LE ESPLOSIONI NUCLEARI CHE HANNO FATTO IMPAZZIRE IL CLIMA E INQUINATO LA TERRA

di Gianni Lannes

Non esiste più il tempo di una volta: le stagioni sono state annientate dalle sperimentazioni belliche degli uomini armati dall’ingordia di dominio.

Tutte le esplosioni atomiche sulla Terra dal 1945 al 1998 mappate nel video dall’artista giapponese Isao Hashimoto. L’obiettivo è quello di mostrare la follia delle armi nucleari. La prima è l’esplosione test che riguarda il progetto americano Manhattan, a Los Alamos, mentre le ultime esplosioni fanno riferimento ai test nucleari indiani e pakistani. La frequenza, come si vede nel video, aumenta dopo il 1960, periodo che fa riferimento all’inasprirsi della guerra fredda.

Secondo l’Aiea, sono stati circa 2.044 i test condotti fino all’aprile 1996, 711 dei quali nell’atmosfera o in aree marine, per una potenza complessiva di 438 megatoni, ossia l’equivalente di circa 35 mila bombe di Hiroshima, queste esplosioni hanno portato alla dispersione nell’ambiente di circa 3.800 chilogrammi di plutonio e di circa 4.200 chilogrammi di uranio. Soltanto gli Stati Uniti d’America ne hanno realizzati ufficialmente ben 1.032, di cui 315 in atmosfera, tanto da far impazzire il clima. L’Unione Sovietica, poi Russia non è stata proprio da meno, così come la Gran Bretagna, la Francia e Israele, compresa l’ultima arrivata nel club atomico, ovvero la Korea del Nord. E poi aumentano i tumori e le malformazioni genetiche, mentre la vita viene sensibilmente meno. Le sperimentazioni nucleari pur al bando, non sono mai state interrotte. Nessuno controlla le potenze atomiche: trattati e convenzioni internazionali sono carta straccia.

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2014/08/le-esplosioni-nucleari-che-hanno-fatto.html?m=1

L’ora dei “pacifisti”

In un momento critico per i numeri sul terreno, nuova forza per la resistenza potrebbe venire dalla componente popolare più “autorevole” ma solo se vorrà assumersi responsabilità e abbandonare la passività.

di Fabrizio Salmoni

Se è vero, come molti sostengono, che la marea No Tav si è ultimamente ritratta di qualche metro, la causa non è sicuramente una “sconfitta” come sostengono alcuni sconosciuti. Mai come oggi infatti, il messaggio politico confezionato in anni di resistenza è stato così diffuso, capito e condiviso; mai ha avuto una rappresentanza istituzionale cosi ampia (almeno 11 comuni e una forza politica in Parlamento, compatti sul No); mai la consapevolezza della corruzione indotta dalle Grandi Opere è stata cosi solida. È opinione di molti ormai, ma “non ammessa” che la controparte non si voglia sedere a “dialogare” per due motivi fondamentali: perché i dati inchioderebbero la verità e perché non si può accettare che un esperimento politico e sociale come quello valsusino venga premiato.

“Stiamo vincendo da 25 anni” – ha dichiarato recentemente Alberto Perino e sulla carta è vero. È pur vero però che il numero di attivisti impegnati in prima persona si è sensibilmente ridotto a partire dai primi mesi del 2012, dalla prima offensiva giudiziaria che ha portato al maxiprocesso, dagli scontri del Vernetto, ultimo rilevante episodio di mobilitazione numerosa. Da allora, se si eccetuano i grandi cortei che pur ci sono stati, l’assedio al cantiere è stato portato avanti efficacemente (dal punto di vista del rilievo mediatico) solo dai giovani e “abili” con gli assalti pirotecnici notturni, azioni che hanno da una parte tenuto vivo l’entusiasmo di molti ma che hanno causato perdite, divisioni e attacchi mediatici e giudiziari senza precedenti. In Val Susa, checché se ne dica, è in corso, se non un’occupazione militare classica, un esperimento di regime speciale di controllo poliziesco in cui il minimo gesto di dissenso (vd. il caso “pecorella” o quello dello stupido bacio provocatorio al carabiniere) genera repressione.

