PIL – GDP

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Ringraziamo i governi Berlusconi, Monti, Letta e Renzi.
Mentre tutte le nazioni industrializzate aumentano il loro PIL (GDP) l’Italia è in caduta libera. Numeri NON parole. 
Chi l’avrebbe detto che la decrescita – per ora infelice – sarebbe stata realizzata dall’assoluta incapacità dei nostri governanti?
Infelice perché nel frattempo la disoccupazione è alle stelle, il welfare e le pensioni ai minimi storici, i diritti dei lavoratori a picco. A cosa è servito? A COSA? Spiegatemelo, grafici e cifre alla mano.
GRAZIE

Questa settimana Putin in Crimea, si parlerà di sviluppo e welfare

http://www.imolaoggi.it/2014/08/11/questa-settimana-putin-in-crimea-si-parlera-di-sviluppo-e-welfare/

Imola Oggi

lunedì, 11, agosto, 2014

 putin

 11 agosto – Il presidente Vladimir Putin si rechera’ in Crimea, questa settimana, insieme al premier Dmitri Medvedev e gran parte del parlamento russo per una visita che, secondo fonti governative, vuole lanciare un “messaggio politico”: dimostrare che la penisola sul Mar Nero e’ ormai parte integrante della Russia, nonostante le minacce di Kiev e le sanzioni occidentali.

Come ha scritto oggi il quotidiano Vedomosti, l’incontro di Putin e Medvedev con i deputati russi e’ previsto giovedi’ a Yalta. Come ha riferito al giornale il portavoce del vice primo ministro Arkadi Dvorkovich, vi e’ la possibilita’ che vi partecipino anche i vicepremier Olga Golodets, con delega alle questioni sociali, e Dmitri Kozak, incaricato proprio della Crimea.

Fonti governative hanno dichiarato alla Reuters che alla riunione con il capo di Stato saranno presenti la maggior parte dei deputati della Duma, la camera bassa del parlamento russo. Il partito di governo Russia Unita si riunira’ in Crimea gia’ da oggi per discutere il programma e fino a mercoledi’ i suoi membri incontreranno gli abitanti locali e i rappresentanti delle categorie professionali, ha scritto Vedomosti. Secondo l’agenzia Rbc, Putin incontrera’ anche i maggiori rappresentanti del mondo della cultura russo e della Crimea per discutere di finanziamenti al settore e dell’”integrazione della penisola nello spazio culturale russo”.

Una fonte di Russia Unita ha spiegato alla Reuters che “il messaggio principale del viaggio sara’ politico: mostrare che la Crimea e’ parte integrante della Federazione e da questo non si torna indietro”. La stessa fonte ha poi riferito che i temi in agenda saranno sia di politica estera – con le sanzioni occidentali e la risposta russa – che interna – con le questioni legate al bilancio federale, al welfare e allo sviluppo della Crimea. Citato da Vedomosti, il politologo e membro di Russia Unita Dmitri Orlov ha spiegato che, in questo contesto, da Putin “ci si aspetta un discorso significativo e l’annuncio di iniziativi legislative”. “Il fatto stesso che tutti si riuniranno in Crimea mettera’ in evidenza l’integrazione della regione nel contesto russo”, ha poi aggiunto. (AGI)

Massacro di Cristiani in Iraq, qualcuno in Vaticano deve vergognarsi

http://www.imolaoggi.it/2014/08/11/massacro-di-cristiani-in-iraq-qualcuno-in-vaticano-deve-vergognarsi/

Imola Oggi

lunedì, 11, agosto, 2014

 POPE FRANCIS PRAYS VIGIL IN SAINT PETER SQUARE POPE HAS CALLED FOR A GLOBAL DAY OF FASTING AND PRAYER FOR PEACE IN SYRIA AND AGAINST ANY ARMED INTERVENTION .. SAINT PETER SQUARE AT THE VATICAN ON SEPTEMBER 7, 2013.

 11 agosto –  Il dramma in corso dei cristiani perseguitati vede i laici (perfino governi anticlericali come quello francese) quasi più sensibili del mondo cattolico ed ecclesiastico. Dove si trattano con poca sensibilità e qualche fastidio le vittime, mentre si usa una reticente cautela – cioè i guanti bianchi – verso i carnefici.

Duecentomila cristiani (ma anche altre minoranze) sono in fuga, cacciati dai miliziani islamisti che crocifiggono, decapitano e lapidano i nemici. In queste ore mi giungono pure notizie ufficiose di efferatezze indicibili su donne e bambini (speriamo non siano vere).

ISIL_case_cristiani

Considerando questo martirio dei cristiani che sono marchiati come “nazareni” senza diritti, braccati, uccisi, con le chiese bruciate e la distruzione di tutto ciò che è cristiano, la voce del Vaticano e del Papa – di solito molto interventista e vigoroso – è stata appena un flebile vagito.

