Colazione cancello, No Tav Over 50 colpiscono ancora

Si sono presentati all’alba, sotto la pioggia e hanno costruito un riparo contro le recinzioni del cantiere fortino.

di Valsusa Report
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Sono le 7.30 di questo mercoledì 13 agosto, piovoso. Arrivano alla spicciolata madeterminati, sui loro volti la rassegnazione non è di casa. Subito con un riparo di fortuna avvicinano due macchine e porgono sopra un telo. Arrivano altri No Tav Over 50 il riparo diventa piccolo, ci si sposta al Presidio Gravella per fare incetta di materiali di costruzione, salta fuori un telo e dei pali, pochi per la verità, bastano solo per un lato. “l’altro lato è già montato – osserva uno di loro – basta legarlo alla recinzione del fortino”.

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L’idea piace. Piace un po’ meno al personale di servizio che subito apre il cancello e chiede sull’attività. I “giovani dentro”, così si usano chiamare fra di loro, con atteggiamento saggio rincuorano le Ff.Oo. che sono così costrette al ripiegamento “ha vi riparate dall’acqua”, diranno.

La mattinata trascorre tranquilla tra un pezzo di formaggio, la fantastica “Tuma” della valle, e un bicchiere di vino. Arriva l’ultima notizia di giornale, un gruppo nominato NOA, recapita una lettera alla redazione dell’Ansa, dove dichiara ed invita il movimento alla lotta armata per fermare questo cantiere. Nelle dichiarazioni danno per fallito il movimento No Tav, data la sua politica di opposizione, sbagliata a loro dire.

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VIDEO COLAZIONE CANCELLO

Subito le prime lamentele “ma chi sono sti qui?” – “cosa vogliono, sono veri?” e a seguito, i partecipanti al presidio colazione reagiscono, e fondano il gruppo NPA (Nucleo Pintoni Attivi), di lì per i presenti è diventata una festa con miliardi di battute e risate. “viva la pintoluzione” si sentiva gridare da sotto la tenda di fortuna.

Subito dopo mezzogiorno viene smontato tutto e i No Tav Over 50 rientrano sereni alle loro abitazioni promettendo nuovi presidi con qualunque tempo

V.R. 13.08.14

Le spiagge svendute ai privati. Il costo? 1,3 euro al metro quadro all’anno

http://www.tzetze.it/redazione/2014/08/le_spiagge_svendute_ai_privati_il_costo_13_euro_al_metro_quadro_allanno/index.htmlTzeTze Politica


Un paio di settimane fa in Commissione Lavori pubblici abbiamo audito una funzionaria dell’Agenzia del Demanio ci ha parlato di un tema molto interessante visto anche che i troviamo nel piano della stagione estiva. Si tratta del prezzo che pagano allo Stato i concessionari di aree demaniali. 

Il tema è quanto mai attuale dato che la crisi dei consumi fa sì che in questo ultimo periodo, tante famiglie si vedano costrette a rinunciare ad andare al mare per gli elevati costi. E’ un dato di fatto che le vacanze in Italia sono tra le più costose di tutto il mediterraneo. I prezzi medi, infatti, per gli abbonamenti stagionali degli ombrelloni, lettini e cabina varia tra i 1000 ed i 2000 euro. 

Assumendo come superficie media di uno stabilimento quella di 1500 metri quadri, il corrispettivo per il canone di concessione (tra aree scoperte e coperte) è di 2100 euro all’anno. Ma voi, vi siete per caso mai chiesto quanto pagano gli stabilimenti balneari per la concessione governativa degli ombrelloni e dei lettini? 

Secondo quanto previsto dalla circolare n. 63 del Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti del 3 marzo 2014, il prezzo per metro quadro pagato dagli stabilimenti balneari per le aree in concessione, come sono le nostre spiagge, è solo pari ad € 1,3. Detto prezzo fu stabilito nell’anno 1989 e, in questi 25 anni non è mai stato modificato salvo adeguamento Istat. Il paradosso di tutta questa situazione è che nel frattempo le famiglie si sono impoverite e gli accessi ai beni pubblici risultano essere sempre più limitati e soprattutto più costosi, per le fortune di pochi. 

Sarebbe opportuno, dunque, un deciso intervento da parte dello Stato che possa da una parte garantire la libera iniziativa economica e che al contempo garantisca ai cittadini il godimento dei beni pubblici in modo equo.

(Andrea Cioffi, capogruppo M5S in Commissione VIII, Lavori pubblici e comunicazioni)

Incubo trivellazioni in Campania. I comitati No Triv non ci stanno

Lo sfruttamento petrolifero del Sannio porta con sé inquinamento, sfruttamento incontrollato delle risorse idriche, rischi sismici, a fronte di una ricaduta occupazionale pari a zero.

di Leonardo Capella

In Italia vi sono più di 1000 pozzi produttivi suddivisi al 60% su terra ferma e al 40% offshore. Di questo insieme, il 77% produce gas mentre il restante 23% produce olio. Se volessimo dare un peso economico a questi risultati daremmo alla produzione di gas un valore del 10% circa del fabbisogno energetico nazionale mentre per l’olio ci attesteremmo a un 7%.