È una situazione difficile che crea discussioni e dissensi che a loro volta portano comprensibilmente disaffezione, soprattutto in chi negli ultimi due anni ha sostenuto maggiormente il peso delle azioni e le maggiori perdite. violinoNoTav

Se dunque per mantenere il consenso e impedire una repressione massiccia, le strategie semipacifiche hanno fin qui avuto ragione di essere e quelle più aggressive si sono fatte sempre più difficili ora c’è forse il bisogno di trovare nuove strade per mettere in difficoltà la controparte e per riportare in Valle i numeri necessari per un’ulteriore spallata al Progetto. I tempi sono maturi: la crisi economica costringerà sempre più la controparte a fare i conti, il Pd piemontese è allo sfascio politico e morale: lo tengono in piedi solo la distribuzione delle poltrone, la retorica sulla forza elettorale renziana, le grandi intese sul piano locale e l’apparente unità sul Tav (un tema su cui non c’è condivisione tra gli stessi maggiorenti del partito ma che viene sostenuto dall’omertà e dal terrore di pronunciarsi contro quello che per loro è diventato un vero tabù).

Il resto è sotto gli occhi di tutti: guerra per bande, scambio di attribuzioni mafiose tra le stesse, un panorama ideale per auspicabili prossime leaks. Le forze per nuove offensive in Val Susa ci sono. Potrebbe essere per esempio l’ora dei “pacifisti”. Sono tanti, sono sempre stati presenti, determinanti nell’interpretare la disponibilità popolare a sostenere la protesta e sostanzialmente a guidarla fino a qui ma oggi sono chiamati dalla necessità a dare di più, a liberare tutta la forza delle loro convinzioni. Lo chiedono soprattutto quelli stremati dalle azioni di resistenza e dalla repressione giudiziaria, quelli che assistono al diminuire dei numeri davanti alle reti e che in cuor loro rimproverano “la gente che non si muove”, quei solidali che vengono a fare “i campeggi” e che si ritrovano a vagare in poche decine per la Valle senza causare il minimo disturbo.

I “pacifisti” possono cambiare le carte in tavola ma solo se decidono di abbandonare la passività, il ruolo di meri predicatori e di interpretare invece il loro ruolo nelle forme più efficaci della loro tradizione ideologica e culturale: si stendano davanti ai cancelli e ci rimangano; si facciano portare via di peso e poi si ri-distendano qualche metro più indietro; si prendano le loro manganellate, le loro denunce e cerchino di resistere. Intorno a loro si attiverebbero forme di sussistenza sperimentate, il blocco dei cancelli porterebbe danno all’attività del cantiere, i media dovranno parlarne e intanto altre aree del cantiere potrebbero essere poste sotto pressione, altre componenti tornerebbero a dare un apporto concreto in una situazione nuovamente frizzante. I mugugni cesserebbero, la coesione interna del movimento se ne gioverebbe e l’opposizione parlamentare avrebbe nuovi stimoli. Insomma, pacifismo si ma militante, attivo, di lotta. Quello attuale è un momento cruciale che richiede di riprendere l’iniziativa, ridistribuire le responsabilità e ricorrere a forze fresche che combattano sul proprio terreno. C’è da sperare che si facciano avanti.

F.S. 18.08.2014

Earth Overshoot Day: la Terra ha esaurito il budget ecologico

http://www.tzetze.it/redazione/2014/08/earth_overshoot_day_la_terra_ha_esaurito_il_budget_ecologico/index.html TzeTze Politica

 

Oggi 19 agosto è l’Earth Overshoot day, ovvero il giorno in cui vengono terminate le risorse ecologiche prodotte per l’anno intero.

Leggiamo su Greenme che “sono bastati 8 mesi all”umanità per esaurire quello che invece doveva finire solo il 31 dicembre 2014. A fare questo calcolo è ogni anno l’organizzazione Global Footprint Network, che si occupa di stimare l’impronta ecologica degli esseri umani calcolando risorse consumate e risorse che la terra è in grado di rigenerare nel corso di un anno. Purtroppo i conti non tornano mai, siamo sempre in rosso nei confronti del pianeta che ci ospita e stiamo diventando anno dopo anno sempre più insostenibili“.

Ed è stato calcolato che “ci servirebbe circa un pianeta e mezzo per far fronte alle nostre smisurate esigenze e a metà di questo secolo, se continuiamo così, ci serviranno addirittura due terre! E’ chiaro ed evidente a tutti che l’umanità dovrebbe iniziare ad impegnarsi seriamente affinché si ridimensionino i consumi e gli sprechi“.

Si tratta di un problema “iniziato a metà degli anni ’70. Se si valuta infatti la situazione precedente, ad esempio quella dell’anno 1961, si nota che l’umanità all’epoca utilizzava in un anno esclusivamente tre quarti delle capacità produttive della terra. Nel corso del tempo però si è presentato il problema, sta diventando sempre più serio e il trend è ancora in crescita“.