Neanche paragonabile rispetto al suo tuonare cinque o sei volte “vergogna! Vergogna! Vergogna!” per gli immigrati di Lampedusa, quando peraltro gli italiani non avevano proprio nulla di cui vergognarsi perché erano corsi a salvare quei poveretti la cui barca si era incendiata e rovesciata mentre erano in mare.

 LA NOTA (STONATA)

Ha ragione Giuliano Ferrara. Che di fronte all’orrore che si sta consumando nella pianura di Ninive, il Vaticano abbia partorito, giovedì (in grave ritardo oltretutto), una semplice “nota” di padre Federico Lombardi dove, a nome del Papa, si chiede alla “comunità internazionale” di porre fine al “dramma umanitario in atto” in Iraq, è quel minimo sindacale che ha l’unico obiettivo di salvare la faccia.

Anche perché è ben più di un “dramma umanitario” e nulla si dice su cosa bisognerebbe fare. Inoltre – osserva Ferrara – “nulla, nella dichiarazione freddina, viene detto su chi siano i responsabili di questi ‘angosciosi eventi’. Non un accenno alle cause che hanno costretto le ‘comunità tribolate’ a fuggire dai propri villaggi”.

bened

Ormai la forza con cui Giovanni Paolo II difendeva i cristiani perseguitati è cosa passata e dimenticata. E anche la limpidezza del grande discorso di Ratisbona di Benedetto XVI – che era una mano tesa all’Islam perché riflettesse criticamente su se stesso – è cosa rimossa.

Quella dell’attuale pontificato è una reticenza sconcertante di fronte a dei criminali sanguinari con i quali – dicono i vescovi del posto – non c’è nessuna possibilità di dialogo perché nei confronti dei cristiani loro stessi han detto “non c’è che la spada”.

Una reticenza che è ormai diventata consueta nell’atteggiamento di papa Bergoglio, che non pronuncia una sola parola in difesa di madri cristiane condannate a morte per la loro fede in Pakistan o in Sudan (penso ad Asia Bibi o a Meriam), che si rifiuta perfino di invitare pubblicamente a pregare per loro, che quando c’è costretto parla sempre genericamente dei cristiani perseguitati e arriva ad affermare, come nell’intervista a “La Vanguardia” del 13 giugno: “i cristiani perseguitati sono una preoccupazione che mi tocca da vicino come pastore. So molte cose sulla persecuzione che non mi sembra prudente raccontare qui per non offendere nessuno”.

Per non offendere chi? I criminali sanguinari che crocifiggono i “nemici dell’Islam”? Non è sconcertante?

Ci sono migliaia di innocenti inermi in pericolo di vita, braccati e laceri, in fuga dagli assassini e Bergoglio si preoccupa di “non offendere” i carnefici?

Perché tutti questi riguardi quando si tratta del fanatismo islamista? Perché nemmeno si osa nominarlo? E perché si chiede alla comunità internazionale di mettere fine al “dramma umanitario” senza dire come?

 L’ESEMPIO DI WOJTYLA

Oltretutto il papa poteva seguire l’esempio di Giovanni Paolo II. Ci aveva già pensato questo grande pontefice infatti a elaborare la nozione di “ingerenza umanitaria”, venti anni fa: quando si deve impedire un crimine contro l’umanità e non vi sono più altri mezzi diplomatici è doveroso, da parte della comunità internazionale, un intervento militare mirato e proporzionato che scongiuri il perpetrarsi di orrori incombenti.

Bastava a Bergoglio ripetere questo principio che è stato già recepito a livello internazionale.

D’altra parte che di questo ci sia bisogno lo dicono i vescovi di quelle terre: “Temo che non ci siano alternative in questo momento a un’azione militare, la situazione è ormai fuori controllo, e da parte della comunità internazionale c’è la responsabilità di non aver fatto nulla per prevenire o fermare tutto questo”.

Lo ha dichiarato Bashar Matti Warda, l’arcivescovo di Erbil che si trova in prima linea, immerso nel dramma.

E’ troppo comodo – da parte di certi cattolici – lanciare generiche denunce contro l’Occidente, contro il “silenzio colpevole” (di chi?), quando da anni fra i notabili cattolici si evita accuratamente di denunciare i fanatici islamisti con nome e cognome, quando si ha cura solo di sottolineare che il loro non è il vero Islam (che com’è noto è rose e fiori), quando non si richiama mai energicamente il mondo islamico al dovere di rispettare le minoranze cristiane e si evita di chiedere un intervento concreto della comunità internazionale per mettere fine al massacro.

 L’INAUDITO

Del resto Bergoglio non solo non ha chiesto ingerenze umanitarie, ma nemmeno ha lanciato operazioni di soccorso umanitario o iniziative di solidarietà a livello internazionale che coinvolgessero il vasto mondo cattolico. Tardiva è stata anche l’attivazione della diplomazia.

Domenica scorsa, all’Angelus, non ha detto una sola parola sulla tragedia in corso e ha perfino taciuto sull’iniziativa della Chiesa italiana che ha indetto una giornata di preghiera per il 15 agosto a favore dei cristiani perseguitati.