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Uno dei territori dove ultimamente la pressione delle società petrolifere si fa maggiormente sentire è la Campania, nello specifico il territorio del Sannio dove vengono coinvolti a vario titolo ben 35 comuni, Benevento compresa. Già due permessi di ricerca interessano una zona di oltre 1500 kmq; ora altre due richieste estenderebbero le aree di ricerca 750 kmq.  Anche se queste ultime due istanze relative al permesso di ricerca presentate dalla Delta Energy a Casa Pozzi e Pietra Spaccata (entrambi in provincia di Benevento) sono in corso di rigetto potrebbe essere plausibile, vista l’apertura del premier Renzi verso un incremento della produzione energetica sul nostro territorio, un’accelerazione nel settore estrattivo con un intervento specifico nel D.L. “Sblocca Italia”.

I locali comitati No Triv intanto pongono l’accento sull’impatto ambientale che va dall’enorme mole di inquinanti risultanti dalla lavorazione (idrocarburi policiclici aromatici, metalli pesanti, benzene, toluene, ethylene, xylene, acido solfidrico, biossido di zolfo) al quantitativo d’acqua utilizzato per le lavorazioni (per un barile da 159 litri di petrolio vengono consumati 1000 litri d’acqua). Non trascurano nemmeno di porre l’accento sull’alto rischio dell’attività estrattiva in una zona altamente sismica come quella del Sannio. Ma sottolineano anche la falsità della promessa occupazionale, ricordando l’utilizzo in questo settore di tecnici e manodopera specializzata provenienti per lo più dal Nord Italia. 

L.C. 13.08.14

L’economia giapponese si contrae del 6.8% dopo l’innalzamento delle imposte sui consumi

Un rialzo della tassa ha generato una caduta nei consumi e nelle produzione di beni in Giappone. Riporta la notizia la BBC. A ulteriore dimostrazione della relazione tra il livello di tassazione e il comportamento del mercato, anche in un’economia forte come quella giapponese.

di Davide Amerio

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L’economia giapponese si è contratta di un 6.8% su base annua nel secondo quadrimestre dell’anno, la maggior caduta dal 2011 quando fu devastato dal terremoto e dallo tsunami.

Nonostante il dato del Prodotto Interno Lordo (PIL-GDP) sia stato minore della caduta del 7.1% atteso dagli economisti.

La contrazione è stata causata in larga misura alle imposte governative sui consumi che hanno contratto la spesa dei consumatori.

La tassa sui consumi in Giappone è cresciuta dal 5% all’ 8% nel mese di Aprile.

Su base trimestrale, l’economia si è contratta dell’1.7% nel secondo quadrimestre dopo una crescita del 1,5% nei prime tre mesi.

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I consumi privati, che compongono il 60% dell’attività economica, erano calati del 5% nel precedente quadrimestre.

L’economia cresceva al tasso del 6,1% su base annuale nel primo quadrimestre di quest’anno.

Recentemente le vendite al dettaglio e la produzione industriale mostrano l’influenza negativa dell’aumento delle taase sui consumi.

Marcel Thieliant, economista del Giappone al Capital Economist (centro studi indipendente di economia N.d.T.) ha affermato che si attende una ripresa nei prossimi mesi: “Il crollo nelle attività economiche nell’ultimo quadrimestre è stato sicuramente il risultato delle levate tasse sulle vendite, e noi crediamo che il recupero avverrà nella seconda metà dell’anno”.

“I consumatori avevano anticipato le spese prima di Aprile in previsione dell’incremeto della tassa sui consumi”.

Il governo giapponese sembra fiducioso che la sua economia, la terza più grande al mondo, riprenderà il ritmo più avanti nel corso dell’anno.

In una dichiarazione rilasciata dopo l’annuncio del valore del PIL, il Ministro dell’economia Akira Amari ha detto: “esaminando i dati mensili del periodo Aprile-Giugno, le vendite dei beni elettronici e quelle dei grandi magazzini sono risalite dopo la rapida caduta in Aprile”.

“Il mercato del lavoro miglior costantemente. Tenendo presente questo, l’economia del Giappone continua a recuperare in modo equilibrato come tendenza e gli effetti della crescita della tassa sui consumi sta scomparendo”.