A farne le spese, conclude Greenme, “sono boschi e foreste che hanno l’impegno gravoso di assorbire l’anidride carbonica in eccesso e i nostri mari dove si trovano sempre più rifiuti e le specie ittiche lottano per la sopravvivenza. Ma se il nostro pianeta è più povero inevitabilmente lo siamo anche noi, ecco perché l’umanità deve smettere di chiedere più di quanto la terra possa offrire. Iniziamo tutti nel nostro piccolo evitando di sprecare risorse e limitando per quanto possibile i consumi“.

Sotto la mappa che mette in evidenza l’impronta ecologica degli stati del mondo nel 2007, secondo la Global Footprint Network. (Il colore più scuro corrisponde alla più alta). Da Wikipedia

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Croce Rossa Italiana. A Susa pronta per i droni

Un progetto volto alla costituzione di un Team APR – SAR (Aeromobile a Pilotaggio Remoto – Search and Rescue) da impiegare quale strumento tecnologico di supporto nelle attività di emergenza svolte dalla Croce Rossa Italiana.

di Stefano Orsi

È nelle situazioni di emergenza, dove velocità di esecuzione e professionalità del intervento sono determinanti per salvare vite umane, che i velivoli a pilotaggio remoto – APR in gergo tecnico –  volgarmente definiti droni, possono esprimersi al meglio.

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Ne sanno qualcosa gli operatori della protezione civile che si stanno atrezzando in tutta Italia con iniziative di vario genere. La Croce Rossa Italiana, non può esserne da meno e dopo le sperimentazioni già in atto iniziate dalla Croce Rossa delegazione di Bologna ecco partire una iniziativa analoga in val di Susa.

Il progetto è volto alla costituzione di un Team APR – SAR (Aeromobile a Pilotaggio Remoto – Search and Rescue) da impiegare quale strumento tecnologico di supporto nelle attività di emergenza svolte da Croce Rossa Italiana. Si tratta dunque di organizzare una squadra specializzata nella gestione di un aeromobile a pilotaggio remoto, che risponda alle vigenti normative in materia, e che possa essere un valido supporto operativo all‟interno dello scenario emergenziale oltre che un interessante esperimento per ulteriori possibili applicazioni e implementazioni. L‟utilizzo dei cosiddetti “droni” nelle operazioni di protezione civile può risultare essenziale per intervenire in situazioni rischiose senza mettere in pericolo esseri umani.

da Dronezine

L’emergenza nucleare non si è conclusa con il referendum

Abbiamo 24.210 mᶟ, ovvero 284,5 tonnellate di scorie, 2.252.732,7 terabequerel tra Trino, Caorso, Garigliano, Saluggia, Casaccia, Trisaia, Bosco Marengo…

Si discuterà a Roma il 25 novembre 2014 davanti al Consiglio di Stato l’udienza di merito del ricorso contro il deposito ex Fabbricazioni Nucleari di Bosco Marengo (Alessandria), ricorso mirato a creare un precedente giuridico valido per tutti i siti già nucleari, altrimenti destinati a eterni depositi del proprio materiale. A questo ricorso pilota ancora oggi attribuiamo una valenza nazionale; l’occasione con cui affermare la rivendicazione di un deposito unico italiano, una richiesta – fatta già prima del referendum 2011 – di stop alla strategia nuclearista del governo Berlusconi. Ripercorriamo le tappe.

Entusiasmante sottoscrizione popolare

CENTRALE DI BOSCO MARENGO

CENTRALE DI BOSCO MARENGO

Con la complicità di maggioranze e opposizioni del Comune di Bosco Marengo, della Provincia di Alessandria e della Regione Piemonte, il Ministero dello Sviluppo Economico aveva emesso un decreto che avrebbe autorizzato la demolizione dell’impianto di fabbricazione di combustibili nucleari di Bosco Marengo e la conseguente costituzione di un deposito di rifiuti radioattivi: definito “temporaneo” fino al 2020 secondo la criminale ipocrisia della Regione ma a tempo indeterminato secondo Sogin e in luogo assolutamente inidoneo allo scopo, cioè non sicuro. Insomma, tombare centinaia di fusti radioattivi vecchi e nuovi in un sito assolutamente inidoneo neppure per uno stoccaggio temporaneo: sia per le condizioni antropiche del territorio (densità popolazione) sia per le caratteristiche geomorfologiche del terreno (sismico, con falde), come dimostrerebbero agevolmente le (omesse) indagini geotecniche e il (mancato) assoggettamento alla valutazione di impatto ambientale VIA. Per impedirlo, grazie ad una entusiasmante capillare sottoscrizione popolare e all’aiuto di Beppe Grillo, tramite l’avvocato Mattia Crucioli presentammo (Medicina democratica, Pronatura, Legambiente) ricorso al TAR Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte contro il Ministero e l’ISPRA Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, e nei confronti della SOGIN Società Gestione Impianti Nucleari SpA (ex Fabbricazioni Nucleari), per l’annullamento, previa sospensione, del decreto suddetto, eventualmente previa rimessione alla Corte Costituzionale.

