, Paglia».

ALLEGATO 3

7-00372 Mannino: Revisione del sistema delle autorizzazioni per nuove attività di prospezione e coltivazione di giacimenti petroliferi e modifica della normativa sulla materia.

Le Commissioni riunite VIII e X, impegnano il Governo:

1. ad includere nella valutazione di impatto ambientale (VIA) le operazioni relative alle esplorazioni, alle ricerche e all’estrazione del gas da scisto;
2. a prevedere che l’istruttoria per le perforazioni in mare e in terraferma – i cui oneri sono posti a carico dei soggetti che inoltrano l’istanza – sia effettuata mediante il contributo di istituti di livello nazionale in possesso delle professionalità tecniche e delle competenze specialistiche, quali l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale o il Consiglio nazionale delle ricerche, che devono essere coinvolti, in via ordinaria, nelle procedure finalizzate a tale tipologia di valutazioni;
3. ad assicurare che gli introiti erariali previsti dall’articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, siano integralmente assegnati, ad inizio dell’anno finanziario successivo, ad appositi capitoli istituiti nello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero dello sviluppo economico, per assicurare il pieno svolgimento rispettivamente delle azioni di monitoraggio e contrasto dell’inquinamento marino e delle attività di vigilanza e controllo della sicurezza anche ambientale degli impianti di ricerca e coltivazione in mare;
4. ad incrementare le condizioni di sicurezza del trasporto marittimo con particolare riferimento al Mare Adriatico;
5. a prevedere un’analisi epidemiologica effettuata dall’Istituto superiore di sanità, sui rischi della salute umana che andrebbe ad analizzare l’attività di ricerca, esplorazione e coltivazione di idrocarburi e a disporre il blocco e il rilascio di future autorizzazioni qualora siano comprovati i rischi;
6. a porre in essere ogni atto di competenza, anche di carattere normativo, finalizzato ad adeguare i livelli di rilascio di idrogeno solforato attualmente previsti, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), di 0,005 parti per milione (ppm);
7. ad adottare ogni opportuna iniziativa, anche normativa, tesa a salvaguardare la salute delle popolazioni residenti nelle aree esposte alle emissioni di idrogeno solforato ed ove sussistono attività estrattive, di lavorazione e di stoccaggio di prodotti petroliferi;
8. a normare il sistema di smaltimento previsto dalla normativa vigente per «fanghi e fluidi perforanti» che si generano per raggiungere i giacimenti petroliferi anche per gli impianti offshore al fine di impedire la prassi secondo cui questi fanghi nelle fasi di estrazione marittima vengono dispersi nelle acque.

da nofracking.it

Argentina. Liberati i quattro fermati di Entre Ríos per il blocco antifracking

Repressione violenta del blocco, cattura di tre attivisti e un giornalista lasciano interpretare a posteriori un’azione studiata a tavolino. Luogo di detenzione illegale, aggressioni e intimidazioni: un salto nel passato più buio.

di Massimo Bonato

I quattro fermati la notte del 3 agosto,  Facundo Scattone, Bernardo Zalisñak, Horacio Miguel De Carli e il giornalista Francisco Larocca, sono stati rilasciati. Assieme a centinaia di manifestanti avevano partecipato a un blocco stradale, nel tentativo di fermare quattro autoarticolati che trasportavano 20 tonnellate di macchinari a Salto, per eseguire lì perforazioni di saggio per l’installazione di pozzi di fracking.

Ne danno notizia i giornali locali come «Concordia Directo», «Diario Junio», ma anche la versione italiana di «socioambientaleargentina».

Una detenzione non facile, che viene letta come pensata e realizzata a monte.  Ammanettati per tutto il tempo, aggrediti, e senza la possibilità di curare le ferite, come è occorso al giornalista Francisco La Rocca, il quale dichiara che “ciò che è successo è stato proprio di una dittatura”.

Del resto, Bernarndo Zalisñak, di 66 anni, afferma: “si può dire che sono stato torturato, colpiscono bene per non lasciare segni, ma alcuni mi sono rimasti, come quelle dei calci nelle caviglie… son riusciti a trasformare questo episodio in una specie di ESMA, (Escuela Superior de Mecánica de la Armada, tragicamente famosa durante la dittatura militare per essere il più grande centro di detenzione illegale e tortura dell’Argentina) io per la ESMA ci sono passato”.