Fonte: Japan’s economy shrinks by 6.8% after sales tax rise [www.bbc.com]

D.A. 13.08.14

Lecce. “No Tav No Tap liberi tutti”

Atto dimostrativo a Lecce, dove la sede di Confindustria è stata imbrattata di vernice. Prosegue la lotta contro il gasdotto Tap e la difesa del Salento.

di Massimo Bonato

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“No Tav No Tap liberi tutti”: le lotte sociali varcano i confini geografici e si allineano sempre più su posizioni analoghe a dimostrare che il territorio, qualunque sia, appartiene a chi ci vive.

A Lecce, riporta il quotidiano online «LecceNews24» è comparsa questa mattina, 13 agosto, la scritta inneggiante ai No Tav ai No Tap e ai compagni di lotta in carcere, con lanci di vernice sulla porta della locale sede di Confindustria. Episodio che si allinea ai due simili, avvenuti ai danni delle sedi del Pd leccese di via Tasso e via Milizia tra il febbraio e l’aprile scorsi.

Si parla di “anarchici”, di “atto intimidatorio”, di “vile e deprecabile attacco”. La Digos indaga.

Intanto la Confindustria rilascia un comunicato: Sono gesti da condannare con decisione che, comunque, non fermeranno l’azione di Confindustria Lecce a sostegno di una iniziativa lodevole ed importante, che consentirà al sistema economico nazionale e territoriale di allineare i costi energetici a quelli europei e ridimensionare la forte dipendenza del nostro Paese dal petrolio e dal carbone. Il perseguimento di questo obiettivo appare tanto più indispensabile anche alla luce del conflitto russo – ucraino, che mette in evidenza la rischiosità di un approvvigionamento legato in maniera preponderante, se non esclusiva, alla Russia. Il gasdotto TAP è un’opera strategica e deve essere realizzata”.

Opera che ricade nel decreto “Sblocca Italia”, al quale si riferiscono i deputati M5S Diego De Lorenzis ed Emanuele Scagliusi affermando che il “governo vuole mettere a tacere le comunità locali sbloccando il progetto Tap, anche se la procedura di Via non si è conclusa”. Un’altra opera a carattere strategico, indispensabile, che renderebbe l’Italia meno succube dal gas russo, ma solo a patto di stringere accordi con la dittatura dell’Azerbaijan, che, secondo i deputati M5S rischiano “di far scoppiare un caso diplomatico internazionale per una presunta bozza, su cui il governo Renzi ha preso tempo, per il ritorno della regione del Nagorno Karabakh sotto il controllo di Baku [capitale dell’Azerbaijan, N.d.R.]”. Senza che la sinistra europea batta ciglio. Del resto Tony Blair è consulente del progetto, sicché il Tap può dirsi progetto del tutto italiano e vantaggioso per il Paese.

Intanto i No Tap organizzano per Ferragosto a San Foca una 12 ore di maratona artistica (maxiconcerto, balli, teatro, storie, poesie, foto, quadri, disegni, informazioni) contro il gasdotto, sotto l’egida del Comune di Meledugno, in prima linea contro il Tap.

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M.B. 13.08.14

India. Governo e multinazionali assediati dai maoisti naxaliti. Chi sono?

Da quarant’anni in lotta a difesa delle popolazioni tribali. Dalla lotta politica alla lotta armata contro l’imperversare del neoliberismo che porta con sé speculazioni, espropri, deforestazione, sfruttamento delle risorse, industrializzazione dell’agricoltura, dissolvimento dei sistemi tribali, deportazione.

di Massimo Bonato

Naxaliti. Così vengono definiti i ribelli indiani radunati sotto il People’s Liberation Guerrilla Army, ovvero il braccio militare del Partito comunista indiano (maoista). Il nome deriva dal villaggio di Naxalbari, nel Bengala occidentale, in cui nel maggio del 1967 scoppiò una rivolta di contadini in miseria, contro i locali latifondisti.

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Con un corpo di oltre 20.000 tra uomini e donne in divisa, militarmente preparato, e gli oltre 50.000 attivisti di sostegno, tiene testa da anni alle forze di poliiza e all’esercito indiano.

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Arunachal Pradesh, Assam, Meghalaya, Mizoram, Manipur, Nagaland, Tripura, Bengala occidentale, Bihar, Orissa, Chhattisgarh, Jharkhand, Uttarkhand, Madhya Pradesh, Uttar Pradesh, Maharashtra, Andhra Pradesh, Karnataka, Tamil Nadu e Kerala. Una rivolta che interessa con maggiore o minore intensità ben 20 dei 28 stati indiani, sviluppandosi dall’Himalaya fino all’estremo Sud del Paese, in ciò che viene definito il “Corridoio Rosso”. “La più grande minaccia per la sicurezza interna dell’India” secondo il primo ministro Manmohan Singh.

Gli obiettivi

Nato dalla fusione tra Maoist Communist Center of IndiaCommunist Party of India (Marxist-Lenist) e People’s War Group, il People’s Liberation Guerilla Army è schierato con le popolazioni tribali.