Anche pregare per i cristiani perseguitati è “offensivo” verso i musulmani?

Quantomeno quella dei vescovi italiani sarà una vera e seria preghiera cristiana. E non capiterà di rivedere l’imam che, invitato in Vaticano per l’iniziativa di pace dell’8 giugno scorso con Abu Mazen e Peres, ha scandito un versetto del Corano dove si invoca Allah dicendo “dacci la vittoria sui miscredenti”.

Quasi un inno alla “guerra santa” islamica nei giardini vaticani. Un incidente inaudito. (L’imam in Vaticano ha invocato Allah per la vittoria sugli infedeli, ndr)

Alla preghiera indetta dalla Cei non accadrà. Ora ci si aspetta almeno che il Papa, prima o poi, si associ all’iniziativa dei vescovi, magari replicando la preghiera in piazza San Pietro per la pace in Siria che, come ricordiamo, combinata con la diplomazia, qualche buon effetto lo ebbe.

Auspicabile sarebbe anche un’attivazione di tutta la cristianità per iniziative di aiuto e di solidarietà ai perseguitati.

Ma pare proprio che non sia questa l’aria. Sembra di essere tornati indietro allo smarrimento dei cupi anni Settanta, alla subalternità ideologica dei cristiani, a quel buio che fu dissolto solo dall’irrompere del grande pontificato di Giovanni Paolo II.

Antonio Socci . dal blog di Antonio Socci

Governo Renzi, Economist: “E’ l’economia, stupido”. Stampa estera scarica il premier

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/11/governo-renzi-economist-e-leconomia-stupido-stampa-estera-scarica-il-premier/1088044/

Il Fatto Quotidiano

Il settimanale della City ricorda al presidente del Consiglio lo slogan di Bill Clinton durante le presidenziali del 1992. E attacca: “C’è il rischio che i tagli alla spesa facciano ulteriormente calare la domanda accelerando la spirale discendente”. Intanto il Financial Times, che in febbraio approvava l’agenda ambiziosa di Renzi, parla di “timori” dei grandi imprenditori che “sono stati suoi grandi supporter”. E il Wall Street Journal sottolinea come ci siano “pochi segni” delle grandi riforme economiche promesse

Matteo Renzi
IFinancial Times, il giorno dopo la notizia della nuova recessione italiana, aveva parlato di “fine della luna di miele” tra Matteo Renzi e il Paese. Ma, come dimostra il contenuto stesso dell’analisi del quotidiano finanziario inglese, i dati Istat sull’andamento dell’economia sembrano aver segnato un punto di svolta anche nel rapporto tra il premier italiano e la stampa internazionale. Che al giovane ex sindaco di Firenze, presentatosi come rottamatore e alfiere del cambiamento, in passato ha concesso un’ampia apertura di credito. Ora – forse anche in seguito alle pesanti dichiarazioni di Mario Draghi sulla necessità che i Paesi europei “cedano sovranità” alla Ue sulle riforme strutturali – il vento è cambiato. A rimarcarlo è il blog di Beppe Grillo, che riporta integralmente la traduzione di un articolo critico comparso sull’ultimo numero dell’Economist. La prima frase dice tutto: It’s the economy, stupid. Ovvero lo slogan della vittoriosa campagna presidenziale condotta nel 1992 daBill Clinton. Il senso era che solo i numeri sulla crescita e l’occupazione avrebbero determinato l’esito delle elezioni. Il settimanale della City continua spiegando che “se Matteo Renzi, uno studente appassionato di politica americana, avesse prestato più attenzione allo slogan di successo inventato per la campagna presidenziale di Clinton nel 1992, potrebbe essere in una posizione migliore di quella in cui si trova oggi”. Cioè con il Pil in calo  dello 0,2% nel secondo trimestre, “il peggior colpo per il primo ministro dall’inizio del suo mandato nel mese di febbraio”. Poi la sferzata: “La notizia della recessione lascia un’ammaccatura enorme nella credibilità della strategia complessiva del governo. Mister Renzi ha fatto una scommessa: che l’economia avrebbe recuperato senza bisogno di molte riforme strutturali, in modo da poter andare andare avanti con quello che lui ha giudicato l’aspetto più importante: il cambiamento istituzionale”.
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“Per Renzi riforme come il Pin del telefonino. Ma che succede se nel frattempo la batteria si è scaricata?” – Seguono il racconto delle trattative con Silvio Berlusconi (che nel 2001 l’Economist definì “inadatto a guidare l’Italia”) sull’Italicum, la descrizione delle difficoltà che il governo sta incontrando nel varare iniziative pro-crescita e la previsione di “tagli alla spesa profondi (di 15, 20 miliardi secondo i più)” per “rispettare i propri impegni di riduzione di bilancio della zona euro senza aumentare le tasse”. Peccato che “se il governo non agisce rapidamente per liberare i mercati e favorire la razionalizzazione e l’efficienza, c’è il rischio che i tagli faranno ulteriormente calare la domanda accelerando la spirale discendente”. Conclusione: “Mr Renzi il mese scorso ha paragonato il suo programma di riforma costituzionale con il Pin di un telefono cellulare. E’ solo dopo aver digitato il numero, ha spiegato, che il telefono funzionerà. Ma cosa succede se nel frattempo la batteria si è scaricata?”.