Contro la scellerata decisione politica del governo, ci siamo appellati dunque al Decreto legge 314/2003, il quale dispone che la sistemazione in sicurezza dei rifiuti radioattivi debba avvenire garantendo la protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori nonché la tutela dell’ambiente dalle radiazioni ionizzanti esclusivamente presso Deposito nazionale: da individuare in zona con assolute caratteristiche geomorfologiche e antropiche. Che non sono quelle di Bosco Marengo: non a caso manca la VIA (Valutazione di Impatto Ambientale). Si consideri, a proposito di “temporaneità”, che i tempi di decadimento radioattivo di tali rifiuti variano rispettivamente nell’ordine di alcune decine di anni (rifiuti di prima categoria), di alcune centinaia di anni (seconda categoria), di alcune migliaia di anni e oltre (terza categoria). Il decreto del Ministero dello Sviluppo economico è illegittimo perché, in contrasto con il Decreto legge 17/3/95 n. 230, non prevede la definitiva bonifica del sito di Bosco Marengo, il suo rilascio privo di vincoli di natura radiologica, in quanto non prevede il conferimento in ottemperanza alla legge 314 dei rifiuti al Deposito nazionale: inesistente, neppure individuato.

CENTRO RICERCHE TRISAIA

CENTRO RICERCHE TRISAIA

 Dunque i materiali radioattivi già presenti a Bosco, insieme a quelli derivanti dallo smantellamento dell’impianto, erano destinati ad essere immobilizzati in una matrice cementizia collocata in fusti in acciaio e vasche di calcestruzzo armato, all’interno di locali assolutamente inidonei, ipotesi che una Valutazione di impatto ambientale escluderebbe, e rappresenterebbero un ulteriore e ingiustificato gravissimo pericolo per l’ambiente e per la salute di Bosco Marengo e Alessandria (ex articolo 32 della Costituzione). Perciò, oltre all’annullamento del procedimento di disattivazione, il ricorso chiedeva, con istanza cautelare, di sospendere immediatamente l’esecuzione del procedimento impegnato.
Questo attentato contro Bosco Marengo si collocava all’interno delle scelte del governo di rilanciare la costruzione di nuove centrali atomiche in Italia, seppellendo un referendum votato in massa che aveva definitivamente chiuso con questa tecnologia costosa e insicura produttrice di scorie radioattive che solo la camorra o i fabbricanti di bombe atomiche sanno come smaltire. Denunciammo che, contro gli alessandrini, esisteva un patto regionale fra Pd e Pdl per favorire la lobby nucleare, gli interessi privati, le mire dell’industria energetica, le speculazioni immobiliari.

Roma, il porto delle nebbie
Il governo voleva costruire nuove centrali nucleari e produrre nuove scorie nucleari. Per contrastarlo cercammo appunto di obbligarlo a risolvere, prima, l’eredità delle vecchie. Tramite il ricorso al TAR del Piemonte. I tentativi della Sogin (il governo) furono di sottrarsi al giudice naturale, di spostare la sede processuale da Torino a Roma. Infatti, il Tar aveva già dato torto due volte alla Sogin (Società per la gestione degli impianti nucleari) benché si avvalesse dei più celebri avvocati italiani. La prima volta aveva ordinato alla Sogin di sospendere i lavori di smantellamento dell’impianto nucleare di Bosco Marengo. La seconda volta aveva respinto la pretestuosa richiesta della Sogin di spostare il giudizio di merito dalla competenza del Tar del Piemonte (giurisdizione regionale) al Tar del Lazio (giurisdizione nazionale). Contro entrambe le sentenze del Tar Piemonte, la Sogin ha presentato appelli a Roma al Consiglio di Stato, che le hanno consentito di riprendere i lavori e, di rinvio in rinvio, di arrivare al 2014. A Roma Sogin era convinta di giocare in casa (non senza ragione).

La Procura di Alessandria come Ponzio Pilato
Mentre il Parlamento approvava il rilancio governativo del nucleare in Italia e il Consiglio di Stato con una ordinanza, “istanza cautelare”, consentiva i lavori benché già sospesi dal Tar Piemonte, quale ulteriore azione di contrasto firmammo come Medicina democratica un esposto penale (9 luglio 2009) presso la Procura della Repubblica di Alessandria affinchè verificasse la sussistenza di ipotesi di reato nei lavori avviati a Bosco Marengo di smantellamento dell’impianto nucleare e di costruzione di un deposito di scorie radioattive a tempo indeterminato: il primo fra quelli che Sogin, il braccio armato del governo, voleva imporre nel Paese.