Ha raccolto le istanze della rivolta del movimento contadino del 1967, ma ben presto ha scelto la guerriglia e la lotta armata. Solo nel 2009 gli attacchi sono stati oltre un migliaio e hanno causato almeno 600 vittime tra poliziotti, militari e paramilitari, che contano nell’ultimo decennio non meno di 8000 morti. Colpiti prevalentemente convogli ferroviari, centrali elettriche, sedi amministrative, depositi di armi, avamposti e stazioni di polizia e dei paramilitari.

Ma alla guerriglia si accompagna una capillare azione politica.

All’obiettivo insurrezionale di voler rovesciare i governi dei diversi Stati indiani per rimettere il potere direttamente nelle mani delle popolazioni locali, fa da contraltare la diffusa e continua difesa delle popolazioni tribali.

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Sono circa 65 milioni gli abitanti di queste aree contadine; sono gli Adivasi (dal sanscrito “abitanti originari”), burocraticamente definiti “scheduled tribes” (tribù inventariate). Numerosi negli Stati di Orissa, Madhya Pradesh, Chhattisgarh, Rajasthan, Gujarat, Maharashtra, Andhra Pradesh, Bihar, Jharkhand, Bengala Occidentale subiscono l’avanzamento degli interessi economici federali, che rimettono nelle mani di multinazionali senza scrupoli lo sfruttamento di ampie aree del territorio: silvicoltura commerciale e disboscamenti, agricoltura intensiva hanno messo a dura prova foreste intere che per secoli erano prosperate fornendo il necessario alle popolazioni che vi vivevano. Il “progresso” significa per queste popolazioni degradazione ambientale ed ecologica di intere regioni centro-settentrionali, ovvero sfruttamento delle risorse minerarie da parte di ingenti interessi industriali, gruppi di interesse economico-finanziario, multinazionali. Il degrado ambientale mina sistemi tribali alla base, conducendoli spesso al dissolvimento dopo secoli di lineare tenuta e naturale conservazione. Significa cioè che per creare ampie zone a sfruttamento intensivo della terra, intere popolazioni contadine, ma anche operai, pescatori vengono sradicati e spostati in zone diverse. E si tratta comunque sempre di popolazioni che vivono in estrema povertà.

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Spesso non considerati alla stregua degli altri esseri umani, presentano di regione in regione, di stato in stato problemi diversi. Ha favorito certo il loro coinvolgimento nell’azione politica diretta e poi nella guerriglia il vuoto dello Stato centrale, che non ha saputo intervenire contro i soprusi delle classi dominanti e delle caste, riproponendo di volta in volta nel tempo vuote promesse di sviluppo seguite però da una progressiva militarizzazione dei territori che garantisse il mantenimento dello status quo a favore dell’interesse privato.

Così, se il rapimento di due italiani –  Paolo Bosusco e Claudio Colangelo, poi rilasciati – nel 2012 ha riacceso in Orissa la questione, tra le tante, dell’ignominioso safari umano, nel nord-est, oltre a tematiche di carattere sociale, premono forze centrifughe politiche per l’autonomia, la separazione vera e propria dall’India, come accade nella regione del Telangana nell’Andhra Pradesh. L’insurrezione in Punjab venne violentemente soppressa. Il carnaio venne sedato con ciò che chiamarono “Rivoluzione Verde”. A colpi di nuove semenze, nuovi fertilizzanti, irrigazione. Negli anni che seguirono, la terra e i contadini vennero sommersi dalla tecnologia e dovettero piegarsi agli appetiti del mercato.

La risposta del governo: Operazione Caccia Verde

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Per gli Adivasi che si arruolano nei ranghi delPeople’s Liberation Guerilla Army, la foresta è casa loro. La loro lotta è quindi una guerra di difesa. Lottano per difendere una vita che la modernità considera obsoleta e non più proponibile.

Ma il “Corridoio Rosso”, prima ancora di aver sollevato nello Stato centrale la questione della sua completa assenza nelle regioni in cui i naxaliti operano, della totale assenza di un sistema governativo in grado di garantire dei servizi minimi, ha spinto alla sua risposta armata.

Impostisi in molte aree come alternativa allo Stato centrale, da questo i maoisti naxaliti non possono che essere tacciati di terrorismo, in linea con il comune trend mondiale nella classificazione delle rivolte. Dopo decenni di lotte politiche inconcludenti, la svolta armata ha chiamato su di sé una caccia all’uomo organizzata.

Tuttavia, in quarant’anni di lotte, anche per lo Stato, la reazione non è stata immediata né priva di complicazioni. La Costituzione indiana non contempla l’uso delle forze armate all’interno del Paese. Contravvenire alla Costituzione avrebbe reso impopolare il governo, sollevando probabilmente simpatie a sinistra per i maoisti naxaliti. Un problema in più per una democrazia dalla burocrazia pachidermica, alle prese da sempre con un sistema giudiziario al degrado, la corruzione e il fondamentalismo religioso che innesca regolarmente violenti attriti tra induisti e musulmani e cristiani.