Secondo il Financial Times ora “i grandi imprenditori esprimono timori” – Anche sulle pagine color salmone del Financial Times, che a febbraio celebrava “l’agenda ambiziosa” di Renzi e solo a giugno giudicava “importante” la sua battaglia per un ripensamento delle rigide regole del Patto di stabilità, ora lo scetticismo nei suoi confronti è palpabile. Pur se attribuito, come nel colloquio con il presidente del Consiglio pubblicato domenica, ai “grandi imprenditori italiani” che “sono stati grandi supporter di Renzi” ma ora “hanno iniziato a esprimere timori che si tratti di un micromanager che si basa troppo su pochi amici fidati quando avrebbe invece bisogno di consulenti esperti da abbinare alla sua capacità politica”. Parla di “paralisi italiana”, in contrasto con la ripresa di Spagna e Grecia, il Wall Street Journal, che in un editoriale firmato da Simon Nixon sottolinea come rispetto alle promesse di sei mesi l’esecutivo Renzi abbia realizzato troppo poco: “Ci sono pochi segni dei cambiamenti di vasta portata del mercato del lavoro e dei prodotti e delle revisioni della burocrazia e del sistema giudiziario necessari per rilanciare la crescita”.

Die Welt: chiusura dell’Unità e successo di Fanpage simbolo dell’Italia renziana – Infine la stampa tedesca, che da Renzi si aspettava un nuovo corso e riforme profonde, ora è rapidissima a scaricarlo prevedendo (Suddeutsche Zeitung) che il premier “sarà più debole in Europa”. Ma non solo: ampliando lo sguardo, il quotidiano conservatore Die Welt pubblica un’analisi sul nuovo Zeitgeist (“spirito del tempo”) italiano perfettamente incarnato dal presidente del Consiglio. “A 39 anni già premier. Non segue alcuna ideologia. È un pragmatico. Era democristiano, ora è socialdemocratico. È la personificazione del ‘sia…sia’. È contrario alle politiche di risparmio d’Europa, ma allo tesso tempo a favore di riforme strutturali dolorose. Distribuisce 80 euro a chi guadagna di meno, e allo stesso tempo sbraita contro i sindacati. Renzi non pensa in ‘destra’ e ‘sinistra’, ma in veloce e lento. È uno che fa. Sono gli altri a frenare”, spiega il corrispondente Tobias Bayer ai concittadini di Frau Merkel. La descrizione dello stile giovanilistico dell’inquilino di Palazzo Chigi continua con riferimenti all’abbigliamento (“Non porta vestito e cravatta, ma jeans e camicie aperte”), all’uso della tecnologia (il solito Twitter) e all’atteggiamento “alla mano” (“Si fa portare la pizza a Palazzo Chigi, velocemente passa al tu: ‘Io sono Matteo’. Non è ‘uno di quelli’ ma ‘uno di noi’). E questo “riflette uno Zeitgeist che ovviamente plasma anche i media”. In che modo? L’Unità chiude e gran parte delle testate tradizionali sono in crisi, mentre, scrive Bayer, riscuote successo il giornale online Fanpage.it. Il giudizio su questa evoluzione è lasciato ai lettori.

Siria: jihadisti nemici di Assad crocifiggono e decapitano “apostati”

http://www.imolaoggi.it/2014/08/11/siria-jihadisti-nemici-di-assad-crocifiggono-e-decapitano-apostati/

Imola Oggi

lunedì, 11, agosto, 2014

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 11 agosto – I Combattenti dello  stato islamico hanno crocifisso due appartenenti a tribù siriane mentre fuggivano in un villaggio vicino chiamato Shaafa, mentre altre 23 sono persone sono state ammazzate.

Esprime sostegno per Assad, il Pd chiede le dimissioni dell’assessore Clerici (quindi il PD parteggia per i jihadisti o abbiamo capito male?)

Gli insorti, che stanno anche facendo rapidi progressi in Iraq, conquistando sempre piu’ territorio, stanno stringendo la loro presa in Siria, dove ora controllano circa un terzo dell’ area, per lo più zone rurali del nord e ad est.

Secondo i residenti  della zona e l’Osservatorio siriano per i diritti umani,  i combattenti della tribù al-Sheitaat, nella parte orientale di Deir al-Zor, avevano tentato di resistere allo di Stato islamico.

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foto dailymail

A al-Shaafa, una cittadina sulle rive del fiume Eufrate, lo Stato islamico ha decapitato due uomini del clan al-Sheitaat di Domenica, e ha dato ai residenti un termine di 12 ore  per consegnare i membri della tribù .