Un salto nel passato anche per quanto riguarda sia l’intervanto della polizia la notte del 3, non giustificato da alcun mandato, sia per quanto riguarda il luogo di detenzione illegale, “non destinato alla detenzione”, in cui sono stati rinchiusi fino al trasferimento al tribunale di Concepcion del Uruguay (Argentina) dove è stata loro resa nota la causa intentagli dalla giustizia federale.

Fondamentale, a detta degli espponenti dei movimenti ambientalisti, è stata in questi giorni la pressione popolare che si è organizzata con manifestazioni in sostegno ai quattro tanto a Entre Ríos tanto in Buenos Aires e altre città del Paese.

Dopo questo ennesimo atto di repressione  che si aggiunge a quella del 2011 della Comunità mapuche di Gelay Ko, nella provincia di Neuquén, e quella del  28 agosto 2013 a Neuquén Capital – scrive «socioambientaleargentina» – si apre una nuova stagione della lotta al fracking in Argentina.
Come ha detto Bernardo Zalisñak dopo la sua liberazione: “Noi stiamo benissimo, solo che siamo molto arrabbiati. Con questo fatto hanno gettato benzina sul fuoco, le assemblee si sono moltiplicate per numero e per impegno, ma soprattutto per il sentimento di solidarietà della gente”.

M.B. 09.08.14

Dal Mose a quelle strane assunzioni, i segreti della base padovana degli 007 – Corriere del Veneto

carissime/i,
siccome mi avete iscritto nella vostra lista ne approfitto per segnalarvi un articolo secondo me molto interessante: parla del MOSE, non della vostra TAV, ma credo sia importante perché apre degli spiragli sui rapporti tra servizi segreti e grandi opere inutili.
È indubbiamente una cosa piccola, ma emblematica del fatto che con le incheste che interessano tutta Italia non siamo davanti a mele marce, ma ad un sistema. Sistema che non solo infiltra, ma coincide con le istituzioni stesse ormai espressione degli interessi di banche, costruttori, mafie…
D’altronde le riforme costituzionali del mio ex sindaco vanno proprio nella direzione di uno potere oligarchico e di un paese colonizzato.
Saluti incavolati.
TC

p.s. ho scritto alla giovane giornalista i miei complimenti.

http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/politica/2014/9-agosto-2014/dal-mose-quelle-strane-assunzioni-segreti-base-padovana-007-223712909319.shtml

L’INCHIESTA di Roberta Polese

Dal Mose a quelle strane assunzioni,
i segreti della base padovana degli 007

La sede all’aeroporto Allegri di Padova. La figlia dell’ex capo lavorava in un’azienda di Mantovani. Il giallo dell’ex dipendente «beccato» in sede dopo gli arresti veneziani.

PADOVA — C’è qualcosa che resta sullo sfondo dell’inchiesta su Mose. Ed è un risvolto sul quale anche la procura di Venezia sta cercando di vederci chiaro. Si tratta del ruolo dei servizi segreti, apparsi più volte nell’inchiesta che ha portato in carcere l’ex presidente della Regione Giancarlo Galan. La procura di Venezia non ha aperto una vera e propria indagine, al momento, ma più di qualcuno che conosce il sistema è stato convocato per raccontare come si muovevano gli agenti segreti nell’ambito dei grandi appalti. Dai verbali degli interrogatori di Piergiorgio Baita (ex presidente della Mantovani) & co., però un nome è uscito: è quello di Paolo Splendore, ex capocentro dei servizi segreti interni (Aisi), al comando di una trentina di persone e con quartier generale che ha sede nell’aeroporto «Allegri» di Padova.