L’ottobre 2009, finalmente, il ministro dell’interno Palaniappan Chidambaram dà il via all’operazione “Green Hunt” (Caccia Verde) per contrastare le operazioni dei maoisti lungo il “Corridoio Rosso”, nelle foreste al centro dell’India. Un’operazione che il governo presenta come fondamentale per la pacificazione e la lotta al terrorismo, e fondamentale di converso per proseguire lungo la strada dello sviluppo economico intrapresa dal Paese. Ovvero di quello sviluppo neoliberista di industrializzazione che è esattamente ciò che i maoisti combattono difendendo le popolazioni tribali.

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Vengono quindi dispiegati 40 mila paramilitari, una eterogenea milizia chiamataSlawa Judum (Cacciatori di pace) composta da corpi di polizia e gruppi paramilitari indiani, ma anche di appositi contingenti creati dalle multinazionali interessate alle risorse dell’area, nonché da guerriglieri tribali nemici dei maoisti ed ex guerriglieri naxaliti.

In questi ultimi anni, gli scontri si sono concentrati nella regione del Chhattisgarh, area ricchissima di risorse minerarie, al centro di interessi economici. Ma a questa vanno sommati altri quattro stati, teatri di frequenti scontri: Jharkhand, Bihar, Orissa e Bengala occidentale.

I risvolti

Se la rivolta naxalita si concentra sulla difesa delle popolazioni tribali e sulla lotta al neoliberismo selvaggio, d’altro canto richiama critiche dall’interno e dall’esterno. La coesione interna al movimento a tratti dà segni di cedimento, conducendo a operazioni locali non sempre da tutti condivise; l’imposizione di tasse alle popolazioni stesse per l’approvigionamento; infine gli esempi di arruolamenti coatti avvenuti ai danni delle popolazioni medesime, di cui Amnesty International  si è fatta portavoce, per il caso di Soni Sori arrestata il 4 ottobre 2011, il cui padre ha dichiarato che «i Naxaliti colpiscono dalla parte anteriore e la polizia dalla parte posteriore. Quando i maoisti ci chiamano non ci resta che andare, se vogliamo vivere. Ma se andiamo sarà la polizia a non farci vivere».

La guerriglia si intensifica e la stessa Sonia Ghandi, il luglio del 2010, scrive sul quotidiano «Sandesh»: “La crescita dei maoisti naxaliti riflette la necessità di iniziative di sviluppo che arrivino alle radici, soprattutto nei distretti più arretrati del Paese. Per questo il nostro governo sta cercando di realizzare un maggior numero di progetti di sviluppo mirato in questi distretti”.

Arundhati Roy

La lotta naxalita sta avendo ora risvolti internazionali. Dopo essere stata per anni sottovalutata, ha cominciato ad attrarre interesse presso studiosi e giornalisti, intellettuali che hanno condotto fuori dalle foreste i contenuti della rivolta, portandoli nelle università e sui periodici internazionali. È il caso per esempio della scrittrice Arundhati Roy che ha vissuto con i naxaliti per un periodo riassunto in un lungo reportage pubblicato a marzo 2010 su «Outlook» (uno dei maggiori settimanali indiani) in parte ripreso in Italia dalla rivista «Internazionale». È il caso del regista Sanjay Kak, che ha confezionato il documentario Red ant dream (presentato il giugno 2014 a Roma, Torino e Milano) sull’insurrezione in Punjab, in marcia per le foreste, in Orissa dove l’etnia Dongria Khond lotta contro la multinazionale dell’alluminio Vedanta.

I risvolti non sono solo informativi, giornalistici, culturali. È del luglio di quest’anno la notizia riportata dall’«Economic Times» che il ministero degli Interni Kiren Rijiju accusa varie organizzazioni di estrema sinistra in Germania, Francia, Olanda, Turchia e Italia che darebbero appoggio ai maoisti naxaliti. Accuse raccolte dal ministero degli Esteri indiano che portano le foreste del “Corridoio Rosso” direttamente sui tavoli della diplomazia internazionale.

M.B. 13.08.14

ALERTE ROUGE/ MASSACRE A OUGLEGORSK EN UKRAINE : L’ARMEE DE KIEV A FAIT DES DIZAINES DE VICTIMES CIVILES !

LM pour PCN-INFO/ avec RIA Novosti – PCN-SPO/ 2014 08 13/ KOLO poster

Les forces de la Junte de Kiev ont pilonné ce mardi la ville d’Ouglegorsk (région de Donetsk), il « pourrait s’agir des dizaines voire des centaines de civils tués », déclare le centre de presse de la République Populaire de Donetsk (DNR) ce mercredi.