In altre parti della provincia di Deir al-Zor, i militanti hanno crocifisso due uomini perchè accusati di ‘trattare con apostati’ nella città di Mayadin. Altri due sono stati decapitati per blasfemia nella vicina città di al-Bulel, ha detto l’Osservatorio.

LA RUSSIE DERRIERE SON PRESIDENT : LA POPULARITE DE POUTINE ATTEINT UN NOUVEAU RECORD A 87% !

- La cote de popularité de Vladimir Poutine culmine à plus de 80 % depuis le rattachement de la Crimée à la Russie en mars, elle atteint 87% avec les sanctions anti-occidentales…

 KH pour PCN-SPO/

avec RIA Novosti – AFP/ 2014 08 11 /

 La popularité du président russe Vladimir Poutine a atteint un nouveau record en août avec un taux de satisfaction de 87 %, soit son plus haut niveau depuis six ans, selon un sondage publié jeudi par le centre indépendant Levada. Ainsi, 87 % des Russes interrogés soutiennent l’action du président, soit une hausse de 22 points depuis janvier. Le nombre de personnes insatisfaites de l’action de Vladimir Poutine est tombé de 34 % en janvier à 13 % en août.

 Il s’agit du plus haut niveau atteint depuis la guerre russo-géorgienne de 2008, où la popularité de Vladimir Poutine culminait à 88 %. La popularité du Premier ministre russe Dmitri Medvedev a également augmenté à 71 % en août, contre 48 % en janvier. En outre, 66 % des sondés estiment que le pays va dans la bonne direction (43 % en janvier) et 19 % que ce n’est pas le cas (41 % en janvier).

 Comme le disait hier Luc MICHEL, « La 5e colonne libérale et pro-américaine disparaît totalement du paysage politique. Ils peuvent hurler à une « fraude électorale » inexistante, ils ne représentent plus que le mépris pour la masse des russes » …

 UN NIVEAU HISTORIQUE …

 L’étude du centre Levada (proche de la Fondation Carnegie US et enregistrée comme « agent de l’étranger ») a été réalisée du 1er au 4 août sur un échantillon de 1 600 personnes représentatif de la population. Un sondage réalisé fin juillet par l’institut proche du pouvoir VTsIOM avait déjà assuré que les Russes étaient plus heureux que jamais, l’indice de satisfaction de la population ayant atteint un niveau historique en juillet (79 points).

 Les sondages récents ont montré que les Russes ne craignaient pas les sanctions votées contre leur pays. Les économistes estiment toutefois que leurs effets ne se feront pas sentir immédiatement par la population. La cote de popularité de Vladimir Poutine culmine à plus de 80 % depuis le rattachement de la Crimée à la Russie en mars. Poutine a notamment ordonné mercredi des restrictions sur les importations de produits agroalimentaires en provenance des pays ayant adopté des sanctions économiques contre la Russie.

 Elle n’est pratiquement jamais descendue en dessous de 60 % depuis son arrivée au pouvoir en 2000.

 Et Obama, Hollande, Cameron ???

 KH/ PCN-SPO

 Photo : La foule acceuille Poutine à Sébastopol le 9 mai dernier …

ALERTE ROUGE/ POUTINE EN CRIMEE JEUDI POUR UN IMPORTANT DISCOURS DEVANT LES DEPUTES RUSSES

Poutine va prononcer un discours intense” qui reflètera “l’agenda avec lequel nous vivons tous” poutine poing

PCN-SPO avec RIA Novosti/

2014 08 11 /

 Le président russe Vladimir Poutine se rendra jeudi en Crimée, la péninsule ukrainienne rattachée en mars par la Russie, où il prononcera un discours lors d’une réunion avec des députés du parlement russe, a indiqué lundi le porte-parole du Kremlin, Dmitri Peskov. “M. Poutine va prononcer un discours intense” qui reflètera “l’agenda avec lequel nous vivons tous”, a indiqué M. Peskov, cité par l’agence de presse publique Ria-Novosti, sans plus de précisions.

 Au moment où une sale guerre, transformée en génocide rampant des populations russophones du Donbass, soumises à une véritable épuration ethnique par la Junte pro-américaine de Kiev, fait des victimes et des réfugiés sans cesse plus nombreux, le discours de Poutine est très attendu.

 Les députés de “presque tous les partis représentés” à la Douma (chambre basse du parlement) vont assister à cette réunion, a-t-il ajouté, cité par l’agence officielle Itar-Tass.

 Il s’agit de la deuxième visite de Vladimir Poutine en Crimée depuis son rattachement à la Russie en mars 2014. Le président russe s’était déjà rendu dans cette péninsule – d’une importance géostratégique vitale pour la Russie – où est située notamment la ville de Sébastopol, port d’attache de la Flotte russe de la mer Noire, pour des célébrations de la victoire de 1945 sur les nazis, fêtée le 9 mai en ex-URSS.