CENTRALE DI TRINO VERCELLESE

CENTRALE DI TRINO VERCELLESE

La Procura fece Ponzio Pilato attribuendo la competenza al Consiglio di Stato, mentre noi ci attendevamo invece che intervenisse d’urgenza a sospendere i lavori
“che provocano grave pericolo a lavoratori, popolazione e ambiente, lavori decretati dal governo ma non consentiti dalla legge senza che sia stato prima predisposto apposito deposito nazionale ultrasicuro per millenni, lavori nemmeno muniti di VIA Valutazione di impatto ambientale e si teme privi addirittura delle prescritte autorizzazioni dell’ISPRA (su piani operativi e progetti particolareggiati di disattivazione) per garantire sicurezza e radioprotezione, lavori privi di controlli medici e ambientali sugli effetti che l’avviamento di tali lavori hanno già provocato sulle persone e il territorio”.

La lotta si fa in piazza e non solo nelle aule dei tribunali
Intanto l’opposizione al nucleare si affermava anche sul territorio. L’anniversario 2010 del vittorioso referendum (8-9 novembre 1987) assunse una valenza particolare, per due ragioni. L’atteso lancio della massiccia campagna mediatica del governo a sostegno del suo lobbistico e autoritario programma nucleare. E dunque il corrispondente lancio di una Giornata di lotta del movimento antinucleare e pacifista italiano contro questo programma e in funzione del decisivo difficile scontro referendario, giornata volta a stimolare ancor più la nascita di comitati antinucleari in ogni città, anzi in ogni quartiere, e valorizzarli quale massa critica per la conseguente costruzione di un fronte nazionale contro il nucleare civile e militare anche tramite apposita convocazione di una conferenza nazionale organizzativa per definirne gli strumenti operativi.
Il mio tam tam su internet. Dal Piemonte al Trentino, al Lazio, alla Lombardia, al Veneto, alla Liguria, al Friuli, all’Emilia Romagna alla Toscana, alla Basilicata, costruendo il primo nucleo di quel fronte antinucleare nazionale, questa giornata, contro la follia nucleare civile e militare e per le alternative ambientali ed economiche, fu caratterizzata da iniziative decise regione per regione, città per città. Iniziative tutte costruite dal basso che coinvolsero tutta Italia. Un anniversario di lotta tutto costruito dal basso. Rinacquero di conseguenza i coordinamenti territoriali che avranno un ruolo fondamentale nella vittoria del referendum 2011. Iniziative nelle strade, nelle piazze, nei mercati, alle fiere paesane, nelle parrocchie, presso dopolavori ferroviari, sale consiliari, università, case del popolo, teatri, davanti alla villa di Berlusconi, alle basi militari, sedi amministrative ecc. Iniziative in tutta Italia. Protesta e proposta. Tanta informazione e dunque materiali illustrativi e volantinaggi dappertutto. In molti territori anche la possibilità di firmare la proposta di legge di iniziativa popolare Sì alle rinnovabili, no al nucleare. E dunque assemblee aperte, conferenze dibattito e serate di approfondimento e di lotta. Tanti saperi intellettuali, pochi mezzi economici e tanta fantasia: vestiti e bidoni gialli e tute bianche, cappelli, maschere, biciclette, ciclostili, presìdi, cortei, musica, firme, brindisi, attori, gazebo, striscioni, mostre, poesie, video, happening, assemblee, spettacoli, giochi, catene umane, uomini sandwich, centrali in miniatura, mimi, concerti, bandiere ai balconi, flash mob però di tipo freeze e chi più ne ha ne metta. Il Piemonte, che detiene l’85% delle scorie nucleari italiane, è in prima linea. Nucleare civile e nucleare militare. La lotta antinucleare si salda con quella pacifista.

CENTRALE DI SALUGGIA

CENTRALE DI SALUGGIA

Dalla vittoria del referendum alla sconfitta dei movimenti e all’eredita’ delle scorie nucleari
Sull’onda del successo dell’autorganizzazione di novembre, promossi a Cremona il 5 febbraio 2011 l’autoconvocazione dei Comitati antinucleari con l’adesione di oltre cento comitati e movimenti di base e le presenze da 17 province. La prima decisione operativa riguardò l’impegno dei Comitati, costituitisi in Coordinamento nazionale, ad avviare immediatamente nei rispettivi territori iniziative di una unica campagna referendaria su entrambi i temi: vota Sì per l’acqua pubblica e contro il nucleare. Nel contempo si decise di inviare a ciascun comitato elettorale nazionale già costituitosi un formale invito ad un incontro per verificare l’assoluta necessità di dar vita ad un’unica Campagna referendaria nazionale che comprendesse i temi dell’energia e dell’acqua, senza la quale –con la sussistente dispersione di forze- i referendum sarebbero stati sicuramente perdenti.