Selon les données fournies par la DNR, il y avait un poste de contrôle de la Milice à l’entrée de la ville mardi matin, cependant, il n’y avait pas de miliciens dans la ville d’Ouglegorsk. Les troupes ukrainiennes ont encerclé la ville sans aménager des couloirs humanitaires pour les civils, et ont commencé un bombardement d’artillerie massif qui a duré toute la journée.

La RPD a qualifié le pilonnage d’Ouglegorsk de « l’une des plus sanglantes opérations des forces ukrainiennes ».

 LA SALE GUERRE DE LA JUNTE DE KIEV CONTRE SON PROPRE PEUPLE

 « Le nombre de morts dans le conflit dans l’est de l’Ukraine a été multiplié par deux en quinze jours atteignant un total de 2.086 », a indiqué mercredi la porte-parole du Haut Commissariat des Nations unies pour les droits de l’homme, au tropisme pro-occidental bien connu.

Ce bilan qualifié d'”estimation très prudente” porte sur la période allant de la mi avril au 10 août et il y a eu également “au moins 4.953 blessés (dont au moins 30 enfants)”, a précisé Mme Cécile Pouilly, la porte parole à Genève. En fait des chiffres vont au-delà de 4.000 morts, des civils du Donass …

Le bilan de l’ONU additionne les victimes au sein des forces armées ukrainiennes, des « groupes armés » (comme il qualifie l’Armée du Donbass) et parmi la population civile. Curieux procédé qui additionne les bourreaux de Kiev et leurs victimes de l’Est.

A noter que côté Kiev, ces chiffres ne tiennent pas compte de l’état réel des pertes au combat, très élevées, des forces de la Junte. Par exemple, le « groupe blindé Sud » de Kiev a été anéanti à Saur-Mogila il y a quelques jours. Et le Bataillon néonazi AZOV décimé.

 POURSUITES RUSSES CONTRE LES CRIMINELS DE GUERRE UKRAINIENS

 Le ‘Comité d’enquête de Russie’ pourrait élargir la liste des fonctionnaires, politiques et hommes d’affaires ukrainiens contre lesquels un avis de recherche a été émis. Une source dans les structures de force russes a communiqué que les personnes finançant les militaires ukrainiens dans l’est de l’Ukraine pouvaient être ajoutées à la liste.

« Plusieurs hommes d’affaires ne cachent pas leur aide financière considérable et même leur propre participation à des opérations. En outre nous possédons l’information d’après laquelle ils sont liés à la criminalité », a dit la source.

 Ce que nous disons pour notre part dès le Massacre d’Odessa début mai 2014 (notamment dans une Emission spéciale pour AFRIQUE MEDIA TV) :

 * PCN-TV/ LUC MICHEL: DE SLAVIANSK A ODESSA, LES CRIMES DE LA JUNTE DE KIEV/ SUR ‘AFRIQUE MEDIA TV’ (1)

http://vimeo.com/93654180

 * PCN-TV/ LUC MICHEL: DE SLAVIANSK A ODESSA, LES CRIMES DE LA JUNTE DE KIEV/ SUR ‘AFRIQUE MEDIA TV’ (2)

http://vimeo.com/93792603

 D’après les données du ‘Comité d’enquête de Russie’, le gouverneur de la région de Donetsk Sergueï Tarouta (nommé par la junte après le 21 février), le député du parlement ukrainien Oleg Liachko (parti radical et Bataillon néonazi de mercenaires AZOV) et les hommes d’affaires de Kiev les frères Alexandre et Viatcheslav Konstantinovski peuvent être portés sur la liste.

L’oligarque mafieux Kolomoiskiy (bataillons néonazis Azov, Dnipro, Donbass), gouverneur de Dniepropretrovsk, première fortune d’Ukraine, fait déjà l’objet d’un mandat d’arrêt international émis par la Russie.

 Luc MICHEL

 Photo : Affiche de la Résistance ukrainienne dénonçant le criminel de guerre Kolomoiskiy comme instigateur de la salle guerre à l’Est.

La Commissione europea boccia Renzie

http://www.beppegrillo.it/2014/08/la_commissione_europea_boccia_renzie.html?s=n2014-08-13

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 “Una lettera mette in guardia il premier Matteo Renzi e l’Italia intera. La lettera è stata inviata dalla Commissione Europea circa un mese fa (tenuta nascosta fino ad oggi). Destinatario? Il Governo italiano. La strategia e i piani di Renzi e Padoan vengono letteralmente demoliti. Secondo la Commissione, infatti, l’Italia non ha una strategia chiara su ricerca, innovazione, agenda digitale, competitività, sviluppo tecnologico, cultura. Per questo motivo, l’Ue ha deciso di rimandare a settembre il piano italiano sui nuovi fondi europei, quelli relativi al settennato 2014-2020. A rischio ci sono circa 40 miliardi di euro. Senza quei soldi, si ferma tutto. Insomma la politica di Renzi non convince Bruxelles. Gli annunci, gli spot e le battute non portano da nessuna parte. L’Europa se n’è accorta. Renzi e il suo Governo rischiano grosso. E con loro tutti i cittadini italiani.” Tzetze

Renzie Non Mangia Il Panettone

http://www.beppegrillo.it/2014/08/renzienonmangiailpanettone.html?s=n2014-08-13

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 “Come si sa, questo è un Paese in cui le cose serie si decidono a ferragosto. Poi, al rientro, gli italiani trovano il piatto cotto in tavola.