 Le rattachement de la Crimée à la Russie, survenu après l’arrivée au pouvoir par le coup d’état armé du 21 février 2014, la Junte de Kiev, des autorités fascisantes, pro-américaines et soumises au NATO à Kiev, est à l’origine de la pire crise entre Russes et Occidentaux depuis la fin de la Guerre froide, qui n’a depuis cessé de dégénérer.

 PCN-SPO

La Siria deve rafforzarsi per colpire il SIIS: schizofrenia di Iraq e Stati Uniti

AGOSTO 9, 2014
Jibril Khoury e Lee Jay Walker, Tokyo Modern Times, 9 agosto 2014

Il governo siriano del Presidente Bashar al-Assad continua a combattere con coraggio contro le forze settarie e terroristiche sponsorizzate dall’estero. Dopo diversi anni di conflitto brutale sponsorizzato da potenze del Golfo e NATO, è chiaro che la destabilizzazione della Siria porta al collasso dell’Iraq. Allo stesso modo, il Libano è preoccupato dai taqfiri settari che cercano di compiere ulteriori incursioni al fine di creare caos. Pertanto, la destabilizzazione della Siria deve finire in modo che le forze centrali schiacciano il SIIS (Stato Islamico in Iraq e Siria) e altre forze settarie e terroristiche brutali. Altrimenti il SIIS continuerà a destabilizzare l’Iraq utilizzando le armi  che entrano in Siria grazie agli intrighi di USA, Francia, Qatar, Arabia Saudita, Turchia e Regno Unito. E’ evidente che ogni soldato siriano morto è un ulteriore bonus al SIIS e alle altre forze settarie e terroristiche brutali. Tale realtà rende ridicolo, per le nazioni estere patrocinanti la destabilizzazione della Siria, preoccuparsi degli eventi in Iraq. Dopo tutto è chiaro che SIIS e la crescente minaccia settaria in Iraq è dovuta alle politiche brutali emanate da nazioni estere verso il popolo della Siria. Pertanto, le forze destabilizzanti anti-siriane di USA, Francia, Qatar, Arabia Saudita, Turchia e Regno Unito devono cessare le loro politiche brutali, altrimenti l’Iraq sarà in grave pericolo e in Libano potrebbe essere inghiottito nel caos.
Se si osservano le nazioni arse dal terrorismo e dal settarismo, sul punto di essere Stati falliti, basterà seguire l’intromissione delle potenze del Golfo e occidentali. Dall’Afghanistan degli anni ’80 e primi anni ’90 all’attuale crisi in Iraq, Libia e Siria, in cui i soliti giocatori sono coinvolti.  Naturalmente nazioni come Pakistan e Turchia sono coinvolte nei fattori geopolitici riguardo Afghanistan e Siria rispettivamente. Tale realtà crea caos e pertanto l’Iraq, è ancora una volta incendiato dalle brutali politiche delle nazioni estere per il loro odio collettivo verso la Siria indipendente. È interessante notare che, mentre la Turchia della NATO viene utilizzata per destabilizzare la Siria, la stessa nazione NATO non viene utilizzata per schiacciare il SIIL in Iraq.

Allo stesso modo, le stesse forze settarie e terroristiche sostenute contro la Siria laica sono gli stessi assassini psicopatici che massacrano cristiani, yazidi, shabak, sciiti e chiunque ritenuto fedeli al governo dell’Iraq. Infatti, anche i sunniti che s’oppongono alla brutale mentalità taqfirista vengono massacrati dai taqfiri salafiti. Inoltre, come di consueto, la brutale realtà dei petrodollari del Golfo è in gioco e lo stesso vale per i monarchi feudali che finanziano guerre per procura. Naturalmente, ciò  non sembra preoccupare troppo le potenze occidentali, perché non è stata intrapresa alcuna azione per arginare la marea di petrodollari del Golfo che sponsorizzano ovunque la barbarie taqfirita, e questo vale anche per il lavaggio del cervello con la propaganda. Tale realtà è evidente a tutti, perché molti barbari taqfiri che tagliano la gola agli sciiti e così via, sono nati e cresciuti in Europa, Nord America e Australia. In altre parole, i petrodollari del Golfo hanno anche permesso di propagare l’odio nelle società democratiche, perché sembrano avere via libera nel diffondere  divisioni nella società.
Non molto tempo fa diverse potenze della NATO erano sul punto di bombardare la Siria con un pretesto molto dubbio. Tale pretesto aveva tutte le caratteristiche di un’altra bugia grande quanto l’invasione dell’Iraq basata su falsità. Tuttavia, la Camera dei Comuni del Regno Unito si rifiutò di dare al primo ministro Cameron via libera. Allo stesso modo, il presidente Obama sapeva benissimo che era anche probabile che perdesse voti, e quindi la Federazione russa è intervenuta con il suo piano. Se le nazioni della NATO, soprattutto USA, Francia, Turchia e Regno Unito avessero bombardato la Siria, gli unici vincitori sarebbero state le forze del SIIS e gli altri terroristi brutali, barbari e settari taqfiri. Per fortuna, la cospirazione occidentale e del Golfo è fallita perché se il governo del Presidente Bashar al-Assad fosse crollato, la crisi in Iraq e in Libano sarebbe scoppiata in misura assai maggiore. A poco a poco sempre più individui che si opponevano al governo della Siria comprendono appieno la realtà sul terreno e vedono anche meglio il quadro. Ryan Crocker, ex-ambasciatore degli Stati Uniti in Afghanistan e in Iraq, afferma: “E’ tempo di prendere in considerazione il futuro della Siria senza la cacciata di Assad, perché è estremamente probabile che così sarà in futuro…