Splendore, che ora è stato trasferito a Roma, è arrivato a conoscere Baita attraverso un manager Mantovani (ora divenuto amministratore delegato), e l’ingegnere, dopo numerosi consigli e «pressioni», ha fatto assumere la figlia di Splendore in un’azienda del gruppo. Nulla di illecito, è chiaro, ma qualche sospetto gli investigatori dovevano pur averlo se il giorno della «grande retata», ovvero il 4 giugno scorso, la Finanza ha messo i sigilli ai computer in uso a Splendore. Cosa significava quell’assunzione? Un semplice rapporto di lavoro o un do un des, magari in cambio di qualche copertura? Gli investigatori ora vogliono capire, ovviamente, che ruolo abbiano giocato (e giochino tuttora) i Servizi in partite come quelle dei grandi appalti. La questione è complessa: gli uomini dei Servizi si muovono in un’area grigia, difficile da afferrare. E hanno rapporti con la politica e l’imprenditoria. Si sa che l’Aisi, inoltre, ha al suo interno, una sezione che si occupa di «Infrastrutture critiche», un pool di uomini che lavora su informazioni e relazioni che possono in qualche modo influire sulla stabilità dello Stato.

La domanda che si fanno gli inquirenti è: possibile che nessuno tra questi esperti di informazioni avesse captato notizie su tangenti e mazzette per il Mose e ne avesse riferito alla Presidenza del Consiglio? La risposta, ovviamente, è coperta da «segreto di Stato». Noi, intanto, qui, per la prima volta, siamo riusciti però a svelare qualche «segreto» proprio sugli «007» che lavorano nel quartier generale di Padova, proprio quello che dirigeva Splendore, nella sede dell’aeroporto «Allegri». Ciò che ne emerge è un fitto intreccio di relazioni, rapporti, amicizie, collegamenti con il mondo esterno che nonostante non portino ad alcun illecito, danno la cifra di come funzioni la rete degli 007. Intanto, partiamo con un caso che evoca di nuovo l’inchiesta sul Mose: il caso di una donna, moglie di un agente segreto con ruolo di vertice a Padova e che, guarda caso, lavora per l’ingegner Luigi Dal Borgo, imprenditore bellunese finito in carcere con l’accusa di millantato credito per aver spillato soldi a Baita, assicurandogli coperture nelle indagini giudiziarie in cambio di soldi. Non c’è nulla di illecito nell’avere una moglie, e nemmeno nell’avere una moglie che lavora per una persona che viene arrestata. Ma è un fatto particolare.

Ci sono poi altri dettagli interessanti dell’«ufficio» padovano degli 007, che non riguardano espressamente l’inchiesta Mose. Una curiosità: ci lavorano per esempio un marito e una moglie, insieme. Cosa assai inusuale negli uffici pubblici del tenore dei Servizi. Nello stesso posto inoltre lavora anche la moglie di un ex prefetto di Pordenone, che è stato questore di Venezia e Padova. Un altro agente dei servizi a Padova è un ex guardia del corpo di tutto rispetto, ovvero un ex ufficiale dell’esercito, che per anni ha fatto da scorta a Silvio Berlusconi. E poi ci sono i dipendenti in incognito: per anni un gelataio di Abano, ex finanziere, è stato il riferimento degli 007 del Nordest, ed è ancora in servizio. Si sa inoltre che un’altro agente, che è stato per anni tra i più stretti collaboratori di Splendore, una volta raggiunta l’età della pensione ha avuto un aiuto dal capo per trovare un’altra occupazione, ed è andato a lavorare in una clinica privata ad Abano Terme come tecnico informatico.

Quest’ultimo si è reso protagonista di un fatto quantomeno strano: a poche ore dai sigilli ai pc posti dalla Finanza a Splendore, lo scorso 4 giugno, è entrato negli uffici Aisi privo il «Nos», il «nullaosta segretezza», indispensabile per entrare uscire da uffici coperti dal «segreto di stato». Ebbene, questo esperto informatico è entrato senza credenziali, e si è trattenuto in sede per quattro ore. La Finanza ha accertato che non ha manomesso i pc. Resta però il fatto che quella persona non poteva entrare. Abbiamo scoperto, inoltre,che l’Aisi, come tutti gli uffici, tiene molto anche alle public relation con prefetti, questori e forze dell’ordine. E che cosa è meglio di un regalo per saldare i rapporti? Ecco che quindi nasce la necessità dei gadget. A Natale per anni l’agenzia si è affidata a una fabbrica di cravatte di Padova (poi fallita) per fare dei cadeau a prefetti e questori con logo «Aisi» sulla cravatta, o sul foulard, per le signore. E non si tratta di una procedura semplice, visto che la matrice del logo deve andare distrutta dopo le stampe.