Questo obbiettivo strategico fu fortemente perseguito anche dopo che dovemmo prendere atto dell’opposizione degli apparati elettorali nazionali che erano corsi a ritagliarsi ognuno un proprio spazio politico e che facevano barriera alla nostra proposta iniziale di costituire un Comitato referendario nazionale unico per i sì ai 3 referendum acqua e nucleare e di fare una Campagna nazionale referendaria unica. Non fu facile convincere il Forum acqua pubblica che lo straordinario un milione e mezzo di firme per promuovere il referendum per il sì all’acqua pubblica era ben lontano dal garantire 25 milioni di voti, il quorum irraggiungibile da tempo immemorabile. Infine l’obbiettivo strategico fortemente perseguito a Cremona ebbe successo. Possiamo dirlo con orgoglio. Per effetto delle pressioni prodotte dai Comitati, tutte le organizzazioni nazionali, con le quali avevamo promosso contatti, si espressero –magari obtorto collo- favorevolmente per concordare e avviare iniziative territoriali unitarie acqua-nucleare tramite coordinamenti locali e anche regionali. Questa fu la svolta per traguardare i quorum, altrimenti irraggiungibili sia per l’acqua sia contro il nucleare (e anche il quarto referendum, sul legittimo impedimento, aumentò tali probabilità).

CENTRALE CASACCIA

CENTRALE CASACCIA

Fu la vittoria del referendum. Fu scritto da tutti: “Con lo straordinario avvenimento politico del referendum ha trionfato un nuovo modello di fare politica… la fine di un ciclo politico e culturale… è nato un nuovo laboratorio politico… il conflitto, la partecipazione e i beni comuni sono le nuove categorie per la nascita di nuove soggettività politiche fuori e oltre il sistema dei partiti”. Con una ormai petulante insistenza, già all’indomani della vittoria referendaria ri-proposi l’urgente esigenza di una organizzazione stabile di tutti i movimenti: gli “Stati generali per il governo dei beni comuni”. Siano convocati: chiedemmo sulle mailing list. Ma le settimane passarono. L’immenso ma disperso patrimonio di “democrazia partecipata” si era finalmente espresso con i referendum, la sua straordinaria forza politica si era finalmente espressa. E si era subito fermata!

Non si sono invece fermati i governi, Monti, Letta, Renzi. Che hanno accelerato il processo avviato da Berlusconi di liberalizzazioni ovvero privatizzazioni forzate dei servizi pubblici di rilevanza economica (acqua compresa), in palese dispregio della democrazia partecipata rivendicata da 27 milioni di cittadini, e in violazione dei principi costituzionali e comunitari. Ciò è avvenuto nel vuoto politico senza incontrare resistenza, quella resistenza che i movimenti dis-organizzati non hanno saputo o voluto contrapporre, buttando all’aria l’occasione storica conquistata con i referendum. Una sconfitta epocale.
L’assenza permanente di una politica energetica ecologica e l’irrisolta questione delle scorie nucleari (depositi e transiti e piani di emergenza): sono fra le conseguenze.

Depositi nucleari, treni e camion nucleari. i politici italiani se ne fregano.
Le scorie nucleari vanno in giro per l’Italia. Ad esempio quelle di Caorso dirette in Francia su camion o treno passano nottetempo per Alessandria, senza avvertire i cittadini con piani di sicurezza. Ad esempio quelle di Trino andrebbero a finire nei pressi della centrale atomica da smantellare. Ad esempio alcune di quelle di Bosco Marengo (900 fusti. 198.000 litri) partono verso Casaccia (Roma) per poi ritornare ricompattate. Dunque i rifiuti radioattivi vanno all’estero per poi ritornare riprocessati e sempre radioattivi e/o sono immagazzinati senza protezione in depositi temporanei (cioè per sempre).
Bosco Marengo è al centro della provincia di Alessandria e ospita, suo malgrado, un deposito di scorie nucleari in piena Fraschetta, tra i comuni di Bosco, Pozzolo Formigaro e Alessandria. Può essere oggetto di disastro nucleare per incidente, attentato, terremoto, alluvione, collisione di aereo o meteorite, incendio ecc. Ebbene nessuno di questi Comuni, né altri vicini (Novi Ligure, Frugarolo ecc.) ha provveduto ad informare i cittadini sui piani di emergenza nucleare. Abbiamo inviato formale diffida nei confronti dei Comuni e della Regione che non hanno adempiuto agli obblighi di legge (tra cui Direttiva n. 618 Consiglio delle Comunità Europee, Legge regionale 18 febbraio 2010, n. 5). E inviato nota alla Procura della Repubblica di Alessandria.