Meglio armato, organizzato, sostenuto e motivato, Assad non se ne andrà. Molto probabilmente, si riprenderà il Paese centimetro per centimetro sanguinoso. Forse al-Qaida terrà alcune enclave nel nord. Ma egli terrà Damasco. E vogliamo davvero l’alternativa di un grande Paese nel cuore del mondo arabo nelle mani di al-Qaida? Quindi dobbiamo fare i conti con un futuro che includa Assad e, considerandolo cattivo quanto si vuole, c’è qualcosa di peggio“. Naturalmente, quanto sopra distorce la realtà della Siria di Bashar al-Assad, perché la Siria ha accolto milioni di rifugiati dall’Iraq a prescindere dalla fede religiosa. Allo stesso modo, i cristiani e le altre minoranze in Siria fuggono dalle forze terroristiche e settarie sponsorizzate da Golfo e occidente. Pertanto, il vero nemico del ricco mosaico del Levante e del moderno Iraq proviene dai monarchi feudali del Golfo, dalle politiche della Turchia del primo ministro Erdogan e delle grandi potenze occidentali. Data tale realtà, è giunto il momento di fermare la destabilizzazione della Siria, al fine che il SIIS e gli altri siano schiacciati dalle forze armate siriane. Per farlo, Turchia e potenze del Golfo devono essere trattenute e le grandi potenze occidentali concentrarsi sulla realtà brutale che semina settarismo, terrorismo, consentendo ai taqfiri di crescere in influenza.
L’Iraq è ora in grave crisi a causa del SIIS intento a tagliare le gole di sciiti, cristiani, shabak e yazidi. Infatti, chiunque sia contrario al SIIS subisce gravi persecuzioni. Se l’attuale campagna aerea limitata degli USA ha lo scopo di cambiare la bilancia in Iraq, allora è chiaro che questo non accadrà mentre la Siria è destabilizzata. Pertanto, è essenziale che la Siria sia vittoriosa e che un riallineamento si affermi eliminando dal quadro i petrodollari del Golfo, l’ingerenza occidentale e gli intrighi brutali della Turchia di Erdogan. Dopo tutto, una forte Siria taglierà le arterie del SIIS e permetterà alle forze armate di Iraq, Siria e ai vari gruppi curdi di mettere la minaccia taqfira in un angolo.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
https://aurorasito.wordpress.com/2014/08/09/la-siria-deve-rafforzarsi-per-per-colpire-il-siil-schizofrenia-di-iraq-e-stati-uniti/  

Il Qatar ha inviato 5000 terroristi del SIIL in Libia

sostenere i tagliagole, quelli tanto cari alle due diritto umaniste, non è razzismo nei confronti dei confratelli arabi siriani, libici, etc vittime di questi carnefici?

AGOSTO 10, 2014

Nabil Ben Yahmad, Tunisie Secret 9 agosto 2014
L’afferma Rafiq Shely, ex-direttore della sicurezza presidenziale (1984-1987), ex-alto ufficiale dei servizi segreti tunisini e attuale Segretario Generale del “Centro Studi sulla Sicurezza Globale” tunisino, in un’intervista al quotidiano arabo al-Tunisya. Ciò significa che dopo il ruolo attivo nei disordini in Siria e Iraq, il Qatar vuole incendiare con le fiamme della guerra civile e la barbarie in Libia inevitabilmente Tunisia e Algeria.

In primo luogo va chiarito, contrariamente a quanto è stato detto in qualche media tunisino, che l’intervista di Rafiq Shely non è stata pubblicata dal quotidiano algerino “al-Qabar”, ma dal giornale tunisino al-Tunisya il 4 agosto 2014.

Con il suo silenzio, la troika sostiene Abu IyadhAlla domanda “E’ vero che l’occupazione della Tunisia, come alcuni osservatori pessimisti ritengono, da parte di organizzazioni terroristiche è solo questione di tempo, e che subiremo lo scenario libico, siriano e iracheno?” L’ex alto funzionario del Ministero degli Interni Rafiq Shely ha risposto: “Dobbiamo prima tornare alle vicende storiche che ci hanno portato alla situazione attuale. Inoltre, dopo l’annuncio di Abu Iyadh della creazione di Ansar al-Sharia, nell’aprile 2011, ha goduto di un’amnistia generale, compì una dimostrazione di forza nel maggio 2012 lasciando a Qayruan 5000 seguaci. Nonostante la minaccia per la sicurezza nazionale, la troika ha osservato il silenzio e incoraggiato Abu Iyadh e le sue truppe a ricomparire l’anno successivo, affermando che può mobilitare 50000 persone.