Ed anche oggi le cose stanno andando così. A rendercelo noto sono state soprattutto le articolesse domenicali di Eugenio Scalfari su Repubblica, ma, dopo, non è stato difficile scorgere qui e lì i segni del clima mutato. Da giugno, si sono infittiti i segni di una crescente insofferenza dei poteri forti e semi-forti verso Renzi: le bordare del gruppo Espresso-Repubblica, la sparata di Della Valle, i mugugni confindustriali, le denunce di Confcommercio, i rilievi di Cottarelli, la freddezza del “Corriere” e del “Sole 24 ore”… E’ stato come se il travolgente successo alle europee, non solo non consacrasse la leadership di Renzi, ma quasi la indebolisse: arginato il M5s, Renzi non serve più.
E il preannuncio del licenziamento è arrivato con la bacchettata di Draghi che ha detto papale papale “caro Renzi, non mi incanti con la riforma del Senato, sono altre le riforme che devi fare” e, il sottinteso, neanche tanto dissimulato, era “altrimenti togliti di mezzo”. Renzi prima si è messo sull’attenti (“D’accordo al 100%”) poi, visto che la cosa non commuoveva nessuno, sta abbozzando un goffo tentativo di resistenza (“Non decide la Bce!”). Povero illuso, non si rende conto di avere pochissime frecce al suo arco e di avere troppi avversari: gli americani lo detestano per le sue aperture a Putin, la Merkel non lo digerisce, la Buba gli darebbe fuoco, la finanza che sogna di avventarsi sul peculio berlusconiano non gli perdona il tentativo di salvare il Cavaliere, adesso ci si mette anche Draghi…
Di fronte all’arroganza di Draghi, ad uno verrebbe voglia di fare il tifo per Renzi, poi lo guarda in faccia e cambia idea.
Renzi pensava di affascinare l’Europa con la sua riforma del Senato: non se l’è bevuta nessuno. All’ “Europa” del Senato non gliene può fregare di meno, invece interessa la precarizzazione totale del lavoro in Italia, arraffare quel po’ che ancora ha un valore (Eni, Cdp, Telecom, forse qualche pezzetto di Finmeccanica) e che gli italiani si spremano sino all’ultima goccia di sangue, diano fondo ai risparmi e si vendano casa per pagare gli interessi sul debito pubblico e, se possibile, ne restituiscano una parte attraverso il fiscal compact. Il resto sono solo chiacchiere.
Il punto centrale è la situazione insostenibile del debito italiano, che si è mantenuto in bilico per questi due anni di bonaccia dei mercati finanziari, ma ora la tregua sta finendo ed i conti li ha fatti Zingales sul “Sole 24 ore” del 27 luglio scorso (quando ancora si sperava in un tasso di crescita allo 0,3% e non al -0,2%, come poi è stato) : “Con un tasso di interesse reale al 3,6% ed un tasso di crescita allo 0,3%, abbiamo bisogno di un avanzo primario del 4,5% solo per non far crescere il rapporto debito Pil… Oggi il surplus primario è solo al 2,6%. Questi semplici calcoli ci dicono non solo che non saremo mai in grado di soddisfare il fiscal compact, ma anche che la situazione del nostro debito pubblico è insostenibile a meno di una significativa ripresa dell’inflazione”. E, infatti, l’inflazione è sempre stata il maggiore alleato dei paesi debitori, ma questo presuppone la sovranità monetaria del debitore, cosa che l’Euro ci ha tolto. Il problema è che, mentre gli italiani hanno capitalizzato i loro risparmi in beni reali (essenzialmente immobili), i tedeschi li hanno impiegati per l’acquisto di titoli finanziari prevalentemente in Euro. Per cui, un’inflazione al 3% sarebbe una grande boccata di ossigeno per i paesi indebitati come Italia, Grecia, Spagna, Portogallo, ma, alle orecchie dei tedeschi, suonerebbe come una tassa patrimoniale di pari importo sui titoli. E siccome la moneta comune non è mai la “moneta di tutti”, ma sempre e solo del più forte, questo non si può fare. Per i tedeschi la soluzione sta nella spoliazione dei paesi debitori, del loro patrimonio pubblico (aziende, immobili, riserva aurea, Cdp ecc.) e di quello privato (risparmi, proprietà immobiliari e, fosse per loro, anche vendita dei figli al mercato degli schiavi). Per fare questo, occorre azionare con la massima decisione la leva fiscale (ovviamente al rialzo) e svendere subito il patrimonio pubblico, entrambe cose che Monti aveva iniziato a fare con grande sollievo della platea “europea” (e sapete cosa intendo per “Europa”). Ovviamente, dopo una cura del genere un paese entra in una fase di estrema decadenza economica per interi decenni, ma questo non interessa all’”Europa”. Per i tedeschi, i partner europei sono solo sgabelli su cui arrampicarsi per reggere la sfida della globalizzazione.