CENTRALE CAORSO

CENTRALE CAORSO

Un commento meritano le cosiddette “compensazioni” statali per il pericolo radioattivo. Per i Fabbricazioni nucleari di Bosco Marengo, ad esempio, ammontano a 1.240 mila euro dal 2004 al 2009. Noi abbiamo presentato ricorso al Consiglio di Stato contro il deposito di scorie nucleari voluto dal governo a Bosco, che invece è stato accettato da Comune e Regione. I concittadini Lamborizio, Cavallera, Bresso ecc. hanno venduto la sicurezza dei cittadini per 40 denari e neppure li hanno spesi per indagini epidemiologiche e iniziative sanitarie e ambientali. Lo scandaloso baratto soldi/salute diventa addirittura una beffa per il Comune di Alessandria, che non ricava nemmeno un euro mentre sono proprio i sobborghi di Mandrogne, Litta Parodi, Cascinagrossa ecc. ad essere i più vicini al deposito nucleare.
Contro il deposito “temporaneo” di Fabbricazioni Nucleari a Bosco attendiamo la decisione del Consiglio di Stato al nostro ricorso. Analogo ricorso per Trino pende davanti al Tar del Lazio. Il deposito nazionale unico, costruito in luogo sicuro e antisismico, dove confluire tutte le scorie, avrebbe dovuto per legge essere pronto entro il 2008. Gli ambientalisti lo pretendono per la sicurezza e la salute di milioni di persone. I politici italiani se ne fregano. Il Consiglio di Stato…

Lino Balza
Medicina Democratica – Movimento di lotta per la salute Onlus

Come farà la Cina ad affrontare la crescente rabbia verso l’inquinamento?

Il corrispondente dalla Cina Stephen Vines per Aljazeera racconta la situazione drammatica dell’inquinamento cinese. Le proteste sono in crescita ma la risposta del governo è inusuale.

di Davide Amerio 

Il maggior produttore di emissioni di carbone alla fine pare ascoltare la crescente protesta verso il livello di inquinamento.

In Hong Kong, dove l’inquinamento è così grave che il governo frequentemente consiglia le persone anziane e quelle molto giovani di stare in casa, c’è un amaro gioco di parole sul perché milioni di visitatori vengono qui, dal continente cinese, a visitare la città. Ah, dice la battuta, vengono per godere dell’ambiente.

Infatti, i livelli di inquinamento di Hong Kong sono più bassi che nella maggior parte dellaCina, dove meno dell’uno per cento delle maggiori città è in grado di sostenere gli standard di qualità dell’aria secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization) in base al documento della Banca dello Sviluppo Asiatico (Asian Development Bank) del 2012.

Le statistiche del degrato ambientale in Cina sono spietatamente deprimenti: il 90% dell’acqua nel sottosuolo nelle città e il 70% dei fiumi sono inquinati, in verità un terzo di questi fiumi è così inquinata che mettono a rischio la salute; sette delle 10  città  più inquinate nel mondo sono in Cina e lo smog contribuisce ogni anno a milioni di morti premature. La Cina è la maggior emittente nel mondo di biossido di carbonio e il soffocamento da smog nelle città raggiunge livelli che costituiscono un pericolo per chi vuole uscire fuori di casa.

Consapevolezza crescente

Questo livello di degradazione ambientale non è una notizia, anche e persino i cittadini cinesi potrebbero essere allarmati se i media controllati dallo Stato permettono la pubblicazione di articoli che trattano queste minacce di inquinamento.

Eppure le notizie sono sempre pubbliche e i social media stanno giocando un ruolo enorme nella comunicazione di queste informazioni. Deng Fei, un ambientalista, per esempio, ha circa quattro milioni di follower su Weibo, una versione ibrida di Twitter e Facebook. In Febbraio, il portavoce del Partito Comunista Cinese, il People’s Daily, riporta un sondaggio d’opinione che cita come la preoccupazione ambientale dei cittadini sia uno dei loro problemi più urgenti.

La crescente consapevolezza ha scatenato un’ondata dimanifestazioni, molte di queste locali e scoordinate ma tuttavia – e questo è molto inusuale in Cina – i manifestanti riescono a raggiungere una serie di obiettivi in un paese dove la fine della maggior parte delle proteste è la prigione o l’esilio.