Sua intenzione è approfittare della situazione per dichiarare la città di Qayruan emirato islamico, preoccupando al-Nahda che vietò la manifestazione per preservare l’immagine presso l’opinione pubblica tunisina e internazionale…” Secondo Rafiq Shely, dopo l’assassinio di Shuqri Belaid e Muhammad Ali Larayadh Brahmi, al-Nahda fu costretta a classificare Ansar al-Sharia organizzazione terroristica, nonostante l’opposizione radicale di qualche capo di al-Nahda. A causa di tale ritardo i capi di Ansar al-Sharia fuggirono dalla Tunisia in Libia unendosi ad Abu Iyadh e formando campi di addestramento a Sabrata e Derna.
Il Qatar rimpatria i jihadisti del SIIL
Alla seconda domanda, “Non pensa che il fallimento degli islamisti in Libia abbia messo in pericolo immediato tutta la regione?” Rafiq Shely ha risposto che “il totale fallimento degli islamisti nelle ultime elezioni del Consiglio nazionale è una svolta pericolosa. C’è l’operazione dell’aeroporto (in Libia), poi il viaggio di Abdelhaqim Belhadj, Belqaid e Ali Salabi in Turchia, Qatar e Iraq per incontrare il SIIL per due motivi: rimpatriare i jihadisti nordafricani in Libia e stipulare accordi per la vendita di armi moderne, con l’appoggio di certi Paesi. L’aeroporto di Sirte è stato costruito per ospitare carichi di armi, così come l’aeroporto Mitiqa“. Citando fonti attendibili, Rafiq Shely ha aggiunto che “gli aerei sono arrivati in Libia dal Qatar carichi di jihadisti, spiegando il successo di Ansar al-Sharia nell’occupare una base militare di Bengasi… Il numero di terroristi del SIIL, molti tunisini, oscilla tra 4000 e 5000. Loro obiettivo è imporre il dominio sulla capitale, poi prendere Zintan, in tal caso il pericolo della Tunisia sarà ancora maggiore alla frontiera…”  Contattato dal corrispondente a Tunisi di Tunisie-Secret, Rafiq Shely ha detto che tra questi 5000 jihadisti quasi 200 sono di nazionalità francese. In altre parole, binazionali.
Vertice segreto nella città turca
Si ricorda che già nel gennaio 2014 Rafiq Shely ha detto al quotidiano al-Tunisya (17 gennaio) che “4500 jihadisti tunisini appartenenti al movimento Ansar al-Sharia sono attualmente nei campi d’addestramento in Libia“. I 5000 jihadisti in questione torneranno al punto di partenza, in Libia, dove furono addestrati e da dove i servizi del Qatar li inviarono in Siria alla fine del 2011. Infine, è chiaro che sulla base dei rapporti d’intelligence ricevuti dal quotidiano algerino “Bilad al-Jazairiya” del 4 luglio, i jihadisti libici appartenenti a Ansar al-Sharia ed elementi del SIIL si sono incontrati in una città turca per concludere l’accordo per inviare i jihadisti nordafricani dall’Iraq in Libia, per rafforzare Ansar al-Sharia in questo Paese e in Tunisia. Lo stesso rapporto d’intelligence indica che il SIIL ha deciso di estendere la sua jihad nel Maghreb arabo e Sahel, lontano da un Medio Oriente già parzialmente occupato.
erdogan-qatar2Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
https://aurorasito.wordpress.com/2014/08/10/il-qatar-ha-inviato-5000-terroristi-del-siil-in-libia/

Spagna. Parlano le montagne

Come in Val di Susa, anche in Spagna il movimento No Tav affida alla montagna i suoi messaggi.

di Massimo Bonato

La mattina del 10 agosto, un gruppo basco di oppositori al Tav spagnolo è salito sulle pendici del monte Ondarreta, non distante da Donostia, dove ha disteso un enorme striscione che recita in basco “Aht Ez” (No Tav).

Un’azione che, durante la settimana di maggior afflusso turistico, vuole denunciare come le casse provinciali della Navarra verranno alleggerite di oltre cento milioni per l’opera, mentre al livello nazionale, il potere politico e finanziario continuano a smantellare la sanità, l’istruzione e i servizi sociali.

Di fatto proprio dal potere centrale proviene un rallentamento dei lavori e una riduzione dei progetti originari, dettati dal forte indebitamento della società Adif (commissionaria dei lavori di alta vocità). Quel che resta del progetto iniziale è ciò che «tercerainformacion» definisce una “cicatrice di  cememento di 60 km”, ovvero la linea tra Castejón e Campanas.

M.B. 11.08.14