09 agosto 2014

UN ITALOAMERICANO PROGETTA IL MOTORE SPAZIALE AD ENERGIA INFINITA. LA NASA: “FUNZIONA!”

Promette di funzionare senza carburante e per sempre: il motore impossibile potrebbe permettere di esplorare la galassia senza problemi di carburante e di durata della missione. A proporre il progetto uno scienziato americano di origini italiane, il dottore Guido Fetta. E la Nasa ha fiutato la fattibilità del motore delle meraviglie.
 
9 agosto 2014 | Sei in Categoria: Spazio 
 
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Si chiama Cannae Drive e, ascoltandone la descrizione, sembra di aver a che fare con uno di quei marchingegni proposti dalla fantasia degli autori di fantascienza.
Invece, il motore ad energia infinita, è tutt’altro che fantasioso, anzi, è stata proprio la Nasa ad accreditarne la serietà e la fattibilità.
Il tutto è accaduto pochi giorni fa, il 30 luglio, durante una conferenza tenuta a Cleveland, Ohio, dove la Nasa ha presentato i risultati “anomalo” di un curioso esperimento: per sei giorni, cinque ricercatori avevano provato a realizzare uno strano apparato, un cono a microonde, e ne era venuta fuori un’energia inspiegabile.
Ma che cos’è? “Si tratta di una sorta di cono cavo progettato in modo da intrappolare gli elettroni sul bordo, cosicché quando le onde elettromagnetiche rimbalzano nella cavità ci sono più elettroni che spingono sul bordo di quelli che spingono sul fondo e questa differenza crea energia”, spiega Guido Fetta, scienziato americano di origini italiane e inventore del Cannae Drive.
La Nasa ha divulgato i risultati dell’esperimento sul suo sito, con il titoloProduzione di spinta anomala da un dispositivo a radiofrequenza”. Anomala? In realtà, il dispositivo funziona, ma non si capisce bene cosa lo faccia funzionare.
 
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Il progetto di realizzare un motore ad energia infinita va avanti da una decina d’anni. Come riassume un articolo comparso su Repubblica, il primo ad avventurarsi su questa strada è stato lo scienziato britannico Roger Shawyer, che disse di aver trovato il modo di produrre energia facendo rimbalzare microonde in un contenitore chiuso.
Nonostante avesse detto di averlo dimostrato più volte in laboratorio, non venne preso sul serio: le sue affermazioni contraddicevano uno dei principi fondamentali della fisica (“Ogni azione crea una reazione uguale e contraria”, ma in questo caso non c’era alcuna azione a creare l’energia).
Un anno fa, un team in Cina disse di aver replicato l’esperimento noto come EmDrive, suscitando scarso interesse. Più o meno in quel periodo però uno scienziato americano di origini italiane, Guido Fetta, ha aperto in Pennsylvania una società per commercializzare qualcosa di simile. L’ha chiamata Cannae Drive.
Per una questione di assonanze, molti hanno pensato che l’avesse fatto per ricordare il concetto del “motore impossibile” (cannot drive), ma in realtà Fetta sostiene di essersi ispirato alla Battaglia di Canne, quella in cui l’esercito cartaginese di Annibale sconfisse a sorpresa i romani: “Trovarono un’energia nascosta”
Certo è che Guido Fetta è un personaggio misterioso. In Rete non si rintraccia una sua biografia, se non una laurea in Ingegneria chimica. Ma sul sito diCannae Drive ci sono i video in cui spiega come ha realizzato il dispositivo in grado di produrre energia senza carburante.
Va detto che nell’esperimento della Nasa l’energia creata era pochina (meno di quella necessaria a un telefonino). Ma c’era. E se il Cannae Drive funzionerà su scala più grande, potremo dire di essere entrati in una nuova era spaziale.
Le reazioni, infatti, sono state quanto meno eccitate. Al limite della fantascienza: “Inventato il motore impossibile!”, “Il motore che sfida le leggi della fisica funziona!”, “Abbiamo davanti un futuro di viaggi spaziali gratuiti”.