L’ultimo documento ufficiale sullo Stato dell’Ambiente registra 712 casi di “improvvisi incidenti ambientali” nel 2013, in crescita del 31% rispetto all’anno precedente. Molti di questi ‘incidenti’ sono di fatto contestazioni, e il livello della protesta quest’anno è, inoltre, cresciuto. Yang Chaofei, il vice capo della Società Cinese per le Scienze Ambientali, ha dichiarato ai membri del potente Comitato Permanente del Congresso Nazionale Popolare che le protesta ambientali sono cresciute del 29% annualmente dal 1966 al 2011.

La maggior parte delle prime contestazioni erano in aree rurali; ora queste si muovono verso le città e sono difficili da ignorare. In Maggio, una protesta contro la costruzione di quello che viene considerato il più grande impianto di inceneritore dei rifiuti nella provincia di Zhejiang, nella Cina orientale, si è placata quando il governo ha dichiarato di non voler procedere con la costruzione senza “il consenso della popolazione”. Una precedente protesta nel distretto di Songjiang, una delle maggiori città della Cina,Shanghai, contro la costruzione di una imponenete fabbrica di batterie al Litio ha comportato la sospensione del progetto. In Ningbo, un’altra città principale della parte orientale, i manifestanti hanno bloccato la costruzione nel 2012 di un impianto petrolchimico da 8,9 bilioni di dollari.

Queste proteste potrebbero essere catalogate come componenti di una sindrome NIMBY(Not In My Backyard). Ma sono anche efficaci promemoria della  sensibilità pubblica verso l’impatto ambientale delle attività manifatturiere, e della profonda conseguenza dell’inquinamento.

Tuttavia, di gran lunga la maggior causa dell’inquinamento è la combustione del carbone la maggior parte del quale è utilizzata per la generazione di corrente.

Il governo è vivamente consapevole di questo problema, e ora ha iniziato una cospicua spesa nella produzione di energie rinnovabili. 290 bilioni di dollari sono stati impegnati in questo progetto in cinque anni dal 2015 ma questo è sminuito da maggiori investimenti in energia nucleare – che comporta rischi di natura diversa – ma è molto più ecologico della produzione di energia con il carbone.

Il governo guidato dal Presidente Xi Jianping si è mostrato essere molto più proattivo che i suoi predecessori, e fa ogni sforzo per dimostrare la sua comprensione della questione ambientale. L’anno scorso il Premier Li Keqiang ha promesso “ancora maggiore determinazione” per affrontare la crisi dell’inquinamento. Questo non è un modo semplice per tranquilizzare l’opinione pubblica, ma deriva da una preoccupazione sui costi dell’inquinamento che gli economisti della Banca Mondiale stimano in 242 bilioni di dollari per anno, su base 2010; chiaramente i costi sono cresciuti da allora.

“Guerra all’inquinamento”

Nel Dicembre 2013, il governo ha emesso il suo primo progetto a livello nazionale per affrontare il cambiamento climtico, accompagnato da una lista di obiettivi da raggiungere per il 2020. A questo hanno fatto seguito istruzioni a 15.000 fabbriche per richiedere rapporti in tempo reale sulle emissioni nell’aria e gli scarichi dell’acqua. Li ora parla di una “guerra all’inquinamento”.

Nel mese di Aprile, il Parlamento Cinese ha finalmente emesso una legislazione che prevede ampi poteri per punire, controllare e supervisionare chi inquina. Questo accade dopo due decenni e mezzo di pausa da quando è stata emanata l’ultima legge sulla protezione dell’ambiente.

Il lungo tempo che è stato necessario per introdurre questa normativa è un riflesso dell’intensa battaglia all’interno dei circoli dei dirigenti cinesi tra quelli che aderiscono all’idea della crescita economica a tutti i costi e quelli che ritengono che questi costi siano troppo alti.

Come sempre, delle battaglie interne alla leadership cinese si parla solo indirettamente e non è mai chiaro come queste discussioni avvengano. Gli ambientalisti dicono che in Cina l’emissione le promulgazioni delle leggi sono una cosa, la loro efficacia un’altra. Il loro scetticismo sul reale impegno della leadership per affrontare questi problemi sarà placato solamente dall’emergere di riscontri di un’azione decisa contro gli inquinatori al pari con, per esempio, la repressione in corso contro la corruzione.

La tacita tolleranza delle proteste ambientaliste è molto insolita in una nazione che considera tutte le proteste come una minaccia alla sicurezza dello Stato. Il fatto che alcune di queste proteste hanno raggiunto i loro obiettivi è ancora più significativo. La questione principale è ora se la tendenza delle manifestazioni attuali continuerà a crescere e come lo Stato risponderà.

D.A. 18.08.14

Fonte : How will China deal with growing anger over pollution? [www.aljazeera.com]