Renzi non sta dando le risposte attese e si sta limitando a giocare al “piccolo leader”, cosa sommamente irritante. Per la verità, l’“Europa” non ha soluzioni politiche di ricambio: la destra berlusconiana l’ha già cacciata una volta ed è decotta, il centro non esiste e nel Pd non c’è nessuno che possa dare il cambio al fiorentino. Ed allora che si fa? Si commissaria l’Italia. Si fa governare il paese dalla troika (Ue-Fmi-Commissione Europea).
Ma, mi si dirà, la troika interviene solo su richiesta dei paesi che sono a rischio default. Certo, ma dove è il problema? L’Italia richiederà l’intervento della Troika. Non vuole farlo? Allora si procederà con un nuovo “assedio dello spread”: quando, come nel novembre 2011 (quando c’era da cacciare Berlusconi) lo spread risalirà oltre i 500-600 punti, gli italiani, soprattutto grazie al loro ineffabile Capo dello Stato, faranno quello che devono fare e si troverà il Monti di turno che faccia il lacchè della troika.
A preparare il terreno ci sta già pensando Scalfari (che non è una voce qualsiasi ma LA voce di “Repubblica”) che ha già scritto che sarebbe tanto meglio se il paese fosse governato dalla troika, tanto più che ora essa non sarebbe più l’arcigna custode dell’austerità, ma si sarebbe convertita ad una linea espansionista. Una frase buttata là, quasi come uno sfogo irrealizzabile, una boutade. E, invece, è esattamente quello che si sta preparando e a cui Scalfari sta spianando la strada, con la ben nota tecnica “repubblicana” delle idee insinuate prima che enunciate.
E Renzi cosa può fare? Il “bersagliere del nulla” ha solo due scelte davanti: o fa quello che la Bce gli dice, alla lettera e senza capricci, oppure fa saltare il tavolo. Cosa intendo per “far saltare il tavolo”? Giocare la carta del “ricatto del debitore”: “io vado in default, ma dietro di me se ne vengono molti altri, comprese le banche tedesche: poi l’Euro salta e siamo tutti seduti per terra; oppure ristrutturiamo il debito senza ricatti, iniziamo a negoziare una uscita dall’Euro, rivediamo tutti i patti.
La forza negoziale dell’Italia sta proprio nel fatto che è un grande debitore con i suoi oltre 2.000 miliardi di debito. La Ue e l’Euro potrebbero resistere agevolmente ad un default greco pari a 300 miliardi e forse potrebbe incassare anche un tracollo portoghese, ma un colpo da 2.000 miliardi è decisamente troppo. Come ci ha insegnato un grande finanziere, un piccolo debito è un problema del debitore, ma un grande debito è un problema del creditore.
E la cosa potrebbe funzionare anche perché potrebbero accodarsi spagnoli, greci, portoghesi, mentre la parte loro potrebbero farla anche i variegatissimi movimenti “euroscettici”, che si sono appena affermati come forza politica di primo piano, nelle elezioni di due mesi fa. E dunque, la via sarebbe quella di sedersi tutti al tavolo e assumere il problema del debito come problema comune a debitori e creditori. Questo non è un tempo normale da di grande crisi che chiede scelte radicali, nel nostro caso o servi della troika o ribelli decisi a far saltare il tavolo. Tertium non datur.
Ma questo richiederebbe una intelligenza, una preparazione, un coraggio politico di cui non sospettiamo lontanamente Renzi.
C’è qualcuno che ha scritto che Renzi fa a gara con Mussolini come peggior presidente del Consiglio della storia d’Italia. Non scherziamo: Mussolini è uno che ha scritto la storia (orribile, criminale, d’accordo, ma pur sempre storia), Renzi, al massimo, può scrivere la cronaca fiorentina.
La sua patetica impennata in difesa della sovranità nazionale (ridotta ad un miserrimo “E qui comando io!”) non vale una grinza sulla pelle di un rinoceronte, sarà travolto prima di aver finito di parlare.
Ma quello che verrà dopo, sarà anche peggiore. Prepariamoci.” Aldo Giannuli